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Ma.Ri.Na.

Sono trascorsi ormai più di quarant’anni da quando Pino Possoni avviava, sotto un’insegna a dispetto delle apparenze ispirata dalle iniziali delle sorelle, quello che ancora oggi rimane un baluardo della cucina ittica della provincia di Varese. Allora l’alta cucina era soprattutto sostanza, materia, e poco concedeva a quanto oggi viene invece invece considerato acquisito e imprescindibile.

Oggi come allora il Ma.Ri.Na di Olgiate Olona, stabile come una roccia, con lo stesso riscontro di pubblico e la stessa filosofia, viene portato avanti con entusiasmo immutato sempre da Pino, ma anche dal resto della famiglia, non da ultima la nuova generazione.
Stabile come una roccia, in tutto e per tutto. Una volta parcheggiato sulla piazza antistante l’accesso, lo scorcio non è certo di quelli esaltanti: un’anonima palazzina, con un altrettanto anonimo accesso. Insomma non proprio ciò che ti aspetteresti entrando in un ristorante di una certa levatura, stellato da tempo ormai immemore.
In sala le cose un po’ migliorano: un ambiente caldo e piacevole in cui ci si sente subito a casa, senza elementi che possano indurre timori reverenziali, con il solo difetto dei tavoli eccessivamente ravvicinati. Un ambiente d’altri tempi, che ha senz’altro il suo fascino ma cui gioverebbe, a nostro parere, una piccola rinfrescata.

Non è d’altronde, questo, un luogo di funambolismi estetici o gustativi, né di continue propulsioni di rinnovamento, anche sul fronte della cucina. Al lettore più attento sicuramente non sfuggiranno alcune reiterazioni di quanto già assaggiato in occasione della nostra ultima recensione, risalente a ormai più di sei anni fa. Molti non apprezzeranno una certa gestione degli impiattamenti, o alcune proposte dagli stilemi già percorsi in lungo e in largo, e appartenenti a un passato ormai remoto. Quanto tutto ciò possa essere considerato positivo o negativo dipende naturalmente dalla sensibilità di ognuno: la clientela non sembra certo mancare, a dimostrazione del fatto che per molti la certezza sia un fattore importante al momento della scelta di un ristorante.
Gli estimatori del crudo troveranno qui il loro parco divertimenti: materie prime di freschezza eccelsa, ben valorizzate da semplici quanto fini orchestrazioni culinarie sempre condotte nel segno della discrezione e scevre da ambizioni prevaricatrici. Pregevoli ma di livello inferiore i cotti, tendenzialmente orientati verso una linea accomodante e nel segno di una sostanziale rotondità gustativa, in verità a volte perfino eccessiva nel suo utilizzo di materie grasse. Decisamente meno convincente invece, quanto meno in occasione della nostra visita, la proposta di carne, nello specifico selvaggina di piuma.

Servizio che sin dall’inizio stabilisce una linea empatica diretta con il cliente, con modalità oggigiorno invero un po’ inusuali, con il patron che spesso e volentieri prende posto a tavola per suggerire un percorso costruito ad-hoc, con fulminei tempi di adattamento alle singole sensibilità senz’altro frutto della pluriennale esperienza, e con il figlio a gestire una buona cantina, economicamente moderatamente accessibile e con una buona possibilità di servizio al calice, con proposte anche interessanti ed esborsi non eccessivi.

