Passione Gourmet Giappone Archivi - Pagina 8 di 10 - Passione Gourmet

Ginza Ukai-Tei

Ginza Ukai-Tei, Giappone, tokyo

Bastano solo un paio di giorni per orientarsi bene a Tokyo. La metropolitana è di un’efficienza disarmante e le indicazioni sono chiare anche per chi parla bene solo le lingue neolatine e non mastica altrettanto correttamente gli ideogrammi. Se poi avete la fortuna di soggiornare a Ginza tutto risulta più facile. Ovvio che un cellulare dotato di navigatore vi consentirà maggiore tranquillità, ma questo quartiere ha un aspetto simile alle moderne città occidentali, con i suoi grattacieli imponenti, i negozi lussuosi, i brand della civiltà consumistica a cui siamo abituati. Per strada la gente è in perenne e ordinato movimento, colpisce l’assenza quasi assoluta di bambini o anziani, ma forse il motivo è che siamo nella zona del business. C’è un silenzio irreale ovunque e il traffico delle automobili, discreto e privo di quella simpatica sinfonia di clacson tipica di Roma o New York, non disturba per nulla. Addirittura i cantieri sembrano lavorare con il silenziatore incorporato: è incredibile per la nostra cultura, ma qui a Tokyo è proprio così.
Girovagare a piedi senza difficoltà è quindi possibile, a meno che non abbiate prenotato un pranzo o una cena presso uno dei tanti leggendari maestri Sushi di Tokyo. Normalmente essi officiano in sconosciuti e anonimi building, senza targhe o insegne riconoscibili dalla quasi totalità della popolazione mondiale: in questi casi la situazione si fa più molto più complessa e dovrete ricorrere a tutta la vostra intelligenza e capacità intuitiva.
Non è così per l’Ukai-Tei di Ginza, uno degli indirizzi più rinomati della città in tema di cucina giapponese versante Teppan-Yaki. Dopo giornate intere a scovare con atteggiamento sospetto questo o quel recapito enigmatico, azione a cui abbiamo sacrificato i preziosi neuroni rimasti, ecco per fortuna un locale facilmente riconoscibile: anzi il suo accesso imponente e sfarzoso ci predispone immediatamente ad una inusuale serenità, anche se la piacevole sensazione dura solo pochi istanti, perché il sospetto che questa volta proprio non ci abbiamo azzeccato con la prenotazione, si tramuta quasi subito in realtà.
L’ambiente è curato, ma pomposo e opprimente. Dopo il portone in stile Las Vegas, osserviamo sbigottiti un arredamento tra il kitsch cinese e i vetusti ristoranti francesi di epoche passate. Per carità, sorrisi e gentilezze a profusione, ma mentre ci conducono nella nostra saletta riservata avvertiamo un sottile turbamento, quella sinistra convinzione di essere le vittime occidentali di turno della serata.
Ci accomodiamo nelle nostre eleganti sedie barocche, davanti a noi si svela in tutta la sua lucentezza metallica il mitico Teppan-Yaki. Propendiamo per un compromesso, scegliendo dal menù il percorso di degustazione chiamato “Lobster&Steak” a quasi 19.000 Yen (oltre 140 Euro). Il nome ci sembra una piccola garanzia che almeno qualche delizia l’assaggeremo, golosamente sfrigolante su quel piano rovente che abbiamo al nostro cospetto. E poco importa se intorno a noi di quel minimalismo giapponese cui siamo oramai devoti seguaci, non c’è neppure l’ombra.
Lo stile Teppan-Yaki non affonda nei secoli la sua tradizione. Fu inventato a Kobe solo nel 1945 da Shigeji Fujioka: il suo motto era “Let people taste truly delicious meat” e appare quindi chiaro che l’intento del buon Shigeji era quello di offrire ai suoi commensali il modo migliore per esaltare la preziosa carne che dalla sua città natale ha mutuato il nome. Negli anni lo stile Teppan-Yaki ha trovato una diffusione notevole, soprattutto negli Stati Uniti. E forse la sua fama ha subito troppe degenerazioni occidentali. Ma quale modo migliore se non quello di andare a Tokyo, in questo famoso ristorante, per scoprire la sua essenza più vera?
Con tutta sincerità non siamo riusciti a toglierci il dubbio: dove risieda il fascino di vedere davanti a sé uno chef che usa il Teppan-Yaki come una banale piastra qualsiasi rimane un mistero.
L’Ukai-Tei di Ginza è un buon ristorante a onor del vero, ma della cucina giapponese, di quello spirito seducente che ci ha folgorato in molti altri posti, non ha proprio nulla. E’ semplicemente un ridondante locale in stile francese per ricchi uomini d’affari e mascherato artatamente con un maquillage orientale, giusto per stupire incauti e sprovveduti turisti.
Un luccicante spettacolo circense insomma, tra l’altro costoso e pretenzioso, molto distante dalle legittime aspirazioni di una vera anima gourmet. Alle foto e alle rispettive didascalie lasciamo il compito di riportare fedelmente il resoconto di una serata andata storta a Tokyo.
Una cronaca a tratti autoironica e divertente, benché al momento dei dessert (e di fronte ad un inquietante Crème Caramel) lo smarrimento abbia preso decisamente il sopravvento sul sorriso.
Se vi capiterà una piccola disavventura come la nostra, nel cuore pulsante di Tokyo e in quella Ginza così scintillante e smagliante, non vi scordate mai che ci sono straordinarie pasticcerie ovunque con cui raddrizzare una serata.
Ah, dimenticavamo: straordinarie pasticcerie giapponesi.

Foto d’apertura: l’ingresso, facilmente riconoscibile…

La mise en place davanti al Teppan-Yaki: molto classica, almeno in Europa.
mise en place, Ginza Ukai-Tei, tokyo, giappone
Qualcosa d’italiano (e per fortuna…) non poteva mancare.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Amuse bouche: flan di tartufi…
flan di tartufi, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Uno dei pochi meriti per essere un ristorante filofrancese: la carta dei vini…
vino, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Prima portata: un discreto dentice marinato (ma il Teppan-Yaki?)
dentice marinato, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Incominciano finalmente ad allestire il Teppan-Yaki, siamo fiduciosi. Finora abbiamo fissato il muro davanti a noi.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Lo chef all’opera sulla seconda portata, ma il Teppan-Yaki è usato come strumento scenografico, anche un fornello da campo sarebbe stato utile per riscaldare un piatto già cucinato.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ecco il risultato: lingua di bue grigliata (sì, ma in cucina).
lingua di bue, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Dopo tanto Teppan-Yaki sempre dalla cucina arriva una zuppa di crostacei, giusto per darci tregua… (ma siamo a Parigi?)
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ci presentano un astice crudo, non sarà che lo cuoceranno al Teppan-Yaki?
astice, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Eh, magari… Ecco che lo chef lo prepara seguendo una tipica ricetta giapponese: la fricassea.
astice crudo, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
astice, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Il risultato: ecco il nostro astice in fricassea. Bienvenue a Tokyò, Monsieur…
astice in fricassea, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Il primo indizio che forse siamo veramente a Tokyo.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
La conferma: il Teppan-Yaki funziona davvero e lo usano!
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ci siamo quasi…
UKA19BP
Siamo commossi: Ukai Prime Beef Siliron al Teppan-Yaki!
UKA20BP
E vai, esageriamo con il Teppan! Riso saltato all’aglio…
UKA21BP
Abbandonato il Teppan-Yaki ecco la sala dove ci saranno serviti i dessert.
UKA22BP
Tra i quattro assaggiati riportiamo solo la foto di quello che ci è sembrato, all’Ukai-Tei, il più vicino possibile alla cultura giapponese: il Crème Caramel.
UKA23BP
Usciamo, c’è Ginza by night…
UKA24BP
Una straordinaria pasticceria giapponese…
UKA25BP
Adesso sì che siamo felici…
UKA26BP

Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan

Se siete ad Hiroshima per visitare la città, la ragione non può che essere una: la visita al Memoriale e al Museo, agghiaccianti testimonianze dei tragici eventi della Seconda Guerra Mondiale che vide la sonnecchiosa, ora come allora, città triste protagonista di uno dei più efferati crimini dell’umanità.
La visita è indubbiamente toccante e ci riporta con i piedi per terra.
Tastare con mano i reperti e vedere le foto di quel maledetto 6 agosto 1945 ci ha letteralmente stretto lo stomaco, a tal punto da rinviare di un giorno la nostra visita al Tenko Honten, miglior “tempura” della regione a detta della Rossa, che gli assegna un lusinghiero doppio riconoscimento.

Quella che in Italia denominiamo semplicemente frittura, in Giappone è una religione. Passeggiando per le strade delle città giapponesi capiterà di imbattervi non solo in miriadi di ristoranti dedicati al sushi, al ramen, al tonkatsu, ma anche alla tempura (abbiamo preferito questa trascrizione, anche se è frequente anche quella con la n prima della p).

Al Tenko Honten abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione di quanto il perfezionismo, che è insito nel DNA dei giapponesi, possa essere applicato alle tecniche culinarie. La ripetitività del gesto, sublimata nel raggiungimento della impeccabilità delle sue sequenze, viene qui elevata ad arte.
Vedere Tenko-san sfilettare, immergere nella pastella e friggere le straordinarie materie prime vale da solo il prezzo del biglietto. Il risultato è davvero ottimo, il gusto delle verdure, del pesce e dei crostacei è ben definito, la pastella, quasi trasparente, aggiunge croccantezza, l’olio è solo veicolo di cottura ma scompare al palato.
Una pecca c’è stata, però. Un probabile errore tecnico ha determinato la rottura dell’involucro della melanzana, visibilmente unta. Avremmo voluto chiederne la sostituzione, ma l’inglese in queste lande è idioma sconosciuto.

È sempre un piacere sedersi al bancone di questi luoghi minuscoli. Pochi metri quadrati, pulizia delle forme e degli spazi, tutto è idealmente incentrato sulla figura del maestro, unico protagonista al fornello. Non ci sono aiuti, se non in sala, dove una gentilissima signora serve con un savoir faire tutto nipponico.
Una sequenza mirabile di una ventina di portate, con apripista un magnifico sashimi di orata e calamaro che neanche a Tsukiji.
Poi la tempura in cui spiccano per bontà la radice di loto, l’asparago e la composizione di funghi, gamberi e capasanta, bocconi prelibati, per poi terminare, come sovente accade con il riso (tendon), la zuppa di miso, i sottaceti ed il tè matcha.

La frutta, come abbiamo già visto in altre recensioni, gioca davvero un campionato a parte. Non è immaginabile nelle nostre lande trovare l’eccezionale sapore di questi Cantalupo, di rara bontà e costo (anche 200 euro al chilogrammo).
Il tutto a prezzi commoventi, per essere in Giappone a questi livelli, anche se la nostra esperienza di viaggio ci ha insegnato che Tokyo e Kyoto sono un unicum, e i conti dei ristoranti sono proporzionati a tale esclusività. Altrove, come ad Hiroshima, fortunatamente per le nostre tasche, la musica è ben diversa.

Insalata, in cui fanno capolino i bianchetti essiccati, molto utilizzati sulle tavole giapponesi.
insalata, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Sashimi: ricci, orata, calamari. Splendido.
sashimi, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Ci si prepara per la tempura: curry, salsa di soia, rafano e sale.
tempura, curry, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Zampe di gambero.
zampe di gambero, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Gambero. Dolce e turgido, boccone prelibato.
gambero, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Melanzana. Leggermente amarognola. Materia fantastica, peccato per l’eccesso di olio, unica pecca di un percorso di elevato livello.
melanzana, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Fungo con capasanta e gambero.
fungo, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Abalone.
abalone, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Asparago. Ma che sapore ha?!
asparago, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Anguilla con rafano e limone.
anguilla, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Agura (?): bivalve giapponese. Intermezzo iodato a ripulire il palato.
agura, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Kisso (?)
kisso, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Radice di loto. Consistenza e sapore. Da mangiarne una decina.
radice di loto, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Haze (ghiozzo).
haze, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Okura.
okura, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Sardina (Ko-iwashi).
sardinia, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Mais.
mais, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Megonchi (?).
520
Anago con rafano.
anago con rafano, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
La carta su cui la tempura è stata poggiata…a fine servizio.
520
Sottaceti.
sottaceti, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Tendon: riso con uovo e tempura di verdure e gamberetti.
tendon, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Zuppa di miso.
zuppa di miso, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Cantalupo, di gusto inarrivabile.
cantalupo, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Pere.
pere, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan
Il Maestro all’opera.
maestro, Tenko Honten, chef Tenko-san, Hiroshima, Japan

