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Vite

Tra hub creativo e concept store

TAD (acronimo di Treviso Arts District) è un edificio polivalente, progettato secondo un modello di hub creativo che ci si aspetterebbe di incontrare a New York o a Miami più che a Lancenigo, alle porte di Treviso. In parte museo, in parte temporary store, in parte bar e ristorante con diverse caratterizzazioni. Tutto all’insegna del “concept“, parola spesa generosamente nella presentazione degli ambienti. La punta di diamante, sotto il profilo gastronomico, è Vite, locale dagli arredi prevedibilmente molto originali (i cui elementi, diversi in ogni sala, sono tutti acquistabili dai clienti, comprese le piante idroponiche), affidato alla guida di Redha Marzo, in sala, e di Simone Selva, in cucina.

Selva ha 25 anni; alle spalle un breve periodo alla guida della cucina di Wisteria, culminato con il conseguimento di una stella Michelin nella Guida 2022 e preceduto da un percorso di formazione a fianco di due delle più luminose teste pensanti della cucina veneta e non solo: Lorenzo Cogo e Francesco Brutto. Con questi presupposti, difficile prevedere che il menu “T.E. True Emotions“, otto portate proiettate verso la “massima performance” (in alternativa ci sono “V.I Vision Inspire” da cinque portate, che rappresenta il biglietto da visita dello Chef, e il menu à la carte), abbia caratteristiche accomodanti e confortevoli.

Prova di forza

E così sarà: parecchi “schiaffi”; poche, pochissime, “carezze”. In primo piano la botanica (quasi tutti i piatti sono caratterizzati da elementi vegetali a crudo), le fermentazioni, le estrazioni (anche estreme), l’utilizzo di tecniche orientali, di ingredienti acidi e amari, la ricerca ossessiva dell’umami. Tra i benvenuti convince in pieno il Paté di garusoli e foie gras, sabbia al goulash e carpione alle rose servito con pan brioche al silene.

Tra i piatti fanno centro il Cavolfiore con mou al whisky torbato, tamarindo e umeboshi, nel quale la materica croccantezza dell’ortaggio supporta e contrasta un vortice di sapori a aromi, e i Tortellini di crauto con latte di angelica, bitter alla cicoria, olio di soia e peperoncino: dimensione minuscola e sfoglia spessa, a sostenere l’intensità degli altri ingredienti che compongono il piatto. Nonostante questi siano completamente diversi, assaggiando ritorna netto il ricordo di un capolavoro di Brutto: i Tortellini di tamarindo fermentato, panna e angostura.

Il vertice del menu si raggiunge con il Piccione in tre servizi: il petto con olivello spinoso, cannella e tabasco affumicato, la “finta cannella“, una cialda di cipolla e mango ripiena di patè di rigaglie e l’empanadas fritta, farcita con la coscia. Piatto di grande classe: esecuzioni impeccabili, nessun eccesso, anzi un equilibrio perfetto tra complessità e immediatezza. La sequenza salata si chiude con uno dei piatti-firma dello Chef: Penna liscia alla birra Lambic, anguilla in boreto, sesamo e pelargonio. Una detonazione gustativa a cavallo tra dolcezza, grassezza e sapidità; alla pasta viene conferita una consistenza callosa, al limite del coriaceo, per reggere l’impatto con la salsa ottenuta dalla riduzione di birra Lambic alla ciliegia. Appare forse eccessiva la porzione: al termine di un menu con queste caratteristiche, uno o due bocconi sarebbero stati più che appaganti.

Un percorso, questo, che non vuole essere per tutti, orientato com’è verso la concentrazione del sapore senza compromessi. Una sorta di prova di forza, pressoché priva di passaggi che allentino la tensione, è richiesta la massima attenzione da parte di chi assaggia. Ci si perdoni la metafora automobilistica: resta la sensazione che si viaggi a pieni giri con una marcia corta, facendo “urlare” il motore, e che sarebbe sufficiente ingranare la marcia superiore per aumentare la velocità e ottenere risultati ancora più eclatanti con minore dispendio di energie. Ed è questo il motivo per cui, al momento, limitiamo il punteggio a 16, convinti che sia a portata di mano un ulteriore salto di qualità.

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50 anni di Custoza

Continuiamo l’approfondimento di alcune denominazioni venete parlando del Custoza, denominazione nata nel 1971, il nome venne dato dall’omonima frazione del comune di Sommacampagna, a circa 20 km c’è Sirmione e a circa 40 Soave: ci troviamo al confine fra tre regioni da sempre vocate alla produzione di vino bianco.

Della DOC fanno parte nove comuni: Sommacampagna, Villafranca di Verona, Valeggio sul Mincio, Peschiera del Garda, Castelnuovo Veronese, Sona, Bussolengo, Pastrengo, Lazise che hanno un denominatore comune: suoli ricchi di scheletro, ghiaia e depositi sassosi. 

La composizione del suolo del Custoza è prevalentemente calcarea è l’indiziata numero uno dell’evidente sapidità presente un po’ in tutti i vini di questo territorio. 

La zonazione, compiuta dal professor Attilio Scienza e dal suo team di Milano, ha messo poi in evidenza tre diversi distretti, gli anfiteatri morenici, la pianura alluvionale pre-wurmiana e del Wurm (quarta glaciazione del Pleistocene, da 110 a 12.000 anni fa) e la pianura alluvionale risalente al periodo successivo (dai 11.000 anni fa).

Il blend: la natura del Custoza

La caratteristica del Custoza è sicuramente il blend di uve che lo compone, un valore che in realtà va custodito e difeso, Custoza è un mix che per il 40% unisce la tocchi fruttati e floreali della Garganega, dal 5 al 30% Trebbianello (biotipo locale del tocai friulano), fino al 30%  di bianca Fernanda, che reagala sentori delicatamente fruttati (clone sempre locale del piemontese cortese). Il restante 30% il disciplinare lo concede ad altri vitigni come Malvasia, Trebbiano, Riesling , Pinot bianco, Chardonnay e Incrocio Manzoni 6.0.13.

In fase di degustazione si sono trovate molte sorprese e alcune conferme, sicuramente dei vini estremamente attuali e contemporanei che uniscono tanti profumi, un corpo deciso ma anche tanta freschezza  e sapidità a confermare il fatto che tutti questi vitigni assieme esaltano il territorio.

Custoza Superiore Doc Amedeo 2019 Cavalchina

Di grande impatto il giallo dorato che appare sul calice. Grande impatto olfattivo, note minerali di roccia, fumè per poi aprire al frutto mela golden, melone, ananas, soffio floreale. All’assaggio rivela una materia calda e polposa stupenamnte bilanciata da uno slancio infinito che mette in mostra un finale lunghissimo salino e minerale. Vino di grande profilo, da sempre un faro per la denominazione. 94

Custoza Doc 2020 Costantia Villa Medici

Giallo dorato intenso. Olfatto caldo e solare, schiude un ventaglio aromatico di  frutta tropicale, melone, passion fruit, ananas, note dolci di fiori di zagara, mughetto, tocco minerale. Sul palato caldo, ricco, cremoso, salvo poi mostrare uno slancio fresco-sapido notevole. Ottima la persistenza e il finale salino. 94

Custoza Doc 2020 Monte del Frà

Paglierino intenso. Olfatto pulito e preciso, note croccanti di mela golden, pera, pesca bianca, fiori bianchi di acacia e biancospino, soffio agrumato. Bocca molto piacevole ed equilibrata, buona la polposità percepita, da metà bocca arriva una sciabolata fresco-sapida che gli dona allungo. Lungo il fanale sapido e salino. 93