L’esterno.
Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Mise en place.
mis en place, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Alginate Olona, varese
Le bollicine di benvenuto.
bollicine, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
I primi stuzzichini.
Gamberetti siciliani crudi marinati al limone, pepe di Sichuan su crema di pomodori e fragole, olio di oliva.
Una rivisitazione dell’iconico cocktail nel segno dell’equilibrio tra acidità e dolcezza. È la materia prima a farla da padrone, mentre la cucina accompagna con garbo: al cospetto di cotanta freschezza è giusto così.
cocktail di gamberetti, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Le tipologie di pane.
pane, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Capesante crude su crema di robiola e caprino, sale della Camargue, pepe tibetano e olio siciliano.
Nuovamente un buon equilibrio tra materia ittica e il discreto sottofondo. Riuscito l’abbinamento con le suggestioni del formaggio fresco caprino.
capesante, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Un’ulteriore bollicina.
bollicine, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Aragostina cruda già tolta dal guscio, tagliata e ricomposta, emulsione con capperi frullati, pomodorini frullati e aceto balsamico.
Scampi crudi accompagnati da miele di Melatta (non dolce) con aceto balsamico.
Gamberi rossi con testa staccata e tostata, coda cruda, pancetta tostata, crema finocchi.
Assaggi vari da proposte alla carta, nuovamente nel segno della valorizzazione di crostacei crudi di una qualità al di sopra di ogni possibile elogio, mediante eleganti giochi di contrasti dolci-acidi-sapidi. Degna di menzione la differenziazione texturale dei gamberi rossi, con le teste cotte ad apportare una benvenuta croccantezza e una iodicità più accentuata.
gamberi, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Un Sauvignon bianco, di buon corpo e leggera nota amarognola, a ideale contrasto alla grassezza della materia.
sauvignon, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Crostacei crudi su pietra lavica bollente.
Siamo nel segno di un piacevole gioco di contrasti tra il crudo e il leggermente cotto, nuovamente ad esaltazione della qualità della materia prima, ulteriormente arricchito dalla freschezza aromatica apportata dalle erbe poste alla base.
crostacei, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Un nuovo bianco, più adatto ai prossimi piatti.
damijan, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Tagliatelle di seppia con porcini.
La seppia costituisce di fatto la finta pasta del piatto, per un incontro tra terra e mare che nel risultato gustativo vira decisamente sulla terra.
tagliatelle, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Crema di foie gras e scampi.
Un’accoppiata che più classica non si può, ben realizzata.
foie gras, scampi, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Trippa, frullata con fagioli e bocconcini, polpo cucinato allo stesso modo con cipolla e semi di papavero, pomodoro, acciughina e cipollotto. All’esterno ricotta fresca.
Piatto di suadente morbidezza gustativa, da gustare “cucchiaiando” dall’esterno (ricotta) verso l’interno. Nel gioco melodico delle varie componenti è la trippa a chiudere, con una fine sfumatura.
trippa, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Per la portate a base di carne si passa ai rossi.
vino, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Pappardelle alla pernice, foie gras e tartufo.
Piatto gourmand a tutto tondo, di bell’equilibrio ma un po’ deficitario in quanto a sapidità.
pappardelle, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese

vino, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Pernice e fagiano, salsa al Merlot, Shiraz e pepe verde.
Non sempre estetica e gusto corrono di pari passo, tuttavia in questo caso ciò che appare già evidente all’occhio trova conferma al palato: il livello è decisamente inferiore rispetto alla proposta ittica. Piatto goloso ma poco entusiasmante, sia a vedersi che… a mangiarsi.
pernice, fagiano, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Fichi caramellati e gorgonzola.
Un piccolo assaggio di un pregevole Gorgonzola proveniente da un piccolo produttore del novarese.
fichi e gorgonzola
Per la parte dolce, un’originale proposta aromatizzata ottenuta da vino rosso e visciole, ovvero una varietà di amarena selvatica.
vino, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Gelato al fiordilatte, zabaione al moscato, panettone liquido.
Chiusura nel segno della massima golosità. Originale e di bella definizione gustativa il panettone.
gelato, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese
Le ultime golose coccole.
dolce, Ma.Ri.Na, Chef Rita Possoni, Olgiate Olona, Varese

Troppo spesso ci troviamo a giudicare cucine creative che non fanno i conti con la storia. Troppo spesso godiamo assaggiando piatti che vivono di emozioni estemporanee, verticali e fatue. Gusti decisi, giovani, nervosi ma poco profondi, facilmente dimenticabili, che creano un divertimento nell’immediato spesso fine a se stesso.
Si rischia di farci l’abitudine: anche il gourmet più preparato tende a lasciarsi trasportare da questo moto effervescente, ma anche poco virtuoso.

Poi succede di accomodarsi alla tavola di uno chef lombardo, Silvio Salmoiraghi, che in punta di piedi ristabilisce l’ordine che i grandi maestri della storia della cucina avevano sapientemente creato.
Uomo schivo e introverso, Salmoiraghi, cela dietro gli occhi stanchi di chi non smette mai di pensare una profondità ed una finezza tranquillamente definibili come straordinari.

