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I mitili mediterranei: le Cozze

…o delle cozze

Diffuse anche col nome di muscoli, peoci, pedoli e móscioli, le cozze hanno subìto un sensibile indebolimento negli ultimi anni in termini di mercato. Prima causa, la concorrenza da paesi UE (Danimarca e Germania) ed extra UE, come la Cina, che ne è la prima produttrice al mondo; secondo motivo, il calo dei consumi, imputabile alla sempre maggiore differenziazione e varietà dei costumi alimentari incoraggiato, com’è noto, dalla globalizzazione. Come si risponde, dunque, alla spinta unificante e integrante della globalizzazione? Iperlocalizzando. Una  tendenza incalzata anche dai nostri chef, che premiano iniziative “di nicchia” come quella della famiglia Bigi, ad Olbia, o quella di Lorenzo Busetto, classe 1984, acquacoltore da oltre due decenni e fondatore di Mitilla, allevamento che garantisce altissimi e costanti standard qualitativi nello straordinario paesaggio di Pellestrina. Vediamo, ora, come la cozza si declina in cucina.

Alessandro Rapisarda, Casa Rapisarda, Numana (AN)

A proposito di iper-localismi, eccovi servito il mosciolo selvatico di Portonovo, ingrediente feticcio di Rapisarda. Siamo a poche decine di metri dalle spiagge della turistica Numana, nel pieno centro del borgo storico. Qui, l’acqua dei molluschi – che non vengono puliti – viene sottoposta a successive operazioni di spurgatura che danno luogo a un liquido limpido ma, allo stesso tempo, più sporco e gustoso nel sapore. Risultato? Un ottimo guazzetto di cozze!

Matias Perdomo, Contraste, Milano

Un’opera collettiva, quella che Matias Perdomo, Simon Press Thomas Piras perpetuano al Contraste,  dove i tre danno vita a una performance gustativa unica e corale, ricca di bassi e acuti, capace di dosare morbidezze e sferzate improvvise realizzate con consapevolezza e senso del gusto. Una cucina originale, divertente e divertita, come in questa cozze cacio e pepe.

Giulio Terrinoni, Per Me, Roma

Una cucina di mare, dalla materia prima attentamente selezionata, trattata con rispetto, presentata in piatti dai sapori netti, puliti e punteggiati di estrosi elementi: questa è la firma di Giulio Terrinoni, un tributo all’arte dell’essenzialità, come si evince da questo golosissimo, originale boccone che alla cozza combina ’nduja e toma di bianca alpina.

Donato Ascani, Glam, Venezia

I mercati quotidiani di Venezia sono parte integrante della proposta di Donato Ascani, in questo menu che si richiama tanto a Paolo Lopriore quanto al bancone del Kiyota Sushi, di Tokyo. Quanto al piatto in questione, esso è entrato di diritto tra i migliori assaggi dell’anno (2019 n.d.a), cliccare sul link per credere.

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un dialogo interrotto e ripreso alla fine del menù quello di Alberto Gipponi e la cozza. Un elemento importante, perché capace di combinarsi, nella sua grammatica gustativa, con efficacia semantica fino a comporre un ritratto di straordinaria italianità a dispetto dell’orientalissimo dei due condimenti utilizzati: il miso di caffè e lo shiokoji di Michele Valotti de La Madia di Brione.

Antonino Cannavacciuolo e Vincenzo Manicone, Caffè e Bistrot, Novara

Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla corte di Cannavaccioulo, è portatore sano di quell’innato senso del gusto che gli fa elaborare creazioni eleganti e proporzionate. Un grande talento di saucier, il suo, capace di piatti di grande classicismo dove, al netto di una indubbia complessità, non c’è mai un tocco fuori posto, mai un eccesso, come accade in questa sorta di architettura votiva.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime eccellenti, quello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani, nel Luogo per antonomasia. Uno e mille luoghi, invero, perché l’Italia è percorsa in lungo e in largo nel menù, rappresentata una volta dai gamberi viola di Sanremo, dai peperoni di Senise, dal tonno rosso di Sicilia, dalla fassona piemontese, dall’anguilla del Delta del Po, dalle patate di Polignano, dal pomodoro del Pollino, dal maialetto orvietano e dallo zafferano di San Gavino, fino a questa carnosissima cozza dell’Adriatico, a comporre un piatto di grande eloquenza.