Custoza Superiore Campo del Selese 2019 Az.Agr.Albino Piona

Paglierino intenso con riflessi oro. Olfatto espressivo e generosissimo, offre nette e precise note di frutta tropicale papaya, melone bianco, ribes bianco, agrumi, fiori bianchi, erbe aromatiche timo e basilico. Bocca dinamica e precisa, la migliore finora. Buona la materia percepita, ottimo lo slancio fresco-sapido, finale persistente  e salino. 93

Custoza Doc 2020 Vino Biologico San Michelin Az.Agr.Gorgo

Giallo dorato. Naso intenso e luminoso, emergono delle finissime sensazioni di frutta a polpa bianca, pera, pesca, note agrumate, iodate, erbe aromatiche, salvia, sfalcio d’erba. Bocca piacevole, dinamica, fresca, salina. Si avverte materia e poi un grande slancio fresco-sapido. Ottima la persistenza. 92

Custoza Superiore Elianto 2018 Menegotti

Pglierino intenso alla vista. Buono e complesso il ventaglio aromatico, sprigiona aromi di mela verde, pesca bianca, sfalcio d’erba, erbe aromatiche, nota floreale. Bocca consistente e ricca, carnoso nel frutto che esprime  bilanciato da un’ottima vena fresco-sapida che lo slancia. Altro vino che non teme il confronto con zone più blasonate. 90

Custoza Doc 2020 Cavalchina

Paglierino intenso alla vista. Ottimo l’approccio olfattivo, che inizia con aromi di  frutta bianca, mela, pesca, pera, per passare poi a note agrumate e vegatali, tocco fumè. Bocca fresca, piacevole e fine. Buona la parte fresco-sapida, vino dinamico ed equilibrato, finale salino e agrumato. 90

Custoza Doc 2020 Il Pignetto

Paglierino alla vista. Sequela aromatica fragrante e fresca, si susseguono frutti a polpa bianca mela, pera, pesca bianca, erba, salvia, fiore di agrume. Secco, bel carattere, esprime polposità e poi un grrande nervo fresco-sapido. Finale salino e slanciato, vino dinamico e fresco. 90

Custoza Superiore Doc Vino Biologico Summa 2019 Az.Vin.Gorgo

Giallo oro alla vista. Profumi consistenti e densi di mela gialla matura, pesca, note vegetale di fieno, tè verde, nota speziata di pepe bianco. Sul palato solido, ricco, intenso, consistente, buono l’equilibrio e la persistenza, finale minerale e salino. Vino completo, di carattere. 89

Custoza Superiore 2019 Monte del Frà

Paglierino intenso. Olfatto ricco e piacevole che spazia fra note tropicali di melone, ananas, mela, limone giallo, note di erbe aromatiche e pepe bianco. Bocca filante, buona la consistenza del frutto percepita ma estremamente scorrevole, equilibrato da un’ottima vena fresco-sapida. Buona la persistenza. 89

Un sodalizio ambizioso

Chi non conosce queste zone a cavallo tra le province di Verona e Rovigo potrebbe pensare che si tratti di una nuova apertura, o quasi. Al contrario, parliamo di un’istituzione. Le 4 ciacole è una locanda vera, con le camere, di quelle che si trovano solo in aperta campagna, di solito nella piazza principale di un paesino di poche case, di fianco alla chiesa.

Decenni di lavoro di una coppia di osti vecchia maniera, Tiziano e Gabriella Scandogliero, l’hanno resa un punto di riferimento per la zona, continuando ad accrescere con costanza la qualità della propria offerta pur mantenendo inalterata la formula del locale. Poi la svolta. Al loro fianco entra in gioco il figlio Marco: carriera rapidissima nel settore enologico, che lo vede miglior Sommelier del Veneto nel 2016, redattore della Guida ai Vini di Verona in collaborazione con il quotidiano l’Arena e anchor-man nelle televisioni locali.

