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Il miglior piatto del 2022

Chiudiamo l’anno con una carrellata di piatti memorabili. Non stupitevi se alcuni di questi piatti saranno solo frugali, altri regali, alcuni cerebrali, altri solo rassicuranti. Come ogni scelta, anche questa parla più di chi l’ha compiuta che dell’oggetto scelto. Al lettore lasciamo pertanto il compito di sbizzarrirsi con le più disparate supposizioni circa lo stato in cui versa non solo la cucina ma anche la critica contemporanea che noi, di Passione Gourmet, pretendiamo, e piuttosto orgogliosamente, lo ammettiamo, di rappresentare.

Leonardo Casaleno e la Pasta al tonno di Mauro Uliassi

In perfetto e affascinante equilibrio tra tradizione e tradimento, Uliassi rievoca uno dei piatti di pasta più banali e amati, reinterpretato con espedienti tecnici che rendono ogni forchettata un lampo di golosità ed eleganza. La mantecatura degli spaghetti viene fatta in un brodo di katsuobushi di tonno, poi un “dado” ghiacciato di sugo tradizionale di tonno, aglio, olio, peperoncino, capperi e prezzemolo viene grattugiato sulla pasta come una bottarga, insieme ad un trittico di ingredienti essiccati: uvetta sultanina, olive verdi, cucunci e capperi essiccati.

Alberto Cauzzi e il Broccolo e anice di Niko Romito

L’approccio al mondo vegetale, e conseguentemente sostenibile, è la nuova moda del decennio. Sembra che ormai non si possa parlare d’altro, della sostenibilità, della sconvenienza della proteina animale o ittica che sia, tanto che molti cuochi affrontano questo tema proprio perché attuale; perché la gente e tutto il movimento della comunicazione enogastronomica spinge in tal senso. E sebbene ci sia chi utilizza questo veicolo come semplice pretesto, c’è anche chi ne fa un punto di partenza: una leva per esplorare in maniera ancora più pervasiva e intensa il proprio talento e la propria ideologia di cucina, come Niko Romito. Non è un mistero, a questo proposito, che lo Chef del Reale affronti l’ingrediente da un punto di vista risolutamente inedito e personale. Da tempo immemore la sua concentrazione, la sua capacità di sviscerare tutte le peculiarità e le spigolature della materia, è il paradigma del suo stile culinario. Pensiamo all’Assoluto di cipolla, al Carciofo, alla Melanzana. Pensiamo alle laccature, alle concentrazioni di fondi vegetali, a lavorazioni che sono in pista, per il cuoco abruzzese, da molto più di un decennio. Questo piatto, in particolare, è l’elevazione di tutti gli studi compiuti sino ad ora, un binomio intenso e persistente quanto povero ed elementare. Cosa si può ottenere con una foglia di broccolo e anice? Una meraviglia!

Antonio Sgobba e le Lumache, peperone friggitello, origano, erbe soffiate di Mauro Uliassi

Lumache e friggitello un abbinamento azzeccatissimo di quel genio di Mauro Uliassi, un piatto giocato sui toni aciduli del vegetale che tiene a bada la terrosità della lumaca e al tempo stesso ne valorizza il sapore, senza ricorrere a un eccessivo aiuto dei grassi. Il sentore di origano e la consistenza delle verdure soffiate completano la sensazione di piacevolezza. Un piatto da applausi a scena aperta.

Orazio Vagnozzi e il Risotto al gorgonzola, ostriche e liquirizia di mare di Riccardo Monco alll’Enoteca Pinchiorri

Sobrio nella presentazione, concentrato ed equilibrato nel gusto. Squisito!

Fiorello Bianchi e la Verza, verza, verza di Michele Valotti a La Madia

Verza cotta nel grasso di pollo, emulsione, shiro koji e shiro miso sempre di verza con whisky torbato e burro affumicato, cavolo cappuccio fermentato per un piatto davvero emozionante per la complessità, originalità e intensità di gusto.

Giovanni Gagliardi e l’Indivia belga di Gaia Giordano da Spazio Milano

Indivia belga, mandarino tardivo e arachidi:  piatto di cottura impeccabile, in cui a rubare la scena è una crema di arachidi di eccellente equilibrio, accompagnata dal contrappunto agrumato del mandarino. Piatto superlativo che conferma la mano eccelsa della Chef nel trattare gli ingredienti di origine vegetale.   

Gianni Revello e lo Spaghetto al caffè, limoni di mare di Stefano Baiocco a Villa Feltrinelli

Perfetta crasi d’italianità: la pasta, il caffè, i frutti di mare.

Roberto Bentivegna e la Volaille de Bresse cotta intera in crosta di sale di Georges Blanc

È per piatti come questo che possiamo macinare centinaia di km, che spendiamo fortune alla ricerca dell’emozione più profonda. Cultura, storia, racconto: in questa preparazione c’è tutto. Da prenotare in anticipo e da provare almeno una volta nella vita. 

Leila Salimbeni e il Coniglio al mascarpone con spinacino e mele di Carlo Cracco e Luca Sacchi

Coniglio disossato, pressato e cotto a bassissima temperatura, impreziosito di cristalli di sale dolce, mascarpone, pinoli e spinacino e servito, da Carlo Cracco e Luca Sacchi, in Galleria, a una temperatura perfetta, fisiologica, a enfatizzare tutto il repertorio delle morbidezze. Un piatto che è manifesto dell’italianità più colta e più elegante a tavola, anche quando si serve degli ingredienti più agresti e frugali, serviti in una maniera quasi monastica.

