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Teatro

Tapas pirotecnici: dietro il sipario di Teatro c’è Oliver Peña

Teatro oggi reincarna la cucina del leggendario Tickets e lo fa con una proposta semplificata, ma non depotenziata rispetto all’originale insegna. Un’esperienza sicuramente più accessibile sia a livello economico sia a da un punto di vista di blasone: riuscire a prenotare ora è impresa ben più normale di quando c’era la figura di Albert Adrià, separatosi dai fratelli Iglesias dopo la crisi pandemica. Nonostante l’uscita eccellente, Teatro continua ad offrire tapas creative preparate da un team con pedigree gastronomico di tutto rispetto, guidato da Oliver Peña, talento vero, prosecutore di una cucina giocosa con la costante golosa dietro la quale si cela un elevato tasso di tecnica e pensiero. Non era facile ridare vita (e rivitalizzare economicamente) questo locale senza rischiare di scimmiottare la proposta unica dei fratelli Adrià. Peña invece, forte del suo trascorso fianco a fianco di Albert in quel di Enigma, ha saputo riprendere, quasi senza soluzione di continuità, quel concetto che il Tickets era riuscito a trasmettere irrompendo sulla scena gastronomica mondiale.

L’evoluzione, in chiave semplificata, del Tickets

Ci si diverte con piccoli capolavori di golosità per i quali, assaggio dopo assaggio, si resta consapevoli di come la trasversalità della proposta possa esulare dalla banalità, quando è sorrette da tecnica e idee. Peña ha progressivamente orientato la sua proposta verso un maggiore risalto dell’ingrediente. Dopo un necessario periodo di rodaggio, il locale è cambiato notevolmente, pur mantenendo una certa coerenza con il suo predecessore. Nel menù, presentato come un copione teatrale suddiviso in atti e scene, sono proposti “finger food” che costituiscono una significativa parte dell’offerta.

A distanza di un anno dalla nostra ultima visita dobbiamo però registrare la presenza di molti piatti già proposti l’anno precedente. Sappiamo tuttavia quanto possa essere complicato, anche per un talento cristallino come Peña, pensare a creazioni completamente nuove che si distacchino dal cordone ombelicale del maestro senza cadere nel banale. Fino ad oggi, però, i piatti assaggiati meritano davvero molta attenzione e lasciano presagire evoluzioni interessantissime. Tra questi ricordiamo il Taco di quelites Km 0 con meringa all’ibiscus, il Cannolo catalano, la Brioche di uova di trota, la strepitosa Tartelletta di nori, foie gras e anguilla e l’imperdibile Insalata di pomodoro, arance, sferificazione di olive Kalamata e airbag di pane.

Come piatto migliore, però, in quest’ultima visita dobbiamo eleggere l’Astice con salsa al pepe nero e panini al cocco, di ispirazione asiatica (di Singapore, per la precisione), dove la coda e le chele del crostaceo conservano integralmente tutti i succhi essenziali nonostante gli ingredienti della salsa possano risultare coprenti. Un grandissimo piatto cucinato da sapienti mani.

Il servizio in sala è affidato a Pedro Iglesias e Joan Romans, che curano attentamente ogni dettaglio per garantire un’esperienza rilassata, scanzonata e accogliente. Selezione dei vini intelligente e affine con la proposta gastronomica. Interessantissimo, infine, il cocktail bar-speakeasy dove si passa prima di uscire dal locale e allestito dov’era ubicato il 41° Experience, progetto primordiale da cui poi è originato l’attuale Enigma.

IL PIATTO MIGLIORE: Astice con salsa al pepe nero e panini al cocco.

