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Chat qui rit

Un angolo gourmand a pochi passi da San Marco

Nel dedalo di Calli a ridosso di Piazza San Marco, la storica insegna dello Chat qui rit non passa inosservata, sembra sospesa in aria e nel tempo. Abbassando la sguardo, le ampie vetrate del ristorante rivelano invece un locale moderno ma informale con alcuni bellissimi dettagli del passato abilmente armonizzati. Un po’ come la sintesi della cucina in questo angolo di Venezia, che propone piatti moderni anche interessanti che si lasciano ispirare dalla tradizione lagunare, facendo leva su prodotti eccezionali che in alcuni casi non hanno bisogno di troppe contaminazioni.

Originale interpretazione della cucina Lagunare

La cucina dello Chat qui rit è oggi affidata al duo Davide Scarpa e Leonardo Bozzato; nei loro piatti colpisce la tecnica e la rotondità dei sapori, cercata anche con gli abbinamenti più spigolosi. I gamberi scottati, ad esempio, di pregevole qualità sono nascosti nella spuma di patate al tartufo, con i funghi pioppini all’aceto che sgrassano il boccone e ben si abbinano al pistacchio alla base del piatto. Meno celebrale il baccalà mantecato, abbinato alla salsa di nduja, leggermente piccante, e agli asparagi.

Tanta tradizione sapientemente rimodulata si riscontra nei mezzi paccheri con salsa di seppie in “tencia”; sulla base c’è una fresca crema di piselli in contrasto con la salsa al nero, che condisce la pasta. Croccantezza e spinta iodata arrivano dagli zotoi, piccoli calamaretti fritti, e dalle erbe spontanee che crescono in riva al mare. Con poco mordente nelle linguine agli anemoni di mare e scampi crudi, dove nonostante la nobile materia prima, al palato il gusto è fin troppo delicato.

Molto originale il dessert sapori e profumi di una passeggiata nelle Langhe, ovvero un biscotto alle nocciole con gel ai porcini e un fresco gelato al rosmarino.

Il servizio è puntuale e professionale, sebbene a volte fatichi a trovare l’empatia col cliente. Importante (anche nei ricarichi) la carta dei vini, che risulta originale e ragionata, senza disdegnare grandi, blasonate etichette italiane e non.

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Venezia non abbassa la testa

Venezia sta velocemente spazzando via molti dei luoghi comuni che la riguardano: nell’annus horribilis dell’acqua alta da record, del covid e della conseguente totale assenza di turismo extra-europeo, la città si sta rimboccando le maniche come forse mai prima, mettendo in mostra tutte le sue bellezze più scintillanti.

Tra queste, l’accoglienza e la ristorazione stanno vivendo una fase di fulgente euforia. C’è l’imbarazzo della scelta su dove cenare o assaggiare una preparazione che “merita” il viaggio: un grande baccalà mantecato, delle sarde in saor da sballo o una cena completa, di grande livello. Gli alberghi di gran classe non sono mai mancati, ma alla ristorazione veniva riservata l’ultima voce di sviluppo: più importante il concierge che una colazione da urlo, più importante la vista sul Canale di quanto si trovava nel piatto al ristorante  dell’hotel. Ebbene, Venezia, tutto questo, lo ha sovvertito.

Anche a Palazzo Venart, che si propone come una delle mete più importanti per il cliente che pone il cibo in cima alla piramide delle componenti fondamentali per passare una buona vacanza. E non parliamo solo della cena al Glam, ma anche di una colazione alla carta semplicemente perfetta o di un servizio in camera di grande qualità. La struttura, inutile dirlo, è stupenda, una perla rara fuori dalle calli più trafficate di Venezia (eppure a 10 minuti a piedi da Rialto), arricchita dalla presenza di un bellissimo giardino che si getta sul Canal Grande. Aggiungiamo un servizio di grande empatia e avremo l’identikit di uno dei migliori alberghi dello Stivale.