Gianluca Montinaro e le Lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici di Gian Piero Vivalda all’Antica Corona Reale

La cucina, oltre a parlare al palato, ha la capacità di parlare allo spirito. E quando in un piatto si intrecciano storie di luoghi e di persone, di affetti e di famiglia, di tradizione e di prospettiva, allora l’animo – almeno il mio – muove a trasporto. Il piacere di quella pietanza non si ferma alle quattro sensazioni, ma diventa poesia e trascende a quella «calma grandezza» di cui scriveva Johann J. Winckelmann. Ebbene, in questo 2022, il piatto che più mi ha commosso sono state le Lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici, opera di Gian Piero Vivalda (ristorante Antica Corona Reale, Cervere). Una piccola ‘opera d’arte’ che un figlio ha dedicato a un padre che non c’è più. Che un uomo di cuore ha immaginato per raccontare la storia della propria famiglia. Che un grande cuoco ha ‘costruito’ con i prodotti della propria terra. Vera emozione!

Davide Bertellini e la Cassœula Oggi del Trussardi by Giancarlo Perbellini di Milano

Perché lo Chef ha saputo rivisitare in chiave contemporanea un piatto della tradizione milanese mantenendo intatto il gusto e la  concentrazione dei sapori ed elevando l’estetica.

Claudio Marin e gli Gnocchi di patate in brodo di buccia di patata e bergamotto, schie essiccate e fritte, timo e limone di Antonia Klugmann a L’Argine a Vencò

Un piatto di rara precisione ed eleganza, in cui colpiscono l’utilizzo inconsueto dello gnocco, la concentrazione e complessità del brodo – un esempio di come il no waste (spesso ridotto ad etichetta) possa tradursi in concretezza a servizio della preparazione – e la valorizzazione magistrale delle note sapide che compaiono a fine assaggio, a coronarne la perfezione. 

Adriana Blanc e il Colombaccio, salsa di artemisia, fave alla brace, liquirizia di Alex e Vittorio Manzoni all’Osteria degli Assonica

I fratelli Manzoni propongono una cucina che interpreta magistralmente il territorio. Una valorizzazione della materia prima a tutto tondo che, attraverso l’uso di lavorazioni rispettose del prodotto e di accostamenti audaci, porta in tavola piatti dai sapori sorprendentemente intensi e ben bilanciati. La carne del colombaccio è appena scottata, intrisa dei suoi succhi, ferrosa e potente. A fare da contrappunto vi è una balsamica salsa di artemisia, che unita alla dolcezza delle fave smussa ogni spigolatura e rivela un connubio di grande equilibrio e piacevolezza. 

Valerio De Cristofaro e la Trota fario, scaglie di ravanelli e mandorla fermentata di Giulio Gigli da UNE

Molto interessante l’accostamento fra la trota ed il fondo di ravanelli. Le mandorle fermentate incuriosiscono; la vera chicca è, però, la chips di pelle con lattume, tartufo nero e soprattutto acetosella. Quest’erba, perfettamente dosata trasforma il piatto. La sua nota rinfrescante la ricordiamo ancora con piacere… catartica. 

Erika Mantovan e il Risotto nascosto di Luigi Taglienti

Il Risotto nascosto di Luigi Taglienti copre il capriolo alla forchetta, e si completa con una salsa bianca e una polvere di caffè. La delicatezza non nasconde un’accelerazione dei gusti che appaiono come l’espressione di una manualità e di una tecnica al servizio degli ingredienti. Si raccontano i gusti primitivi e si rendono essenziali. Non importa il dove ma il come. La salsa resta lo strumento, la migliore connessione nei piatti, di questo Chef oggi all’IORistorante di Piacenza

Giacomo Bullo e i Tubetti al cavolo nero, stracciatella di canocchie e olive affumicate di Gianluca Gorini

In principio fu l’estrazione loprioriana, sintesi ed essenza estrapolabile dal singolo ingrediente. Poi, da San Piero in Bagno ad oggi, Gianluca Gorini con un singolo piatto a coniugare insieme il più bel mari e monti di questo 2022. Il profondo brodo di cavolo nero, nella sua austerità vegetale incontra il dolce stil gusto della canocchia, in polpa e nella sua proteica coagulazione dell’albumina in essa contenuta. Una stracciatella che non ha tradito la sua anima popolare: rifocillare nella sua (neo) golosa interpretazione. Stupire con una minestra? Con Gorini è possibile!  

Gianpietro Miolato e il Salmone e caffè di Alberto Basso

Ai Tre Quarti va in scena un piatto complesso, non certo accomodante ma assai intelligente. Acido, sapido, persistente, armonioso, un connubio capace di unire istanze non semplici in una forma accessibile e riconoscibile anche al commensale meno esperto. Chapeau.

Gherardo Averoldi e la Chimera di agnello e piccione, salsa alle olive nere di Kalamata di Alain Passard a l’Arpege

Alain Passard ha costruito la sua fama leggendaria soprattutto per la rivoluzione vegetale che ha coinvolto il suo ristorante, l’Arpege, dal 2001. Tuttavia non va dimenticata la sua maestria come rôetisseur, che trova uno dei suoi apici assoluti nelle così dette “chimere”, l’unione in un unico piatto e in un’unica cottura della carne di due differenti animali, i quali non sono solo giustapposti ma fisicamente uniti per creare una nuova e mitica creatura. La cottura è magistrale, la sensazione è quella di mangiare realmente un animale che non è più né piccione né agnello ma qualcosa di completamente nuovo, trasfigurato, il tutto accompagnato da un’eterea salsa alle olive nere di Kalamata e dalle splendide verdure dell’orto di Alain. Un piatto da pelle d’oca.

Marco Bovio e i Fagioli e Melone di Michele Vallotti a La Madia

Se la consapevolezza è rappresentata dai sapori acido e amaro, sono stato assolutamente consapevole di aver assaggiato il piatto più buono di quest’anno alla Trattoria la Madia dello Chef Michele Valotti. Il suo Fagioli e melone ti stende con un uppercut, il piacevole “fastidio” di un piatto della memoria, come una pasta e fagioli che si evolve in bocca grazie all’acidità del melone fermentato e la grassezza dell’olio al prezzemolo.

Giancarlo Saran e gli Gnocchi di patate con trippette di baccalà e ricotta affumicata di Mattia Barni da Alajmo Cortina

Mattia Barni è l’ennesimo talento valorizzato dalla premiata ditta Alajmo. Comasco di nascita ha fatto tutto un percorso all’interno della Maison. Calandre, Quadri, Marrakech. Ora hanno affidato a lui Alajmo Cortina. Intriganti gli gnocchi di patate al grano arso con trippette e gola di baccalà, salsa di ricotta affumicata. Ma il tocco malandrino è di un ingrediente non indicato nel menù, le lamelle fritte di porro che ti accompagnano nel girone dei golosi, ma ne vale la pena.

Vania Valentini e la Storia d’Amore di Fabio Vandelli all’Erbavoglio 

Trattasi di tortellini di pasta chiusa all’uovo dalle sfogline, con ripieno di orzo fermentato italiano biologico, anacardi, crema di Parmigiano Reggiano 24 mesi con certificazione di qualità. Semplicemente meravigliosi, saporiti, gustosissimi, forse più buoni degli originali. Parola di emiliana.

Il riccio e il rosa

Complice un laboratorio di salumeria ittica e la perizia del proprio team, Moreno Cedroni sta focalizzando l’attenzione, nazionale (e non), attorno a un concetto finora solo molto abusato, cui restituisce dignità indagandolo in ogni suo più infinitesimale dettaglio: la materia. Ogni piatto, qui, è pertanto più che espresso a cominciare dal taglio, sempre concepito e cucito su misura per rendere omaggio alla consistenza e alla frequenza – olfattiva, gustativa e cromatica – dell’ingrediente. Tra i piatti più efficaci di questo nuovo approccio c’è senz’altro la Royale di ricci considerata in un modo insolitamente fusion visto che, qui, s’incontrano l’usanza sicula di consumare i ricci crudi col pane e la scuola classica francese presentificata mediante panna e uova. Il basso si sposa con l’alto, dunque, anche nell’abbinamento, con questo trascinante Kretzer di Kössler.

Il Kretzer, difatti, è l’antico, vernacolare nome del vino che i contadini ricavavano dal lagrein appena pigiato e, dunque, appena rosato. Delicato ma sferzante, del riccio richiama le note iodate ingentilite da una morbidezza di fondo: la stessa della crema cotta che tutto avviluppa. Questo della storica cantina Kössler di San Paolo affronta una breve macerazione sulla buccia e nessuna malolattica: il sorso sarà pertanto teso e croccante, e sapido e tornito come certe figure di boteriana memoria.

Alberto Cauzzi

Da Gorini

Il fatto che Da Gorini resti ancora una delle mete più “calde” di questo 2021 lo dimostra – anche – questo riso in acqua di vongole, olio di Oliva, dragoncello, limone salato in pasta, origano e polvere di olive nere essiccate e affumicate. Un tripudio di acido, amaro, quasi iodato-fenico dalla lunghezza e derive aromatiche decisamente intriganti e persistenti.

Cracco

Forte anche della decisiva collaborazione di Luca Sacchi, Cracco sovverte e diverte: come in questo piatto, tecnicamente e concettualmente un dessert, ma proiettato nel mondo salato. L’uso sapiente, peraltro, del sale, tenue, e la veicolazione di ingredienti in forma naturale, traccia la rotta verso l’esplorazione dell’insapore, ovvero del neutro, come combinazione in perfetto equilibrio di acido-dolce-sapido e amaro.

Antica Corona Reale

Perché l’Antica Corona Reale è ancora il posto dove gustare il mio piatto feticcio, qui realizzato veramente a regola d’arte. Grazie all’equilibrio perfetto tra farcia e carne e una salsa da manuale tirata col sangue, come vuole la tradizione, morbidezza e tenerezza sono filologicamente rispettate pur mantenendo, della carne, la provvidenziale turgidità.

Andrea Grignaffini

La Madia

Da un alchimista delle fermentazioni – lo chef Michele Valotti – un menù impavido tra ruvidità, spunti amarotici e profondità, per una quadro finale assolutamente personalissimo e fuori dagli schemi.

Mistral

Ettore Bocchia gioca sotto traccia mediatica ma infila piatti in cui l’ingrediente è assoluto e rispettato come difficilmente succede, in una filosofia che mette l’italianità più nitida, con tocchi contemporanei, su una trama classica.

Moebius

Enrico Croatti ha finalmente aperto il suo Moebius (nella versione “sperimentale”): cucina che sperimenta, spinge, si acquieta e torna in vibrante in un susseguirsi di portate in cui la parte ludica è solo un movimento in più di un gioco molto più complesso.

Davide Bertellini

Osteria Francescana

Per la geniale rilettura di alcuni celebri piatti italiani da parte di Massimo Bottura.

Diverxo

Per la straordinaria capacità di David Muñoz di farti viaggiare sull’ottovolante del gusto.

Noma

Il menù di caccia di Rene Redzepi riesce senza dubbio a portarti a spasso nel suo bosco ideale. 

Alessandro Pellegri

Asina Luna

Una scoperta inaspettata, un tempio della carne di altissimo livello, in una periferia milanese dove proprio non te lo aspetteresti. Una scelta incredibile di carni, trattate con mano capace e felice. Se siete amanti delle proteine animali poco o nulla cucinate, un indirizzo da scrivere tassativamente in rosso sul taccuino gourmet (e, chiaramente, visitare al più presto).

Fradis Minoris

Una piacevolissima scoperta in un uno dei più begli angoli di Sardegna, un luogo strepitoso che, con il cambio dello chef avvenuto quest’anno, ha ora finalmente la cucina che si merita. Davvero un posto che resta nel cuore, in primis per l’ambiente… e ora anche per i piatti.

