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Zanze XVI

Oltre quella gondola c’è sempre di più

Campanili e calli, barocco e avanguardie, barche e campielli. Ciò che si mostra oggi, va ben oltre la sola dimensione artistica di questo luogo. Una città che un tempo forse non avrebbe rivelato nulla al turismo gastronomico, oggi si riscopre meta gourmet: stiamo parlando di Venezia e della sua nuova, elisabettianamente parlando, Golden “Gastronomic” Age.

Come faro: la creatività… di mare. Come plus: l’irriverenza geniale tipica dell’essere giovane nell’osare. Nell’epoca bistronomica di questo palatale rinascimento, Zanze XVI è un’insegna dove la cucina della Serenissima ritorna a nuovo splendore con lo chef Luca Tartaglia, giovanissimo ma non tanto, da non mettere a frutto l’esperienza Oltralpe, all’Astrance parigina.

Idee in potenza, piacevolezza in atto

Carte in regola per questa tipologia: sala giovane, cantina smart, rivolta maggiormente alla nuova tendenza biologica (magari un po’ troppo circoscritta) e formula menu con tre scelte. Strizzando l’occhio all’illustre concittadino Marco Polo: una via del mare, una via di terra e un percorso a mano libera per lasciarsi trasportare nell’istintività creativa del territoriale tradizionalismo. Il Consommé di tuberi e molluschi riecheggia al classico bollito di laguna, in cui la carnosità del moscardino cotto nel vino e rosso e la nota iodata della cozza si mitigano all’unisono con la terrosità magistralmente controllata, in termini gustativi, del limpido brodo di tuberi e olive. Superfluo, purtroppo, l’impiego della liquirizia.

La Granseola, mandorla e polvere di alloro nella sua delicatezza racchiude un’inaspettata aromaticità con sfumature di sottobosco veramente sorprendenti. Sul desco dell’avventore si susseguono gli attori, dal Carpaccio con ceci e foglia di cappero al Risotto foglia d’argento e gó: ostico pesce di Laguna per le numerose spine, ma una prelibatezza per i certosini che non demordono nel lavorarlo. Omaggio lagunare al Maestro Marchesi? Forse, in qualsiasi caso ben riuscito.

Tuttavia, il vero colpo Tartaglia lo mette a segno con l’Austromeluzzo, barbabietola e caciucco. Il piacevole capovolgimento di ruolo nella triade: pesce, vegetale e salsa sembra andare a scardinare in maniera quasi perfetta (si peccherebbe di presunzione) l’equazione dove la proteina animale assurge a centralità del piatto. Infatti, l’elemento chiave è il cacciucco, tirato a salsa in maniera ineccepibile quasi a demi-glace: ricco, vibrante, avvolgente. Una salsa che sinuosamente esalta il pesce cotto a vapore che nel contempo regge vigorosamente la forza della barbabietola. Come assistere alla grandiosità di una tempesta di mare, ma dalla comodità della poltrona di casa! Poco poetico forse, ma altamente intrigante per le papille!

Sui dolci, ancora da lavorare, purtroppo, ma siamo convinti in un rapido recupero.

Ad oggi quella di Zanze XVI è una visione palatale veneziana che è conscia e orgogliosa della sua tradizione, talvolta anche barocca, a cui fare riferimento. Una tradizione, però, che non si vincola bensì è proiettata verso nuove tendenze rendendosi innovativamente giovane nella curiosità di sperimentare.
Anonimo veneziano? No di certo!

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Nuova conferma per un indirizzo griffato Fratelli Alajmo: il neoclassico conquista con identità, tra i canali di Venezia