Il progetto diventa ambizioso e il locale si divide in due: da un lato La Dispensa con un’offerta decisamente raffinata di norcineria e formaggi, dall’altro il ristorante. È in quest’ultimo che si concentrano gli investimenti, con un remake completo della cucina, a partire dall’imponente spiedo che campeggia di fronte al pass e con l’ingaggio del cuoco più in vista della zona, Francesco Baldissarutti: un altro che di storia ne può raccontare parecchia, a partire dal lungo periodo trascorso a fianco di Giancarlo Perbellini nel ruolo di sous-chef, per continuare con l’anno di lavoro al Celler de Can Roca e per finire con il percorso di affrancamento in veste di chef del Ristorante Perbellini, iniziato nel 2014 dopo la partenza di Giancarlo per il centro di Verona. Una partita non semplice, vinta senza ombre.

Le 4 Ciacole: giochi e sapori

Ambiente rustico e accogliente, cucina a vista scintillante, cantina di ricerca e servizio informale fanno da contorno a una cucina solida, intensa, centrata nei sapori, raffinata nelle tecniche ma mai leziosa.

Se il kebab di sedano rapa allo spiedo con latte di kefir e gelatina di acqua di rapa rossa centra l’equilibrio passando attraverso il contrasto tra acidità e note lattiche, i due primi piatti giocano le loro carte sul comfort e sull’immediatezza. Il risotto “Ho mantecato una pizza alla marinara” è un classico dello chef: esecuzione da manuale, linearità nella costruzione del piatto (mantecatura al pomodoro, acciughe del Cantabrico leggermente affumicate, spuma di aglio nero fermentato, origano secco e fresco, polvere di pane croccante), sapori centrati e gioco pienamente riuscito, almeno quanto il successivo pollo arrosto con le patate che non ti aspetti: tortelli ripieni di cremoso di patate arrosto, immersi in un brodo concentrato di pollo allo spiedo e accompagnati da erbe acide.

Scioglievole, sapida, golosa la costina di Mora Romagnola, preparata come una porchetta, con salsa alla radice di liquirizia e insalatina di cerfoglio, levitino, nipitella e finocchietto. Peccato per l’impiattamento perfezionabile non solo sotto il profilo estetico (per come è versata la salsa) ma anche nella sostanza per la temperatura a cui viene esposta la parte vegetale del piatto. Magistrale, invece, la chiusura, affidata a una versione evoluta dell’After Eight: menta, cioccolato, peperoncino e arachidi salate. Godibilissima, soprattutto per chi nei dessert cerca un tono zuccherino medio basso e presenza di sapidità e piccantezza.

Un sodalizio promettente, quello tra Marco e Francesco, che ha visto la luce nel momento più buio nella storia della ristorazione moderna, e che solo ora inizia a dare i risultati sperati.

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Un taglio bordolese in Veneto

Uno dei tagli bordolesi più storici italiani nonché motivo di questo racconto arriva dal cuore del Veneto, ed è prodotto da più di 50 anni, precisamente da Venegazzù, frazione del comune di Volpago del Montello (Treviso) da Loredan Gasparini.

L’azienda produttrice è stata fondata negli anni Cinquanta dal Conte Piero Loredan, diretto discendente del Doge di Venezia Leonardo Loredan (il quale scelse il territorio di “Vignigazzu”, alias Venegazzù, per stabilirvi la propria dimora in una splendida villa palladiana). Villa Spineda, circondata da vigneti in una zona tradizionalmente vocata alla produzione di vini di pregio, tanto che nel lontano 1590 lo storico Bonifacio ne tesseva le lodi nella sua “Historia Trevigiana”, trova felice risposta nei terreni terreni argillosi, ricchissimi di ferro e componenti minerali.

Da quanto è radicata la tradizione dei rossi in questa zona nell’Enciclopedia Treccani, pilastro del sapere italiano, si trova identificato sotto la voce “Venegazzù” il nome di “…un vino pregiato  rosso da tavola prodotto in quantità limitata nella zona di Venegazzù”.  Dunque, un vero e proprio cru. 