Un talento della Nuova Cucina Italiana

Del Glam avevamo già parlato con toni entusiastici lo scorso anno. Questa visita è stata una riconferma del grande talento di Donato Ascani, un classe ’87 che è ormai una certezza oltre che un ottimo prospetto, e della straordinaria bravura di Enrico Bartolini nel saper scegliere i propri collaboratori e sapere indirizzare la nave dove sa che ogni componente del gruppo renderà al meglio.
Non è quindi più una sorpresa che qui si possa passare una delle migliori esperienze gastronomiche d’Italia.

La cucina di Ascani punta forte sull’aromaticità delle erbe, accomodando sensazioni amare e acide spigolose con grande bravura: si vede che qui officia un cuoco che ha grande palato e grande sensibilità, che ama gli ingredienti e li sa trattare. Non è un mistero il fatto che sia lui stesso la mattina presto a recarsi al mercato per la spesa del giorno o che intrattenga scambi con i coltivatori presenti in laguna: un cuoco che tiene i rapporti diretti con produttori è già espressione di persona molto lungimirante, perché ha capito che la crescita del territorio e della filiera produttiva di prossimità sarà certezza di crescita del suo ristorante. Ed è quello che fa Ascani, andando a cercare la migliore zucchina di Sant’Erasmo presente in laguna, le erbe, i bovoleti, portando i capisaldi della cucina veneziana a un nuovo livello. I suoi piatti sono scoppiettanti, mai banali, con una nota di freschezza che invoglia sempre al passo successivo.

I margini di crescita ci sono e sono ancora legati all’equilibrio del percorso. L’utilizzo di erbe nella quasi totalità delle preparazioni è un gesto coraggioso, ma che richiede grande attenzione nel dosaggio e nella costruzione del piatto. In qualche occasione, pur toccando sempre punti di interesse molto alti, sopravviene una certa monotonia, che va assolutamente evitata. Così come abbiamo trovato curioso ritrovare molti piatti già provati nella precedente esperienza, ma in questo può senza dubbio aver contribuito il lungo lockdown.

Dettagli insomma, che annotiamo spinti dall’interesse di come si possa ulteriormente affinare questo menu. Rimane la convinzione di essere davanti non solo a una cucina dalla forte identità, tecnicamente perfetta, ma anche a un ristorante completo in tutte le sue voci, dove un gruppo giovane e affiatato sembra diventare sempre di più una squadra.

Se potete, regalatevi il sogno di almeno 24 ore a Venezia attorniati dalla bellezza e dall’ospitalità di Palazzo Venart, in una città che non smette mai di stupire e di far innamorare.

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A tavola nella Venezia nativa

Una costellazione di 62 isole compone l’arcipelago della Laguna più famosa del mondo: oltre a Venezia, Santa Cristina, Sant’Erasmo, Mazzorbo, Torcello, San Michele, ciascuna con la sua anima, ciascuna con la sua storia. Mazzorbo è legata a Burano da un ponticello, lo stesso percorso in passato da chef del calibro di Paola Budel e Antonia Klugmann. Un gineceo culminato, e forse anche superato, da Chiara Pavan che, qui, officia oggi con la complicità, nella vita come dietro ai fornelli, di Francesco Brutto.

Sorprendente la sinergia che lei prima e, poi, la combo dei due ha instaurato con Matteo Bisol, tenutario non solo del progetto fisico ma anche di quella visione di recupero di una Venezia nativa che qui si ritrova già nel nome, Venissa, oppure Venisia o Venusia, come canta il poeta Andrea Zanzotto. E che si concretizza nel coinvolgimento attivo degli abitanti dell’isola, che nei ventimila metri quadri del parco agricolo cinto ancora dal muretto medioevale – clos, per gli amici –  vantano orti dove, oltre alle coltivazioni, crescono spontanee tutte le erbe della laguna: salicornia, salsola soda, santonico, erba stella e così via.