520

Da Kanda non si viene per caso, situato fuori dalle rotte turistiche e lungo una piccola stradina in un contesto prettamente residenziale. Indispensabile è l’utilizzo di un taxi, senza il quale il rischio di perdersi è altissimo.
La Michelin da alcuni anni pone questo minuscolo ristorante (crediamo non più di 10 mq.) al vertice assoluto della capitale, in compagnia di altre 13 perle, e senza esitazione procediamo al laborioso meccanismo di prenotazione, facendo leva sull’affidabile concierge del nostro albergo alcuni mesi prima della visita programmata.
Ad accogliervi sarà Kanda-san in persona che, invero, con nostra grande sorpresa, affronta, seppur con qualche esitazione, una piacevole conversazione in inglese.
L’ambiente intimo, così raccolto, dà la possibilità di interagire anche con gli altri ospiti, meravigliati della nostra presenza al bancone.
Si stappano bottiglie importanti di fianco a noi, la carta dei vini è finalmente degna di questo nome, così come i suoi ricarichi.
A differenza di molti suoi colleghi, anche più illustri, lo chef vanta numerosi viaggi all’estero e amicizie europee (ci dirà che ha stretto rapporti con Alfonso Iaccarino e che Pinchiorri, quando è a Tokyo, è sovente gradito ospite per deliziarsi con la sua “milanese”), anche se la cultura occidentale non ha permeato la sua cucina, rimasta rigidamente osservante dei dettami della cultura gastronomica giapponese.
La dicitura “kaiseki”, come abbiamo visto in altre recensioni, identifica l’espressione culinaria più raffinata di questo Paese, una fusione di cibo e natura, gusto ed estetica. Kyoto senza alcun dubbio rappresenta la culla di questo rito gastronomico che si officia quotidianamente nelle splendide ryokan, locande tradizionali espressioni massime dell’ospitalità nipponica. E a Tokyo, patria del sushi, è certamente più raro imbattersi nella vera cucina kaiseki, anche se le eccezioni non mancano.
Kanda, ça va sans dire, è una di queste.
Certo, il diktat non scritto che impone il solo utilizzo di verdure e pesce qui non è seguito alla lettera, ma ciò che più conta è il rispetto della estrema qualità e stagionalità delle materie prime.
L’impronta di Kanda-san è fine, leggera, quasi impercettibile, le preparazioni che giungono al nostro tavolo hanno, però, un minimo comune denominatore: la persistenza. A volte giunge inaspettata, altre invece no, come quando viene servito l’ennesimo brodo, caldo o freddo che sia, sempre perfetto, soave ma così intenso.
Kanda-san segue il mantra della estrema freschezza degli ingredienti e così, quale manifesto del suo pensiero, ci vengono portati in visione due guizzanti Ayu che di lì a qualche minuto faranno la loro comparsa nel piatto perfettamente grigliati e affumicati.
La sequenza delle portate alterna caldi e freddi, affumicati, dolci e salati, in un turbinio di sensazioni. Il palato non è mai seduto, sempre stimolato, fatto vibrare.
Che meraviglia quei capellini di soia in brodo freddo, ghiacciato, acidulato. Straordinario l’abalone con funghi ed alghe.
Purtroppo la chiusura dolce è sottotono. La tradizione vuole che si termini con la frutta, fortunatamente di livello eccelso, o più raramente con il gelato.
Non temete, però, la spesa, seppur elevata, è ampiamente ricompensata dalla gioia di sedervi ad uno dei sette posti al bancone e godere di un kaiseki d’autore.

Fico con gelatina di sesamo. Esplosione di dolcezza e note tostate.
520
Abalone, funghi, alghe. Materia prima pura e accostamento di sapori fantastico.
520
Fat fish con…
520
…a latere, wasabi e marmellata salata di prugna.
520
Polpetta di pesce, mais e funghi in brodo, di raffinatissima persistenza.
520
Oshizushi. Abbastanza raro trovarlo sulle tavole giapponesi. È sushi pressato con un blocco di legno, in questa versione con horse mackarel, foglie di sansho e spremuta di lime. Compatto e concentrato. Le foglie di sansho altro non sono che le foglie della pianta del meglio noto pepe di Sichuan.
520
Ayu mostrati vivi e vegeti nella loro dimora..
520
…e cotti alla brace e leggermente affumicati, pochi secondi dopo. È l’emblema di ciò che la freschezza degli ingredienti rappresenta per i giapponesi.
520
Servito nel modo caratteristico, “in piedi”. L’Ayu è un pesce di fiume molto pregiato e particolarmente dolce. Viene mangiato intero.
520
Bonito con peperoncini verdi…
520
…soia e mostarda.
520
Verdura il cui succo, violaceo, è naturale. Turgida e “carnosa”.
520
La versione giapponese della “milanese” con insalatina condita in modo fantastico, acidula e fresca. Materia prima, neanche a dirlo, stratosferica.
520
Brodo con pesce (particolarmente grasso), polpetta di pesce e sesamo, funghi e verdure. Meraviglioso. Leggermente acidulato, di una persistenza e freschezza inaudite.
520
Spaghettini di soia in brodo, freddi, quasi gelati, con erba cipollina. Si gioca con i contrasti di temperature. Il palato viene resettato, ma la profondità di gusto è allineata alle portate precedenti.
520
…si risale di temperatura con il tè nero.
520
Gelatina di anguria.
520
Gelato al tè e caffè.
520
Ingresso esterno.
520
Ingresso interno.
520