Nell’ottava meraviglia targata Alajmo Bros, questa volta la geniale intuizione si sviluppa nel nuovo centro del lusso di Venezia, il T Fondaco dei Tedeschi, dinnanzi al serenissimo ponte di Rialto. La location, è una simbiosi classicamente nuova, tra architetture che abbracciano le volte disegnate più 500 anni fa e la modernità al contempo, degli arredamenti di Philippe Stark. Nella cucina dell’Amo, gastronomicamente concepita sia per un break che per la cena strutturata, lo stile Alajmo nella sua fluidità piacevolmente avvezza, emerge in ogni piatto, sempre. Dalla carta ai menù degustazioni, la scelta nella sua dicotomia è ampia: una cucina internazionale ma che valorizza con estro la grande tradizione veneziana. Ne sono esempio “lo scartosso” di ortaggi e alghe fritte, o la tartare di verdure con la focaccia croccante di riso nero, facendo viaggiare l’avventore, tra note terrose, acide e iodate: sublime. L’insalata di latticini di seppia, con bottarga, patate e carciofi è un’altra espressione della tradizione locale, dove la cottura fondente del mollusco ne è magistrale esempio di tecnica e conoscenza. Non di meno i dolci, magari non proprio perfettamente riusciti in una formula di un menù degustazione. Impossibile tuttavia non segnalare, il big macaron al tiramisù: dove l’internazionalità di questo dolce interseca il dessert più emblematico della tradizione veneta. Amo: declinazione gastronomica deliziosamente glocal!

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Può un servizio di sala incerto condizionare un’ottima cena?

Il problema della crisi della sala italiana è argomento antico ma ancora di grande attualità: se ne parla (forse ancora troppo poco) anche grazie agli sforzi di chi in sala ci lavora quotidianamente e trova sempre più difficile trovare colleghi all’altezza del ruolo.
Lo squilibrio tra il livello della giovane cucina italiana e quello del servizio di sala è sotto gli occhi di tutti.
Quando poi questa dicotomia si sperimenta in un 5 stelle lusso di Venezia, in uno degli alberghi più famosi del mondo, il tutto diventa amplificato. In un corrispettivo francese per storia e notorietà, ad esempio il Ritz di Parigi piuttosto che alla Réserve de Beaulieu in Costa Azzurra, sarebbe potuto succedere lo stesso? La risposta è no. La cucina avrebbe anche potuto zoppicare, ma il servizio no, ipotesi non contemplata nei rigidi standard d’Oltralpe.

Eppure un servizio di sala incerto è in grado di condizionare in maniera pesante la piacevolezza di una serata.
Ed è proprio quello che ci è capitato al Ristorante Oro dell’Hotel Belmond Cipriani.
Lo chef Davide Bisetto è talento cristallino: intendiamoci, non tutti i piatti ci hanno convinto (dei ravioli eccessivamente virati sul dolce e un dessert monotono per consistenze le note dolenti) ma è indubbio che questo sia un Cuoco con la “C” maiuscola. Nel branzino con le verdure dell’orto o nel petto di anatroccolo con le ciliegie abbiamo avuto modo di testare una cucina estremamente interessante, una classicità moderna di grande precisione come difficilmente capita di trovare in Italia. La precisione, la pulizia e l’eleganza francese declinata in chiave italica, con una grande attenzione alla leggerezza delle preparazioni, tutte di grande digeribilità. Davvero un unicum dal punto di vista stilistico nel panorama nostrano. I difetti, come detto, non mancano, soprattutto in termini di costanza, ma, alzandosi da tavola, è forte la voglia di tornare per provare i restanti piatti del menù.

Questa abilità viene però offuscata da un servizio assolutamente non all’altezza.
Dall’incipit della gentile proposta di un calice di Champagne in attesa del tavolo, salvo poi versare del prosecco (neanche dei migliori), alla difficoltà di individuare con precisione i responsabili di sala e cantina (aspetto reso ancor più complicato dal fatto che non tutti i vini segnati in carta sono effettivamente presenti), alla prima comanda presa con tempi troppo lunghi (il primo piatto è stato servito circa 45 minuti dopo esserci seduti) …ma la lista di defaillance potrebbe essere lunga.
Certamente c’è la scusante del recente inizio della stagione estiva e quindi è probabile che la brigata di sala (volenterosa e molto disponibile ad essere sinceri) debba ancora rodarsi, ma in un albergo di questo livello (e prezzo) suona tutto più stonato.

Mangiare all’aperto con la vista su Venezia varrebbe già in effetti il prezzo del biglietto, il Cipriani è magico e vi consigliamo prima di cena un passaggio anche all’ottimo cocktail bar.
La cucina è di grande interesse e il lavoro dello chef Davide Bisetto merita di essere seguito con attenzione. Ci auguriamo che le problematiche da noi segnalate siano solo frutto di una serata storta perché l’Hotellerie italiana ha bisogno dei suoi riferimenti e il Belmond Cipriani non può che essere uno di questi.

