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Mikawa Zezankyo

Lo Shokunin della Tenpura

Tetsuya Saotome è, assieme a Jiro Ono (Re del Sushi) e Kanejiro Kanemoto (Re dell’Anguilla), uno dei maggiori rappresentanti della cucina Edomae.
Shokunin (maestri) più che chef, persone che hanno dedicato la loro vita a perfezionare giorno dopo giorno il singolo gesto, il dettaglio, la preparazione specifica.
Saotome San lo ha fatto per la Tenpura: 50 anni di attività e studio continuo. Dal primo locale aperto (Mikawa, ora affidato al figlio), alla succursale a Roppongi (nelle mani del suo più fidato collaboratore) fino all’apertura nel 2009 di Mikawa Zezankyo, insegna dove poter lavorare in prima persona per soli 9 fortunati clienti a servizio.
Una vita intera consacrata a questa tecnica (che, badate bene, non è uguale alla frittura): un sottile involucro in grado di preservare umori e gusto; l’ingrediente non perde la sua consistenza originaria, non si ossida, eppure cuoce. Qui non servono termometri per capire il momento giusto in cui gettare nell’olio un pesce o una verdura, sensibilità e conoscenza fanno la differenza.

Il regno della tradizione

Quella di Saotome è la forma più tradizionale di Tenpura: solo ingredienti che si sarebbero potuti trovare nel periodo Edo e quasi esclusivamente provenienti dalla baia di Tokyo: a suo parere il pesce della baia è il migliore perché l’acqua è più calma e il livello di salinità inferiore (Saotome sostiene che il mare mosso renda la pelle e le lische dei pesci più spessa).
Il pasto viene concepito come lo scorrere dell’acqua: non ci sono pause, i pezzi vengono posizionati sul bancone davanti a voi con un ritmo incessante (e, data l’alta temperatura di ogni pezzo, a volte può risultare difficile tenere il ritmo).

L’ingrediente e il suo sapore primario sono i protagonisti assoluti. E ci si potrà stupire, alla fine, di quanto un pasto come questo possa risultare leggero.

Non siamo allo stesso livello dell’esperienza fatta anni fa da Sensei Shigeya Sakakibara al 7 chome Kyoboshi, ma la possibilità di vedere all’opera un Maestro come Saotome San non è irrilevante e la sua Tenpura è a un livello alto e certamente anni luce da qualsiasi indirizzo occidentale.

Più volte mi è stato chiesto perché amo così tanto Tokyo e cosa va assolutamente visto. La risposta è la medesima per entrambe le domande. Amo così tanto questa città perché è una città da vivere e che si lascia vivere, perché non ha niente da vedere di assolutamente imperdibile, ma ha tutto per stregarti. Non è Parigi, Roma, Vienna o Cape Town, non ha bellezze naturalistiche sconvolgenti o monumenti che ti lasciano senza fiato, eppure ha un’anima illuminata che quasi ti sembra di poter toccare. È enorme, ma silenziosa. Affollata ma pulitissima. Piena di contraddizioni e per questo ancora più intrigante. Tokyo è una città che ti risucchia, ti avvolge caldamente e ti prosciuga. Tokyo è camaleontica: bastano cinque minuti di metro per trovarsi in un quartiere completamente diverso dal precedente, un quartiere in cui perdersi in questo strano ordine silenzioso, inebriati dall’energia che si avverte nell’aria, quella che ti fa sembrare di essere nell’unico posto in cui dovresti. E in un lampo ti accorgi che sono già passate 5 ore senza saper dire esattamente cosa hai fatto, cosa hai visto.

E poi c’è il cibo. E qui l’amore diventa idolatria.
Che si può dire di una città in cui ogni 10 metri si incontra un luogo in cui mangiare e in cui la media qualitativa è per giunta altissima? Tokyo è la mecca di ogni appassionato gourmet: non si può dire di conoscere davvero il cibo se non si è stati qui.
È la città delle code di due ore per comprare un pasticcino o mangiare il miglior tonkatsu del momento, dei ristoranti prenotabili solo da chi è già cliente, delle liste di attese annuali, dei grandi magazzini in cui trovare un piano totalmente dedicato alla pasticceria, della ramen street nella stazione centrale, del Tre stelle Michelin sotto una fermata della metropolitana, del conto da 8 euro in due o da 500 euro da solo. Tokyo è tutto e il suo contrario.

