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Contrada Bricconi

Una grande tavola per la rinascita di un ciclo produttivo

Il lavoro agricolo quotidiano inteso come viatico per un lascito culturale futuro. Quando la fatica di artigiani, allevatori, contadini e vignaioli locali si trasforma in corale bellezza grazie alla cucina, il valore di un territorio raggiunge il suo apice. Contrada Bricconi è un agriturismo che revitalizza l’importante ciclo produttivo di queste valli, portando anche conoscenze e idee da terre remote, permettendo di viaggiare attraverso ingredienti vegetali radicati in questi terreni ma provenienti da luoghi lontani. Parliamo di un progetto partorito dalla mente di qualcuno che ha una grande sensibilità di immaginazione: perché immaginare un luogo come questo a partire da ruderi abbandonati – Contrada Bricconi è la riqualificazione di un borgo contadino del XV secolo – e proiettarlo verso un immaginario che travalica la valle limitrofe, è appannaggio di sognatori che visualizzano un obiettivo e lo raggiungono con determinazione. Giacomo Perletti è uno di questi: convinto che la cucina possa rappresentare la via più preziosa e appassionante per perseguire questo obiettivo, si è reso artefice di un eroica attività che ha trovato esatta sublimazione con l’innesto di uno dei più promettenti, preparati ed entusiasti cuochi del futuro, quel Michele Lazzarini che, senza dubbio, sarebbe in grado di fare la differenza in qualunque cucina.

I sapori di Michele Lazzarini: dal mondo alle Alpi Orobie

Le sue proposte sono contrassegnate da centralità e immediatezza gustative, ma sono complesse nel loro concepimento: grassi da latte e derivati, note affumicate, acidità riequilibranti e sfumature erbacee giocano un ruolo chiave in un percorso avvincente che non vede mai cali di ritmo, racchiudendo in sapori tutt’altro che tradizionali – ci sono rimandi al Sudamerica e all’Asia – il meglio delle Alpi Orobie. Dalla scenografica partenza nell’affumicatoio dove viene servito il primo boccone del percorso, un piccolo Cubo di carne bovina (razza Grigio Alpina) cucinato utilizzando utensili medievali con la colata di lardo che fuoriesce dal già iconico flambadou che gli accaniti gourmet avranno già intravisto in ristoranti specializzati in cotture a fuoco vivo, come lo svedese Ekstedt – accompagnato da un corroborante brodo di mele selvatiche, al primo assaggio in tavola: l’Uovo con coniglio marinato e affumicato che, amalgamato allo zabaione salato montato con il sugo di arrosto del coniglio, ricorda una carbonara dagli interessanti risvolti aciduli. La Trota – allevata a Gandellino, a soli sette chilometri dal ristorante – cotta sulla pelle alla brace con acqua di pomodori fermentati e olio all’abete è uno dei piatti più rappresentativi dello Chef, oltre ad avere una storia – etica – a supporto che narra di come un vecchio allevamento di un anziano signore, quasi in disuso, si sia rinvigorito grazie all’entusiasmo di questi giovani. Ma il podio dei piatti dal più alto tasso di godimento se lo contendono i Bottoni farciti di Genussbunker, formaggio di montagna stagionato 12 mesi e kefir, olio al levistico e ruta, semplicemente un compendio  di freschezza e golosità e i Rognoncini di coniglio, funghi e kimchi, nel quale l’essenza del fungo – sia per la salsa di funghi fermentati sia per la schiuma – viene esaltata in acidità e diventa piacevolissima con il tocco piccante del kimchi.