Tra le esperienze da non perdere in Giappone c’è quella di un pranzo in un ristorante di tempura “serio”.
E se a Tokyo questo vuol dire 7 Chome Kyoboshi, già proposto su questi schermi e con le sue tariffe da paura, a Kyoto si traduce in questo Kyoboshi: qualità comparabile per la tempura, inferiore nel cadre e in ciò che tempura non è, ma a un terzo del prezzo.
Il cuore dell’esperienza, la successione di una ventina di divini bocconi, è, infatti, lo stesso e consente anche a chi entra in questo piccolo locale di resettare i propri parametri in materia di frittura.
Il ristorante è alla terza generazione e il giovane chef, Toshinori Sakakibara, è affiancato dalla madre e dalla moglie nel servizio ai sei fortunati che avranno trovato posto e che saranno coccolati per l’intera durata della serata (un paio d’ore benissimo spese).
L’offerta prevede un menù unico che spazia tra terra e mare proposti come tempura: leggerissima, la crosta croccante come difficilmente si può immaginare, racchiude la materia fritta esaltandone gli aromi. Unico accompagnamento il sale, lavorato fino a renderne la consistenza simile a quella dello zucchero a velo, e il limone, posti in due ciotoline; la terza ciotolina che vi sarà fornita contiene invece daikon grattugiato, da mangiare tra una portata e l’altra.
Gli ingredienti sono tutti di ottima scelta e la sequenza non ha sbalzi; si procede con gran gusto tra mini toast di gamberi e ginkgo nuts, carote in guisa di filo telefonico (divertissement bello quanto buono) e fagiolini in equilibrio miracoloso, per chiudere con la patata dolce da immergere nel cognac e nello zucchero, una ghiottoneria memorabile.
Buonissima anche la chiusura del “salato” con la soave zuppa di riso in cui immergere i gamberetti fritti.
Accompagnamento a base di shochu o birra, anche se per i più francofili non mancano un paio di champagne, serviti però solo in bottiglia intera (con i ricarichi usuali da queste parti).
Peccato per il dessert, un gelato di vaniglia con liquore di caffè piuttosto anonimo e servito direttamente dopo averlo preso dal frigorifero, che c’impone una piccola penalizzazione di punteggio a un’esperienza che, comunque, consigliamo caldamente.
Al commiato, la consueta gentilezza nipponica si fa qui ancor più cordiale, grazie alla naturale simpatia di questa famiglia che ricorderete a lungo.

L’ingresso del locale. Attenzione, insegne solo in giapponese.

Il maestro all’opera.

Il sale.

Il daikon.

Toast di gamberi. Si capisce che qui si fa sul serio…

Il pesce è una specie di piccolo merluzzo, il risultato è encomiabile.

Mini baccelli di soia.

Gambero (ci sarà portato a più riprese).

Seppia.

Carote. Occasione per una divertente gag con il cuoco che finge siano cavi telefonici e poi si schermisce ai nostri complimenti.

Peperoncini verdi.

Alga nori (da mangiarne a pacchi).

Radice di loto, tenace e croccante, davvero notevole.

Anguilla con castagne.

Ginkgo nuts, bello spiedino.

Coreografica presentazione per un pesciolino azzurro di commovente intensità.

Merita la copertina questa composizione di fagiolini in equilibrio precario. Croccantezza a iosa.

Mini pannocchia.

La patata dolce…

…zucchero e cognac, per un picco di gourmandise.