Frangente

Conoscevamo bene Federico Sisti al Ronchettino, felici di ritrovarlo in una tavola più urbana e che meglio si addice al suo stile, Frangente. Un piccolo ottovolante gourmet, capace di far star bene chiunque. Da consigliare a tiro zero, meglio se seduti nel “tavolo” al pass, per un’esperienza più a 360°

Orazio Vagnozzi

Duomo

Ho iniziato e terminato l’anno gastronomico da lui. In un ristorante accogliente e dal servizio impeccabile Ciccio Sultano propone una cucina dalla personalità forte, basata su materie prime eccelse e una capacità unica di estrarre i sapori. Nei suoi piatti raffinatezza, intensità gustativa e armonia. 

Frangente

Frangente, una delle novità a Milano del 2021. Lo chef Federico Sisti ci allieta con la sua naturale simpatia e con una cucina originale e creativa che parla il linguaggio della tradizione dove l’ingrediente è protagonista e il godimento il fine ultimo.

Uliassi

Che sia pesce, cacciagione o quinto quarto, senza parlare della pasta, Mauro Uliassi esprime una cucina golosa, ludica e goduriosa mettendo nel piatto capolavori di equilibrio gustativo, basati su ingredienti che sono un vero e proprio tributo al suo amato territorio marchigiano sulla capacità di usare al meglio le moderne tecnologie culinarie.

Adriana Blanc

The Brisket

Forse a causa del virus che troppe volte ho nominato, il 2021 è stato per me l’anno in cui più che mai ho apprezzato comfort food e luoghi accoglienti. Grazie alla simpatia di Lucas, chef e patron, al The Brisket mi sono sentita a casa, ma con un delizioso bbq argentino-texano da mettere sotto ai denti.

Il filo di paglia

Se al The Brisket mi sento a casa, Il Filo di Paglia è la perfetta fuga dalla quotidianità. Un’isola felice fatta di passione, cordialità e ottimo cibo interamente auto-prodotto. E lucciole. Migliaia di lucciole a illuminare il bosco nelle calde sere d’estate: magia pura.

AALTO

La bravura del giovane chef di origine nipponiche e derivata identità italiana, che rende Aalto una delle tappe gastronomiche più interessanti di Milano. Sapori sorprendenti, umami all’ennesima potenza e tanta bellezza nel piatto; due paesi presentati nella loro veste migliore, uniti in un’armonia senza confini.

Roberto Bentivegna

Signum

Non si può scindere la cucina di Martina Caruso dalla proposta di vini al calice di suo fratello Luca. Sono affari di famiglia: così la cucina di Martina si perfeziona anno dopo anno, mentre la cantina di Luca è sempre più piena di chicche sorprendenti (che lui non teme di stappare al momento giusto).

Kresios

Uno tra i pochi locali in Italia in cui menù degustazione obbligatorio e pairing hanno davvero un senso. Giuseppe Iannotti e Alfredo Buonanno sono una delle coppie d’oro della ristorazione italiana. 

I Masanielli

Non solo la pizza a un livello superiore, ma tutto quello che le ruota attorno. Locale, organizzazione, dessert, carta vini e birre. La Pizzeria del 2021, con la P maiuscola, è quella – ovvero, questa – che può dare del tu ai grandi ristoranti europei.

Fiorello Bianchi

Materia

Il menù degustazione Revolution Revival di Davide Caranchini ci porta in promenade palatali di acidità, erbosità, balsamicità, aromaticità, amaro, dolce, fermentazioni, a scoprire tanti quadri, tutti diversi, della sua cucina assolutamente unica, fortemente identitaria, e rock nell’anima. Un’esperienza “Stratos-ferica”, per citare, il geniale Demetrio Stratos. Così come Stratos, Caranchini sperimenta e si spinge verso nuovi orizzonti: quelli della polifonia.

I Tenerumi

Davide Guidara è uno dei giovani più talentuosi della scena italiana, da anni studia e fa ricerche approfondite in collaborazione con università, sulle tecniche di conservazione, fermentazione, macerazione, ossidazione, alla ricerca del “Sacro Graal dell’umami“. La nuova frontiera? Estrarre l’essenza dal vegetale, rigorosamente autoctono, espandendola alla massima potenza.

Dina

Alberto Gipponi è il “disruptive chef” per eccellenza. È uno chef che si fa continuamente tante domande sul ruolo della cucina, della ristorazione e ovviamente del suo in questo mondo. La sua valenza e la sua unicità stanno nel fatto che, soprattutto nel menù degustazione più sperimentale, ognuno dei suoi piatti susciti, come lui, un pensiero capace di attivare i recettori sia palatali che cerebrali. Excellent food for thought!

Giacomo Bullo

Koks

Difficile da raggiungere, difficile da dimenticare. Massima espressione con l’agnello e monumentali doni che il mare regala ad un grande cuoco che ne è suo interprete, Poul Andrias Ziska.  

Le Cementine

Il format Alajmo che ancora una volta brilla con millimetrica leggerezza. Un luogo dove cucina e spazio viaggiano in parallelo tra la golosità e la bucolica bellezza circostante. Atmosfera piacevolmente onirica. 

Marzapane

Che bello godere della sana, (ma non semplicistica) irriverenza gastronomica di questa realtà. Un’alta cucina da banco a mezza via tra un izakaya giapponese condito in salsa trasteverina. Materica, coraggiosa e divertente questa è cucina che sa emozionare dall’inizio alla fine. 

Leonardo Casaleno

L’Ambroisie

La classe, la magnificenza e la straordinaria esecuzione dei piatti di Bernard Pacaud (settanta e passa anni e non sentirli) quest’anno ci hanno letteralmente stregato. I piatti del L’Ambroisie sono leggenda e, ancora oggi, tra avanguardia e sperimentazione gastronomica, l’assaggio della feuillantine al sesamo con scampi, spinaci e salsa al curry, delle scaloppine di branzino selvaggio, carciofi e caviale e della incredibile torta sabbiosa al cacao amaro, è un’epifania gastronomica. Un trois étoiles immortale.

