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Pausa Pranzo a Parigi

Una pausa pranzo a Parigi, di qualità ma senza svenarsi

Come tutte le grandi città europee, Parigi può riservare grandi gioie gastronomiche ma anche solenni delusioni. Bisogna saper scegliere con attenzione, evitando le trappole spenna-turisti e dirigendosi sicuri verso uno dei tanti locali di qualità che popolano la capitale francese.
Una regola da tenere bene a mente ovviamente per le cene più impegnative, ma valida in tutte le circostanze abbiate voglia di mangiare qualcosa di davvero buono, che sia un panino, un dessert o degli udon fatti come si deve.
Oggi vi parliamo di due indirizzi molto diversi, ma in egual misura adatti a una pausa pranzo veloce e di qualità.

Sanukiya
parigi, sanukiya
Per trovare Sanukiya basta individuare la coda di giapponesi costantemente presente davanti la porta all’ora di pranzo. E se il binomio “pieno di clienti giapponesi = ottimo locale di cucina Jap” potrebbe sembrare un luogo comune trito e ritrito, beh, ci scuserete, ma in questo caso fila benissimo.
Non si può prenotare, quindi mettetevi in coda e aspettate il vostro turno: non temete, il ricambio è veloce e anche nelle ore di punta non si aspetta moltissimo.
Prendete posto al bancone e godetevi la maestria con la quale la ragazza davanti a voi frigge a ruota continua verdure, pesce e pollo.
Gli Udon sono fantastici, finanche meglio di quelli già buonissimi di Kunitoraya (link): gustosi e di consistenza perfetta. I brodi non sono da meno.
Con 15 euro placherete la vostra fame e gusterete un cibo buono, sano e altamente digeribile.
Una controindicazione? I vostri abiti sapranno inevitabilmente odore di fritto per alcune delle ore a seguire.
parigi, sanukiya
parigi, sanukiya
parigi, sanukiya
Il menù completo del pranzo: riso, pollo fritto e “frittata”.
pollo, parigi, sanukiya
Riso.
riso, parigi, sanukiya
Udon in brodo caldo, manzo e cipolla.
udon, parigi, sanukiya
Udon in brodo caldo, rucola, maiale macinato al miso, uovo “onsen tamago” (cioè cotto a bassa temperatura).
udon, parigi, sanukiya
parigi, sanukiya

Frenchie to go
parigi, Frenchie to go
Frenchie: soprannome di Gregory Marchand, il proprietario “dell’universo Frenchie”, affibbiatogli da Jamie Oliver a Londra quando i due lavoravano insieme.
Una storia di grande successo imprenditoriale: al primo ristorante, Frenchie appunto, Marchand ha aggiunto negli anni una rivendita vini, un bar à vin e questa panineria che ha subito riscosso grande successo, Frenchie to go. Che decidiate di mangiarlo qui o farvelo preparare da asporto, troverete un dei sandwich più buoni della città.
La nostra scelta è caduta sul classico della casa, da loro stessi definito “più che un sandwich, un mito”: Reuben sandwich, un Panino con la P maiuscola.
Menzione d’onore per la patatine fritte: semplicemente perfette.
Anche in questo caso, una sosta a basso impatto sulle vostre finanze: con 15/20 euro uscirete satolli e felici.
Frenchie to go
Frenchie to go
parigi, Frenchie to go
lunch, parigi, Frenchie to go
parigi, Frenchie to go
Reuben sandwich (PLUS QU’UN SANDWICH, UN MYTHE)
Pane di segale con semi di cumino, punta di petto affumicato di manzo razza Shorthorn, cheddar inglese Oggleshield, insalata di cavolo rosso.
Il formaggio arriva direttamente dalla mitica Neal’s Yard Diary di Londra. Formaggio inglese a Parigi? Chi l’ha detto che i francesi sono nazionalisti…
Il Brisket è marinato per 10 giorni, ricoperto di spezie e poi affumicato con legno di faggio per 8 ore.
fries, parigi, Frenchie to go
Reuben sandwich, parigi, Frenchie to go
Reuben sandwich, parigi, Frenchie to go
Reuben sandwich, parigi, Frenchie to go
parigi, Frenchie to go

P.S.Dopo il sandwich, consigliamo una caffè all’insegna di fronte: Arbre à café. Vi stupirete dell’attenzione dedicata al mondo del caffè dai due giovani proprietari…oltre ovviamente a gustare un caffè superlativo.

