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Da Caino

Nessuno tocchi Caino

Questo, in particolare, nascosto com’è nel cuore della miniatura di Montemerano, è forse l’unico ristorante di questo frammento di Maremma che abbia saputo tracciare una strada credibile per emancipare la cucina maremmana dall’egemonia di pappardelle e tagliate di manzo che, e l’autoctono vero questo lo sa, proprio non le appartengono. Per questo è stato anche inviso, Da Caino, presso gli altri ristoranti e ristoratori della zona. Per questo forse il nome, che detiene dal 1971 ovvero da quando Angela e Carisio Menichetti, detto Caino, appunto, aprirono una rivendita di vino dove poter spiluccare, all’occorrenza, anche salumi, formaggi e piccoli piatti freddi, ci sembra quasi una profezia auto-avverante benché oggi, e vivvaddio, legittimamente superata. 

Che poi qui si brilli di propria luce sin da quando Valeria Piccini inizia a lavorare in cucina con la signora Angela, diventata poi sua suocera, è ormai cosa nota. Del resto, è proprio alla seconda generazione, quella del figlio Maurizio, esperto sommelier che comincia con lei a calcare le scene della sala, che Valeria si lega, acquisendo pieni poteri in cucina e istituendo così un sodalizio che verrà consacrato nel 1991 con la prima Stella Michelin e nel 1999 con la seconda, splendente e fulgida ancora oggi. Oggi che, tuttavia, tutto si rinnova: a Maurizio che, per dire, ha cominciato a produrre olio extravergine d’oliva biologico e perfino il proprio vino, si sostituisce in sala il figlio, Andrea Menichetti, che ne ha raccolto l’eredità col medesimo sussiego ma con rinnovata disposizione d’animo. In cucina, invece, è sempre lei a orchestrare una brigata giovane che, sbirciandola, pare quasi tutta al femminile.

Quanto ai piatti, e benché il menù “Idee in Movimento” restituisca una foto precisa del clima, non solo atmosferico ma anche emotivo, che muove oggi “la cheffa” maremmana che parla e anzi solfeggia attorno a tutti gli ingredienti dell’orto in primavera, lumache comprese, è tuttavia quello dedicato ai “Piatti Storici” a restituire con più profondità la cifra stilistica di Valeria Piccini, da sempre incentrata sulla lunghezza del gusto e, al contempo, sulla sua delicatezza, a onta delle materie utilizzate spesso e volentieri agresti e dunque anche compiaciutamente e risolutamente rustiche. È il caso del corroborante Gelato di piselli con Parmigiano e aceto balsamico che della passeggiata  nell’orto sgranocchiando i teneri, virginali legumi è la più perfetta rappresentazione, benché sotto forma di gelato. Splendida poi la consistenza tesa e il sapore terso della pasta, consapevolmente coriacea, dei Ravioli col gustosissimo ripieno di pollo alla cacciatora, brodo e ribes, rispettivamente a dissetare e a sgrassare. Eccellente è poi anche il Piccione (che, ormai è notorio, qui è uno dei cavalli di battaglia) che le mandorle e le prugne conservate nobilitano di familiari esotismi così come la superba, elegantissima Anguilla con riduzione di cipolla e yogurt affumicato

Quanto ai punti deboli, complice la tecnica di cottura ci è sembrato troppo ridondante, sia nella forma che nella sostanza, il Carciofo dritto e fritto, mentre il Gelato al latte di pecora e timo con prugne e cioccolato, tra i dolci, ci è sembrato poco coeso: piuttosto, una giustapposizione di elementi senz’altro più che buoni ma privi di quel disegno d’insieme che distingue le grandi cucine dalle grandi cucine d’assemblaggio. Ma si tratta di piccoli appunti, soprattutto al cospetto della precisione, dell’eleganza e della leggerezza che, lo ribadiamo, caratterizzano il tratto stilistico di Valeria Piccini: un talento, il suo, che le permette di attualizzare una materia sostanzialmente umile grazie alla perizia con cui ne indaga i sapori, le temperature e soprattutto le consistenze, tratteggiando in ultima analisi nient’altro che il profilo di una nuova e grandiosa strada per la cucina classica italiana.

IL PIATTO MIGLIORE: Ravioli di pollo alla cacciatora in brodo e ribes. 

La Galleria Fotografica:

La trattoria di campagna 2.0, nel cuore della pianura bresciana

Saur vuol dire sapore in dialetto lombardo. E questo è il nome che tre giovani non ancora trentenni, Alessandro Sciortino e Nicholas Carusio in cucina e Virginia Severgnini in sala, conosciutisi nelle cucine di Valeria Piccini, hanno voluto per il loro piccolo e accogliente bistrot situato nelle campagne di Orzinuovi, a pochi chilometri da Brescia.