Un riferimento assoluto per la cucina di pesce nel nord Italia: Al Passo

Nell’angolino più nascosto e recondito di ogni gourmet, in uno di quei nascondigli dell’anima che mai e poi mai rivelerebbe nemmeno sotto tortura, si cela l’amore viscerale per il grande ingrediente nudo e puro, quello privo di qualsivoglia sovrastruttura.
Il gourmet amerà allo spasimo la cucina d’avanguardia dei grandi creativi contemporanei, sperimenterà tachicardie parossistiche per gli immensi piatti della tradizione… ma il godimento vero, quasi lussurioso, regalato dalle morbide e dolci carni di uno scampo crudo, dall’esplosione di sapore di un canestrello freschissimo o di un gambero rosso non trattato… beh, francamente, riempie ogni angolo di tristezza di un qualsivoglia stressato corpo umano.

Ebbene sì, lo ammettiamo anche noi, siamo colpevoli.
Ma sono così in antitesi le due visioni della cucina? Ovviamente no, come sempre il gaudente vero saprà godere dell’una e dell’altra faccia della luna: la qualità e il gusto non hanno bandiere. Da Al Passo a Campalto troveranno la pace dei sensi tutti gli amanti del pesce senza sovrastrutture: semplicemente uno dei migliori pescati del Nord Italia, trattato il meno possibile. Ed infatti, i picchi al Passo si toccano proprio sui crudi, dove il cuoco deve fare il minimo o, girando il concetto, il massimo per non rovinare la qualità di cotanto pesce.

Il patron, Massimo, vi scruterà con aria quasi indagatoria, quasi a valutare se siate degni delle sue meraviglie: affidatevi con fiducia, chiedete consiglio e non ve ne pentirete. Qui i convenevoli stanno a zero, tanta sostanza e rispetto assoluto dell’ingrediente.
Indirizzatevi verso le preparazioni (apparentemente) meno complesse: crudi, griglia e, magari, un bel fritto.
Godimento allo stato puro, semplice, primitivo, intenso.
La veranda completamente a vetri è un posto molto piacevole dove pranzare, in prenotazione preferitela all’interno, un po’ cupo.
Carta dei vini “verace” e poco amante della forma (come tutto il locale) ma con qualche bella chicca prezzata in modo correttissimo.
Un riferimento assoluto per la cucina di pesce: segnate ed andate di corsa.

Instancabili Alajmo.
La loro griffe sul restyling del più storico locale sotto i portici delle Paratie Vecchie di Piazza San Marco non è solo inconfondibile, ma amplifica, in uno dei luoghi più turistici del mondo, lo stato di salute della cucina italiana più ricercata.

Perseveranti Alajmo.
Coraggiosi, assolutamente consapevoli delle loro capacità e, come tali, giustamente spavaldi, anche in un ambiente in cui il cibo di qualità può passare in secondo piano. Ma non per “i fratelli” che hanno messo in piedi e iniettato carburante ad una macchina da guerra -che conta qualcosa come centocinquanta dipendenti circa- che si pone quale obiettivo quello di far letteralmente godere clienti golosi.
Scrutare il fascino della Basilica di San Marco, la folla di gente e gli stormi di piccioni e gabbiani che sorvolano la piazza, gustando la cucina -tra queste mura di concezione più tradizionale, ma pur sempre trasversale- di uno dei rivoluzionari del fornello ha certamente un prezzo, ma il piacere è pari allo sforzo economico per poterselo permettere. Specie se un inappuntabile servizio di sala, accondiscendente, sapientemente informale e di grande simpatia, rende l’esperienza di prim’ordine.

Non aspettatevi i sussulti continui e i colpi d’ala di Rubano, perché qui al Quadri la missione è comprensibilmente diversa: qui si punta alla classicità, squisitamente intesa come la reinterpretazione d’autore, ma senza particolari stravolgimenti, dei piatti più popolari della cucina italiana eseguiti con gli immancabili virtuosismi tecnici ed una imprescindibile selezione dell’ingrediente. Al timone della cucina c’è Silvio Giavedoni, uno degli storici collaboratori di Alajmo, in grado di garantire brillantemente la qualità delle preparazioni.
Troverete spaghetti, lasagne, risotti e primizie di grande qualità, nonché rifacimenti di classici come il cannolo siciliano che, con l’innesto di un connotato extraterritoriale, trova un intrigante ricollocamento geografico diventando “veneziano”. E poi c’è l’immancabile aspetto ludico di Alajmo, che con il Bellini Margarita si diverte a trasformare il più famoso soft drink dell’Harry’s Bar in un freschissimo dessert, in cui l’elemento alcolico del Cointreau con le sfumature della mela verde e della pesca bianca rimanda all’altrettanto famoso cocktail.