L’attesa è stata lunga perché, per prenotare da queste parti, bisogna davvero mettercisi d’impegno.
Colpevoli qualche riga trovata in rete qui e là, e qualche foto ammiccante di takoyaki (a Roma? ma davvero?), ogni volta che avevamo telefonato cercando un tavolo eravamo stati cortesemente rimbalzati.
Poi, un fortunato giovedì, abbiamo avuto più fortuna e siamo arrivati in questa strada stranamente poco modaiola del Pigneto, davanti alla porta di una palestra dall’aspetto tutt’altro che glamorous. Suonato il campanello, varcata la soglia, con quella semplicità con cui accade in Giappone ci siamo ritrovati in un piccolo angolo di pace.

Niente di sfarzoso, in fondo a un’anonima palestra di periferia, eppure con una sensazione di vero, di visto solo negli izakaya o nei ramen bar nipponici, che faceva sperare bene.
Nella cucina a vista una sola persona, italiana, e in sala un solo cameriere, italiano anche lui, anche se con dei modi timidi e cortesi non così frequenti qui da noi.
Il cuoco, Maurizio, esperto di cultura giapponese (dottore di ricerca in lingua, traduttore di manga, istruttore di karate), ha imparato sul campo, dallo zio di sua moglie Miwako -cuoca a sua volta- e ha deciso di creare a Roma un posto dove mettersi a proprio agio, e sperimentare quello che si mangia mediamente nella versione nipponica di una nostrana osteria.
Niente sushi, sashimi e altri piatti ormai “nobili” e spazio a ramen e udon, okonomiyaki e, appunto (ma solo a pranzo e il sabato sera) takoyaki, da accompagnare a una piccola ma curata selezione di sake o di tè.

L’anomalia, rispetto all’offerta tipica dalle nostre parti, è che qui si bada molto al sodo; apparecchiatura semplice, musica rock occidentale (come normalissimo nei locali giapponesi dello stesso tipo), poca scelta in carta, ma tutto saporito, cucinato con precisione e rispetto, senza scorciatoie e strizzatine d’occhio al palato occidentale.
Carta breve, abbiamo detto, in cui abbiamo potuto spaziare per bene: dai gyoza, al classico ramen, ai curry udon, tutto impeccabile, con i noodle gustosi e freschi, i brodi saporiti e mai pesanti.
Menzione d’onore per l’okonomiyaki, golosissimo ma non greve, che dà la misura della mano sapiente nella semplicità.

Alla parte dolce, riletture dei classici occidentali come frequente nei ramen bar autentici: particolarmente ben riuscita quella del tiramisù con azuki e tè verde. Tutt’altro che stucchevole, con un bel contrasto di consistenze, si sposa benissimo con un onesto umeshu, il liquore di prugne che chiude con delicata dolcezza una cena davvero gradevole.

Inutile dire che una serata così va chiusa alla maniera giapponese: prenotando la prossima visita subito dopo aver pagato il conto.