Hyle

Non siamo in Alta Badia o a Parigi, ma a San Giovanni in Fiore, nella Sila calabrese. Eppure si rischia piacevolmente di perdere la cognizione di tempo e luogo a ogni boccone. Che sia un microscopico assaggio di cervo servito a carpaccio su una meringa al limone e burro alle acciughe, una sontuosa salsa à la royale o un elegantissimo beurre blanc ai porcini, la sensazione di essere seduti in una pluristellata tavola di montagna o della capitale francese è molto realistica.

Stadera

In una piccola gastronomia di quartiere, in centro a Milano, si nasconde una perla gastronomica dove una cucina sincera e generosa vi ruberà il cuore. Tutti i piatti – della tradizione ma non solo – sono curati personalmente dallo chef-patron Aldo Ritrovato, con un’esecuzione perfetta, frutto della sua lunga esperienza nell’alta ristorazione. Comfort food ai suoi massimi livelli.

Valerio De Cristofaro

Sora Maria e Arcangelo

Tradizione, stagionalità, semplicità e qualità sono i pilastri su cui si poggia quest’ottima trattoria.

Pascucci al Porticciolo

La certezza. Probabilmente una delle migliori cucine di pesce in Italia al momento. 

Marzapane

Innovazione, freschezza e gioventù. Ne sentiremo parlare…

Giovanni Gagliardi

Franco Mare

Un lido pieno di charme in Versilia, si mangia a bordo piscina guardando il mare. Si gode di un servizio alla lampada d’altri tempi, di grandi pesci porzionati in sala, di salse preparate al tavolo in diretta. Classicità, sapienza tecnica un tuffo in una Versilia che fu ma che, volendo c’è ancora.

Al Gambero

Ci sono tornato dopo diversi anni ed ho avuto il piacere di provare lo stesso piacere di sempre. In sala impareggiabile Antonio Gavazzi, padrone di casa esemplare, degno seguace della grande scuola dell’accoglienza italiana (quella di Gianluigi Morini e di Antonio Santini). La cucina regala piacere, succulenza e golosità in dosi massicce.

Re Santi e Leoni

Scendiamo al sud ma lontano dalle rotte turistiche. Siamo a Nola, qui un giovane e capace cuoco è tornato a casa dove sta riuscendo ad esprimersi al meglio. Sgombro, mela verde, cetrioli e alghe, questo il piatto che che riassume al meglio la cifra stilistica di Luigi Salomone nel segno di equilibrio, essenzialità e pulizia.

Erika Mantovan

All’Enoteca

Nel cuore pulsante di Canale, lo chef Davide Palluda riesce a fare sempre un passettino in avanti. Curiosità e dinamismo si uniscono all’esperienza, e il darsi agli altri e al territorio, fanno sì che la clientela apprezzi e comprenda piatti dai sapori più spinti e ingredienti nuovi come un daino dal gusto torbato.

Dina

Indelebile l’ingresso e l’uscita, da una piccola porta, al ristorante. Nessuna insegna. La luce è dentro, un mondo incredibile aspetta i commensali che diventano un po’ tutti navigatori, come Magellano; Gipponi fa scoprire rotte nuove, per un giro intorno al mondo inedito della cucina. 

Condividere

A Torino, Italia e Spagna si uniscono, le forme dei piatti e dei gusti sono come la vista di nuove insenature. La location, incredibile, a firma di Dante Ferretti, autenticano l’aspetto di divertimento e conviviale. Molte portate si prestano ad essere consumate a mo’ di finger food, superiore la fattura e la ricchezza del gusto.

Claudio Marin

Mugaritz

Per il coraggio dimostrato nel proporre una cucina che anticipi i nostri desideri futuri, anziché assecondare quelli attuali.

Uliassi

Per un Lab – ancora una volta – entusiasmante.

Da Gorini

Perché è uno Chef capace di mettere il proprio talento cristallino a servizio di un’offerta gastronomica inclusiva. 

Gianpietro Miolato

El Molin

La capacità, a tratti impressionante, di proporre al commensale la Val di Fiemme nel piatto, utilizzando fiori, muschi, licheni, erbe; insomma, tutto ciò che il bosco può offrire, senza paura di puntare su note amare e balsamiche, come in Olio extravergine di oliva e la montagna: un piatto indimenticabile.

La Cru

Lucidità di pensiero e chiarezza programmatica da professionisti navigati. Attenzione massima su acidità e note amaricanti, senza dimenticare i tesori della Lessinia. Spaghetti turanici al sugo di gallinella, asparagine selvatiche e liquirizia è un esempio princeps di equilibrio tra rotondità e lunghezze acide.

Al Pestello

Trattoria 2.0 ai massimi livelli, grazie a un uso oculato, intelligente e preciso della tecnica al servizio della materia prima. La tradizione più agreste, rispettata e ammodernata, esaltando ogni singolo ingrediente. Il Baccalà alla vicentina senza glutine e cotto a bassa temperatura è lì a dimostrarlo.

Gianluca Montinaro

Osteria Francescana

L’Italia è il Paese con la più complessa stratigrafia gastronomica al mondo, il cui epifenomeno ultimo è la sua alta ristorazione. Ci voleva un genio come Massimo Bottura per creare un menu – quello proposto durante il 2021 – che ne raccontasse, dando senso attraverso l’interpretazione, alcuni dei suoi piatti più iconici…

Dalla Gioconda

…come ci voleva ‘l’allievo’ par execellence del cuoco modenese, Davide Di Fabio, per dare un nuovo corso a un locale di lunga tradizione: Dalla Gioconda. Qui la cucina si fa introspezione, riflettendo e riflettendosi, nei prodotti e negli usi di terra e di mare di uno spazio culturale indiviso fra Marche e Romagna.

Tiglio

E, infine, all’altro capo della ‘regione plurale’, abbarbicato nel suo eremitaggio sui Sibillini, un finalmente sereno Enrico Mazzaroni stupisce con la sua cucina gustativamente complessa, smagliante in abbinamenti ed equilibri, con piatti di immensa soddisfazione, ora liberi dalle forzature del passato.