Negli anni ’70 tutta la proprietà, cantina e vigneti inclusi, fu acquistata dalla famiglia Palla e oggi è gestita da Lorenzo Palla con passione e rispetto per l’ambiente. I vigneti della Cantina Conte Loredan Gasparini Venegazzù si estendono per 60 ettari lungo l’Alta Marca Trevigiana, un’area collinare che comprende i due principali rilievi: Asolo, famoso per la produzione di Prosecco, e Montello, popolato da boschi e costituito da terra rossa e ricco di ciottoli calcarei, granito, porfido e argilla e vocato per la produzione di vini rossi. 

Venegazzù, in verticale

Il Venegazzù di Loredan Gasparini è realizzato a partire da un assemblaggio dove, accanto al Cabernet Sauvignon, che rappresenta il 70% del prodotto finale, si aggiunge il 15% di Merlot, 19% Cabernet Franc e 5% Malbec. Le uve, dopo la raccolta, fermentano alcolicamente in acciaio, per poi maturare dapprima per 18 mesi in botti grandi di legno, e poi, dopo l’imbottigliamento, per 10 mesi in vetro. Questo blend ricalca il taglio della rive gauche di Bordeaux dove il Cabernet Sauvignon è in prevalenza donando profumi finissimi e uno stile ineguagliabile, portandosi anche in dote la firma del territorio.

Venegazzù della Casa 2016 Montello-Colli Asolani Doc

Splendido il rubino intenso e luminoso che si ammira  roteando il calice. Le sensazioni che si avvertono al naso sono intense, piccoli frutti di bosco, ciliegia, prugna, mora di gelso, tabacco dolce, note fumé, fava di cacao. Bocca intensa, ricca, materia carnosa accompagnata da tannini dolci, tutto giocato senza eccessi, nell’eleganza. Lunga la persistenza su note speziate. Voto 90,5

Venegazzù della Casa 2009 Montello-Colli Asolani Doc

Intenso e fitto il rubino che ci mostra sul calice. All’olfatto dispensa aromi di confettura di ciliegia, mora, prugna, note floreali per passare poi al sottobosco, muschio, felce, eucalipto, pepe nero, ginepro, grafite. Sul palato pieno, ricco, intenso, tannino dolce, finissimo. Vino equilibrato, elegante, lungo finale speziato che mette in risalto sensazioni fruttate finissime. Voto 93

Venegazzù della Casa 2005 Montello-Colli Asolani Doc

Ancora bellissima la veste rubino che si ammira alla vista, l’unghia vira verso un delicato aranciato. Si apprezzano note di ciliegia matura, confettura di more, mirtilli, note balsamiche di arancio essicato, paprika dolce, menta, soffio di pepe nero e ginepro. Sul palato è caldo, materico, tannino di pregevole fattura, vino che dimostra tensione e freschezza. Finale lungo su toni morbidi di frutta, speziati, fumè. Vino in grandissima forma nonostante i 15 anni, ha ancora margini di crescita. Voto 92                                                

Venegazzù della Casa 1997 Montello-Colli Asolani Doc

Olfatto finissimo che si esprime su note di ciliegia sotto spirito, prugna essicata, buccia d’arancia, chinotto, incenso, pepe nero, tostatura di caffè, mentolato, liquerizia, grafite, note di ruggine. Sul palato è sottile, teso, piacevole, tannino presente, vino di estrema eleganza nonostante il tempo. Finale su toni mentolati e speziati. Ha ancora strada da percorrere e trovarsi un vino di più di 20 anni in questa forma mi fa ricredere sulla scarsa longevità  dei rossi italiani. Voto 92,5

Tra futuro e folclore

Se si chiedesse a un turista il motivo per il quale ama trascorrere le proprie vacanze in Italia, rimuovendo dal novero delle risposte quelle che accomunano qualunque meta turistica limitrofa quali cibo, paesaggi e patrimonio storico, il responso ricadrebbe nella maggior parte dei casi su quella caratteristica che rende davvero unico il nostro paese. Un indizio? Si pensi a Chioggia e a quel microcosmo del tutto particolare che è il suo Mercato Ittico.