Il servizio di sala, che vede tra le principali figure Davide Cazzani e lo stesso Perletti, è in grado di coinvolgere il commensale raccontando con enfasi la genesi dei piatti e l’origine degli ingredienti utilizzati. Interessante il capitolo bevande, per cui conviene farsi guidare in un percorso mirato: si va dal sidro bergamasco vinificato in metodo classico alla kombucha shiso (piantato nell’adiacente orticello) e rose a un’affascinante Malvasia di Candia, per finire con succo di mela mirtillo e finocchietto. Il vero grande limite resta l’offerta della carta vini: l’imposizione sovranista della regione Lombardia impone importanti limiti, oltre che sulla provenienza dei cibi, anche sui vini. Ciononostante, c’è un grande avvenire all’orizzonte di questo piccolo borgo montanaro risorto.

IL PIATTO MIGLIORE: Bottoni, levistico e ruta.

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Cook the Orobic Mountains

In Val Seriana non c’è solo Contrada Bricconi a portare avanti la filosofia del maestro Norbert Niederkofler, c’è anche Agriturismo Larice, con il giovane chef David Rottigni, scuola Norbert e Michele Lazzarini ma anche Cracco agli inizi e, poi, ultimamente Cracco Portofino come sous chef di Mattia Pecis (anche lui ex collaboratore di Norbert). Come Michele Lazzarini, anche Rottigni è tornato a casa e da poco più di un anno sta finalizzando la sua proposta di cucina in un agriturismo delizioso, coniugando i grandi numeri degli eventi (matrimoni) alla formula di “mountain fine dining“. L’imprinting del Cook the Mountain è evidente con attenzione a scarti, utilizzo erbe spontanee raccolte in loco, materie prime eccellenti autoprodotte o fornite da piccoli produttori locali, pesce rigorosamente di lago, cotture prevalentemente alla brace. Come da loro descrizione, una cucina agricola, ricercando (e raggiungendo) l’equilibrio fra ruralità e ricercatezza.

Lasa fa a noter

“Lasa fa a noter” è il concetto di Omakase tradotto in dialetto bergamasco, ed è il percorso degustazione “lascia fare a noi” di otto portate; noi abbiamo avuto anche l’opportunità, fermandoci più giorni, di provare praticamente quasi tutti i piatti presenti in carta. Se si vuole stare sul tradizionale c’è il Brasato, una selezione di formaggi e salumi della casa o la rivisitazione della Zingara (carne avvolta su un bastone) o dei casoncelli (più leggeri ma leggermente asciutti). Ovviamente noi consigliamo il percorso degustazione che parte con un trittico potente dedicato alla Trota, con un boccone che abbiamo trovato emozionante: uno Spiedino con ventresca e fegato di trota in crepinette cotto alla brace e laccato con vino passito, moscato di Scanzo e salsa di soia, da mangiarne a badilate! Molto buoni i due piatti vegetali: il primo con Cavoletti di Bruxelles, cotti alla brace, furmai de Mut e noci, in grado di far apprezzare un vegetale solitamente poco considerato e valutato; il secondo con Carciofi, bagna cauda di lago e tartufo è più sofisticato e altrettanto goloso.

Ardita e gustosissima la loro versione del Filetto alla Wellington con colombaccio, anguilla, cavolo nero e una salsa al koji che porta anche un interessante livello di acidità; il colombaccio, tenero e succulento era leggermente indietro di cottura ma assolutamente accettabile. Il Risotto con topinambur, che copre una base di lepre in salmì, fondo di carne e polvere di lamponi è perfettamente e golosamente bilanciato. Particolare l’Agri Ramen (un omaggio a un collega giapponese al St.Hubertus che lo preparava per la brigata) con noodles, due ottimi brodi (uno di carne e uno di pesce), pancia di maiale, uovo marinato e siluro.

La calda accoglienza dei ragazzi di sala e la cucina del team di Rottigni, in progressiva evoluzione, rendono questo agriturismo un posto da scoprire.

IL PIATTO MIGLIORE: Spiedino di ventresca e fegato di trota in crepinette.