Nicola Portinari, La Peca, Lonigo (VI)

Un altro tributo all’Italia quello di Nicola Portinari, per cui la nostra nazione è sia musa che deus (dea) ex machina, ovvero una divinità  onnisciente capace di infiniti giri intorno al mondo, divagazioni e depistaggi, ma che parla sempre di se stessa, e per se stessa, interpolando i confini della verdura e della carne, della frutta e del pesce. Qui la cozza, di straordinaria consistenza croccante, è sdrammatizzata e anzi elevata sin quasi alla sublimazione dal concentrato di cetriolo.

Silvio Salmoiraghi, Acquerello, Fagnano Olona (VA)

Attualizzazione e valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana: questa la dichiarazione che si legge all’interno del menù di Silvio Salmoiraghi dove campeggiano in nuce tutti i precetti della Nuova Cucina Italiana, scandita in chiave kaiseki. Un viaggio strepitoso è rappresentato proprio dalla capasanta di Venezia cotta al vapore con acqua alla menta e ricoperta di polvere di felce, accompagnata da yogurt valdostano, cavolo nero, bergamotto e  cozza pelosa pugliese in salsa di acqua dolce.

Valentino Cassanelli, Lux Lucis, Forte dei Marmi

Prendendo proprio spunto dal viaggio che lo ha portato da Modena a Forte dei Marmi, Valentino Cassanelli ha creato il suo menù più completo, “On the road. Via Vandelli”: una strada già percorsa dal Duca Francesco III d’Este per arrivare, da Modena, al mare. Per lo chef, un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca dei sapori delle due terre, Emilia e Toscana, rappresentato da piatti – o più spesso solo assaggi – così evocativi che non necessitano nemmeno della descrizione.

Chang Liu, Serica, Milano

Mauro ed Elisa Yap sono figli d’arte: seconda generazione di una famiglia di ristoratori cinesi che ha dato lustro a molti locali milanesi, decidono di aprire un locale tutto loro che affidano alle cure di Chang Liu, cuoco con tante esperienze alle spalle, qui artefice di una cucina sorprendentemente capace di rileggere i grandi classici italiani studiandone le potenzialità in termini di contaminazione, come già fece Yoji  Tokuyoshi alla corte di Massimo Bottura.

Primi piatti

Rocco Santon e Nicola Cavallin, Noir, Ponzano Veneto (TV)

Nasce ad agosto 2019 grazie alla passione di due giovani chef, Rocco Santon e Nicola Cavallin, e dalle rispettive esperienze che, combinatesi assieme, daranno vita a una realtà nuova e diversa. Ne sortisce un’impostazione non banale né accondiscendente di cui sono vessillo proprio i fusilli, ceci, cozze e bieta amara: un ottovolante tra l’acidità delle cozze alla scapece, la rotondità della purea di ceci a donare struttura e l’amaricante degli elementi vegetali e floreali a garantire lunghezza. Un piatto davvero ben eseguito.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Siamo di nuovo nel Luogo per antonomasia della Nuova Cucina Italiana: qui in un primo piatto  dalla golosità prorompente che nobilita la tradizione popolana della pasta, cozze e patate per farne un risotto alto-borghese, fin nella componente estetica: superba.

Donato Ascani, Glam, Venezia

Di nuovo Ascani (visita del 2020), in un piatto che punta sull’aromaticità del sesamo e del cipollotto marinato forieri di sensazioni amare e acide, anche spigolose, che si combinano con la carnosità del gambero e della cozza, con grande maestria.