Luca Nicoli

Lido 84

Quasi impossibile non ammirare la cucina di Riccardo Camanini. Un menù vivace e personale, soprattutto nella sua versione invernale, e dai moltissimi livelli di lettura. Un luogo destinato a fare la storia della cucina italiana.

Pashà

Una cucina ricca di sapori e tecnica, legata a doppio filo a un servizio eccelso, in perfetto equilibrio fra professionalità e accoglienza. Una stella che ormai brilla per due.

Bolle 

Un locale che in solo due anni è riuscito ad imporsi in un territorio tradizionalistico, come quello bergamasco, con una cucina d’avanguardia e molto saporita. La sala giovane, la cantina divertente e l’eccellente rapporto felicità/prezzo fanno il resto.

Claudio Persichella

Hyle

Per come il bravissimo Antonio Biafora rappresenta degnamente l’affermazione gastronomica, ormai di rilievo nazionale, di una regione.

La Table

Per come Bruno Verjus ci ricorda che la materia prima, qui ossessivamente selezionata, sia il mantra di qualsiasi tavola degna di questo nome.

Materia

Per il cristallino talento di uno degli chef più bravi del panorama nazionale: Davide Caranchini.

Giampiero Prozzo

Marotta

Nel diluvio di stelle campane il mio pranzo dell’anno è dal grande escluso. Una cucina di estrema precisione e molto accattivante. Di Domenico Marotta ne sentiremo molto parlare. 

Pashà

Lo chef Antonio Zaccardi sempre più in sintonia con il territorio per uno straordinario utilizzo della componente vegetale. Sicuramente uno dei posti più interessanti della scena meridionale, con la complicità della sala di Antonello Magistà e i dessert di Angelica Giannuzzi.

Minibar

Una delle creature di José Avillez, star della gastronomia portoghese. Un posto alternativo per una cucina dove la tecnica sottende il divertimento. Il foie gras con zucchero filato e iyo al lampone, per esempio. 

Leila Salimbeni

Ristorante Cavallino

Un’accelerata di piatti divertenti nel gusto e performanti nell’estetica, capaci di conciliare tra loro propensione pratica, ludica, utopica e critica. Ecco perché ciascun piatto è così efficace non solo da un punto di vista gustativo ma anche enciclopedico, dove va a scomodare tutti i sottesi possibile. Come insegna il maestro, Massimo Bottura, qui, per interposta persone del precisissimo, e altrettanto veloce, Riccardo Forapani.

AALTO

La perizia tecnica e la sensibilità nei confronti delle consistenze e delle temperature attinta sia dal Sol Levante che dalla scuola occidentale, permette a Takeshi Iwai di concepire una cucina assoluta, ovvero libera, scissa da qualunque riferimento enciclopedico o modello precostituito. Ne nasce un percorso che vivifica il palato, anche mentale, del commensale, che ne esce rinnovato o, comunque, profondamente, impercettibilmente cambiato.

Arduino Bolgheri Osteria Ancestrale

Una cucina brutale, oltre che ancestrale, poiché fondata su cotture eminentemente alla brace e quasi nessuna linea. E con limitatissima presenza di elementi di origine animale, perché il resto è tutto vegetale, a eccezione dei formaggi, spesso caprini, da allevamenti locali. Ne sortisce un trompe-l’œil di grande mimetismo con l’ambiente circostante, amplificato dal fatto che, qui, si mangia solo en plein aire.

Giancarlo Saran

Il Pedrocchino

È l’ambasciata che ha scelto Krug per l’Italia, nel regno della famiglia Dalla Torre. Una cantina che avrebbe stregato Gino Veronelli. I piatti sembrano composti in uno studio di design edibile. Si viaggia di pesce con contaminazioni a tutto Stivale. Un piatto per tutti, i ravioli cacio e pepe con scampi crudi

Da Munaretto

I Colli Berici sono un’enclave di storie tra gola e cultura. I gargati marchiano il territorio. Sorta di maccheroni partoriti al torchio con trafila dedicata. Abbinati secondo stagione, tra orto e stalla: piselli, maiale & co. Non lasciatevi sfuggire le lumache. Polenta e musso (asino) altra madeleine senza tempo. 

Caprini

Una storia di molte storie radicata dal 1907 nella Valpolicella dove regnano l’Amarone e i suoi fratelli. C’è chi torna, recidivo e impenitente, anche solo per le lasagnette della Pierina, rigorosamente tirate a mano tagliate al coltello con ragù conseguente. Carni bovine e suine a metro zero. 

Antonello Sgobba

Uliassi

Un posto che regala emozioni uniche, soprattutto se visitato fuori stagione quando dalle vetrate dello chalet marino si scorge la spiaggia deserta ed austera. A tutto questo fa da contraltare una cucina ricca di sapori e smaniosa di trasmettere emozioni con piatti di caccia e di mare, come l’indimenticabile tartare di lepre e ricci di mare, un piccolo capolavoro giocato sulle note ferrose e iodate. 

Stadera

Una piccola bomboniera nel centro di Milano, tra le nuove apertura di quest’anno, la gastronomia dello chef Aldo Ritrovato è diventata in fretta uno dei banconi preferiti dove assaggiare piatti semplici ma tecnicamente perfetti come l’evocativo spaghetto con le vongole oppure i saporitissimi e originali piatti di verdure, rigorosamente di stagione.

Locanda Mariella

Si definiscono come libera “comunità” di Fragno e dintorni, in realtà sono un’oasi vera e propria del buon cibo e del buon bere. La nuova formula prevede pochissimi coperti e tre tipologie di menù preparate dallo chef Kuni, in sala invece c’è l’ospitalità e la passione di Guido e Mariella Gennari, sempre pronti a proporre qualche rarità enologica. Quasi impossibile non innamorarsi di questo luogo che pare sospeso nello spazio e nel tempo.