Etica ed estetica in cucina

Un progetto di spessore e non solo, a tavola come anche nella vita, considerando che la sua madrina vanta trascorsi accademici in filosofia, indirizzo estetico. E proprio questo impianto, che non è solo dunque etico ma anche profondamente estetico, è alla base di una filosofia che sarebbe piaciuta a Gualtiero Marchesi e non solo per l’encomiastico spaghetto all’oro, ma anche per il suo legame viscerale col territorio, lui che presagiva un futuro culinario in cui l’effetto campanilistico della cucina italiana si sarebbe moltiplicato fino a trasformare il chilometro in metro zero.

Il menu è, quindi, quanto di più mutevole si possa immaginare, cambia quotidianamente e quotidianamente mette alla prova i suoi interpreti, chiamati a misurarsi con la fluidità di gradienti che investono non solo le componenti organolettiche degli alimenti ma anche i loro cromatismi: ed ecco che tutto è verde, in questo preciso momento dell’anno, e verde è anche lo spirito che anima ogni piatto abitato da una superba immediatezza di gusto che sa, però, anche prendere una traiettoria ascensionale e  incalzante nel corso dell’intero menù.

Ove spiccano ravioli di artemisia, con miso di pinoli ed erbe, dove il  carboidrato lascia al vegetale il ruolo del protagonista, o i mitici (nel senso di mitologici) spaghetti all’oro, intinti nel succo della Dorona acerba, varietà autoctona dell’arcipelago della Venezia nativa.

Un leitmotiv assai lieto e fecondo, questo della Venezia nativa, e tutto avvitato intorno ai frutti di Mazzorbo che si corona in un gioco finale – il ghiacciolo di Dorona acerba e liquirizia – vessillo di un palato tanto sensibile quanto peculiare: che non ha bisogno dei fuochi d’artificio per stupire.

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A tavola, in barca, a Venezia

A partire da luglio Edipo Re Srl in collaborazione con Alpes Inox e con la partecipazione di Hotel Cipriani presenta ‘ALIMENTA ANCORA – Residence Kitchen’: sei ristoranti uniti nel cuore della Laguna a bordo della Edipo Re per la rinascita di Venezia.

La bellezza può assumere svariate forme, per lo più soggettive e quindi adattabili ai canoni che ognuno di noi possiede. Ma in certi casi la bellezza è oggettiva, un puro dato di fatto. Possiamo identificarla nel profilo della città di Venezia che si staglia nel rosso del tramonto, o nella brezza della laguna che gonfia le vele di un’elegante barca di legno, o ancora nel boccone delizioso mangiato in compagnia di un amico. Unendo le tre cose ecco prendere forma una sorta di sogno ad occhi aperti che, a ben vedere, in certi casi può rivelarsi reale.

Lo scenario come si è detto è quello della laguna veneziana, ma vissuta da un punto di vista intimo, quello che solo un veneziano conosce, ossia dalla poppa di una barca. E non una barca qualunque, bensì l’Edipo Re, la vela a motore di 16 metri appartenuta al pittore Giuseppe Zigaina e a Pier Paolo Pasolini, luogo di incontro di grandi intellettuali del Novecento come Elsa Morante e Alberto Moravia, ma anche angolo di pace della mondana Maria Callas, che qui si rifugiava per assaporare qualche momento di libertà. Una barca che ne avrebbe di storie da raccontare e che oggi è stata riportata agli antichi splendori dalla famiglia Righetti, orgogliosa di continuare a tracciarne la storia.

Sospinti dalle onde ci avviciniamo dunque ai protagonisti di questo viaggio: Angelo, Francesca, Sibylle e Riccardo Righetti che, nel 2011, hanno dato inizio al progetto appassionato che è diventato oggi l’Edipo Re Srl Sociale, una realtà da diversi anni impegnata nella valorizzazione del patrimonio territoriale e nello sviluppo di progettualità culturali, connotate da un forte impatto sociale, dove le arti e il territorio si intrecciano tra loro dando vita a spazi di socialità imprevisti. A bordo della storica imbarcazione prendono posto poi gli altri protagonisti di questa avventura: Oro Restaurant, Alle Testiere, Al Covo, Antiche Carampane, Local e Glam. Sei tra i più rinomati ristoranti di Venezia, pronti a dar vita a vere e proprie meraviglie nella cambusa dell’Edipo Re.