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Un piccolo angolo di paradiso rurale

La designazione di Bergamo, assieme a Brescia, quali “Capitali Italiane della Cultura per il 2023”, ha acceso l’attenzione per scoprire meglio un territorio assai variegato, dalla pianura sin verso realtà valligiane che, nel caso di Bergamo, fanno veramente la differenza. Bergamo patria adottiva del milanese Gino Veronelli, detto anche “sua nasità” per il particolare fiuto nell’andare a scoprire, e poi valorizzare, anche realtà solo apparentemente minori. Del resto è pur vero che la cucina bergamasca ha richiami di assoluta eccellenza, uno per tutti Da Vittorio della famiglia Cerea in quel di Brusaporto ma… oltre alle stelle, c’è di più, come l’Antica Locanda Roncaglia, piccolo universo capace di sorprendere i più e, a dimostrazione di ciò, valgano due esempi.

I bergamini non sono gli abitanti del capoluogo, ma i pastori transumanti che portavano i loro armenti a pascolare in quota dando luogo a un’autentica cultura rurale che poi ha contaminato, nel loro tornare a valle nella stagione fredda, un’ampia area sino al Piemonte, come Emilia e Veneto. Dalla loro la lavorazione un formaggio, ovvero lo stracchino, che non è quella confezione sigillata e morbidosa che troviamo sui bancali della GDO. Tutt’altro. Stracchino padre nobile di autentica aristocrazia casearia quali Gorgonzola o Taleggio che, un tempo, recitavano all’anagrafe “stracchino gorgonzola” o “stracchino taleggio”. È questa curiosità di risalire alle fonti che ci ha portato in Valle Imagna, poco meno di mezz’ora da “Berghem”, all’Antica Locanda Roncaglia, che è una storia nella storia. A Sant’Omobono Terme, sorta di capitale valligiana, è sorto, a fine anni novanta, il Centro Studi Valle Imagna che, con lungimiranza visionaria, non si è occupato solo di recuperare antichi termini dialettali o danze in costumi d’epoca. Ha rivalorizzato tutta la filiera agricola che dal pascolo ha dato luogo alle lavorazioni di formaggi, salumi, prodotti dell’orto e del bosco. Nel 2013 ha restaurato un piccolo complesso rustico nella contrada Roncaglia di Corte Imagna affidandolo a due testimonial che hanno realizzato i loro sogni. Roberto Facchinetti in cucina (nulla a che fare con il quasi omonimo Roby dei Pooh) e Sara Gandolfi tra sala e dispensa. Un piccolo angolo di paradiso rurale che merita la dovuta attenzione.

E così dalla sinergia con il Centro Studi ogni luogo è vivibile con la sua storia, attraverso pannelli narrativi puntuali e precisi senza essere pedanti. Uno per tutti il secadur, ovvero l’essiccatoio per le castagne, per secoli il pane quotidiano delle famiglie. Vi è una sala lettura, in quello che era un magazzino di attrezzi, tutti debitamente esposti, in cui la vostra curiosità stimolerà ulteriormente l’appetito a cibarvi dei vari capitoli di cultura materiale che vi faranno sentire di casa, per qualche ora, in questa locanda. Nella bella stagione i tavoli all’aperto favoriscono una convivialità spontanea.

Cultura materiale

Ma è ora di affilare le papille e andare al sodo. Dopo una piccola coccola di Pane e prosciutto si parte in quarta con Salame e stracchino. Bello e palestrato l’insaccato, figlio di suino ruspante; intrigante il cacio valligiano, con una cremosità che si gusta con libidinosa sorpresa. Sara è molto empatica nel pilotarvi lungo la carta del giorno e l’intesa è conseguente. È lei che tira la pasta, di vari formati che potete portarvi anche a casa, ma la scelta cade immancabilmente sui Casoncelli, piccoli scrigni a custodire un trito di vacca bruna, dadolini di pancetta con quel tocco in più di fogliolina di basilico che completa l’armonia generale. Come negarsi le Tagliatelle ubriache, stavolta con ragù di manzo e umori passiti di Valcalepio, il locale frutto di Bacco. Viaggiamo ruspanti di lusso con la Polenta taragna (rigorosamente antichi mais, lo Spinato di Gandino per tutti) con una fonduta di formaggi valligiani e funghi. Ma è l’ora di dare la parola ai casari del posto. Una pokerata di Stracchini e pecorini che si accoppiano in lambada golosa con una marmellata di pere selvatiche, quelle che vedete pendere dall’orto a tiro di raccolta. Poco dopo è la volta delle cugine fruttaiole, Prugne in crostata con una granella di amaretto.