Simone Marchelli, Meta, Celle Ligure (SV)

Chef e patron di MetaSimone Marchelli è artefice di una cucina che affonda profondamente le proprie radici nel territorio – Liguria ma anche Piemonte – combinandone anche gli stilemi più rigidi, come accade nei plin con ripieno di tartrà di Parmigiano Reggiano 24 mesi in zuppetta di cozze: un piatto sicuramente assai sapido, reso aromatico dall’aglio dolce.

Creature del Nord

René Redzepi, Noma, Copenaghen

22 portate che esplora le profondità marine del Baltico e dell’Atlantico, portando nel piatto creature abissali che solo dal nome richiamano le gesta del Capitano Nemo. Dalla vongola centenaria servita con panna acida e olio di pino al nobile alla cozza del Baltico servita con caviale e brodo di alghe: una combinazione vincente tra uomo, territorio e clima.

Nicolai Nørregaard, Kadeau, Copenaghen

Un solo menù degustazione dove ogni portata è un’occasione per sviluppare uno studio attorno a un ingrediente.  È quello che accade coi germogli di abete, che donano una felice nota balsamica alla cozza delle Far Øer affumicata, o il succo di ribes bianco e i fuori di sambuco alla più primaverile e virginale cozza artica cruda.

Interpretazioni iberiche…

Joan Bayén, “Juanito”, Pinotxo Bar, Boqueria, Barcellona

Un locale che fa cucina di mercato, nel mercato, aperto settantasei anni fa Joan Bayén, detto Juanito, iconico oste sorridente del Pinotxo Bar della Boqueria di Barcellona. Non c’è un menu. Si lascia fare a loro e ci si imbatte in semplici ma indimenticabili tapas: come la cozze ripiena di verdure in agrodolce.

…e d’Oltralpe

Sven Chartier, Saturne, Parigi

All’interno delle due sale in cui si sviluppa il ristorante, lo chef, affiancato in sala da Ewen Le Moigne, manda in scena una rappresentazione il cui credo è il rispetto per la natura in ogni sua forma. Sven Chartier dimostra di possedere una maturità sorprendente, che applica a ogni piatto, dando vita a una cucina vivace, inappuntabile dal punto di vista tecnico, vivace nei cromatismi e soprattutto nelle studiatissime temperature di servizio.

Carni e cozze

Nikita Sergeev, L’Arcade, Porto San Giorgio (MC)

Lo chef moscovita ha smussato gli angoli e trovato un suo centro di gravità gustativa “permanente” che non teme, se è il caso, commistioni audaci, e ormai distintive, come quelle tra terra e mare.  Accade nel cervo e la sua salsa – una salsa da manuale, in stile bouillabaisse catapultata lungo la costa marchigiana  – che allunga in maniera esponenziale il gusto.

Alex e Vittorio Manzoni, Osteria degli Assonica, Sorisole (BG)

Una degustazione “vit.ale”, così come il nome del menù, dove si familiarizza con le due anime della cucina dell’Osteria. Frequenti i giochi di acidità in piatti dai contrasti decisi, ma ben pensati, come nel caso dell’agnello dove la dolcezza della carne viene ottimamente valorizzata dalla nota iodata delle cozze: un abbinamento insolito ma molto ben eseguito.

Enrico Mazzaroni, Il Tiglio in Vita, Porto Recanati (MC)

Nel corso dell’ampio menu degustazione Mazzaroni alterna due pulsioni: quella di sedurre l’ospite con un’avvolgente golosità e quella (come in questo caso) in cui la mano si fa più tranchant, e dunque piacevolmente spigolosa. In questa combinazione di terra e mare, a persuadere è la consistenza e, in particolare, la carnosità della cozza per interpolazione della carne.

Alberto Faccani, Magnolia, Cesenatico 

Una cucina composta e borghese, nel senso migliore del termine, e neoclassica, ovvero elegante, perché centrata mediante intelligenti contrasti, studiati col bilancino, questa di Alberto Faccani. Una cucina che non teme di abbinare in un sol boccone carne e pesce, come accade in questa paradigmatica piadina, tanto sostanziosa quanto vorrebbe, appunto, il palato romagnolo.

Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, Abocar, Rimini

Sapori nitidi e persistenti, ben contrastati da ingredienti molto ben combinati e, di conseguenza, ben valorizzanti. Come in questo caso, dove il secondo e ultimo servizio della faraona la fa convivere con la dolcezza delle carote, con la maionese, la salicornia e, ultima ma non ultima, con un’impeccabile cozza in scapece.

Dulcis in fundo

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un colpo ben assestato alla morale comune: questo rappresenta questo piccolo, grande piatto, che racchiude in toto il pensiero, e il palato, di Alberto Gipponi.

Il paradigma dell’autunno

Chiamato legnasanta in napoletano – pare infatti che il frutto aperto ospiterebbe la caratteristica immagine del Cristo in croce – legata all’iconografica cristiana è anche la sua interpretazione sicula, nel cui seme spaccato dimora un germoglio che somiglierebbe, appunto, alla mano della Vergine Maria. Prodigo tanto di superstizione quanto di virtù (diuretico, energizzante, integratore di vitamine e protettore del fegato), il caco è il paradigma indiscusso dell’autunno, ma nelle cucine d’autore campeggia quasi sempre tra i dolci…

Ouverture

Moma, Andrea Pasqualucci e Federico Cucchiarelli, Roma

Nonostante la lapalissiana dolcezza su cui insiste questo antipasto, da lodare è senz’altro il tentativo da parte dei due chef di delocalizzare un frutto che, proprio nella sua manifesta natura, se opportunamente contrappuntato potrebbe prestare il fianco a tutto il pasto.

Lume, Luigi Taglienti, Milano

Uno dei più grandi interpreti de La Grande Cucina italiana capace di condensare Liguria, Piemonte, Lombardia e tutta Milano, in un sol boccone. Un piatto, questo “minestrone”, capace di parlare sottovoce dell’impressionate talento e della personalità di Luigi Taglienti.

Il piacere della carne

Idylio by Apreda, Francesco Apreda, Roma

Una cucina che dimostrato di poter fare fusion in maniera intelligente e audace, mantenendosi sul filo del minimalismo e del manierismo, con classicità e personalità. Come queste costine di vitello, quintessenza di sapori tardo-autunnali.

Pre-dessert

La Madia, Pino Cuttaia, Licata

Tutto un piccolo compendio di autunno nella cucina delle memorie d’infanzia di Pino Cuttaia. Qui, le castagne si trasformano in wafer da inzuppare in una zuppa di caco e chicchi di melograno.

Enigma, Albert Adrià, Barcellona

Stupirà attribuire questo piatto al re dell’avanguardia. Eppure pochissima audacia alberga nel caco di Albert Adrià, se non la sua collocazione, in un decrescendo di sapidità tra l’ultima portata salata, a base di pomodoro, e la carrellata dei dolci.

Villa Naj, Alessandro Proietti Refrigeri, Stradella

Una cucina dinamica e creativa, territoriale ma capace di svincolarsi, guardando altrove e soprattutto a Oriente, da cui attinge spunti e contrappunti acidi e amari, nonché il rinnovato interesse per l’elemento vegetale, ora centrale, come in questo delizioso predesset, tutto frutta e spezie.

…e tartufo

La Peca, Nicola Portinari, Lonigo

Un grande ristorante, che continua a scrivere la storia dell’alta cucina di “lusso” con un quid tutto suo: il senso di familiarità che solo la vera eleganza sa trasmettere. Emblematico, questo piatto, quintessenza di topos autunnali sia ricchi che poveri; sia alti che bassi.

Kaki e cacao

Trattoria Visconti di Roberto Visconti ad Ambivere

Quando la tradizione gastronomica bergamasca si miscida con la passione per l’orto, da’ vita a una cucina semplice, ma squisitamente agreste e domestica.