È nella semplicità che si esprime la genialità di un autore, che in questo caso si “limita” a creare un’epitome di tutte le opere scritte dai grandi maestri di cucina, alleggerendole, contestualizzandole e rendendole stupefacenti per gusto e umiltà di presentazione. Un racconto che cita Escoffier, Fernand Point, Artusi, Marchesi e Pierangelini. Una storia narrata da una voce esterna tranquilla, calda e rassicurante che accompagna il commensale passo dopo passo immergendolo all’interno della più alta cultura gastronomica degli ultimi tre secoli.

Non ha paura Silvio Salmoiraghi di rimanere vittima della timidezza, postponendo la sua personalità alle citazioni che si sente in dovere di offrire in continuazione. Una cena all’Acquerello è un elegantissmo film di costume, con tempi dilatati e dialoghi caustici, in cui la provocazione è sempre dietro l’angolo senza però essere mai espressa direttamente, cercando di stimolare il senso di malizia nascosto in ogni avventore.

I trompe-l’oeil che accompagnano le pareti della sala sembrano essere messi lì apposta per introdurre ad una sorta di fase ipnagogica attiva, creando così un distacco cosciente dalla realtà tangibile, al fine di lasciarsi completamente avvolgere dalla magia proposta dallo chef. Spezie orientali, tecniche di cottura giapponesi, ricette riprese da manuali ottocenteschi e rinominate in chiave squisitamente italiana. Questa in sostanza la cucina di Silvio Salmoiraghi, che non ha bisogno di spiegazioni perché si dichiara da sé, che non può lasciare interdetti perché è tecnicamente perfetta e gustativamente travolgente, che non può che far riflettere perché questo infondo è forse il suo fine primo. La mugnaia di carne è una geniale intuizione per nobilitare una ricetta comunemente bistrattata, utilizzando la cottura shabu shabu per la carne di vitello e il cervello scottato in padella per ricordare la classica cremosità della versione ittica originale. Il risultato è sbalorditivo per consistenze, gusti e richiami alla memoria.

La delicatezza e il tatto sono il filo rosso di una degustazione fatta di soli colpi da fuoriclasse, in grado di essere compresi dal neofita come di lasciarsi interpretare e studiare dall’appassionato, in un gioco di profondità complesse, da scoprire poco a poco.

L’educato servizio di sala è un puro accompagnamento formale di una cerimonia che specchiandosi non si trova bella come in realtà gli altri la vedono, che vorrebbe di più quando il di più forse non c’è, che probabilmente è inconsapevole della sua levatura e per questo si nasconde in una dimora troppo umile per le sue potenzialità.

Silvio Salmoiraghi è un cuoco eccellente oltre che un uomo intelligente. Basta poco per riuscire a capirlo, basta poco per rimanere folgorati dalle sue qualità, basta accomodarsi ad un tavolo della sua casa e lasciarsi trasportare dalla sua saggezza.

Cocktail di scampo. La salsa fatta con il corallo dello scampo trova il suo bilanciamento nel fiore di pepe fritto, che dona una piacevole nota piccante, acida e speziata. Un cocktail a base di carciofo, cognac e interiora di scampo è stato il perfetto sposalizio di un classico anni ’80 reinterpretato alla perfezione.

cocktail di scampo, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Uovo in agrodolce. Una cialda di polenta, pane e aceto copre la preparazione a base di uovo, curcuma, zenzero e peperone. Giochiamo ancora sui toni classici: il benvenuto perfetto.

uovo in agrodolce, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Il pane nero.

pane, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Il burro, eccezionale.

burro, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

La mugnaia di carne, semplicemente splendida. Il finger lime dona una nota esotica ad una preparazione che si discosta radicalmente dall’originale, riuscendo comunque a rievocarne gusto e consistenze. Un bell’apporto di spezie ne allunga la profondità, rendendo il tutto ancora più intrigante di quanto lo stravolgimento della ricetta non avesse già fatto.

mugnaia di carne, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Il gratin, omaggio a Fernand Point. Passaggio giocato sul caldo-freddo dettato dalla temperatura del piatto (caldo) e della salsa (fredda) a base di menta e parmigiano (citazione a Fulvio Pierangelini). I carciofi, le vongole, la menta, i piselli secchi ed il parmigiano danno vita ad un rincorrersi di sensazioni gustative che variano dal dolce all’amaro, mantenendo una tensione straordinaria. Chapeau!

fernand point, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Sorbetto di rabarbaro, genziana, cioccolato bianco e pompelmo.

sorbetto, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Si cambia tipo di pane.

