Gualtiero Panciroli con la sua dolce compagna Cinzia Rossi. Legame professionale ma anche personale. Gualtiero oste, nel profondo della sua anima. Cinzia cuoca e precorritrice della fama di Rovello 18. Gualtiero, lo vedi e lo percepisci Oste, con la O maiuscola, ogni volta che ti racconta un vino, sua grande passione oltre che professione, o, quando ti ammalia spiegandoti la sua ultima scoperta: un ingrediente, un contorno, un abbinamento, un personaggio. Cinzia, la vedi e comprendi che organizza, supervisiona, controlla, con fare disinvolto ed a tratti amorevole, la cucina in particolar modo. Sempre entrambi con sincero sorriso. Non hanno scelto la strada facile. Una carta ed una proposta culinaria ampia, fatta di piatti freddi con ingredienti selezionati ma anche tante preparazioni calde, elaborate e composte ad arte dallo chef Michele De Liguoro, classe 1986, figlio di Cinzia.
La proposta enologica altrettanto ampia ma ad un tempo originale, fatta di ricerca e di scelte tutt’altro che banali. Proposta, a cui non è semplice senza la guida di Gualtiero, dare un senso ed un corretto abbinamento. Ma lui riesce ad indirizzare, ad incuriosire il cliente, quello più attento, aperto e scaltro ma anche quello meno curioso e più conservatore, offrendo contemporaneamente grandi stimoli sia dalla cucina che dalla cantina. Il risultato immaginato e sperato è presto detto: far uscire tutti felici da quell’angolo di Corso Garibaldi che sovente riserva poche soddisfazioni agli avventori dei millantati locali della zona. Oggi in via Tivoli, ieri in via Rovello 18 da quando (iniziò nel 2002) allietava i palati della city milanese di giorno per poi solleticare quelli della Milano bene all’imbrunire.
E, non dimentichiamolo, con un plus non da poco: aperto la domenica sera. Una “quasi” esclusiva sulla piazza milanese della buona cucina. Una trattoria con la T maiuscola, in cui ogni preparazione è pensata e curata con allegra e gaudente precisione. L’offerta terragna è certamente più accattivante, ma negli ultimi tempi, e durante le nostre ultime visite, abbiamo scorto anche una interessante evoluzione di qualità in quel fantastico salmone marinato e in quell’ottima insalata di baccalà. E poi la pasta, cotta e mantecata alla perfezione. I dolci, leggermente sottotono rispetto al resto delle proposte, li avremmo preferiti con uno spunto di maggiore originalità e cura.
Ma qui da Rovello 18, è sempre un gran piacere trascorrere qualche ora a spiluccare qualche fetta di prosciutto, accompagnata da un calice di strepitoso Champagne di piccoli vigneron: ti viene voglia di non alzarti mai da quella tavola, accudito e allietato da una sinfonia di profumi e sapori in una cornice di luminosa e schietta convivialità che solo qui troverete.
L’imponente cave du jour in mostra
Gli interni…
Elegante salmone marinato maison all’alga nori, alla barbabietola e vodka, al gin tonic e al whisky torbato. Sensazionali.
Prosciutto tagliato al coltello.
Insalata russa didascalica.
La polpetta di salsiccia di Bra con crostini.
Peperoni in salsa tonnata, fantastici.
Bacalao in insalata di ortaggi.
Cacio e pepe da antologia, con spaghetti di pasta fresca fatta in casa.
La mortadella Favola, del salumifico Palmieri.
Prosciutto d’Osvaldo, melone e fichi.
Costata di vacca vecchia Galiziana da urlo: la frollatura impeccabile dona una gustosità ed una morbidezza davvero insuperabili.
Patatine di casa.
Meringa alle fragole.
Ipercalorici e iperburrosi biscottini del Prost con zabaione: goduriosi.
Tarte au chocolat.
I fantastici abbinamenti della serata. Uno champagne delizioso e veramente molto interessante.