Dulcis in fundo

L’Osteria all’Orologio, Marco Claroni, Fiumicino

Un dolce eccezionalmente buono, capace di  giocare in punta di fioretto sulla falsariga dolce-salato, non lesinando sulle tonalità aromatiche officinali date dall’intuizione di addizionare di rosmarino il Pan di Spagna.

Pakta, Albert Adrià, Barcellona

Parlando di contrappunti, da sottolineare il delizioso contraltare offerto dallo strategico umeboshi sulla dolcezza del caco, enfatizzato dalla combinazione con la sensazione salata e acida delle prugne. Un dolce tutto in levare.

Enigma, Albert Adrià, Barcellona

In questa occasione, anteriore di un anno rispetto alla precedente, il caco trova una sua degna collocazione tra i dessert, e, precisamente, questa combinazione con rafano e zucca occhieggia tra una banana ossidata e foie gras e un cioccolato e yuzu.

All’Enoteca, Davide Palluda, Canale

Una eccellente rivisitazione del Montblanc da parte del re delle rivisitazioni, Davide Palluda. Un’interpretazione accurata, vestita di tutto punto di altri orpelli autunnali tra cui spicca, oltre alla castagna, proprio il caco.

28 Posti, Marco Ambrosino, Milano

Tutti nel solco del dolce-non dolce sono i dessert di Marco Ambrosino, molto coerenti con la sua personalità  votata alla sperimentazione sulle fermentazioni tra cui spicca, per originalità e carattere, proprio questo gelato di miso di tumminia, tempeh di orzo e gel di kombucha di cachi. 

Marta in Cucina, Marta Scalabrini, Reggio Emilia

Versione “nostrana” del Mont-Blanc, il Monte Cusna di Marta Scalabrini è l’emblema di come elementi chiave della tradizione locale siano utilizzati per dar vita a preparazioni contemporanee, talvolta inaspettate.

Il Portico, Paolo Lopriore, Appiano Gentile

Il senso sociale come struttura formale dell’esperienza gastronomica: questa, una delle ultime strade imboccate dal grande chef allievo di Gualtiero Marchesi, fautore di una cucina conviviale dove il processo creativo viene restituito all’avventore.

Il luogo di Aimo e Nadia, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Milano

Una cucina elegante, classica nel senso più puro e ispirato del termine, che utilizza la stagione in corso per realizzare un affresco dalle tinte vivaci e accattivanti, come questo dolce: una irresistibile miniatura d’autunno.

 

Il Luogo della Cucina Italiana

Il luogo di Aimo e Nadia è decisamente il luogo della cucina italiana, delle eccellenze delle diverse regioni, della calorosa accoglienza. Insieme alla figlia della storica coppia, due chef che, entrati in questa cucina nel 2005, hanno colto una eredità, anche pesante, e sono stati in grado di gestirla al meglio, sia da un punto di vista culinario, che imprenditoriale. Alessandro Negrini e Fabio Pisani, il primo valtellinese e il secondo barese, conosciutisi in un altro tempio della ristorazione italiana, Dal Pescatore, sono una coppia che, sicuramente, si “scontra”  sulle visioni dei piatti ma, dal confronto e grazie a un grande affiatamento, si alimenta in un fervido percorso creativo. Non aspettatevi una cucina con slanci su acidità, amaro, fermentazioni, destrutturazioni, arie varie, perché questo è il luogo della ricerca su piatti della tradizione culinaria italiana, rivisitati con estro creativo, atto a renderli decisamente contemporanei, leggeri e molto belli da vedere.

L’interpretazione dell’autunno

Al Luogo ogni stagione è un’occasione unica e irripetibile per ripensare daccapo un ingrediente, una produzione speciale, un territorio” recita l’introduzione al nuovo menù dedicato all’autunno e ben esprime la filosofia dei due cuochi.