Vi voglio proporre una carrellata fotografica di alcuni locali, soffermandomi sui più informali, quelli che non vanno prenotati, ma che spesso richiedono solo una coda… più o meno lunga. Godetevela. Non la coda. La Tokyo Gourmet.

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Cominciamo la nostra carrellata con un cocktail bar. A Tokyo c’è solo l’imbarazzo della scelta. Un valido indirizzo nella glamour Ginza è il Bar Orchard.

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna
Nel bar di Takuo and Sumire Miyanohara (coppia anche nella vita) è esposto in bella mostra un bel cesto di frutta fresca: si sceglie il frutto e loro creano il cocktail. Ma non si scherza nemmeno sui grandi classici: favoloso il cocktail Martini.

Tokyo, Cocktail, Orchard bar

L’Orchard Bar è alla posizione N°37 della Asia’s 50 best bars. Bar Orchard Ginza 6-5-16 Ginza Chuo Tokyo.

Tokyo, Gyoza, Okei

Prima cena a Tokyo? Cominciamo con un posto davvero alternativo, ma che siamo certi vi conquisterà. Okei Gyoza è un assoluto riferimento per questi popolari ravioli: qui, da 60 anni, vengono venduti più di 1220 gyoza al giorno. L’attuale proprietario, Hitoshi Umamichi, è custode di una di quelle storie degne di un film: da cliente abituale, una volta appreso dell’imminente chiusura del suo locale preferito, ha deciso di lasciare la sua vita di costruttore per rilevare l’attività.

Tokyo, Gyoza, Okei

I gyoza di Okei sono tutti fatti a mano: carne di maiale macinata grossolanamente, cavolo cinese e erba cipollina all’aglio vengono conditi con sale e pepe e lasciati a riposare per una notte.

Tokyo, Gyoza, Okei

Quando i ripieni sono umidi e pronti, sono avvolti nella pasta. Dopo poche ore nel congelatore per eliminare l’umidità, vanno in una speciale padella di ferro piena di acqua calda. Infine, per rendere la superficie croccante si utilizza l’olio di soia. Uno tira l’altro, farete fatica a smettere.  2-12-16 Fujimi, Chiyoda-ku, Tokyo.

Tokyo, Passione Gourmet, Udon

Un pranzo economico ma di grande soddisfazione? Udon Maruka è il vostro posto. La coda è onnipresente, ma scorre in fretta, se vi terrete lontani dagli orari di punta non aspetterete più di 10/20 minuti per sedervi e gustare questa magnifica specialità giapponese.

Tokyo, Passione Gourmet, Udon

Qui gli Udon sono del genere Sanuki, tipologia originaria della Prefettura di Kagawa. Con 5 euro uscirete soddisfatti con non mai. Udon Maruka – 3-16-1 Kanda Ogawamachi Chiyoda Tokyo.

L’autodidatta impeccabile e fuori dall’ordinario

Non è facile incasellare il ristorante di Tsutomu Ito, chef 43enne di Kyoto, proprietario di questa insegna nel cuore dell’affascinante Gion, Miyoshi.
Sarebbe assolutamente riduttivo classificarlo come “steakhouse” così come non sarebbe corretto indicare la sua come una classica cucina kaiseki (pur richiamandola in molti aspetti).
La cucina di Ito San è semplicemente fuori dall’ordinario, una esperienza da fare una volta nella vita per capire a quale punto ci si può spingere nella ricerca dell’ingrediente assoluto, in particolare se hai una clientela disposta a spendere il giusto per assaggiarla.

La vita di questo chef autodidatta è letteralmente dedicata alla ricerca dei migliori fornitori. La Kobe-gyu è fornita dalla Kawagishi Wagyu Farm, che alleva solo 180 capi di bestiame Tajima-gyu tra le montagne e le correnti del fiume Kakogawa, nella prefettura di Hyogo. L’Omi-gyu proviene dalla fattoria Nakagawa nella prefettura di Shiga, che ha più di 160 anni di storia nell’allevamento del bestiame. Gli ortaggi vengono acquistati nel mercato centrale di Kyoto.