Lui, il grande Gravner, qui in una annata e una espressione da ricordare.
IL pinot noir…
I nostri golosi commensali non hanno saputo resistere…
Non è detto che per fare un pasto di qualità in Piazza San Marco a Venezia sia necessario chiedere un mutuo. E il Gran Caffè Quadri ne è la prova.
Da tre anni a questa parte, Massimiliano e Raffaele Alajmo hanno messo il loro zampino tra le magiche calli della città lagunare, pensando ad una offerta poliedrica, che va dal lusso senza compromessi a proposte meno impegnative ma pur sempre qualitativamente certificate.
In questo caso non si parla del ristorante stellato ubicato al primo piano, ma della formula “bistrot” pensata per la sala inferiore di questo storico luogo (aperto dal 1775) rinato grazie alla nuova linfa donatagli dalla corazzata di Rubano, con la complicità dell’altrettanto imponente Ligabue S.p.A., società di catering che opera su scala internazionale, già proprietaria delle licenze del pluricentenario caffè.
C’è poco da dire, si tratta di un progetto che ha assunto uno sviluppo degno di nota ma che, probabilmente, viene offuscato dalla più rinomata proposta “upstairs”.
Il bistrot del Quadri, operativo dalle 12 alle 15 e dalle 19 alle 22.30, permette di mangiare piatti autentici e degni della nostra cultura, con il primario intento di salvaguardare il turista straniero da usi o tradizioni taroccate. Nessuna complessità, ma solo piatti semplici. Certo, semplici, ma concepiti dalla mente di un grande cuoco.
L’Alajmo pensiero si è materializzato anche su questo fronte e la filosofia del “ciò che diventa era” si rispecchia nella elegante e sfarzosa sala da pranzo arricchita da specchi, stucchi e vetrate su una delle piazze più fascinose e famose al mondo, crocevia di popoli e cultura in cui, un tempo, solitamente, sostavano personaggi come Lord Byron e Honoré De Balzac, ed in cui oggi è possibile assaggiare una degna interpretazione dei classici della cucina veneta ed italiana in generale.
Considerando il pedigree, le aspettative sono assolutamente soddisfatte.
La base di partenza è, appunto, quella della storia gastronomica del Bel Paese.
Nel menu si spazia da Nord a Sud, dai più locali “cicchetti” tra cui spiccano le classiche sarde in saor o il baccalà mantecato con polenta, ai piatti della tradizione locale come lo “scartosso de pesse”.
C’è spazio ovviamente anche per gli stereotipi di casa nostra, come lo spaghetto al pomodoro o l’insalata caprese o altri piatti-simbolo come la lasagna alla bolognese o lo spaghetto alle vongole. C’è un concentrato dell’abbecedario della cucina italiana, ma, dato che siamo a Venezia, c’è anche un occhio di riguardo intelligente verso lo straniero più conservativo e meno colto che viene messo a proprio agio concedendosi un pasto extra-tradizionale come la versione “Big Max” dell’hamburger o il club sandwich.
E i prezzi? Assolutamente nella media cittadina con il merito (straordinario vista la location) di non ritrovare la voce “coperto” nel conto finale.
Il design Alajmo è ormai un cult mondiale e coniuga eccellenze locali (vetri di Murano) e stile personale.
Pane (unica tipologia lievito madre, ottimo) e grissini, altrettanto buoni.
La nostra degustazione di “cicchetti”.
In dettaglio: semplici ma perfette e ingentilite le Sarde in saor
e il Baccalà mantecato con polenta fritta
Mentre decisamente più modesta ci è sembrata la Insalata di polpo.
Apparentemente grasso il Cappuccino primaverile (asparagi, fagiolini, piselli, carote
e rapa rossa), rivelatosi, in verità, in perfetto stile Alajmo, molto leggero.
Tagliolini con astice alla busara. Piatto semplice e ricco.