Forse il presupposto per apprezzare a pieno questa tavola è quello di optare per uno dei menù degustazione (vincolato, come spesso accade, a tutto il tavolo); i piatti in carta, infatti, seguendo correttamente le stagioni, tendono a presentare le medesime basi ed ingredienti e può capitare di imbattersi in qualche sapore o ingrediente reiterato tra una portata e l’altra. Forse questo è un aspetto sul quale si può ancora migliorare.

Ciò detto, la qualità dei piatti è elevatissima e la soddisfazione a tavola è assicurata.
Nota di merito per una carta dei vini importante ma inaspettatamente accessibile.
Complessivamente, lo ribadiamo, l’esperienza si colloca tra quelle economicamente più impegnative dell’intero Stivale (è sempre possibile cogliere dal sito web l’occasione “carpe diem” per usufruire di uno sconto abbastanza consistente, pagando in anticipo), ma bisogna ricordarsi che si sta mangiando la cucina di uno dei più grandi cuochi italiani di sempre, seduti in un luogo che trasuda storia, affacciati su una delle piazze più frequentate, in una città unica al mondo. Il che non è affatto male.

Piazza San Marco, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia

Il sacchetto del pane, un’unica eccellente qualità.
pane, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Il trittico di aperitivo: si va da una crostatina con pomodoro e tagliatella di mozzarella, ad un sandwich con barbabietola ed un assaggio di carpione.

aperitivo, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco

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Eccezionale ed estremamente persistente la pesca frullata con cetrioli, finocchi e sorbetto al lampone.
pesca, sorbetto al lampone, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Panzanella di scampi marinati. Fresco, imprescindibile dalla qualità della materia prima.
panzanella di scampi,Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
L’orto extravergine è uno dei classici di Alajmo: polpa di melanzane, pomodoro in diverse consistenze e lavorazioni, basilico, pistacchi pestati, olive, origano, cipolla rossa e sfoglie croccanti di grano duro. Un inno alla terra durante la bella stagione.
Orto Extravergine, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Cappuccino di laguna: reinterpretazione del più famoso cappuccino di seppie al nero, con cozze, vongole, gamberetti di laguna, canocchie, seppie, garusoli e alghe, il tutto ricoperto dalla classica spuma di patate.
Cappuccino di Laguna, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Di grande freschezza ed equilibrio i mezzi paccheri con crudo di pesce e crostacei, capperi e basilico, inebriato da un fantastico succo di pomodori datterini che ruba la scena al più nobile scampo.
mezzi pacchetti con crudo di pesce, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Risotto alla lavanda, zafferano, rosmarino e sorbetto di melone. Piacevoli i contrasti, ma lo zafferano sovrasta la lavanda.
Risotto, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Gli Spaghetti alla busara di cannocchie “schie” e latticini di seppia, ovvero golosità, generosità e semplicità.
spaghetti alla busara, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
“Scartosso de pesse” e ortaggi fritti con salsa Quadri. Piatto semplicissimo, ma pur sempre tecnico e goloso.
scardasso de pesse, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
scartosso de pesse, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Maialino croccante con ortaggi brasati e gelato di senape all’estragone. Altro cult di casa Alajmo. Eccezionalmente defaticante il dragoncello e salsa a specchio (è il caso di dirlo, visto il riflesso della carne) sontuosa.
maialino croccante, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Cannolo alla veneziana. Interessante la cialda, non proprio come quella di un tradizionale cannolo. Un fantastico sorbetto all’albicocca in accompagnamento.
Cannolo, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Il brillante Bellini Margarita.
brillante bellini, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Eccellenti coccole finali: cioccolato bianco e lamponi, nocciola e caffè.
piccola pasticceria, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
Scorci della storica sala.
sala, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
sala, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
sala, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
sala, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco
L’ingresso del Caffè.
sala, Quadri, Chef Silvio Giovadoni, Venezia, Piazza San Marco