Gyoza impeccabili.
Gyoza, Waraku, Roma
Ottimo saké, da una piccola ma curata selezione.
sakè, Waraku, Roma
Melanzane.
Melanzane, Waraku, Roma
Pancia di maiale.
Pancia Maiale, Waraku, Roma
Takoyaki, buonissimi. Per provarli, passare a pranzo o il sabato a cena.
Takoyaki, Waraku, Roma
Classico ramen.
Ramen, Waraku, Roma
Okonomiyaki.
okonomiyaki, Waraku, Roma
Curry Udon.
Udon, Waraku, Roma
Tiramisu al té matcha.
tiramisù, Waraku, Roma
Cheese cake al té matcha.
cheese cake, Waraku, Roma
Delicato liquore alle prugne.
liquore alle prugne, Waraku, Roma
L’ingresso, che cela abilmente questo piccolo tesoro.
Waraku, Roma

Londra è probabilmente la città europea in cui la cucina asiatica si esprime ai livelli migliori.
Quella Giapponese si è ritagliata uno spazio importante: locali costosi dove gustare sushi di altissimo livello (su tutti Araki e Sushi Tetsu) ma anche spazi più popolari, più accessibili economicamente, dove trovare la cucina giapponese di tutti i giorni.
Tra questi, Koya è senza dubbio l’indirizzo da segnare in agenda: specialità Udon, varietà Sanuki, i famosi noodle di farina di frumento da mangiare freddi o caldi, in brodi di varia natura.
Ma ancora più interessanti sono i piccoli piatti da scegliere da una striminzita carta che cambia giornalmente: piccole perle di cucina giapponese, più o meno contaminate dall’estro europeo.
Koya nasce nel 2010 dalla passione sfrenata per gli Udon da parte di un irlandese, John Devitt.
Gli Udon non erano certo una novità a Londra, ma Koya ha portato la qualità e l’attenzione per i dettagli tipiche dei migliori indirizzi giapponesi. Quindi udon fatti a mano giornalmente, brodi freschi e ricchi di umami, ingredienti di primissima qualità.
In cucina Junya Yamasaki, un passato importante da Kunitoraya a Parigi prima di mettere radici in questo locale di Soho.
Il successo è stato travolgente.
Il locale è piccolo e molto semplice, non sarà raro mangiare gomito a gomito con perfetti sconosciuti. Non si accettano prenotazioni, perciò cercate di scegliere gli orari meno inflazionati oppure armatevi di pazienza perché spesso si trovano persone in attesa fuori dalla porta. Il servizio è comunque rapido, quindi non ci sarà mai molto da attendere.
In alternativa, sulla stessa strada, c’è anche il Koya Bar, stessa proprietà e filosofia, aperto in orario continuato da colazione a cena.
Il concetto è quello di applicare la filosofia giapponese al contesto: quindi ricette e idee della tradizione giapponese ma con ingredienti locali, come il pesce delle coste del Galles o i vegetali coltivati da agricoltori autoctoni.
Risultato di ottimo livello, sia per quanto riguarda gli udon, sia per i piccoli piatti del giorno, nel nostro caso una sogliola fritta nella sua interezza di grandissima fattura. Una esperienza che certamente non ha moltissimo da invidiare a quelle fatte a Tokyo.
Fortunati questi londinesi…

Insalata di spring greens, erbe selvatiche & ponzu.
insalata di spring greens, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Sogliola al limone fritta croccante con daikon al peperoncino.
sogliola al limone fritta, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
daikon al peperoncino, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Gyushabu udon (con manzo shabu shabu).
Gyushabu udon, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Té verde giapponese (della casa).
tè verde, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
I menù alle pareti
menù, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
menù, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
locale, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr

E’ un dato di fatto che la cucina giapponese, come quella cinese e italiana, sia tra le più scopiazzate e stereotipate che si possano trovare al di fuori dei confini del paese d’origine. Ciò può essere imputabile alla difficoltà nel reperire, in luoghi remoti, le materie prime necessarie, o ad una questione prettamente nazional-culturale dei cuochi che la reinterpretano, o ancora al successo di espressioni fusion che meglio entrano nelle corde dei paesi di destinazione.
Fatto sta che più passa il tempo più fantomatici ibridi vengono via via maggiormente percepiti come “tradizionali” all’estero. A titolo d’esempio come dimenticare gli Spaghetti alla Bolognese, vero e proprio “must” della cucina italiana in giro per il mondo, ma inesistente in madrepatria.