L’imponente Fritto di sarde, schie e cozze, nello “scartosso” con salsa “Quadri” a base di senape. Frittura asciutta e croccantissima, eseguita con grandi tecnicismi (il pesce viene bagnato nella pastella e fritto, a metà cottura viene asciugato, passato nella farina di mais e nuovamente fritto).
Dettaglio
La cassata di albicocche è una una reinterpretazione non scontata e chiude piacevolmente il pranzo.
Berkel griffata Alajmo.
Dipinti carnevaleschi.
Tavolini eleganti, essenziali ma anche molto ravvicinati.
Ingresso al Gran Caffè.
E’ tutto dedicato alla bufala e ai suoi fantastici prodotti questo piccolo luogo, un po’ negozietto e un po’ bistrot, aperto grazie all’iniziativa di Giorgio Canelli, titolare di un caseificio a Castrocielo in provincia di Frosinone. Sua l’idea di aprire un punto vendita nel cuore borghese di Milano, a due passi da Piazza Wagner, al quale sin dall’inizio ha unito una piccola cucina.
Poi con il tempo si è pensato bene di investire sempre di più sul lato ristorazione e la direzione della cucina è stata affidata ai due giovani (e molto bravi) cuochi del Luogo di Aimo e Nadia, Fabio Pisani e Alessandro Negrini, i quali hanno dislocato in loco un giovane promettente anch’egli proveniente dalla nidiata Moroni: Riccardo Orfino.
Tornando per un attimo alla vera protagonista della storia, la mozzarella di LadyBu(fala) è delle poche mozzarelle di qualità che è possibile mangiare a Milano.
Il caseificio Anteo si trova in Ciociaria, all’estremo confine settentrionale del territorio di produzione della bufala campana DOP. E’ una mozzarella più vicina alla tipologia casertana che a quella della Piana del Sele e, quindi, lievemente più sapida, meno croccante e dalla pasta sensibilmente più compatta.
Ci sono tre spedizioni settimanali a Milano (la mozzarella viaggia di notte ma non in frigo deo gratias) e, quindi, il consiglio è di andare a provarla il giorno giusto (cioè rigorosamente quello di arrivo, tenendo presente che un giorno per la mozzarella vale almeno quanto 20/25 anni per un essere umano).
Oltre alla mozzarella abbiamo provato anche una buona provola affumicata e un’eccellente stracciatella.
Insomma, il prodotto c’è tutto. E la cucina?
E’ buona, anche se inevitabilmente sconta un po’ il fatto di essere volutamente monotematica: latticini e pomodori (anche intesi come salsa) variamente combinati.
C’è un altro grande protagonista a dire il vero: un pane di Matera lievitato naturalmente (anch’esso in vendita del negozio) davvero fantastico che viene servito caldo e leggermente croccante.
Gli unici due piatti assaggiati che sfuggivano al concept del locale sono stati omaggi dello chef alla sua terra di provenienza: il Veneto. Baccalà mantecato (su crostone di pane di Matera, ovviamente) e una versione riuscita (e ingentilita) delle Sarde in saor.
Visto il canovaccio lo chef gioca prevalentemente su sapori freschi e con una buona componente acida, con un ottimo livello di esecuzione, anche se non tutti i piatti assaggiati ci sono sembrati concettualmente indovinati.
Carta dei vini piccola ma da cui è possibile pescare qualcosa di buono e servizio molto cortese ed efficiente.
Ad Majora
Crostone di pane di Matera con baccalà mantecato.
Protagonista: il pane di Matera. Controindicazioni: può creare dipendenza.
Sarde in saor, promosse a pieni voti, nel loro genere perfino delicate.
Mozzarella.
Provola affumicata (con metodo naturalmente).
Crostone (di pane di Matera) con stracciatella, alici di Monterosso, biete novelle e pomodori Cuore di bue della Riviera Ligure: non è ancora la stagione migliore per i pomodori ma la stracciatella è eccellente, del pane già sapete, l’olio è del Frantoio Mancianti, serve altro?