La carne regina del menu di Tsutomu Ito

In questo piccolo locale (dove è caldamente consigliato prenotare al bancone) ogni piatto servito vede protagonista la carne, ma l’abbinamento con ingredienti stagionali di altissima qualità ne trasformano ed evolvono il gusto. Dunque, parliamo di un ristorante decisamente al di fuori della classicità, che sa innovare e stupire, pur utilizzando sempre un canovaccio comune. Si passa da preparazioni (solo) apparentemente molto semplici e dirette, come appunto il Filetto grigliato, ad altre molto più complesse e costruite. Tutto viene portato al massimo livello possibile.

E allora potrà capitare di rimanere a bocca aperta anche per un Sorbetto di acqua di pomodoro servito assieme a del pomodoro fresco: la semplicità assoluta, eppure da tempo non sentivamo un gusto di pomodoro così intenso.

La cena è una continua epifania del gusto che solo questa carne può raggiungere. Semplicemente incredibile il signature dish di Ito San, la Lingua di manzo con cui si apre il pasto: per questa preparazione viene utilizzata una tecnica chiamata kobujimé, normalmente utilizzata per il pesce e che consiste nel porre le fette di carne per 3-4 ore tra 2 fogli di alga kombu. Il taglio la rende poi di una consistenza sublime. Davvero un piatto da imperatori. Non meno entusiasmante la terrina che viene servita ancora in bollore, sormontata da una generosa dose di japanese green pepper (prodotto tipico di aprile e dal sapore incredibile): il fondo di carne è qualcosa che ricorderemo a lungo.
Così come lo Shabu Shabu: la manualità dello chef è uno spettacolo nello spettacolo. Un solo passo falso, proprio nel piatto in cui vengono utilizzati a profusione ingredienti di lusso non giapponesi, come tartufo nero e caviale: il risultato è solo sufficiente, per una preparazione che sembra rivolgere il suo interesse più all’utilizzo di questi ingredienti che non al finale gustativo.

Ci si riprende alla grande con il protagonista assoluto: il Filetto di Kobe A5 grado 9, cucinato su carbone e servito semplicemente con sale e pepe. Cottura e gusto in grado di spostare i riferimenti sul tema.
C’è anche la possibilità di bere grandi bottiglie di vino (Ito San è in particolare innamorato di grandi rossi di Borgogna) e, cosa non banale in Sol Levante, lo chef parla un buon inglese ed è molto amichevole, rendendo la serata ancora più gradevole e lontana dai rigidi standard di altri locali giapponesi di questo tipo.
Prezzo, come ovvio, estremamente importante, ma credeteci, non ve ne pentirete.

 

Kyota Sushi, il tempio del pescato, a Tokyo

Una delle affermazioni più ricorrenti quando si parla di sushi è relativa all’importanza che ha il riso nella composizione del pezzo perfetto. Per alcuni incide anche per il 70% sul risultato finale e anche noi di Passione Gourmet lo abbiamo sempre sostenuto con forza. Ci stiamo riferendo a quello che è definito “shari”: consistenza del riso, temperatura, quantità, acidità. Sono tantissime le varianti possibili che si possono incontrare tra i tanti sushy-ya di Tokyo.
Minor peso si tende a dare al “Neta”, cioè il pesce, il topping. Ma il taglio, la frollatura, la quantità e il gusto dato dal neta sono tasselli fondamentali. La frollatura in particolare ha un ruolo principe per raggiungere il gusto e la consistenza migliore.
Bilanciamento, precisione e armonia tra le due componenti vanno a comporre il sushi perfetto.

Kiyota Sushi fa vacillare questa regola non scritta sul rapporto di forza tra Neta e Shari e lo fa offrendo al cliente semplicemente il miglior pescato che nella sua vita possa aver mai assaggiato. Intendiamoci, non si tratta solo di pesce superbo, ma anche del modo in cui viene preparato e servito.
Questo è un tempio del sushi: in questo locale ha officiato per anni Takeaki Niizu, che è stato, tra gli altri, il maestro di Araki (ora trasferitosi a Londra) e Sawada.
La mano è passata poi a Masa Kimura e ora c’è una ennesima nuova generazione dietro il bancone.