Nel complesso di tratta di un’esperienza molto interessante, esempio di come si possa realizzare, a tavola, la quadratura del cerchio di quella che viene anche definita cultura materiale, ovvero il territorio, rappresentato da una tradizione ben temperata, qui fatta di piatti di stile e sostanza, ambasciatori di storie che hanno accompagnato queste comunità nei secoli e, grazie anche all’Antica Locanda Roncaglia, sono giunti fino a noi, che li riscopriamo più attuali che mai. Chapeau!

IL PIATTO MIGLIORE: Casoncelli alla bergamasca.

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La Contrada della Bellezza

Avevamo già raccontato di Contrada Bricconi e di questa bellissima avventura, a poche settimane dalla apertura . È la “Contrada della Bellezza”, a partire dal posto incantevole, da come tutto il borgo sia stato ristrutturato, dal progetto di architettura moderna della stalla e del caseificio, alla cura nei dettagli degli interni, al servizio informale ma calorosamente accogliente. Dicevamo che qui tutto è attentamente pensato, in ogni dettaglio, per un’economia circolare: si lavora sulla sostenibilità sia economica che ambientale, qui è uno stato mentale, uno stile di vita che si allarga alla vivibilità del lavoro, che prevede ora solo sei servizi settimanali e solo sei tavoli, per lasciare più spazio ai collaboratori di prendersi i propri spazi personali. A capo della cucina c’è Michele Lazzarini, super talentuoso ex braccio destro di Norbert Niederkofler al St.Hubertus, partito in corsa all’inizio, portando alcuni piatti che aveva sviluppato proprio al St.Hubertus, eccellente punto di partenza per un percorso in divenire con piatti nuovi in continua evoluzione.

Cook the Orobic Mountains

Michele ha traslato i principi guida del “Cook the Mountain” del suo maestro nelle Valli Orobiche; è tornato a casa per continuare a fare quello in cui fortemente crede, ossia raccontare il lavoro agricolo e la cultura della montagna, il supporto ai piccoli produttori locali, portando il tutto, incluso ovviamente tutto quello che è autoprodotto, con eccellenza, nei piatti. Siamo a livelli decisamente alti di “Fine Mountain Dining” con una esperienza affascinante di inclusione che parte in una stanza in un edificio separato dal ristorante, dove viene servito un Bocconcino di cervo, cotto con del lardo colato dal flambadou (antico strumento utlizzato già nel medio evo, un cono in ghisa con una grande apertura nella parte superiore e una piccola nella parte inferiore, collegata a una lunga impugnatura di metallo) direttamente sulla carne. Si pesca nella storia della tradizione delle valli, con piatti come gli Scarpinòcc con verza e crauti, anche di “recupero” come la golosa Pasta di salame con tortilla di mais. Note di acidità appaiono nella salsa di latticello e uova di trota che accompagnano il Risotto allo zafferano e zucca, così come nella salsa Jerk che aggiunge anche una nota di piccante all’ottima Quaglia, ovviamente allevata in contrada. Unico passaggio un po’ anonimo è quello con gli Gnocchetti erbe, coste e fiurit, ma finale strepitoso con una Brioche calda di noci nere e nespole con una crema pasticcera di nespole con sciroppo al fieno, goduria a livelli altissimi. Una cucina che è sicuramente in evoluzione, ha raggiunto già un ottimo livello con un menù che piace in modo trasversale, noi ci aspettiamo sempre di più da questo giovane brillante e talentuoso chef. Attenzione: un posto a rischio innamoramento.

