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Gente di Spirito – Regis Ramos Freitas

Il food pairing nell’alta cucina, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Seconda monografia di Gente di Spirito, la nostra serie di articoli che dà voce ai sommelier che inseriscono dei cocktail nel loro percorso di abbinamento al calice.

Dopo essere andati in Campania da Alfredo Buonanno di Kresios, puntiamo i navigatori decisamente più a nord, verso il cuore del triveneto: per questo secondo episodio abbiamo intervistato uno dei sommelier che più ci ha fatto divertire al tavolo negli ultimi anni, con un pairing davvero eccezionale per qualità e riuscita: stiamo parlando di Regis Ramos Freitas, il vulcanico sommelier di Undicesimo Vineria, il ristorante trevigiano di Francesco Brutto.

Il suo primo contatto professionale con il mondo del cibo è stato nelle osterie trevigiane, prima come cameriere e poi come gestore, per ben 7 anni, di una storica insegna in centro. Nello stesso periodo – il 2005 – si diploma sommelier e studia teatro, attività ritenuta per lui fondamentale per la propria formazione come uomo di sala.
Nell’ottobre del 2014, dopo l’estate passata come sommelier al ristorante Venissa, apre insieme a Francesco Brutto Undicesimo Vineria… e poi tanti, ripetuti assaggi e degustazioni!

Regis, raccontaci come hai iniziato ad abbinare dei cocktail ai piatti nel tuo ristorante.

L’idea di un cocktail in abbinamento nasce dalla necessità, per me fondamentale, di servire al cliente una bevanda che si accordi perfettamente con il piatto. Cerco sempre soluzioni nel mondo del vino, ma a volte i piatti di Francesco mi portano verso altre suggestioni, altri ricordi, e mi conducono verso differenti registri. Così è successo in primis con il piatto dei tortellini di tamarindo fermentato, doppia panna ed angostura al quale una volta finita l’annata 2014 del rosato di Massa Vecchia (il primo abbinamento a quel piatto) ho creato un altro abbinamento, il miscelato di vermouth e rose.

Come reagiscono i clienti alla proposta, durante il pranzo o la cena, di uno o più cocktail abbinati?

Certamente all’inizio molti sono spiazzati, visto anche che l’abbinamento al calice che propongo è alquanto ampio. Ma man mano che si procede tendono a lasciarsi andare, a fidarsi. Me ne accorgo spesso anche dal modo con il quale il cliente tiene in mano il cocktail: una volta superato lo scetticismo iniziale sono molto più rilassati, arrivando a vedere il drink come una specie di pausa nel percorso.

Qual è secondo te la parte più intrigante ed il rovescio della medaglia del Food Pairing con i cocktail?

Credo che servire un cocktail in abbinamento ad un piatto, quando il pairing è ben riuscito, abbia un valore che riesce ad andare oltre la “semplice” armonia tra il piatto e la bevanda, poiché inserendo una novità si rende il percorso più sfaccettato e divertente. La difficoltà in questo tipo di abbinamento è il grado alcolico, che spesso è maggiore rispetto al calice di vino e quindi bisogna prestare attenzione a non eccedere.

La Islay che non c’è

Il cocktail descritto è un’evoluzione di un drink già proposto in passato da Regis, qui pensato per l’abbinamento ad un dessert di Francesco. La versione originale prevedeva un whisky delle Islay con un marcato sentore di torba e di iodio, che in questa veste vengono messi da parte in favore dei toni più caldi e morbidi di un whiskey irlandese e del mezcal.
Da qui nasce il nome “La Islay che non c’è“, richiamando in maniera scherzosa l’isola di Peter Pan.

Ricetta – powered by Bonaventura Maschio:
6 cl di Whiskey Kinahan’s L.L. Small Batch
1,5 cl di Sciroppo di tamarindo Erba
1 cl di Mezcal Miel de Terra reposado

Procedimento:

“Avvinare” la coppetta da cocktail con il mezcal, quindi riempirla di ghiaccio. Mentre la coppetta si raffredda, shakerare energicamente e con tanto ghiaccio il whiskey e lo sciroppo di tamarindo.
Una volta raffreddata a dovere la coppetta buttare il ghiaccio, e versarvi il contenuto dello shaker filtrandolo con uno strainer.

Il drink è servito in abbinamento a un dessert dello chef Francesco Brutto, “Orzo tostato, cicoria, funghi, garusoli e cacao“.

Brilla sempre di più l’astro della ristorazione di Treviso e Provincia

Iniziamo con le novità: Francesco Brutto e il suo sodale, il sommelier Regis Ramon Freitas, hanno ampliato il proprio ristorante, Undicesimo Vineria, aumentando i coperti e predisponendo, convertendola al bisogno a coperti aggiuntivi, una sala in passato destinata a degustazioni o esposizioni di prodotti. E ciò è davvero curioso, perché la cucina, storicamente sottodimensionata in rapporto ai tavoli, ora lo è ancor di più, eppure nonostante tale aumento di coperti tutto gira come deve.

A cominciare proprio dall’opera sapiente svolta da Regis in sala, uno dei più “virtuosi” maitre/sommelier che ci sia capitato di apprezzare. Regis scova e suggerisce sempre l’abbinamento perfetto, fa scoprire al cliente vini mai scontati, anzi sorprendenti e interessanti. Insomma, dimostra e sa trasmettere passione e conoscenza; nel suo caso, entrambe fuori dall’ordinario. L’abbinamento al calice qui è letteralmente parte del menu degustazione. Più che un accompagnamento, è realmente il suo completamento ideale.

E in cucina si suona lo swing

La cucina di Francesco Brutto è schietta, selvaggia, a tratti brutale, sebbene mai troppo esagerata, mai “oltre”, soprattutto se si arriva preparati. E’ una cucina fatta di tanto talento e improvvisazione, prima ancora che di tecnica. Una immediata e profonda esecuzione jazz, più che un brano di musica classica. Tuttavia, i piatti di Francesco Brutto esprimono uno stile tanto estroso ed egocentrico che il risultato finale può apparire senza capo né coda, soprattutto a coloro che non conoscono il passato e i trascorsi dello chef, e pertanto faticano non poco a contestualizzare la sua cucina. Un po’ come ascoltare per la prima volta un disco di John Coltrane, intuendone il talento, se non addirittura il genio, ma senza riuscire ancora ad inquadrarlo in una precisa prospettiva.

E allora ripassiamo i suoi migliori “brani”. I Tortellini di tamarindo fermentato, doppia panna e angostura e ancora gli Spaghetti, cervello e uova di aringa affumicata, oltre ai Capelli d’angelo, pinoli e pino marittimo, un terzetto di primi strabiliante, di rara precisione, profondità e definizione. Eccellenti sono anche il Rognone e tandoori (un piatto davvero wild, dall’idea e dal risultato tanto primitivi quanto interessanti) e la Verza, fondo di verdure, mandorla e timo, estremamente romitiano nel concetto.

Un ulteriore plus come già detto per l’abbinamento al calice, eseguito singolarmente su ogni portata, con ogni calice perfettamente compiuto, in grado di valorizzare il piatto. Davvero un risultato degno di applausi.

La galleria fotografica: