Valutazione
Pregi
- Una cucina con una impronta stilistica precisa.
- Un menù degustazione profondo e di qualità proposto a un prezzo ragionevole.
Difetti
- La cura di qualche dettaglio nella sala da pranzo non guasterebbe.
- Il ristorante di notte s’individua con un po’ di fatica.
La crescita costante di una moderna cucina di campagna
Seguiamo Massimiliano Poggi fin dai primi passi, mossi nel ristorante omonimo a Trebbo di Reno: diverse sono state, in questi anni, le visite e dobbiamo riconoscergli una crescita costante e inesorabile.
Se lo avevamo già segnalato come uno degli indirizzi più interessanti del capoluogo felsineo, all’esito del nostro ultimo passaggio dobbiamo evidenziare che il livello della cucina travalica sicuramente i confini cittadini e la tavola si presenta come una delle più intriganti in cui ci siamo imbattuti nel nostro incessante peregrinare gastronomico. Un cuoco, Poggi, che ci pare aver assunto piena maturità e consapevolezza dei suoi mezzi: liberatosi da alcuni orpelli superflui, ricalibrate e alleggerite alcune preparazioni dal punto di vista della pulizia e della nitidezza dei sapori, i piatti oggi sono costruiti con ingredienti semplici ma sempre definiti e ben individuabili, realizzati con padronanza tecnica, ma sopratutto pensati non come artificio autoreferenziale ed edonistico ma per regalare piacere assoluto.
Il risultato? Una cucina con un’identità propria e originale, una moderna cucina di campagna, la definiremmo, realizzata da uno chef che ha voglia di divertirsi e che riesce a trasfondere la maturità e la consapevolezza raggiunte nei piatti che propone.
Un percorso divertente, giocato sull’acidità
Tutte le pietanze servite nel nostro menù degustazione (otto più gli amuse bouche e i dessert) erano prive di sbavature, molto pulite, caratterizzate sovente dal ricorso a erbe spontanee e verdure a regalare persistenza orizzontale e profondità palatale. L’acidità è stato il fil rouge che ha caratterizzato la nostra cena: dall’ormai iconica insalata russa con panna acida e caviale di trota alla originalissima conserva di pomodoro con baccalà crudo – l’unico pesce consentito nelle tavole di campagna! – all’insalata di rape e sottoceti che cela la battuta di carne (“le mie radici”), al limone candito della (finta) grigliata di pesce.
Il goloso filetto di lepre al pepe verde è invece accompagnato da una salsa che ci ha costretto alla scarpetta, una demi-glace molto persistente che strizza l’occhio alla scuola francese, a conferma che qui la basi sono decisamente solide. Il divertente pre-dessert vegetale – insalata mista – a base di sedano, rucola e parmigiano, ci ha condotto alla chiusura del percorso con due dolci ben eseguiti e moderatamente zuccherini, anch’essi giocati sull’acidità: Amarena e frutti rossi e Panna e fragole.
Il servizio, giovane, dinamico e prodigo di spiegazioni è un motivo in più per visitare questo ristorante, che noi continueremo a seguire con attenzione, e che ci ha lasciato con la voglia di ritornare appena saliti in auto. Per tutto questo, il voto che oggi gli attribuiamo non è solo è raggiunto con pienezza, ma addirittura lievemente arrotondato per difetto.
Il migliore cuoco a Bologna da tempo??????