Salpata l’ancora e arruolato l’equipaggio, non resta che dispiegare le vele e illustrare la meta di questo viaggio: il progetto “Alimenta Ancora – Residence Kitchen” dove i sei ristoranti veneziani si uniscono al di sotto di un’unica vela per promuovere una forma di turismo sostenibile, capace di immergersi e dialogare in modo etico con la cittadinanza e l’ambiente circostante. Un vero e proprio viaggio che prende il via in tarda mattinata per protrarsi fino al tramonto, con l’aperitivo con vista sul campanile di Piazza San Marco. Lungo il tragitto, tra un tuffo nelle acque limpide della laguna e un calice di vino della selezionata cantina di bordo, gli chef accompagnano i loro ospiti con i 6 cichetti che li rappresentano, per poi continuare con i piatti ispirati dal momento, preparati dalle mani sapienti dello chef presente a bordo di volta in volta.
Un viaggio epico come il nome della barca che lo intraprende che, però, è ben lontana dalla tragedia greca e molto più prossima all’idea di Paradiso.

Benvenuto nuovamente ad un amico di Passione Gourmet e uno storico gourmet di fama planetaria, Giancarlo Saran.

La nuova “fatica”, in Certosa, degli Alajmo Bros’

Se cercate un angolino per ritagliarvi qualche ora godendo dei piaceri terreni al motto de “il paradiso può attendere”, ecco qua il millesimato 2020, così fresco di debutto da diventare già un instant classic.

L’Hostaria in Certosa è l’ultima coccola golosa dell’Alajmo Orchestra che, a Venezia, sta mettendo radici sempre più profonde. Dopo il Quadri (con le sue varie declinazioni) e AMO, presso lo storico complesso del Fondaco dei Tedeschi, voilà la nuova mission: riportare la bellezza in un’isola abbandonata della laguna. Eppure la Certosa ne avrebbe di storie da raccontare. È stato uno dei primi luoghi abitati tra i molti di una Venezia tutta da costruire. All’inizio insediamenti monastici, sede di orti storici, il tutto fatto poi sloggiare dalle truppe napoleoniche. Poligono per le esercitazioni militari dei lagunari, cui è seguito un progressivo abbandono. Ma ora è ripartita, per viverla con la bellezza che merita. San Marco è a tiro di selfie, poche bracciate più in là. Il lido ad un tiro di tappo. Eppure si è lontani dalla pazza folla; di sottofondo lo sciacquio lento delle acque di una laguna tutta da scoprire. Di questo progetto di recupero se ne occupa la società Vento di Venezia, nella persona di Alberto Sonino. In poche settimane, dopo un lungo corteggiamento, con Raffeale Alajmo e il suo dream team hanno dato vita a questo piccolo angolo di bellezza golosa.

Ai fornelli Silvio Giavedoni, esperto di start-up culinarie per le truppe cuciniere di Massimiliano Alajmo. Ampio spazio all’aperto con i tavoli che fanno respirare un’aria di serena libertà. Personale cortese e attento, che vi fa sentire di casa da subito. La cucina vola leggera, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Il pescato è a lenza zero, gli orti saranno dietro le cucine, tornando a quella che era una delle caratteristiche di questo luogo. Sul resto pancia mia fatti capanna, testa bassa e pedalare.

Un piccolo consiglio. Andate pure di bis e tris come vi garba tra antipasti, primi e secondi, ma al dessert non c’è storia. Gelato alla vaniglia scodellato sulla focaccia della casa, un festival di speziature intriganti. Non ce n’è per nessuno.

Per chi non può staccarsi dal timone di comando del suo Riva biturbo o della caravella a tre alberi non c’è problema: basta prenotare e vi preparano il take away per tutta la ciurma.

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