pane, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Piccione alla milanese con indivia, petto di piccione crudo, acciughe e senape in grani. Davvero grande.

piccione alla milanese, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Il secondo servizio del piccione. Questa volta sono le cosce, che fanno da ripieno alle spugnole coerentemente fritte. Non manca mai la nota speziata che fa volare in medio oriente.

secondo servizio piccione, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Le anatre, cotte allo spiedo, che nell’arco dei successivi tre servizi ci verranno servite declinate in diversi modi.

anatre, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Primo servizio: anatra, caviale, frutto della passione e porro. Millimetrica.

anatra, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Secondo servizio: Dim Sum di coscia, con brodo d’anatra e tè nero. Avremmo bevuto tre litri di brodo a testa!

dim sum, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Terzo servizio: sovracoscia piccante, catalogna, gamberi e spezie. Il finale perfetto di una cena perfetta.

Terzo servizio, anatra, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

La piccola pasticceria.

piccola pasticceria, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Radicchio, frutta secca, latte di mandorla e Vov. Chiusura di pasto decisamente sopra le righe. I ricordi del tabacco e della liquirizia affiorano subito alla mente. Dessert assolutamente non banale, molto virile, correttamente eseguito sebbene estremamente sapido: la percezione personale, più o meno acuita, di questo gusto ha diviso la tavolata in perplessi ed entusiasti, con un vantaggio a favore di questi ultimi.

Radicchio, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Le bottiglie della serata.

vino, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

vino, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

meursalt, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

vino, Acquerello, Chef Silvio Salmoiraghi, Fagnano Olona, Varese

Dalla graziosa Sesto Calende, sulle rive del Ticino, ad un passo dal Lago Maggiore, parte la sfida di Simone Zamboni e Anna Maria Carminati, una giovane coppia che ha deciso di fare una cucina di qualità ma al contempo di massima fruibilità per tutti.
Ecco allora il “MoMa l’ospite e il gusto”, creatura nata già da qualche anno ma che, dopo un periodo di rodaggio, sembra aver trovato la giusta direzione. In sala l’ospite si giova della premurosa accoglienza di Anna Maria, attenta e molto discreta padrona di casa a cui non sfugge praticamente nulla. Il gusto è opera della cucina di Simone, cuoco autodidatta a cui non mancano palato e una buona dose di talento.
Gli interni sono molto curati, il design in cui predominano i toni chiari è accattivante, l’illuminazione alquanto soft. La distanza tra i tavoli si fa apprezzare e permette di tutelare appieno la privacy della clientela.
Il MoMa è un ristorante moderno, dal design accattivante e dalla formula flessibile, concepita per soddisfare qualunque esigenza, sia quella della clientela più curiosa di taglio gourmet, sia quella di chi ha semplicemente voglia di trascorrere una serata in un bel locale, dove stare bene mangiando a un buon livello e senza dover necessariamente accendere un mutuo. E così, oltre alla carta, si può scegliere tra ben tre menu (dalle quattro alle sei portate) il più caro dei quali si assesta sui 60 euro, cifra più che ragionevole in relazione alla qualità complessiva della proposta.
La cucina, al netto di qualche imperfezione, (leggi il gelato al pane nero con fonduta di Bagoss in cui, per effetto del freddo del gelato, la fonduta si rapprende sul fondo del piatto) si fa apprezzare per golosità e centralità gustativa.
Piatti come le Seppie scottate, vellutata di topinambur, liquirizia e carote glassate e il Luccio perca, guazzetto di miso allo zenzero e carciofi croccanti ci raccontano di un cuoco con una mano felice, nonché di materie prime di ottima qualità. Una menzione speciale poi al dessert (e lo sottolineiamo perché capita sempre più di rado ormai), la macedonia di frutta disidratata con latte di cocco tiepido, è davvero una interessante chiusura di pasto.
Carta dei vini non banale che, con intelligenza, sa andare oltre i soliti noti.
In conclusione, un locale bello e curato e una cucina giovane e di buon livello che a nostro giudizi ha ancora margini di miglioramento.