Andrea Solari

Lido 84

Riccardo Camanini ha ormai raggiunto uno stato di grazia (quasi) universalmente riconosciuto. La sua cucina è un costante, naturale fluire che sembra rendere semplice anche quello che a una più attenta analisi semplice davvero non è.

Materia

In continua, costante crescita Davide Caranchini, che sempre più si sta staccando dagli esordi nordici per un approccio vieppiù personale e interessante. È ormai vicino ai grandi, manca solo una location degna di una tale crescita.


Uliassi

Anche raggiunto l’apice, Mauro Uliassi non si ferma mai e anzi osa, come forse mai ha fatto fino ad ora. Una rivisitazione di un piatto tanto inflazionato quale la pasta al pomodoro denota una sicurezza di sé davanti alla quale ci si può solo inchinare.

Uliassi Lab 2021: l’infinito (g)astronomico e l’impero dei sensi

Sono definiti, per convenzione, «numeri astronomici» quei numeri che, definendo aritmeticamente l’incommensurabilità dell’universo, non possono essere ‘significati’ se non ricorrendo a espressione matematiche che sfuggono le consuete logiche alle quali si è abituati dalla quotidianità. Eppure questi numeri – costruiti da tanti zeri – non riguardano solo le stelle e le galassie. Assurdamente, ma neppure così tanto se si pensa all’adagio di Ermete Trismegisto, «così in alto come in basso», sono i medesimi che si utilizzano per esprimere un universo molto più piccolo, ma altrettanto complesso: quello della mente umana.

La neuroscienza ci dice (ovvio, per similitudine approssimativa) che nel cervello dell’uomo si sviluppa un processo sinaptico pari al numero dei corpi celesti presenti nella intera Via Lattea. In altre parole sono le sinapsi, ovvero le interconnessioni fra i neuroni, a consentire all’uomo di ‘pensare’, traendo esperienza e conoscenza da ciò che percepisce attraverso i cinque sensi (vista, udito, gusto, olfatto, tatto). Sul molo di Senigallia, fra il porto e la “spiaggia di velluto”, forse di neuroscienza e di numeri astronomici non se ne è parlato in modo approfondito. Ma, invertendo il processo cognitivo, del potere dei cinque sensi in senso gastronomico, sì. E molto.

Mauro Uliassi, che da anni ha abituato la sua sempre più folta schiera di affezionati ospiti a piatti fortemente innovativi ma al contempo legati alle espressioni territoriali e tradizionali di quello scampolo di terra marchigiana divisa tra le dolci colline e l’azzurro intenso del mare, lo dichiara con orgoglio: «nel nostro lavoro ci basiamo sui sensi: è così che riusciamo a veicolare il nostro concetto di cucina». Ed è pure così che, certo forse più empiricamente di un neuroscienziato ma con altrettanta caparbietà, Uliassi e la sua squadra hanno messo a punto un menu, Lab 2021, che, più che mai, riesce a coinvolgere gli organi percettivi, in un viaggio lungo dodici corse, alla scoperta delle gastronomiche potenzialità dell’impero dei sensi.

Il senso del percorso

I Lab proposti da Uliassi, negli anni passati, sono sempre stati caratterizzati da piatti che, anche estratti dal menu e mangiati singolarmente, avevano una loro compiutezza formale, stilistica e gustativa. Il Lab 2021 (che va prenotato in anticipo, ed è proposto al prezzo di 200€) si segnala invece per essere una successione di pietanze completa e conchiusa solo all’interno del percorso. Ed è proprio l’azione del percorrere, attraverso i sensi, a dare un senso al percorso e a costruirne i significati, i limiti, le potenzialità.

Con Lab 2021 cuoco e ospite sono chiamati a sostenersi in una sfida comune. Non c’è ragione né sentimento: ma la sensazione tattile del dito che Uliassi invita a utilizzare per tirare su dal piatto ciò che rimane de l’eleganza del riccio (ricci di mare, limone, chinotto, finocchio selvatico, alias levistico), il piatto che, forse in modo sin troppo cerebrale, apre la sequenza. O la suggestione profumata che suscita il gambero rosso con cervella di gambero, zenzero, arancia e cannella (ripensamento del celebre gambero rosso agrumato che tanto successo ha riscosso gli anni scorsi). O la pienezza del gusto della provocante ostrica con rafano, ciliegie, rognone di pecora e maionese alle uova di coregone.

Come staffili, questi tre piatti aprono la successione in modo tagliente, quasi vogliano risvegliare i sensi, e riattivare un processo della conoscenza che devii dal percorso del noto e dalla comodità dell’ovvio. Fra la sogliola al vapore, lattuga e bergamotto (“omaggio a Piergiorgio Parini“) e le lumache ed erbe di sabbia: finocchio marino, asparagi di mare, kalanchoe e ficoide glaciale, il percorso mostra sempre più il suo volto, assumendo senso nei sensi. L’udito si appaga nei suoni delle consistenze delle seppie sporche con fegato di seppia, cipolle di Cannara e foglie di cappero. Mentre la vista si perde nella cromatica costruzione del colombaccio (con paprica affumicata, rancido di prosciutto e peperoni cruschi: uno fra i migliori piatti di cacciagione sinora mai proposti da Uliassi) e la bellissima rilettura di un classico dell’alta pasticceria francese: il Paris-Brest.

Ma un ulteriore lampo illumina il percorso: pasta e pomodoro alla Hilde. Una provocazione? No, non è nello stile di Uliassi, che le provocazioni non ama. Piuttosto ancora un viaggio in profondità fra senso e conoscenza. Una sfida: come trasferire il profumo del raspo dei pomodori – quel buon odore che si avverte, in estate, camminando in un orto ben tenuto – in un piatto? Presto detto: con un infuso di foglia di fico e burro…

Intanto, nelle bianche sale e nella struggente veranda, sinestetico davanzale sulla ‘spiaggia di velluto’, Catia e Filippo – sorella e figlio di Mauro – dirigono con consumata maestria una partitura fatta di giovani sorrisi, spigliata cortesia e sottile finezza. E l’impiantito sulla sabbia, che di sera si illumina di lanterne, con i suoi cuscini e le sue avvolgenti sedute, pare l’ennesima tentazione all’infinito prolungamento di un pasto che si vorrebbe non finisse mai. Mentre la lenta risacca, come un’ancestrale cantilena, come primordiale liquido amniotico, culla dolcemente i sensi spaesando senza una meta che non sia il piacere di un ricordo, la fuggevolezza di un dolce pensiero, la tenerezza di un passato amore.