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Dieci anni su livelli assoluti di eccellenza

Dieci anni. Era il 2014 quando il ristorante Disfrutar aprì le porte del suo universo immaginifico al mondo. Sono bastati soltanto dieci anni per infondere infantile stupore a tutti i commensali che hanno varcato la soglia di questo laboratorio di sofisticazione gastronomica in una delle capitali europee più entusiasmanti sul tema. C’è poco da fare e da dire. La cucina del trio Eduard Xatruch, Oriol Castro e Mateu Casañas (quest’ultimo, in verità, più impegnato nel progetto Compatir, a Cadeques) ha un dono, quello di innescare gioia servendo cibo e facendolo con la necessaria empatia per rendere l’esperienza unica e indimenticabile. A tal fine è cruciale anche il lavoro svolto della sala che interagisce con familiare – e informale ma garbata – accoglienza e diventa propedeuticamente parte essenziale dell’esperienza. Un servizio superiore alle aspettative sotto tutti i punti di vista, capace di colpi di classe come l’audacia di rivolgersi verso i commensali per i quali sono state segnalate allergie o intolleranze alimentari.

Prima della tecnica, per Xatruch, Castro e Casañas, c’è l’idea

La critica gastronomica l’ha definita cucina “tecno-emozionale” o comunque hanno coniato nuove terminologie che a distanza di poco tempo sono state comunemente utilizzate per identificare altre cucine. Sgomberiamo il campo da dubbi: chi guida le cucine di Disfrutar è stato parte integrante di quel processo culinario sperimentale e avanguardista (guidato da Ferran Adrià) che ha fatto da spartiacque tra due ere gastronomiche, quella moderna e… l’altra. La loro cucina può essere descritta con un semplice algoritmo: divertimento, stupore e, soprattutto, gusto. Prima di cominciare il pasto, viene consegnato per qualche minuto un foglio con un elenco di parole sparse intitolato “Cosa si nasconde dietro il nostro cibo?” Si leggono, tra le altre, “Sopresa“, “Emozioni“, “Provocazione“, ma anche “Sapore“, “Sensi“, “Consistenze” e tanto altro. Leggerlo si rivelerà interessante in quanto tutto verrà matematicamente riscontrato al momento degli assaggi.

Un pasto da Disfrutar è un’esperienza epica in cui interazione, contemplazione e divertimento sono scanditi in una sequenza dal ritmo incalzante (di oltre quattro ore che volano in un batter di ciglio) e avvincente. La grandezza di questa tavola può essere riassunta in pochi passaggi che hanno sancito, a nostro avviso, il picco della cena. A partire dalla folgorante partenza all’insegna del minimalismo con i Germogli e la loro concentrazione di sapori, ossia una metafora sulla cucina: la tecnica conta ma non è tutto, anzi, soprattutto in un ristorante dove le peculiarità delle tecniche di preparazioni sembrano imprescindibili; ecco, quindi, che il concetto del piatto ha un valore assoluto quasi esclusivamente nella sua componente materica: il minimalismo di potentissimi germogli di erbe aromatiche coperte da un leggero gel di pomodoro. Ogni singolo assaggio – dal gusto concentrato e distinto – viene resettato da un gel di pomodoro a fungere da riequilibratore. Semplice, vero? Un po’ come la meravigliosa Foglia di fungo, ossia l’idea platonica dell’intensità che dovrebbe sprigionare un singolo ingrediente e, in questo caso, lo fa sotto forma di essiccazione di una zuppa di funghi di incredibile persistenza; ma è tutto un susseguirsi di vulcanica creatività tra piatti scenici, ludici e mirabolanti, però contrassegnati da una disarmante bontà, tutt’altro che scontata. Parliamo, in ordine sparso, di un uovo fritto il cui finto tuorlo racchiude, in realtà, un consommé speziato di gamberi sferificato, il Corallo di amaranto, riproduzione edibile di uno scoglio marino, servito dopo un divertente gioco di prestigio, e la straordinaria Seppia “thai” con sferificazione multipla di cocco dove, ancora una volta, c’è il trionfo dell’ingrediente meno “lavorato”, ossia i piccoli molluschi.

Gli abbinamenti alcolici e analcolici (impressionante, in termini di ricerca e innovazione, il lavoro svolto su quest’ultimo fronte) sono parte integrante dei percorsi degustazione. Occhio però, perché si pescano vini interessanti grazie a una politica di prezzi “conveniente” a questi livelli. La squadra che gestisce la sala – ogni singolo cameriere si verrà a presentare al tavolo con il proprio nome – come detto, è un paniere prezioso di fenomeni e incide con la medesima determinazione della cucina sull’esperienza complessiva. Può sembrare banale – anzi lo è – ma sarebbe al contempo poco credibile non definire Disfrutar e il suo trio fenomenale di cuochi come una delle più divertenti e coinvolgenti esperienze di ristorazione che si possano fare oggigiorno in giro per il mondo.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia “thai” con multi-sfera di cocco.