La sala.
MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Uovo in vaso cottura con asparagi e cialda di parmigiano: morbidezza.
Uva, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Gelato al pane nero di segale, fonduta di Bagos, acciughe del Cantabrico, sale e olio. Il piatto dolente della serata.
gelato al pane nero, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Seppie scottate, vellutata di topinambur, liquirizia e carote glassate: scioglievolezza, delicatezza, aromaticità.
Seppie scottate, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Spaghetti, polpa di ricci di mare, seppie, ricotta salata e pane bruciato. lo spaghetto è fatto bene ma ci sia concessa una nota, forse un pò snob: ogni volta che mangiamo la (conserva) di polpa di ricci, non possiamo non rimpiangere la concentrazione gustativa di iodio e di mare dei ricci freschi.
spaghetti, polpa di ricci, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Maialino iberico rosato, carote all’anice, arachidi e fondo di manzo.
Maialino iberico rosato, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Luccio perca, guazzetto di miso allo zenzero e carciofi croccanti. Piatto semplice, netto, preciso.
Luccio Perca, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Gorgonzola cremificato selezione Guffanti, pere caramellate, cioccolato bianco e noci. L’abbinamento non entusiasma ma regge, per il resto: Guffanti, basta la parola.
Gorgonzola, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Notevole pre-dessert: Spuma al frutto della passione e sbrisolona.
pre dessert, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
Eccellente la Macedonia di frutta MoMa..
macedonia, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende
…..con latte di cocco tiepido.
macedonia con latte di cocco, MoMa, Chef Simone Zamboni, Sesto Calende

Prendete quattro vitigni autoctoni. Vinificateli separatamente, in maniera da esaltarne i singoli tratti distintivi e i pregi individuali. Fate in modo che due di questi possibilmente siano soavi, gentili, che abbiano quel tocco femminile, rotondo, morbido, persuasivo. Gli altri due invece dovranno esser titolati, avere caratteristiche decise, qualificanti e differenti tra loro, oltre a innumerevoli riconoscimenti nazionali e internazionali.
Affinateli individualmente per lungo tempo, poi uniteli in coppie per un certo periodo e, quando pronti, solo successivamente metteteli tutti insieme: avete creato un blend.
Anzi, un Blend 4.

Luca Martini, miglior sommelier del mondo WSA 2013. Ivano Antonini, miglior sommelier italiano AIS 2008. Le rispettive mogli, Milena Maesani, restauratrice e decoratrice di fama internazionale e Luigina Gazzola, una lunga esperienza nell’accoglienza e nella gestione della sala, dal wine bar al ristorante.
Tante e tali virtù, poste tutte insieme, rischiano di divenire una bomba a orologeria se mal organizzate. Invece una gestione oculata di compiti e spazi individuali ha fatto sì che le qualità del singolo potessero amplificarsi nell’insieme, proprio come in un ottimo vino d’assemblaggio: Milena ha curato il recupero del locale, le scelte di design, degli arredi e la turnazione delle opere esposte. Ivano e Luca invece hanno affrontato l’aspetto “food &wine”, mentre Luigina cura la gestione della sala ed il contatto con il cliente, il metterlo a suo agio. E tutti quanti hanno saputo fare un gran lavoro.

La risultante della loro commistione è un locale aperto sei giorni su sette, da prima del pranzo a dopo la cena, polivalente come raramente capita, e non solo nella proposta.
Un locale dove è possibile vivere diverse esperienze, a modo loro tutte nel segno dell’eccellenza: qui potrete venire, con la medesima soddisfazione, per un veloce aperitivo o per una pausa pranzo rapida ed economica. Per due calici, accompagnati da due chiacchiere e degli ottimi affettati, seduti all’aperto, o per stappare grandi bottiglie tra amici. O ancora con la moglie, per concedersi una tranquilla ed intima cena di coppia.
Polivalenza data anche da una cucina, gestita dal giovane Gabriele Senesi, semplice e sensata, con tratti marcatamente toscani, che non vuole giocare a far la primadonna ma “soltanto” accompagnare ed appagare nel migliore dei modi, attraverso una cura sopra la media di tutte le sue componenti, dal semplice piatto di salumi fino all’imponente fiorentina.
La medesima filosofia è stata applicata alla carta dei vini, ove ritroviamo tutto il know-how dei sommelier, una vera e propria carta da appassionati, ove coesistono selezioni di bottiglie eccellenti a prezzi contenuti, raffinatezze di produttori più e meno conosciuti, o ancora meteore in continua rotazione, vere e proprie chicche da… carpe diem. Una carta che per selezione, prezzi, e non ultimo per il blasone di chi ve la porge, consigliamo di consultare per curiosità, per poi rimettersi al “faccia lei” al momento della scelta. Non sbaglierete.