Pane e pummarola.
Risotto Carnaroli mantecato all’olio extra vergine di oliva Mancianti e burrata: delicato, molto delicato, forse perfino troppo.
Spaghetto “selezione Pastificio dei Campi” cacio e pepe su crema di cipollotto di Tropea.
Crema di piselli, burrata e fave.
Battuta di Fassona Piemontese, provola fresca affumicata, mandorle di Avola salate e salsa di pomodorini arrostiti. Ammettiamo tutti i nostri limiti. Cosa ci facesse quel fettone di (molto buona) provola su una (buona) battuta di carne cruda non l’abbiamo proprio capito.
Scamone di vitello, primo sale di Bufala, salsa all’acciuga di Monterosso e cipollotto di Tropea al limone.
Caprese.
Tirami-BU.
Primo consiglio: non andateci senza prenotare.
Alla faccia della crisi qui è impossibile cenare senza la prenotazione. E ci sarà pure un motivo.
Siamo in una zona tutto sommato ancora florida. Certo. Ma siamo anche al cospetto di uno dei tanti nuovi concept che fanno molto tendenza in questo periodo. Aperto 6 giorni su 7, con orari da colazione a cena. In cui è possibile spaziare da un cornetto ben fatto ed un caffè, di Gianni Frasi ovviamente, sino ad una cena completa con un pizzico di eleganza e ricercatezza.
Un bengodi gastronomico ricco di proposte variegate, di materia prima di estrema qualità e di un servizio informale ma efficente e veloce.
Ma qui c’è qualcosa in più, molto di più.
C’è Alessandro Lanzani, il Patron, che ha passione, competenza, idee chiare e tanto savoir faire. E’ un vulcano di idee Alessandro, non sta fermo cinque minuti, continua a pensare a nuove idee per coinvolgere e non stancare la sua clientela. Tende alla qualità assoluta Alessandro, è un imprenditore intelligente che riesce a coniugare qualità con profitto. E che ha trasformato la vecchia macelleria di famiglia in una sosta da non perdere.
Cucina dicevamo ricca di qualità, la materia prima è sempre eccellente, ma anche di spunti intriganti, con un occhio attento al pubblico giovane.
Una cantina offerta a prezzi da Enoteca e il gioco è fatto.
Alessandro ci confessa, ma non stentiamo a credergli, che nel suo locale spesso si vedono gruppi di amici, giovanissimi, che per sbicchierare un Krug si ritrovano ai suoi tavoli, accompagnando con qualche salume e qualche piatto l’evento atteso, qui reso possibile con intelligenza, buon senso e proverbiale visione. Alessandro è il nostro mito, perchè così facendo ha sempre il locale pieno ma non si stanca di fare ricerca. Un nuovo prodotto da scovare, una nuova iniziativa da presentare, un nuovo piatto per attrarre i più diffidenti.
Il suo capolavoro? I Nachos di trippa: cuocere la trippa e poi friggerla, facendola letteralmente “soffiare” e accompagnarla con salsa piccante. Risultato? Avvicinare i più giovani e fargli assaggiare un ingrediente della tradizione in veste nuova e moderna, che mai probabilmente avrebbero scelto.
Ma non fatevi abbagliare da questo racconto, qui da Lanzani troverete anche tanta sostanza voi Gourmet abituati a questi sapori. Carne di qualità eccelsa, Joselito a fiumi (e Champagne), ottime preparazioni semplici, non troppo articolate ma maledettamente golose. E qualche piatto in carta che fa intravedere ambizione ed un pizzico di, forse, identità gourmet più alta.
Stiamo a vedere che evoluzioni avrà, già oggi noi ci sentiamo molto soddisfatti dei risultati. Da non perdere assolutamente, anche per una sosta di passaggio sulla serenissima, trovandosi a poca distanza dal casello di Brescia Ovest.