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Il “nuovo” Tickets in mano a Oliver Peña

La crisi del gruppo El Barri di Albert Adrià – dovuta alla pandemia – aveva portato alla chiusura di Tickets, uno dei ristoranti più desiderati di Spagna, ora tornato in attività sotto una nuova insegnaTeatro – e nelle mani di uno Chef di straordinario talento, Oliver Peña, per anni alla guida di Enigma (un cuoco che ha partecipato attivamente all’elaborazione della cucina d’avanguardia spagnola dell’ultimo decennio). L’identità del locale non è affatto mutata: al centro vi sono le tapas, un caposaldo della tradizione gastronomica spagnola – attenzione a non confonderle con i pinxtos baschi – che, tuttavia, viene portato a un livello inedito di sofisticatezza, grazie all’integrazione di influenze gastronomiche distanti (Giappone, Korea, Messico,…), alla ricerca di materia prima non ordinaria e all’utilizzo “popolare” di tecniche concepite in quel di Roses un ventennio fa (si ha la netta percezione di come il destino della miglior avanguardia sia divenire “standard”). Il risultato è una cucina giocosa e a larghi tratti golosa, dietro la quale si cela un elevato livello tecnico.

Golosità ≠ banalità

Un esempio di convergenza nippo-spagnola è il Mochi fritto di piselli lacrima e jamon, in cui i piselli lacrima prendono il posto dei tradizionali fagioli azuki, sì come la Tartelletta di alga nori, ganache di foie gras e anguilla con salsa teriyaki, un boccone degno di un grandissimo ristorante, che colpisce poiché – inaspettatamente – la grassezza della ganache e dell’anguilla si integrano alla perfezione. In Philomonio de boqueron y anchoa en vinagre si ritorna invece a un ingrediente quotidiano, l’acciuga (bocarte): il pesce conservato in aceto (anchoa) viene abbinato a quello sotto sale (boqueron), in un matrimonio di equilibrio tra acidità, sapidità e note iodate. La semplice insalata di pomodori e sgombro viene riletta, soprattutto nella parte vegetale, in Pomodoro, olive sferificate e pane croccante, un intervento sulle consistenze – del pane vi è solo il croccante, l’oliva è l’icona di Adrià, l’olio e il condimento sono addensati – che si traduce in una magnifica concentrazione di sapori. Un boccone memorabile è, poi, Anemone fritto e vinaigrette di codium: l’anemone di qualità eccelsa – il cuoco conosce il “pescatore” da anni – fritto in modo da restituire una consistenza croccante all’esterno e cremosa all’interno, in un intreccio di note iodate, verdi, sapidità e dolcezza. Il trittico finale – roll di gamberi, agnello e midollo -, seppur godibile, ha evidenziato uno stacco in termini di finezza rispetto alla parte precedente del percorso.

I dessert hanno invece alternato picchi elevati di dolcezza – Alfajor di caramello salato e arachidi – a passaggi più sottili, come Millefoglie di mango, interessante nella parte in cui gioca su strati di diversa testura e temperatura (mango ghiacciato, cioccolata al frutto della passione, crema di fava tonka). Al termine di un pranzo da Teatro si esce divertiti ma con una rinnovata consapevolezza di come golosità e piacevolezza ben possano convivere con tecnica e complessità.

IL PIATTO MIGLIORE: Tartelletta di alga nori, ganache di foie gras e anguilla con salsa teriyaki.