Come anticipato, non ci stiamo riferendo a quello che è solitamente il nostro punto focale, ossia l’aspetto gastronomico, o almeno non intendiamo in questa sede limitarci a questo sebbene sia sicuramente un altro tratto distintivo e d’eccellenza della Penisola. Ciò su cui oggi vogliamo riflettere è in effetti quell’elemento che sta alla radice del successo e della particolarità del nostro territorio, ciò che ci rende unici agli occhi del mondo: le persone. Una risposta da libro “Cuore” voi direte, ma riflettendoci con maggior attenzione, il preciso vanto di cui disponiamo è piuttosto da individuare in quel patrimonio socio-culturale che ogni italiano si porta dietro nel suo personale bagaglio esperienziale. Quel complesso di tradizioni che si sono tramandate di generazione in generazione, andando a costruire il tipico folclore che caratterizza le diverse zone del paese e che, associato alla solarità intrinseca all’animo italico, ci rendono affascinanti all’occhio esterno.

L’inestimabile ricchezza della laguna veneta

Un chiaro esempio di quanto si è detto finora lo si può trovare in quella pittoresca realtà che è il mercato del pesce di Chioggia. La cittadina che sorge dirimpetto a Venezia, condividendo con essa la laguna, è infatti un luogo che al suo interno racchiude la tradizione secolare di una zona vocata e votata alla pesca quale è il Veneto. Qui, da sempre, i tesori del mare rappresentano l’essenza stessa del territorio; un patrimonio di cui gli abitanti si sono serviti da prima per sfamarsi e poi, con l’avvento del fine-dining, per diffondere un prodotto di alta qualità e portarlo sulle migliori tavole, locali ed estere.

Il Distretto ittico “Rovigo e Chioggia” è una voce importante a livello europeo: una filiera che fattura 800 milioni di euro ogni anno e dà lavoro a 8500 addetti. Grazie alla laguna e al mare aperto si possono praticare diversi tipi di pesca, financo l’allevamento di molluschi bivalvi come la cozza Mitilla® di Pellestrina, di recente segnalata da Forbes tra le 100 eccellenze italiane. Il tutto si traduce in quella realtà che è il Mercato ittico, al dettaglio e all’ingrosso, di Chioggia; un complesso universo nel quale si intrecciano tradizione e progresso.

Antichi mestieri rivolti al futuro

Il primo ogni anno attrae i turisti e i curiosi che qui possono scoprire uno degli angoli più intriganti del paese e comprare dell’ottimo pesce al minuto. Situato in prossimità di Palazzo Granaio, non appena si valica lo splendido Portale a Prisca scolpito da Amleto Sartori, ci si immerge in un luogo senza tempo, dove il trascorrere delle ore è scandito dal riecheggiare delle voci che vanno scemando verso l’ora di pranzo.

Una trentina di postazioni ospitano i mògnoli, i pescivendoli locali e di zone limitrofe che invitano a gran voce gli avventori a visitare i loro banchi, allestiti con il migliore pescato: seppie, calamari, canocie, moeche; e ancora sarde e peoci, caparossoli e bevarasse, ingredienti immancabili nella cucina della massaia locale. Pesce d’acqua dolce o salata, molluschi e crostacei che ogni giorno vengono scaricati dai pescherecci alle prime luci del mattino e poi distribuiti all’asta del Mercato all’ingrosso che rifornisce questo e gli altri mercati locali.