La formula è strutturata in maniera assai intelligente: carta ridotta, due menu degustazione a prezzi interessanti, piatti che cambiano spesso. Il locale è arredato con buon gusto, in estate si mangia in una verandina estremamente gradevole. C’è grande professionalità nonostante la giovane età degli interpreti. Il servizio è veloce, efficiente, non perde un colpo. Le materie prime, provenienti in larghissima parte del territorio, sono da encomio. Soprattutto le carni provenienti da piccoli allevatori della zona. Le preparazioni denotano una buona padronanza delle tecniche da parte della cucina. Sembra non mancare niente per innamorarsi di questo Saur. Eppure, piano piano ti accorgi che manca qualcosa…

Buona tecnica, grande professionalità, manca un po’ di originalità

Da una squadra così giovane è lecito aspettarsi maggiore capacità di proporre qualcosa di nuovo, qualcosa che esca fuori da schemi ormai abusati. Che non significa, attenzione, attendersi una cucina oltre modo creativa perché anche nel solco della tradizione è possibile colpire con esecuzioni originali e centrate.

Due dei tre secondi in carta sono versioni – eseguite in maniera più che corretta, sia chiaro – non particolarmente originali di piccione e maialino le quali, nel pieno di una torrida estate, potrebbero essere riconsiderate. Né giova, invero, la tendenza a reiterare piatti e stili. Nel corso della nostra ultima visita un anno fa il maialino era presentato con albicocca e melanzana, quest’anno lo stesso maialino era preparato con prugna e rapa rossa, la lingua croccante (che resta il piatto migliore) era presentata con patata novella, cipollotto e senape, noi l’abbiamo trovata con porro e salsa verde. Variazioni sul tema, ma il tema non varia. Non particolarmente centrati, poi, i tortelli di coniglio: la pasta è spessa e consistente perché evidentemente si cerca la rusticità ma, fermo restando la scelta sulla sfoglia, è un piatto che avrebbe bisogno di maggiore scioglievolezza e che non trova né nel ripieno, compatto e un po’ scarico, né nella crema di peperone, di quantità esigua, una sua quadra. D’inverno, in un buon brodo caldo, gli stessi tortelli farebbero probabilmente altra figura.

La lingua croccante è invece un gran piatto. È il loro piatto. È un piatto molto gustoso che dimostra capacità di giocare con la tradizione, innovandola, senza necessariamente stravolgerla. È questo il piatto che ti aspetti da un gruppo di giovani entusiasti e preparati tecnicamente, che vogliano dare a chi siede alla loro tavola un buon motivo per tornare.

La galleria fotografica:

Un’insegna giovane per indagare le radici del sapore

Una delle caratteristiche più intriganti nella ristorazione gastronomica è quell’alternarsi di conoscenze e tecniche apprese nelle varie esperienze vissute. Come accade con una forza centripeta, che circolarmente attira e accentra, queste esperienze confluiscono anche in piatti che possono raccontare di territorio, origini e sapori.

Gli chef Alessandro Sciortino e Nicholas Carusio e la donna di sala Virginia Severgnini, tre giovani ragazzi conosciutisi nell’esperienza con Valeria Piccini al ristorante Da Caino, hanno aperto Saur – in dialetto bresciano sapore. Una realtà da 33 coperti, in attività da meno di un anno nel paesino di Orzinuovi, nella provincia di Brescia. Locale nuovo e squadra giovane, ma con una volontà matura di mostrare la propria mano con una carta incentrata sulla stagionalità dei prodotti locali.

Una delle caratteristiche più intriganti della ristorazione è l’alternarsi di conoscenze e tecniche apprese nelle varie esperienze vissute proprio come accade da Saur.

Montemerano – Orzinuovi andata e ritorno

Da Saur ci sono tutti i presupposti per intrigare il cliente: come antipasto Lattuga, sedano e fondo bruno di rafano, piatto in cui gli ingredienti vegetali vibrano sapientemente in bocca per pungenza e freschezza.

Il territorio trova espressione nel Taco con carpaccio di luccio, lumache e gelato ai fiori di sambuco. Un piatto per raccontare un viaggio lungo il vicino fiume Oglio, macchiato dalla frittura della lumaca: tecnica di cottura che non le permette di rimanere tenera nella sua consistenza.

La forza centripeta, di cui dicevamo prima, ha creato i presupposti per i quali alcuni piatti di Saur siano anche frutto di conoscenze apprese o echi di provenienza regionale. Il Tagliolino coniglio e borragine, dove la spiccata arroganza erbacea della borragine cruda mitiga la grassezza sia del ragù di coniglio sia del tagliolino. È un piatto che rimanda alla cucina maremmana di Caino. Anche i Plin ripieni di paté di fegatini d’agnello, ribes, salvia e gruè di cacao, sono simbiosi tra la Toscana e le origini piemontesi di uno dei due giovani chef.