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Il ritorno di Albert Adrià e la ricerca di un nuovo baricentro

Vi è stato un momento in cui abbiamo temuto che l’epidemia avesse messo la parola fine a un capitolo fondamentale della storia della gastronomia: la dissoluzione della galassia “El Barri” deve aver sicuramente toccato nel profondo Albert Adrià che, però, ha fortunatamente trovato lo stimolo per riaprire la punta di diamante della sua enclave, Enigma. Il nuovo corso non rappresenta tuttavia il tentativo di fingere che nulla sia accaduto, al contrario si percepisce nitidamente il desiderio di ripensare l’offerta gastronomica, un percorso che – al momento della nostra visita – non era ancora giunto a un esito definitivo. Il confronto con il “vecchio Enigma” evidenzia l’eliminazione delle “tappe” – compresa la parentesi iniziale nipponica – e un maggior numero di coperti in sala (leggermente chiassosa); dopo una prima fase alla carta si è invece tornati a un unico menù degustazione.

Dalla frammentazione alla sintesi

Il ripensamento di cui si è detto riguarda anche – soprattutto e necessariamente – la cucina in senso stretto, tant’è che il percorso attuale, se “visto dall’alto”, fa trasparire la volontà di fornire una ricostruzione unitaria del complessissimo pensiero di un cuoco che ha vissuto infinite fasi e dettato rivoluzioni. I ristoranti di cui era composto il gruppo di “El Barri” consentivano ad Albert Adrià di frantumare l’intreccio, l’Enigma di oggi invece è sintesi, con un unico filo conduttore rappresentato dall’ingrediente, il fulcro intorno al quale ruotano le diverse modalità di rappresentazione. In questa prospettiva, si parte dalla citazione de El Bulli – i Ravioli liquidi di earl grey tea – , passando per momenti più golosi e tondi (ma non per questo meno interessanti) – come Dadinho di tapioca e formaggio con riccio di mare e Zuppa di pollo e cocco all’orientale gelatinizzata e riccio di mare – per culminare in esercizi di genialità, ammiccamenti all’appassionato: Asparago, merluzzo e salsa pil-pil – l’asparago in due cotture (bollito e al forno: tecnica micidiale, non esibita) e il merluzzo sintetizzato nella testura gelatinosa della pelle e nella salsa (le due anime del prodotto secondo la tradizione spagnola) -, Piselli lacrima di Maresme con siero di mozzarella e aria di rosa – elogio alla sensibilità nei confronti dell’ingrediente – Spaghetti freddi di basilico con dashi e Iyomozarella –  due capisaldi di tradizioni gastronomiche fondamentali (spaghetto al pomodoro e soba) ricondotte ad unità con naturalezza e credibilità sbalorditive (ci sono la gestualità, l’umami del brodo così come del pomodoro, la parte olfattiva..) -, Midollo di tofu e brodo di carne – il sapore del midollo è nel brodo mentre la testura è nel tofu – e Kuzusuizen con salsa di inchiostro di calamaro – anche qui, il calamaro è solo nella salsa, la testura è data dal kuzu (salta alla mente il calamaro del Lab 2020, insuperato).

La parte finale – dolce – del percorso avrebbe forse potuto osare un po’ di più. A distanza di un mese e mezzo dalla cena, la gran parte dei piatti sono impressi nella memoria – non accade spesso, no? – a riprova di come Enigma sia a tutt’oggi uno dei centri nevralgici della cucina d’oggi, cui manca solo la definitiva messa a fuoco. Il ritorno è d’obbligo.

IL PIATTO MIGLIORE: Piselli lacrima di Maresme con siero di mozzarella e aria di rosa.

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Disfrutar, a Barcellona l’eredità di El Bulli

Chiunque varchi le porte di Disfrutar, a Barcellona, non può fare a meno di pensare, quantomeno per un istante, al fatto che i tre cuochi che vi cucinano – Oriol Castro, Mateu Casañas ed Eduard Xatruch – siano stati per anni membri del “team creativo” di El Bulli, un’autentica icona della gastronomia contemporanea. 