IL PIATTO MIGLIORE: Brioche di noci nere e nespole.

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Il nuovo, brillante, corso della Osteria della Brughiera

L’Osteria della Brughiera è un ristorante che da anni è fra i punti di riferimento dell’alta ristorazione bergamasca. Stefano Arrigoni è il padrone di casa, termine molto appropriato dato che abita al piano sopra del ristorante, in una dimora di indubbio charme, con sale arredate con gusto ed eleganza, soffitti con travi a vista e illuminazione soffusa, per un ambiente che trasmette molto calore.

Fucina di tanti giovani talenti come Alex Manzoni, Marco Stagi e Angelo Boa Bonfitto, cresciuti sotto la guida di Paolo Benigni, Chef storico del ristorante, qui è arrivato da ragazzo e si è formato Stefano Gelmi, che da pochi anni ha preso in mano le redini della brigata, tenendo in carta una selezione di piatti classici e, contemporaneamente, lanciandosi verso proposte creative più intriganti. Ha così dimostrato di avere estro, originalità, curiosità, voglia di provare e uscire dagli schemi con profondità di gusto e di pensiero culinario studiando sulle consistenze, sulle temperature, sul bilanciamento di sapidità, acidità, dolcezza, amaro e piccante.

Originalità, centratura di gusto e vivacità di sapori

La cucina di Gelmi parte dal territorio ma spazia allargando gli orizzonti, con contaminazioni di vario tipo. C’è, ovviamente, Bergamo con la rivisitazione della Polenta burro e salvia in un dolce, con la farina di mais usata in una sorta di pain perdu, arricchito da burro e salvia, con fogli croccanti di castagna. C’è Brescia che incontra la Francia con i Malfatti realizzati con la base della pate à choux, ma senza l’aggiunta di uova, al quale viene aggiunta una maglia glutinica per permettere la lavorazione della pasta. La farcitura è con un ragù di costine, salamelle e verza negli gnocchi più grandi e ragù di marasche bergamasche nei restanti, serviti poi in un consommè di cassœula e bacche di sambuco fermentate. Tecnica e ricerca per il piatto della serata, di una elegante e spiazzante complessità al palato.

Sempre il territorio, come punto di partenza, con l’Anguilla selvaggia del lago d’Iseo, proposta in passato in una versione omaggio a Berasategui e ora pensata, in modo geniale, con verza piccante al pino mugo, accompagnata della banana affumicata e poi ghiacciata, al posto del foie gras e con la chiusura di una crema di anzuboshi. “La Bertagni” , versione femminile di un piatto di street food bresciano, è un baccalà fritto con un pesto al mortaio di sarde salate calabresi e bergamotto; con le pelli si ricava un olio, utilizzato per ottenere una nutella di mandorle, che evoca il baccalà mantecato; il cavolo viola sott’aceto a chiudere un piatto molto gustoso. Compare anche la Toscana con una versione super goduriosa del Cibreo di rigaglie di pollo e creste di gallo, arricchita e resa più elegante da una sorta di zabaione salato fatto di tuorlo montato al macis e yuzu. Sempre Toscana con la Cervella alla fiorentina (fritta) alleggerita da una splendida salsa al latte di cocco e lemongrass, altro esempio di equilibri raffinati fra i sapori.

Un percorso vivacemente vario, che auspichiamo diventi al più presto una proposta di degustazione a mano libera, in aggiunta a quella completamente vegetale e dei classici, proprio per far apprezzare il più possibile la filosofia gastronomica dello Chef. Originalità, centratura di gusto, vivacità di sapori in un luogo di indubbio charme… cosa chiedere di più?

IL PIATTO MIGLIORE: Malfatti di verze e costine, ragù di marasche.

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