Insomma che vogliate mangiare, bere, stuzzicare o chiacchierare, che siate in due o in dieci, amici o colleghi, astemi o devoti a bacco, mattina o sera, poco cambierà: ci sarà sempre una buona ragione per un passaggio da Blend 4.

La sala, elegante ed informale nel contempo.
sala, Blend4, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Il grottino a vista, dove vengono affinati in proprio i salumi.
grottino, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
L’aperitivo, servito prima d’ogni altra cosa, appena seduti…
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…con dell’ottimo prosciutto toscano tagliato a coltello, in accompagnamento.
prosciutto toscano, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Pani, focaccia, grissini…
pane focaccia, grissini, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Scelta la fiorentina, viene sempre pesata e prezzata al tavolo, per evitare spiacevoli disguidi.
fiorentina, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Data la sua necessità di ossigeno, iniziamo a far stappare l’unica bottiglia scelta alla carta. Tutti gli altri vini sono accompagnamenti selezionati da Ivano.
pomerol, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Il benvenuto: Tonno di coniglio.
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In abbinamento Litrozzo, il vivace, rustico e schietto vino de Le Coste, in versione rossa
vino, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Solo un po’ troppo asciutto, ma gustoso, il tortino di alici.
tortino di alici, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Battuta di vitellone, con i tradizionali condimenti a parte.
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E i due vini abbinati.
vini abbinati, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
roagna, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Buone le tagliatelle (fatte in casa) al ragout di cinghiale, richieste esplicitamente in porzione d’assaggio…
tagliatelle, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
…per non rubare spazio all’imperiosa e succulenta fiorentina, dalla frollatura significativa (oltre 40 giorni).
frollatura, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Verdure, in accompagnamento alla fiorentina.
verdure in accompagnamento, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Il servizio di uno dei vini scaduti che tanto piacciono a Ivano.
vin o pomerol, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Davvero eccellente il primo dessert: Cetriolo candito, semifreddo allo yogurt e vodka.
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Più nei ranghi invece la “Zuppa inglese alla nostra maniera”, servita con un pennellino per dosare a piacimento l’alkermes e la crema pasticcera, solidificata, a parte: nulla più che una comune zuppa inglese.
zuppa inglese, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
Un gran moscato, per i dessert.
moscato, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese
La piccola pasticceria, con il caffè.
piccola pasticceria, Chef Gabriele Senesi, Azzate, Varese

Che cos’è la cucina italiana?
Volendo sintetizzare la risposta in una frase e, con la stessa, riuscire a mettere d’accordo bene o male tutti, dall’Artusi a Marchesi fino agli Chef contemporanei, con il tacito assenso delle nonne e delle mamme di ognuno di noi, un risultato soddisfacente lo otteniamo grazie a Wikipedia: “La caratteristica principale della cucina Italiana è la sua estrema semplicità […] I cuochi Italiani fanno affidamento alla qualità degli ingredienti piuttosto che alla complessità di preparazione.
Se a queste due righe aggiungiamo un pizzico delle tecniche attuali, per contestualizzare la frase all’anno 2013, e leggiamo il tutto con accento marcatamente campano, otterremo con buona approssimazione un quadro della cucina di Ilario Vinciguerra.
Sebbene le fiere origini napoletane dello Chef non siano certo un mistero, ma ben individuabili dalle prime entrate fino ai dessert, il suo stile di cucina non è da classificare sbrigativamente come “partenopeo”. Uno sguardo alla carta ci racconta una realtà italianissima e mediterranea, un viaggio tra le eccellenze dei nostri mari, dei prodotti simbolo del nostro territorio, dal pomodoro all’olio d’oliva e ancora alla pasta, quella corta, spesso snobbata dalle grandi cucine e qui valorizzata come in poche altre tavole.
Vinciguerra non sfoggia l’utilizzo di mirabolanti tecniche per tentare di stupire, ma adopera le medesime con il contagocce, al servizio del piatto, senza soverchiarlo ma concentrandolo ed esaltandolo con lo scopo di far leva sui sapori che ogni italiano, a patto che abbia almeno una volta vissuto il Sud e il suo mare, ha radicati nel DNA, valorizzando l’assieme ed elevandolo al rango di alta cucina.
Il piatto risultante non presenterà contrasti marcati, acidità spinte o note amare, ma ruoterà attorno alla qualità dell’elemento principale e di ciò che lo accompagna. Questo potrebbe apparire come “semplice” o addirittura essere visto come un difetto, una cucina concepita in maniera orizzontale, la via più breve per piacere a tutti e appagare il maggior numero di coperti: in realtà è proprio così, ma ciò è indiscutibilmente un pregio nonché motivo del successo di questo ristorante.
Tutto ciò grazie soprattutto agli ingredienti dei piatti, a prova di scettico (per capirsi, baccalà, mozzarella, gamberi e pomodoro, non “emulsione di rafano selvatico tardivo delle Asturie settentrionali”) e di massima qualità, che riescono a mettere a proprio agio soprattutto il profano, che non si sentirà “perso” in un vortice di preparazioni ritenute apparentemente astruse, insensate e incomprensibili.