Buona parte degli avventori occasionali arriva, paradossalmente, a inquadrare come “tradizionale” o “vera” una cucina che di tale ha solo il nome o addirittura a sentirsi presi in giro quando entrano in quei pochi locali che cercano di proporre piatti realizzati con criterio e aderenza alle origini.
La poliedrica Milano è senza dubbio la città italiana più sensibile alle mode: è infatti il luogo dove ormai da anni la moda del sushi è esplosa con più fragore e l’alta domanda ha certamente aiutato la diffusione di una proposta di bassa qualità. Cercando con il lanternino, però, anche a Milano è possibile scovare alcune espressioni davvero tradizionali di cucina giapponese, e quella di Fukurou è senza dubbio la migliore.

E’ sufficiente dare uno sguardo alla pagina Facebook del ristorante per comprendere che tutto quanto, qui, non è di vaga ispirazione nipponica ma bensì realmente del Sol Levante: a partire dallo Chef Ninomiya Yoshikazu (uno dei pochi in Italia, tra l’altro, ad ispirarsi ai principi Kaiseki), passando per tutto il personale di sala, fino ad arrivare alla proprietà, ovvero l’ex pilota di motociclismo Noriyuki Haga e sua la moglie Yurie. Da Fukurou non troverete folcloristiche riproduzioni italo-cinesi, ma un “vero” ristorante giapponese ed è facile rendersene conto appena varcata la tendina dell’ingresso.
C’è solo, onestamente, il Giappone: a cominciare dal tavolo e da tutto ciò che, in successione, vi arriva sopra, come l’estremo shiokara, calamari fermentatio o i gustosi yakitori, non solamente di pollo ma proposti in innumerevoli varianti, siano essi di carne, di pesce o di verdure, grigliati o fritti. Svariate le opportunità di scelta sulle zuppe, con Udon, Soba o Ramen, proposte sia tradizionalmente in brodo che nella versione più estiva asciutta (e fredda), tutte con pasta fatta rigorosamente a mano. Splendidi infine i Nigiri, dalle proporzioni pressoché perfette con in più, a cena, la possibilità di scegliere singolarmente la varietà dei pezzi desiderati.

Dopo ripetute visite la sensazione costante è che il tutto sia preparato con assoluto rigore e rara sensibilità, in maniera rispettosa e mai dozzinale: se Fukurou è, ad oggi, il miglior giapponese tradizionale di Milano, probabilmente è anche la massima espressione presente oggi in Italia. L’unico difetto tangibile è un servizio che, per quanto cordiale e volenteroso, va presto in affanno, dilatando non di poco i tempi di attesa.
Il voto è arrotondato per eccesso, ma vuol essere un encomio per la volontà di prendere completamente le distanze da quella diffusa realtà, da quel deprimente caledoscopio di locali finti giapponesi, che, con profonda tristezza, si arroga il diritto di rappresentare una delle più mirabili cucine del mondo.