Tuttavia, ciò non deve indurre false aspettative: il ristorante di Cala Montjoi appartiene – ahinoi – al passato e il percorso intrapreso dai tre cuochi catalani non si risolve in una semplice emulazione di ciò che è stato bensì in un unicum, dotato di una propria identità.  El Bulli è riuscito nell’impresa di fungere da collettore di cucina, pensiero ed arte, raggiungendo un livello di profondità tale da consentire a chi è passato per Roses di sviluppare ed approfondire alcune delle idee apprese e proporre nuove forme di cucina. In questa prospettiva, se Andoni Luis Aduriz e il suo Mugaritz hanno deciso di dedicare il proprio impegno a textures e consistenze nonché a quello che Ferran Adrià definiva “sesto senso”, Disfrutar pare piuttosto aver optato per un’idea di cucina votata al divertimento e allo stupore – per il tramite della costante ricerca di tecniche innovative – senza dimenticare il gusto.

Un plauso merita, a questo proposito, la recente innovazione apportata nell’ambito dell’abbinamento vini: oggi – grazie all’utilizzo della distillazione sottovuoto – è possibile optare per un pairing dealcolato, teso a rendere l’esperienza enoica sempre più inclusiva. 

Avanguardia e golosità: un binomio possibile?

Il menù “Disfrutar Classic” – un percorso di circa trenta assaggi che ripercorrono la storia, anche molto recente, del ristorante – colpisce anzitutto per la sua facilità d’approccio. Da una cucina dichiaratamente avanguardista ci si aspetterebbe qualche passaggio per così dire “difficile”: al contrario, i piatti proposti sono accomunati da una golosità di fondo, estremamente democratica. In tal senso, paradigmatici sono il tuorlo d’uovo croccante e gelatina calda di fungo, il famigerato “Panchino” – un boccone di pasta sifonata e fritta, ripiena di caviale Beluga e panna acida – e la tarte-tatin multisferica di mais e foie gras.

La componente avanguardistica dell’offerta gastronomica è piuttosto affidata alla tecnica (o, più correttamente, tecnologia), con un utilizzo, forse a tratti troppo reiterato, della “sferificazione” – nata proprio a El Bulli– e della “scomposizione”, due capisaldi della cucina spagnola dello scorso ventennio. Nella maggior parte dei casi, il risultato finale è eccellente come in pesto multisferico con pistacchi e anguilla – un piatto dall’equilibrio straordinario – e costata di Rubia Gallega con cristallo di peperone piquillo, in cui ad essere serviti sono una tartare di vacca galiziana, il suo grasso, un fondo e un brodo estremamente concentrato, bocconi che, se alternati, restituiscono magnificamente le sensazioni organolettiche di un chuleton a la brasa

In altri casi, invece, la tecnica pare prendere il sopravvento, come in maccheroni alla carbonara, in cui – forse anche a causa della reverenza di chi scrive nei confronti della versione tradizionale della ricetta (in questa si utilizzano pancetta, Parmigiano Reggiano e un po’ di panna) – il gioco della “scomposizione” e “ricostruzione” del classico restituisce la sensazione di avere a che fare con un piatto già appartenente al passato, come quando, a distanza di anni, si rivedono gli effetti speciali di un vecchio film di fantascienza. 

Il percorso lascia poi spazio a una portata più tradizionale dal punto di vista della tecnica: il petto di piccione pibil accompagnato da un bonbon di piccione e foie gras. Carne dalla cottura ineccepibile ed ennesima riprova di come tra avanguardia e classicità vi sia un rapporto di simbiosi e non antitesi. 

La parte dolce del percorso riprende le direttrici di quella salata, soprattutto con “Pandan” – succo e schiuma della pianta tropicale nonché sorbetto e sferificazioni di mango – e peperoni di cioccolato, olio e sale, piatto che gioca sul trompe-l’oeil e in cui, in termini di gusto, ciò che più risulta interessante – anche se non innovativo – è l’utilizzo dell’olio d’oliva e del sale Maldon. 

In conclusione, Disfrutar è sicuramente uno dei ristoranti più coinvolgenti di Barcellona – anche grazie a una sala dall’approccio giustamente informale – nonché inarrivabile nel proporre una cucina che diverta e stupisca grazie a una ricerca costante e maniacale. La sensazione è che per la definitiva consacrazione – e, quindi, per i 19/20 – occorra solamente limitare le reiterazioni nell’utilizzo di alcune tecniche e osare un po’ di più con i registri gustativi. 

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