Insomma, una cucina tradizionale del duemila, una tra le meglio riuscite e più adatte (in questo Aimo e Nadia resta Il riferimento indiscusso) per far capire e riscoprire peculiarità e potenzialità della cucina mediterranea, spesso sacrificata sull’altare delle sirene e delle mode, in realtà viva e pulsante, apparentemente semplice, estremamente appagante.

I primi stuzzichini, subito sul tavolo.

La bollicina, per iniziare. Ci affidiamo a Marika, cordialissima e capace direttrice di sala, sommelier nonché moglie dello Chef. La carta dei vini è notevole, con ricarichi nella norma.

Panzerotti e pizzelle, oramai un classico. Come sempre, golosissimi.

Una sequenza serrata di amuse bouche, serviti subito dopo l’ordinazione.



Il secondo vino in abbinamento.

Polpo del mediterraneo alla plancia e giardiniera di verdure. La prima portata del menù: polpo freschissimo e assolutamente morbido, di eccellente qualità. Buone anche le verdure, non eccessivamente acide.

Morro di baccalà massaggiato all’olio extravergine d’oliva, riso e latte di provola. La parte più pregiata del baccalà, dissalata e resa morbidissima dal lungo procedimento: come rendere delicato un pesce che tipicamente è tutt’altro. Notevole.

Bovino piemontese marinato al sale, pinoli e grissini. La carne marinata e lasciata a stagionare come fosse un salume. Contrasto finanche eccessivo, quasi fastidioso, con la croccantezza stridente dei grissini e con i pinoli tostati al limite per accentuare la nota bruciata e per simulare l’affumicatura.

Pasta, patate e cozze. Un capolavoro di semplicità: fusilloni del pastificio Vincidomini, cozze ripiene di pomodoro, leggerissima vellutata di patate sul fondo. Dieci anni di mare, spiaggia e campeggio, racchiusi in un cucchiaio.

Gnocchetti di seppia e alghe di mare. Per ricreare la callosità della seppia, gnocchi costituiti dal 90% di purea di seppia e dal 10% da patate. Perfettamente riusciti, gnocchi quasi al dente. La nota sapida e iodata è demandata alle alghe, sotto forma di polvere.

Il terzo vino in abbinamento.

Simpatico intermezzo, la vera pizza napoletana a lievitazione naturale. Colpisce la dolcezza del pomodoro, una pizza margherita da “due mozzarelle”.

Rombo arrostito e olio intenso di olive. Un rombo del mediterraneo di valore assoluto, condito con l’olio ottenuto dall’infusione di olive nell’olio stesso. Elogio alla semplicità e alla qualità delle componenti.

Maialino tenero e croccante, scaloppa di fegato d’oca e limoni. Limone dosato magistralmente per contenere la stucchevolezza intrinseca della scaloppa. Millimetrico.

Il celeberrimo “Oro di Napoli”, una pastiera liquida, contenuta in una gelatina di oro alimentare. L’intensità di una pastiera intera in un solo boccone.

Ultimo vino, in accompagnamento ai dessert.

Crème brûlée al cardamomo.

Piccola pasticceria, servita prima del dessert principale. Molto buoni tutti i pezzi, babà da antologia.

Fragociok: fragole, nocciole e gelato al cioccolato. Un dessert semplice ma goloso.

Ci sono quattro di queste pareti nel ristorante, due al pian terreno e due al primo piano, per un totale di oltre mille etichette di Romano Levi. Da svenire …

…ok, al ritorno non guido io…