Quei bocconi da Imperatore

Kiyota Sushi è uno dei locali più costosi di tutto il Giappone; molte delle sue fortune sono legate proprio alla qualità assoluta del tonno che viene servito, a detta di tutti il miglior tonno (e il più costoso) che possa essere trovato al mercato del pesce di Tokyo.
La fase iniziale del pasto è dedicata al sashimi: non abbiamo difficoltà a dire che questa parte ci ha letteralmente sconvolto, costringendoci a riparametrare tutte le nostre convinzioni relative alla qualità del pesce e al modo di trattarlo. Un sashimi da 20/20, incredibile per gusto e consistenza.
Poi si passa al sushi: lo shari è delicato, estremamente elegante, ideato per lasciare spazio al pesce che compone ogni pezzo.
Non si ravvisa la stessa tecnica che si può ritrovare, ad esempio, nel sushi di Jiro, un vero Maestro nel corretto bilanciamento tra shari e neta e nella capacità di costruire quello strato d’aria tra riso e pesce che rende ogni boccone entusiasmante.

In alcuni pezzi le quantità non sono risultate perfette (troppo riso o troppo poco) e le due componenti sono risultate slegate.
Ma il pezzo con i ricci di Hokkaido, non comune da trovare come nigiri, rimarrà a lungo impresso nella nostra memoria: un boccone da Re, anzi, da Imperatore, forse uno dei migliori sushi mai mangiati. Così come tutti gli sconvolgenti pezzi di tonno, di qualità incomparabile. O ancora cosa dire degli Shirauo (Ice-fish), serviti sia come sashimi che come sushi, il pesce che più di tutti rappresenta l’arrivo della primavera in Giappone: semplicemente paradisiaci.

Un costo da pagare molto, molto alto, ma una esperienza incredibile, capace di regalare in più di un’occasione quei brividi che tanto ricerchiamo nelle nostre scorribande gastronomiche.

La galleria fotografica:

Al nostro ennesimo viaggio in terra del Sol Levante abbiamo deciso di fare un esperimento. Perché è facile prenotare i ristoranti pluridecorati, di cui tutti parlano, e mangiare bene, anzi in maniera eccellente. A dire il vero non è ciò più neanche tanto scontato, ma per capire il Giappone culinario più profondo, quello vero, abbiamo deciso di muoverci come si muoverebbe un turista qualsiasi, a nostro rischio e pericolo.

Abbiamo cercato sul web e scelto il ristorante più allettante -all’interno di due tipologie ben distinte- nel nostro stesso quartiere di residenza, proprio come farebbe appunto un turista qualsiasi. Che cercherebbe di cenare vicino all’albergo, in un posto caratteristico e senza spendere molto.

Non sobbarcandosi decine di chilometri per la città e lanciando milioni di improperi perché non trova il luogo tanto desiderato. Senza parlare della prenotazione, effettuata come minimo 4 mesi prima. E quindi la scelta ricade sul miglior tonkatsu e il miglior udon della zona.

Risultato? Semplicemente strepitoso!

Shin Udon“, luogo con la coda perenne al suo esterno -già un ottimo segnale- vi condurrà nel fatato mondo degli udon, immersi in un brodo dashi ancestrale e di una bontà e consistenza unica. Preparati rigorosamente al momento, cotti all’ordinazione, corredati da guarnizioni con materia prima di grandissima qualità. A prezzi da encomio, non spenderete più di 10/15 euro a testa.

Tonkatsu Hamakatsu Nishi-shinjuku” invece, come recita il nome, è la patria del tonkatsu, la cotoletta di pollo giapponese impanata nel panko, pane cassetta tipico giapponese, che dona una morbidezza e al contempo una croccantezza davvero invidiabili. Non un filo di unto, non un filo di grasso in eccesso. E accompagnamenti di grande qualità ne fanno una tappa irrinunciabile per conoscere la vera cucina giapponese, fatta non solo di nigiri e maki.

Secondo voi perché in Italia, o più genericamente in Europa, provando a fare lo stesso esperimento non si ottiene lo stesso risultato? A voi l’ardua risposta… ehm… sentenza.

Tonkatsu Hamakatsu Nishi-shinjuku

Shin Udon