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime assolutamente eccellenti, percorrendo l’Italia in tutta la sua lunghezza, coniugandole in modo intelligente. Troverete cozze dell’Adriatico voluttuosamente carnose, i gamberi viola di Sanremo, i peperoni di Senise, il tonno rosso di Sicilia, la fassona piemontese, l’anguilla del Delta del Po, la patate di Polignano, i pomodori del Pollino, il maialetto Orvietano, lo zafferano di San Gavino e così via, tutte materie prime rigorosamente citate e valorizzate nella costruzione di piatti di grande gusto ed eleganza.

I garusoli in coccio con fagiolina del Trasimeno, rapa bianca al miele di rosmarino, bagnetto verde e peperoni cruschi sono un piatto emblematico della riuscita architettura delle diverse componenti con equilibrio e profondità di gusto davvero interessanti. Il patè di anatra al profumo di tartufo bianco e finferli in agrodolce è squisito e vola leggiadro nel palato. Il maialetto orvietano in tre cotture parte dolce con la testina con mela cotogna, vira su una decisa sapidità con il cosciotto con panatura alla camomilla e chiude egregiamente, di nuovo sul dolce, con una tartelletta con il sanguinaccio.

Ci sono dei piatti che sono forse ancora da affinare, un po’ sottotono o per creatività o per gusto: la rivisitazione al contrario del vitello tonnato con le due salse di accompagnamento, la bernese e quella di vitello, non è un piatto particolarmente originale e le salse un po’ troppo coprenti il superlativo tonno rosso siciliano. L’anguilla steccata con lardo di Colonnata dovrebbe in realtà essere più caramellata per dare più personalità al piatto:  su questo aspetto uno dei due chef ha ammesso di essere stato lui a volerla così, andando contro il volere del socio, quindi vedremo come sarà in futuro.

Ad ogni modo si tratta di un’esperienza decisamente positiva: un’occasione di affondo nella cultura gastronomica italiana, rispettata e rivisitata, e valorizzata ulteriormente dall’affiatamento che alberga non solo fra i due chef ma fra cucina e sala, dove officia un’altra bravissima coppia.

Un luogo, insomma, di grande piacevolezza e piacere.

La Galleria Fotografica:

Tutta l’eccellenza italiana in un Luogo, quello di Aimo e Nadia

Non è, e lo sappiamo bene, un discorso di pura attualità. Tuttavia, ad ogni incursione in via Montecuccoli, il nostro pensiero ritorna, come un riflesso condizionato.  Per dare un seguito alla storia felice del proprio locale, Aimo e Nadia Moroni non avrebbero potuto scegliere eredi migliori. Se di fronte alla Storia, che in questo caso non può essere citata con l’iniziale minuscola, i modi e i tempi dell’uscita di scena contano quasi quanto le vette raggiunte. L’inossidabile coppia della ristorazione meneghina ha confermato una volta di più di meritare un posto di rilievo negli almanacchi gastronomici della Penisola.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, pressoché complementari per cultura e retroterra palatale, in un’ideale sintesi gustativa dello Stivale, sono andati ben oltre lo stanco trascinamento di una realtà che avrebbe potuto tranquillamente, come altre in Italia o specialmente Oltralpe, accettare il ruolo di vecchia gloria della ristorazione. Senza stravolgimenti, in punta di piedi, ma con inesorabile continuità, i due hanno conservato, a volte limato e, in generale, riplasmato nella forma il pensiero culinario di Aimo. Un’idea di cucina che, a 56 anni dall’apertura del Luogo di Aimo e Nadia, non mostra la corda in un mondo gastronomico in cui la centralità dell’ingrediente, l’importanza dei produttori e le risorse gustative che il regno vegetale, quando non banalizzato a comprimario, è in grado di offrire sono valori tuttora ribaditi in molti dei manifesti più all’avanguardia.

La purezza dei colori primari, gli ingredienti perfetti, una cucina costruita intorno al prodotto

Ha ancora senso, quindi, rinunciare per una sera alle vetrine del centro, agli interni sfarzosi delle sue migliori tavole e investire la stessa cifra per una gita in questa periferia diversamente affascinante e vivere l’esperienza di Renato Pozzetto in toilette stile residence da “Il ragazzo di campagna”? Sì. Ha ancora moltissimo senso. Ci sentiamo, anzi, di dire che di Aimo e Nadia sentiamo sempre più il bisogno. Non certo perché sazi e stanchi di accostamenti più arditi, di tecniche funamboliche e schiaffi sulle gengive, ma perché qui, come da tanti anni, anche il palato più educato riscopre la purezza dei colori primari, degli ingredienti perfetti, di una cucina costruita intorno al prodotto.

Del cadre non indimenticabile abbiamo più volte scritto e, del resto, tanti ne avevano già parlato prima di noi. È un dato oggettivo, quasi indossato con orgoglio, ormai. Il contesto non è però solo costituito da muri e suppellettili, ma anche, e qui ancor più che altrove, la faccenda non è dettaglio di poco conto, da persone. Ad accompagnarci attraverso i sottili giochi di amaro, acido, salmastro, tracce e stimoli sparsi come allegorie medievali lungo il nostro percorso, sono stati, come ormai da tempo accade, Nicola Dell’Agnolo e Alberto Piras, anime anch’esse complementari, Ulisse e Diomede di una sala sorniona, ma complice allo stesso tempo. Assai intriganti, in particolare, le selezioni al calice del giovane sommelier, con etichette non banali, prestigiose ma scelte con personalità e proposte con l’entusiasmo di un amico competente che, per una sera, si diverta a vedere, neppure troppo di nascosto, l’effetto che fa.

La galleria fotografica:

Il Luogo di Aimo e Nadia: più che un semplice ristorante, una vera e propria istituzione a Milano. Amato dalla borghesia, ricercato dai turisti, meta imperdibile per i gourmet, è il grande ristorante di Milano per antonomasia.
Anche se in realtà di milanese non ha quasi niente.

Non le radici, che sono toscane – non dimentichiamo che si tratta del ristorante che ha fatto da apripista a quella che si è poi rivelata essere una vera e propria tendenza gastronomica, quella appunto dei ristoranti toscani a Milano – non i cuochi, dal momento che Alessandro Negrini è valtellinese e Fabio Pisani pugliese di Molfetta, non la cucina che è essenzialmente cucina di olio, non di burro. Certamente di ispirazione più meridionale che settentrionale.
Più che un semplice ristorante, una granitica certezza nella realtà sempre più fluida della ristorazione di alta fascia. In cui si assiste sempre più spesso a ristoranti meteore che durano il tempo di una stagione e non sopravvivono quasi mai ai cambi di guardia in cucina (peraltro sempre più frequenti).
E’ il mutamento epocale che si è avuto negli ultimi 10/15 anni.

Prima esistevano i ristoranti, oggi contano i cuochi. Non a caso un amico (non del settore) ci chiedeva ingenuamente proprio qualche giorno fa se le stelle si danno ai ristoranti o ai cuochi. Il discorso ci porterebbe troppo lontano e quindi meglio tornare al Luogo da cui eravamo partiti.
Il Luogo di Aimo e Nadia è una splendida eccezione. Qui quasi nulla è cambiato da quando un gigante della ristorazione italiana come Aimo Moroni, dopo oltre mezzo secolo speso a rendere grande la sua creatura insieme alla moglie Nadia, ha legittimamente deciso di dedicarsi ai nipotini e di lasciare la gestione del ristorante alla figlia Stefania e la cucina nelle mani dei suoi giovani allievi.