Riservato agli addetti al settore, il Mercato all’ingrosso dal 1960 abita l’Isola dei Cantieri: 11.000 m² che, oltre alla zona adibita al commercio del pesce, tra le altre cose comprendono uffici veterinari, commercianti di ghiaccio e punti ristoro. Un microcosmo che con le aste che si tengono due volte al giorno, al mattino e al pomeriggio, brulica di vita e consuetudini. Come quella che per decenni ha visto sussurrare le offerte direttamente all’orecchio del battitore, oggi rimpiazzata da pizzini vergati a mano, causa Covid e distanziamento sociale.

Sorretto dalla guida illuminata di Emanuele Mazzaro, Direttore dal 2017, questo mercato è pronto ad aprirsi al futuro grazie alla collaborazione con l’Università di Padova e il Cnr-Ismar di Venezia, che sta mettendo a punto il progetto “MarGnet” per produrre carburante a partire dalla moltitudine di cassette di polistirolo che ogni giorno vengono utilizzate, o dalle plastiche rinvenute in mare dagli stessi pescatori. Non è un caso infatti che sul sito si legga: “dal 1960 custodi dell’Adriatico.” Se al livello più alto si è dato il via a questo innovativo progetto, qui ognuno fa comunque il suo per tenere pulito e riutilizzare ogni risorsa. Colpisce dunque duramente il recente attacco approntato dal documentario “Seaspiracy” di Netflix, verso il quale Emanuele Mazzaro non si è risparmiato in termini di critiche.

Il problema dell’inquinamento delle acque e del globo non può essere di certo scaricato con tanta facilità ed immediatezza su persone che fanno un mestiere durissimo, usurante e in certe situazioni addirittura pericoloso. Si pensi al sequestro dei pescatori di Mazara del Vallo in Libia. I pescatori, nella stragrande maggioranza dei casi, sono invece dei veri e propri guardiani dei mari e hanno tutto l’interesse alla salvaguardia del loro luogo di lavoro e di vita.”

La dimensione ideale

Una linea di pensiero che ci sentiamo di sposare e condividere appieno. Si aggiunga poi che i pescatori, così come piccoli produttori e artigiani, rappresentano un substrato fondamentale del Paese, che andrebbe tutelato e valorizzato. È nel piccolo che si rinviene quella capacità di controllo sulla filiera e quella passione – perlopiù sconosciuta a una dimensione maggiore e lucrativa – che garantisce un’ottima qualità del prodotto finale e i tratti netti e distinti propri di ogni mano che lo produce.

Solo così possono venire alla luce creazioni e, in questo specifico caso, piatti, come Yellow Submarine di Massimo Bottura, che si è servito proprio dei freschissimi rombi del mercato per mettere a punto la ricetta servita sulle tavole di uno dei ristoranti migliori al mondo.

Anche Paolo Caratossidis, Presidente dell’associazione ‘Cultura & Cucina‘ e organizzatore del ‘I Festival della Cucina Veneta’ è un grande ammiratore della pesca clodiense e del suo mercato: “Questo è un vero e proprio tempio della Cucina di Mare e un luogo simbolico per tutti i food lovers. Il Pesce è già e sarà sempre più in futuro un elemento dominante nell’alta cucina. La Cucina di Mare ha una marcia in più e ricordiamoci che il pesce (quello pescato, quindi una parte minoritaria) è l’equivalente della cacciagione nel Rinascimento. Un bene che inizia a diventare di lusso e fare la differenza sulle tavole che contano. La grandezza dell’offerta del Mercato Ittico di Chioggia sta nella ricchezza del pescato e nel valore del pesce azzurro che, oltre ad essere buono e versatile, è ottimo anche per la dieta essendo ricchissimo di omega 3.”

Il Mercato di Chioggia, gli uomini che ci lavorano e le consuetudini che questi stessi innescano, sono un patrimonio da custodire e salvaguardare; sono, nel loro piccolo, la grandezza di un intero paese.