Minimale la mise en Place, con tanto di oshibori confezionato.
m ise en place, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Il benvenuto dalla cucina…
benvenuto, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
…e il benvenuto dalla sala.
benvenuto, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Disponibile una carta dei vini con qualche referenza, una bella carta di Sake, alcune birre e del Tè. Noi optiamo per quest’ultimo, Tè secha.
Tè secha, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Partenza nella maniera più radicale possibile, con gli shiokara, i calamari fermentati.
calamari fermentati, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Eseguiti in maniera impeccabile i gyoza, con la pasta spessa e callosa al punto giusto, e dal ripieno deciso e ben presente.
gyoza, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Sfiziosissimi gli yakitori alla piastra, sia nella versione più tradizionale con pollo…
yakitori, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
…sia in quella con asparagi o con calamari. Innumerevoli altre varianti disponibili in carta.
yakitori, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Davvero di alto livello i nigiri: pesce di grande qualità che abbraccia interamente il riso, cotto al punto giusto (forse leggermente freddo), e con la giusta quantità di wasabi, che dovrete far presente qualora non lo vogliate, e non il contrario.
nigiri, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Udon Yamakake: Udon freddo, con igname yamaimo grattugiato e tuorlo d’uovo crudo.
udon yamakake, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Hiyashi Chiuka: Ramen freddo, con salsa di pesto di sesamo e bergamotto.
ramen freddo, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Ramen miso: Ramen in brodo di ossa di maiale, miso e macinato di maiale.
ramen miso, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Ramen shoyu: Ramen in brodo di ossa di maiale, polvere di pesce e salsa di soia.
ramen in brodo di ossa, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Dessert anch’essi tradizionali, un po’ semplici ma sicuramente molto buoni.
Daifuku. Mochi ben eseguito.
dessert, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Matcha pudding. Notevole la concentrazione, in pratica un budino di tannino.
matcha pudding, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
A pranzo disponibili diversi menù, sia Teishoku che Jubako, a prezzi clamorosamente convenienti.
Teishoku Sushi (a 16€, con caffé), stessa notevole qualità del sushi, pezzi lievemente più piccoli che a cena, e con l’unico vincolo di non poter scegliere le varietà. Zuppa di miso, contorno e oshinko (verdure salate) in accompagnamento.
nigiri, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Teishoku Sashimi (sempre a 16€, sempre con caffé). Spicca l’impiatto di rara grazia. Stessi accompagnamenti del sushi, con riso al vapore in aggiunta.
sashimi, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano
Teishoku Tempura. Stesso prezzo dei precedenti, sempre in menù. Tempura dalla pastellatura un po’ spessa ma perfettamente fritta, asciuttissima e croccante, che ingloba l’ingrediente fritto e ne mantiene gli umori. Notevoli il peperone, il gambero e la consistenza del fungo.
tempura, Fukurou, Chef Ninomiya Yoshikazu, Milano

Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi

Una passeggiata tra le vie che ruotano intorno a Rue Sainte Anne è una piacevole immersione nel mondo del Sol Levante: nel cuore di Parigi, una piccola enclave giapponese fatta di ristoranti, sushi-bar e market. In questa ampia offerta si distinguono due locali in Rue Villedo a pochi metri di distanza: Kunitoraya 1 e Kunitoraya 2.
Il primo è in ristrutturazione, il secondo è il regno di Nomoto Masafumi.
Come spesso accade a Parigi, la formula è molto diversa tra pranzo e cena.
Alla sera c’è un solo menu fisso a partire da 70 euro.
A pranzo ci sono menu più convenienti, ma soprattutto c’è la possibilità di scegliere dalla carta degli Udon un solo piatto per un pasto veloce.
Noi abbiamo provato la seconda opzione e la soddisfazione è stata assoluta.
Gli Udon sono di altissimo livello, così come i brodi: livello assolutamente comparabile a quello delle grandi insegne di Tokyo. Udon elastici al punto giusto, brodi saporiti, ricchi di umami. Le porzioni sono generose, un piatto può assolutamente fungere da pasto completo.
Certo, il prezzo è nettamente diverso da quello riscontrabile a Tokyo. In Giappone l’Udon è considerato il pasto economico per eccellenza e difficilmente riuscirete a spendere a Tokyo più di 10 euro per un piatto.
Qui ci attestiamo mediamente sul doppio della spesa: non ci saranno rimpianti, ma la differenza salta agli occhi. Il centro di Parigi ha il suo prezzo da pagare e tutto sommato, a questi livelli, è un prezzo che si paga con il sorriso sulle labbra.

Lavagne del giorno
lavagne, Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
udon, Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
Apparecchiatura classica giapponese
apparecchiatura,Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
In abbinamento: tè verde
tè verde, Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
Udon giorno: alle vongole
udon alle vongole, Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
Udon caldi al manzo
udon caldi, Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
Il caffè però è italiano!
caffè, Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi
Chef al lavoro
Kunitoraya 2, chef Nomoto Masafumi, Parigi