Della cantina, curata con passione da Ivano Coppari – da sempre con i fratelli Uliassi, sin da quel 1990 quando, lì sul porto, aprirono la loro ‘pizzeria’ – non si può scrivere se non che è ancora più ampia e profonda, spaziando dall’Italia alla Francia, con attente puntate anche nelle altre ‘terre della vite e del vino’. Bollicine e bianchi la fanno ovviamente da padrone, ma non manca pure una vasta e centrata selezione di grandi rossi. Peccato per i ricarichi che, seppur in un tristellato, sono davvero importanti. E forse una maggior intraprendenza con il cliente sulle proposte e sugli abbinamenti non guasterebbe, portando a livello anche un settore forse lievemente in difetto rispetto a sala e cucina.

Una ultima riflessione è doverosa in chiusura. Quando, ancora seduti a tavola, ci si avvierà alla conclusione di questo viaggio attraverso i sensi, moltiplicatore di sensazioni e conoscenze, si scoprirà di non essere arrivati davvero alla ‘fine’. Si scoprirà di essere piuttosto ritornati alla partenza, dopo aver maturato una introspettiva esperienza di senso e di sapere, pronti per una nuova avventura.

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Il caffè è da sempre utilizzato prevalentemente come una bevanda, con il suo effetto stimolante, che dà inizio alla giornata di milioni di persone in tutto il mondo. Sempre sotto forma di bevanda è utilizzato come fine pasto e come collaterale al pasto stesso. La sua degustazione è una vera e propria arte, tanto che ci è sembrato doveroso tracciare un parallelismo con il mondo del vino e approfondire per intero la filiera, a partire dalle piantagioni in cui si coltivano le Cru de Le Piantagioni del Caffè, ormai nostro punto di riferimento in termini di qualità.

Ma fondamentalmente, sia nella sua forma non tostata – verde – ma anche e soprattutto tostato, è un incredibile e versatile ingrediente che si presta ad essere abbinato a molteplici altri ingredienti ed è utile se non fondamentale nella conclusione del cerchio gustativo di un piatto. Le diverse tostature, ad esempio, regalano aromatiche più o meno intense con sfumature di nocciola, vaniglia, cannella che si comportano come una vera e propria spezia, utile alla conduzione ed esaltazione del gusto di ingredienti principali come la carne, la selvaggina e i funghi.

Il caffè come una spezia

Ma anche nelle preparazioni ittiche, magari utilizzando una tostatura più tendente al verde, la “spezia” riveste un ruolo molto interessante. Pensiamo ad un pesce di fondale come la cernia, grassa e consistente, che con una polvere a basso grado di tostatura può avere risvolti interessanti al pari se non superiori all’utilizzo di un pepe. Aromatiche nuove, quasi spiazzanti, per persistenza e lunghezza gustativa espressa. L’aumento di intensità gustativa, donata dalle derive del nostro protagonista, e l’allungamento dei ritorni aromatici del pesce possono portare ad un risultato che, se abbinato ad un carciofo o meglio ancora ad un fungo, ha del sorprendente.

Carlo Cracco e il suo crudo di dentice

Uno dei cuochi, a nostra memoria, che da tempo immemore lo utilizza come spezia e di riflesso come conduttore gustativo è Carlo Cracco. Ricordiamo ancora un crudo di dentice, capesante, lime e caffè che sorprendeva per il risultato gustativo. L’amaro-acido del lime è un connubio formidabile.

Un altro ricordo interessante di applicazione, qui nella sua forma non tostata, è quello che ci presentò lo chef spagnolo Josean Alija nel suo ristorante Nerua di Bilbao. Carciofo, caffè verde, fondo di jamón ibérico ed erbe aromatiche. Anche qui la grassezza del fondo, in abbinamento con la consistenza e il sapore intenso del carciofo, trovavano la chiusura gustativa con l’estratto di caffè verde che riverbera note vegetali molto intense e speziate, in cui la componente che emerge in maniera eclatante è sostenuta dalle erbe aromatiche in abbinamento.

Massimo Bottura e il camouflage

Massimo bottura, in uno dei suoi piatti simbolo, il camouflage, lo utilizza come spezia, annegato in una miriade di altri ingredienti. Però l’evidenza di quanto il gusto si distenda grazie a questo incredibile tocco è palese a tutti quelli che lo hanno assaggiato.

Il mondo dei dessert

La forma di utilizzo più immediata, a memoria, risulta essere l’applicazione nel comparto dolce. Ma come abbiamo evidenziato con gli esempi precedenti anche il comparto salato ne può beneficiare in maniera significativa. Ciò detto dal tiramisù a sorbetti e bavaresi, molteplici sono gli esempi di dolci, anche della tradizione, con una forte connotazione di questo versatile ingrediente.

Stefano Baiocco lo abbina con il cappero

Non mancano anche qui però riferimenti illustri di innovazione, come nello splendido Cappero, caffè e maggiorana di Stefano Baiocco, che a sua volta rimanda a una preparazione del grande Massimiliano Alajmo, altro cuoco che lo usa spesso, spessissimo in qualità di spezia.

Ecco quindi che l’attenzione verso l’impiego del suddetto, meglio se di grande qualità come quello de Le Piantagioni del Caffè, come spezia o come ingrediente, può aprire le porte ad abbinamenti innovativi, performanti e decisamente originali.

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