Qualche scatto del locale e del contenuto…
Tartare di Bat con cetrioli, capperi, acciughe del mar Cantabrico e cipolline e Tartare ai carciofi, con carciofini e parmigiano reggiano. Con carne di ottima qualità e frollatura.
Trippa nachos con la sua salsa piccante, colpito e affondato.
Lingua salmistrata con barbabietola.
Pasta e fagioli neri con pop big (chips soffiate di cotenna di maiale) con fagioli neri messicani e pasta integrale Tumminìa. Piatto grandioso.
La cassoeula nel 2014. Cotta sottovouoto, disossata e poi glassata al miele e soia. Ottima.
Un tris di dolci dove spicca la millefoglie di apertura, con frutta secca candita.
L’accompagnamento alla cena…
Un po’ Passard, un po’ Aduriz. Tanto Toutain.
Aspettavamo il suo ritorno sulla scena parigina dopo la dipartita dalla tanto acclamata cucina dell’Agapè Substance: il nuovo locale ha il suo nome, è in una delle zone più cool della capitale francese, ha poco più di due mesi ed è già sulla bocca di tutti.
Quercia, vetro, cemento: l’ha voluto così il suo nuovo spazio di vita. Un locale semplice e confortevole, alla moda e decisamente più accogliente della vecchia insegna in cui officiava lo chef.
Non è un bistrot no frill, è un bel locale con un servizio curato. Servizio “in giacca e cravatta”, ma amichevole e décontracté in linea con tutto lo spirito dell’ambiente. Il prezzo è invece decisamente accattivante per la media parigina (noi abbiamo scelto il menù a 68 euro).
Alle volte è Toutain stesso a portare il piatto in tavola, nel nostro caso anche una giovane cuoca italiana che evidentemente officia in Rue Surcouf: una gentilezza ben apprezzata per farsi spiegare nel dettaglio ingredienti e preparazioni.
Il menu è un carta bianca, come ormai in tutti i giovani locali parigini più interessanti.
2 proposte, a seconda della voglia di spesa, e si parte verso un mondo fatto di tecnica e misura.
Quello che rende Toutain estremamente interessante è la capacità di sperimentare la potenzialità degli ingredienti, anche con abbinamenti arditi, ma senza mai mettere in confusione il cliente.
E’ il caso del cavolfiore con cioccolato bianco, vaniglia e cocco: un azzardo alla lettura, eppure talmente logico in bocca da sembrare un classico.
Sapori ben identificabili, molta lunghezza in bocca. Una cucina a volte dolciastra, ma sempre complessa e articolata. Che non ha paura di usare le tecniche più disparate al servizio di sua maestà il Gusto. Toutain evidentemente cerca di piacere a molti e per questo non sempre preme sull’acceleratore come potrebbe, mantenendosi in molte portate sul filo della classicità e della morbidezza.
Ma sa anche sconvolgere con capolavori veri: l’anguilla affumicata con mela verde e sesamo e un piatto da fuoriclasse. Così come quel brodo fatto con le bucce di patata: il sapore all’ennesima potenza.
Un’apertura da tenere sott’occhio e magari provare e riprovare anche nei mesi a seguire, quando il rodaggio sarà stato completato.
Gli ottimi pane e burro
Testa di granchio soffiata, avocado
Brioche affumicata, zabaione al limone
Uovo cotto a bassa temperatura con crema di mais e cumino
Gnocco di patata, foie gras, brodo di buccia di patata e broccoli: lo gnocco è una sfericazione di patata e una volta morso rilascia il tubero liquido. Brodo da standing ovation.
Branzino, funghi, caffè, crema di sedano rapa e crumble di nocciola
Anguilla affumicata con mela verde e sesamo nero
Maiale, cavoletto, carota
Cavolfiore, cioccolato bianco, vaniglia, cocco
Limone: meringa, crumble, gelato di pera e biscotto all’olio di oliva. Un grandissimo dessert.