Qui si continua come sempre a fare una cucina profondamente italiana, classica, tesa a valorizzare una superba materia prima. Senz’altro uno dei più “ducassiani” tra i ristoranti italiani.
La materia prima. E qui il senso di questa parola assume più che in altri luoghi un significato fortissimo. Aimo è stato un assoluto cultore delle materie prime. Già negli anni ’60 e ’70, prima di Slow Food, del km 0, del boom del biologico, qui trovavi prodotti che altrove non c’erano. Ricercati infaticabilmente e con illimitata passione e competenza da Aimo. E trasformati in piatti geniali nella loro semplicità.
L’eredità lasciata qualche anno ad Alessandro Negrini e Fabio Pisani era di quelle pesanti. Non c’è dubbio.
Ma possiamo dire ormai che l’esame è stato brillantemente superato. Alessandro e Fabio sono stati bravissimi nel rendere il passaggio assolutamente indolore. Bravissimi e umili.
Ci venga concessa la metafora calcistica: hanno fatto un po’ come Allegri alla Juventus. Avevano un cavallo vincente e lo hanno fatto correre come sapeva, senza farsi prendere dall’ansia di marchiare a tutti i costi e immediatamente una discontinuità.
Questo è stato senz’altro il grande merito dei due giovani cuochi. Ma potrebbe paradossalmente alla lunga trasformarsi in un limite.

E così, se come si mangia da Aimo è una delle poche certezze della vita – sempre molto bene – non vorremmo che diventi una certezza anche cosa si mangia.
Si, è arrivato secondo noi il momento per gli chef di cambiare marcia e abbandonare le granitiche certezze su cui sembrano un tantino adagiati.
E’ chiaro che i classici in un ristorante del genere non possono (e non devono) sparire, ma è altrettanto vero che in cucina le novità stentano a decollare.
La zuppa etrusca, i giochi di sale, i tortelli di ossobuco, il (quasi) raviolo di seppia sono piatti ormai di conclamata eccellenza (e chi non li ha mai assaggiati è ora che faccia una corsa in Via Montecuccoli), ma l’impressione generale è che si inizi a procedere un po’ col pilota automatico. E questo alla lunga non potrebbe che nuocere alla nuova generazione del Luogo.

I talenti ci sono, l’entusiasmo anche, ci pare, il domani è dietro l’angolo e bisogna saperlo affrontare con coraggio e idee nuove seppure nel solco di una splendida tradizione.

Cicerchie dei Monti Dauni in crema con marasciuolo selvatico, mosto cotto
di fichi, lampascioni canditi e olive Nolche, con biscotto mostacciolo. Intensa, qui con le zuppe non si scherza.
Cicerchie, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Peperone Crusco in accompagnamento.
Peperone Crusco, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Un classico dedicato al sale (ma non salato): Giochi di sale (di Mothia): dentice ligure marinato, cedro di Calabria, maionese di pistacchi di Bronte, sedano verde e crescione d’acqua.
dentice, sale di mothia, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Altro classico: Zuppa etrusca con verdure dell’orto, primizie, legumi, farro della Garfagnana alle erbe aromatiche e fiori di finocchio selvatico. Da rimarcare la perfetta cottura di tutte le componenti. Magnifica.
Zuppa etrusca, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Quasi un raviolo (di seppia): seppie crude arricciate a mano, scalogno candito e scamorza affumicata. Altro classico, altro grande piatto.
raviolo di seppia, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Risotto Carnaroli Gran Riserva all’olio Nocellara con gamberi di Sanremo, origano di Vendicari e capperi di Pantelleria.
Risotto gamberi di Sanremo, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Tortelli farciti di ossobuco di Fassone piemontese e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e parmigiano Bonati. Lussuriosi!
tortelli farciti, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Controfiletto di vitella Fassona di montagna in panure di camomilla e cipolla di Tropea, con carote all’aceto di lamponi. Piatto esemplare nella sua essenzialità.
Controfiletto, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Anguria, succo di fragola e pomodori canditi.
Anguria, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano
Black lemon: crema ai limoni di Sorrento, spuma al lime e polvere di ‘loomi’, con latte di mandorle di Toritto.
Black lemon, Il luogo di Aimo e Nadia, Chef Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Milano