Senza pickles i giapponesi non sanno stare.

Riso finale con piacevole contrasto di texture (e gamberi dal sapore intensissimo).

Piccolo passo falso. Un locale di questo livello merita di più.

520

Shinji Kanesaka è, probabilmente, il Sushi Master più giovane di Tokyo.
Ciò nonostante, nel corso della nostra cena, con il suo secondo Sanpei san, ha dimostrato non solo una grandissima maturità e manualità nello sfilettare e servire una meravigliosa materia prima, ma anche di essere affabile e partecipativo (a differenza di alcuni suoi colleghi di fama mondiale) con noi, unici gaijin seduti al bancone.
Qui, come in tutti i migliori sushi bar, non avrete la possibilità di selezionare ciò che più vi aggrada (non esiste un menu), ma semplicemente, all’atto della prenotazione, comunicare per quale dei due omakase (20.000 e 30.000 yen) optate.
Nessuna paura, state pur certi che Shinji san comprerà quanto di meglio lo Tsukiji avrà da offrire la mattina della vostra visita.
Il percorso inizia con alcune preparazioni di sashimi e di pesce cucinato, di straordinaria qualità.
Il tonno in Giappone ha un’aura di sacralità, i migliori esemplari vengono acquistati per decine di migliaia di euro, ed ogni sua parte viene utilizzata, dando vita a molteplici preparazioni.
L’essenza della cucina di pesce giapponese è data dalla semplicità delle ricette e dalla perfezione del gesto. Pochissimi ingredienti, a volte solo un paio, sublimano talvolta in divini bocconi. Esempio fulgido è la guancia di tonno leggermente cotta nella soia, consistenza e sapore da andar fuori di testa.
La gioia può essere anche un semplice pesce amabilmente grigliato, o dei gamberetti crudi di eterea consistenza.
Poi c’è il sushi.
Dopo aver visitato alcuni tra i massimi esponenti del genere è davvero difficile dire, con assoluta certezza, quale sia il migliore.
Tutti si contraddistinguono per l’utilizzo di una materia prima stratosferica; le differenze principali risiedono nel taglio (la manualità è tutto) del pesce e nella qualità e condimento del riso.
Kanesaka ama servire il riso tiepido, per esaltare i profumi, e ben sgranato, così da distinguere ogni singolo chicco, seppur mirabilmente reso compatto in un armonico insieme. Il riso è condito, ma non troppo, l’aceto si sente, ma anche no.
Non avrete bisogno di intingere il boccone nella soia, il master prima di servirlo lo avrà già lucidato con un paio di pennellate.
Anche il wasabi, lontano anni luce da quanto ci propinano i “giappo” nostrani, grattugiato al momento, fa bella mostra di sé tra il riso ed il pesce, gentilmente dosato. Si incunea nelle narici per poi svanire in un attimo. Fa parte del gioco.
Impugnate le bacchette, cingete la polpettina e portatela alla bocca. Chiudete gli occhi ed assaporate. Tante le sensazioni che si susseguono al palato. Ciò che meraviglia è l’armonia tra i vari elementi.
È anche questione di proporzioni, ed allora la copertura ittica è ben bilanciata e non sovrasta il riso, e viceversa.
Sedete al bancone, mi raccomando, godere della gestualità di chi prepara dinanzi a voi vale il costo del biglietto.
È come una danza, la cura della sfilettatura, l’abilità con cui il riso viene maneggiato strabilia.
L’anguilla di mare laccata unagi e tamago a completare un pasto di grande spessore.
Conto di conseguenza, con il solo totale scritto a matita su un mini foglietto. Non aspettatevi la ricevuta, perché qui in Giappone è la prassi.

Mise en place
520
Gamberetti e ricci di mare
520
Bonito marinato nella soia con insalatina
520
Guancia di tonno nella soia. Spaziale
520
Zuppa di vongole
520
Particolare
520
Soto fish
520
Yellowtail
520
Tonno (Akami maguro)
520
Tonno (O-toro). Burroso ed intenso. Difficile da descrivere la bontà della parte più pregiata del tonno
520
Horse mackarel
520
Capasanta
520
Tekamaki. Roll di alga nori ripieno di riso e tonno (chu-toro). Alga croccante, da gustare come un panino, con le mani. Di grande bontà
520
Sea eel (Unagi) e tamago
520
Ingresso del palazzo
520
Sottoscala
520
Sala e bancone
520