L’unica nota stonata nel percorso seguito da Saur, sembra essere il Maialino albicocca e melanzana. L’accostamento fra il maialino, tenero e morbido nella sua succulenza, con il chutney di albicocca, potrebbe essere, seppur in modo elementare, un piatto completo. L’accostamento con la melanzana arrostita, accompagnata da una salsa al basilico, fa però perdere la centralità del piatto lasciando qualche dubbio su quale sia l’ingrediente effettivo da valorizzare. Maialino o melanzana?

La tecnica e la voglia di dimostrare la propria cucina si allineano con quella della sala, condotta in solitaria, ma non per questo assente, da Virginia Severgnini, che, dopo la sua esperienza in Toscana, ha deciso di fare ritorno nella terra d’origine per cimentarsi in questa nuova avventura. La carta dei vini, curata personalmente da Virginia, offre un panorama prevalentemente italiano con rincari onestissimi, senza tralasciare un piccolo sguardo anche ad alcune etichette d’Oltralpe.

Tre giovani, un pizzico d’intraprendenza e un “saur” ben congeniato. Da provare!

La galleria fotografica:

TORTELLI DI PATATE E VONGOLE CON CREMA DI FRIGGITELLI, SALICORNIA, PEPERONCINO E MANDORLE

Irriverente: è l’aggettivo forse più calzante per la cucina di Valeria Piccini, cuoca autodidatta capace di confrontarsi alla pari con i grandi. Della sua cucina (come pure di Carme Ruscalleda) si può ripetere quanto la femminista Hélène Cixous ha teorizzato sul potere dell’“écriture feminine”, ovvero che sottrae i sensi all’ortopedia concettuale: “impossibile definire una pratica femminile della scrittura, ed è una impossibilità che si manterrà, perché non si potrà mai teorizzare, rinchiudere, codificare questa pratica; senza con questo voler dire che essa non esista… Essa ha e avrà luogo fuori dai territori subordinati alla dominazione filosofico-teorica. Essa si lascerà pensare solo dai soggetti che rompono gli automatismi, da coloro che percorrono i bordi che nessuna autorità soggioga”: perché questo è esattamente il suo specifico.

E questa è anche Valeria Piccini, atopica nella mappa delle tendenze, inclassificabile nel catasto degli stili. Insomma libera e costantemente altrove. Soprattutto concreta, di quella concretezza che etimologicamente cum-cresce la materia cui applica di volta in volta il suo estro. I tortelli di patate e vongole ne offrono un esempio lampante, nella sfrontatezza con cui attraversano i confini senza perdersi nei minuetti diplomatici o pagare dazi creativi. Nel piatto, pensato per il recente spin-off di Caino, il ristorante fiorentino Winter Garden, c’è tutto: la tradizione toscana (il tortello di patate con la sfoglia callosa, caposaldo del Casentino e del Mugello), l’appeal neorurale (Valeria ha salde radici contadine), la contemporaneità tecnica. Il tutto condito da un ricordo involontario della Prima Secca di Uliassi, per via di una sincronicità disarmante: vongole + mandorle + alghe. Sebbene gustativamente resti quasi sullo sfondo.

“Siamo partiti dai tortelli, che qui ogni famiglia prepara a modo suo. Ma siccome sono piuttosto neutri, abbiamo pensato di abbinarli a un mollusco sapido, come le vongole. Le abbiamo aperte tuffandole per meno di un minuto in acqua bollente, dentro uno scolapasta, e poi passandole in acqua e ghiaccio, in modo che restassero quasi crude e turgidissime. Ce n’è una anche dentro ogni tortello. Nel ripieno di solito si impiegano aglio e prezzemolo, ingredienti che abbiamo messo a macerare nell’olio di nostra produzione, per poi procedere a un’emulsione con l’acqua delle vongole stesse, che non abbiamo disperso. Si tratta del liquido alla base del piatto. Quindi c’è una liquidità fresca, quasi estiva, che ricorda una zuppa; mentre il condimento sopra è asciutto. Una macchia di crema di friggitelli al Bimby e il resto degli ingredienti a crudo: il peperoncino a dialogare con i friggitelli; le mandorle tostate e la salicornia che riprendono la consistenza croccante e gli aromi ammandorlati e iodati del mollusco”.

TORTELLI DI PATATE E VONGOLE CON CREMA DI FRIGGITELLI, SALICORNIA, PEPERONCINO E MANDORLE, Valeria Piccini

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante

Bella la neve, e splendida la pianura imbiancata. Questo lembo di terra a cavallo fra Lombardia ed Emilia, solcato com’è da strade strette e diritte, porta la mente immediatamente alle immense piane nordamericane, ed il bianco non fa che accrescere questa dimensione di infinità. Breve preludio idilliaco ad introdurre il racconto di un bel ristorante, cui ci immaginiamo il nome si addica molto in assenza del bianco manto che lo circondava nei giorni della nostra visita. (altro…)