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Disfrutar

Dieci anni su livelli assoluti di eccellenza

Dieci anni. Era il 2014 quando il ristorante Disfrutar aprì le porte del suo universo immaginifico al mondo. Sono bastati soltanto dieci anni per infondere infantile stupore a tutti i commensali che hanno varcato la soglia di questo laboratorio di sofisticazione gastronomica in una delle capitali europee più entusiasmanti sul tema. C’è poco da fare e da dire. La cucina del trio Eduard Xatruch, Oriol Castro e Mateu Casañas (quest’ultimo, in verità, più impegnato nel progetto Compatir, a Cadeques) ha un dono, quello di innescare gioia servendo cibo e facendolo con la necessaria empatia per rendere l’esperienza unica e indimenticabile. A tal fine è cruciale anche il lavoro svolto della sala che interagisce con familiare – e informale ma garbata – accoglienza e diventa propedeuticamente parte essenziale dell’esperienza. Un servizio superiore alle aspettative sotto tutti i punti di vista, capace di colpi di classe come l’audacia di rivolgersi verso i commensali per i quali sono state segnalate allergie o intolleranze alimentari.

Prima della tecnica, per Xatruch, Castro e Casañas, c’è l’idea

La critica gastronomica l’ha definita cucina “tecno-emozionale” o comunque hanno coniato nuove terminologie che a distanza di poco tempo sono state comunemente utilizzate per identificare altre cucine. Sgomberiamo il campo da dubbi: chi guida le cucine di Disfrutar è stato parte integrante di quel processo culinario sperimentale e avanguardista (guidato da Ferran Adrià) che ha fatto da spartiacque tra due ere gastronomiche, quella moderna e… l’altra. La loro cucina può essere descritta con un semplice algoritmo: divertimento, stupore e, soprattutto, gusto. Prima di cominciare il pasto, viene consegnato per qualche minuto un foglio con un elenco di parole sparse intitolato “Cosa si nasconde dietro il nostro cibo?” Si leggono, tra le altre, “Sopresa“, “Emozioni“, “Provocazione“, ma anche “Sapore“, “Sensi“, “Consistenze” e tanto altro. Leggerlo si rivelerà interessante in quanto tutto verrà matematicamente riscontrato al momento degli assaggi.

Un pasto da Disfrutar è un’esperienza epica in cui interazione, contemplazione e divertimento sono scanditi in una sequenza dal ritmo incalzante (di oltre quattro ore che volano in un batter di ciglio) e avvincente. La grandezza di questa tavola può essere riassunta in pochi passaggi che hanno sancito, a nostro avviso, il picco della cena. A partire dalla folgorante partenza all’insegna del minimalismo con i Germogli e la loro concentrazione di sapori, ossia una metafora sulla cucina: la tecnica conta ma non è tutto, anzi, soprattutto in un ristorante dove le peculiarità delle tecniche di preparazioni sembrano imprescindibili; ecco, quindi, che il concetto del piatto ha un valore assoluto quasi esclusivamente nella sua componente materica: il minimalismo di potentissimi germogli di erbe aromatiche coperte da un leggero gel di pomodoro. Ogni singolo assaggio – dal gusto concentrato e distinto – viene resettato da un gel di pomodoro a fungere da riequilibratore. Semplice, vero? Un po’ come la meravigliosa Foglia di fungo, ossia l’idea platonica dell’intensità che dovrebbe sprigionare un singolo ingrediente e, in questo caso, lo fa sotto forma di essiccazione di una zuppa di funghi di incredibile persistenza; ma è tutto un susseguirsi di vulcanica creatività tra piatti scenici, ludici e mirabolanti, però contrassegnati da una disarmante bontà, tutt’altro che scontata. Parliamo, in ordine sparso, di un uovo fritto il cui finto tuorlo racchiude, in realtà, un consommé speziato di gamberi sferificato, il Corallo di amaranto, riproduzione edibile di uno scoglio marino, servito dopo un divertente gioco di prestigio, e la straordinaria Seppia “thai” con sferificazione multipla di cocco dove, ancora una volta, c’è il trionfo dell’ingrediente meno “lavorato”, ossia i piccoli molluschi.

Gli abbinamenti alcolici e analcolici (impressionante, in termini di ricerca e innovazione, il lavoro svolto su quest’ultimo fronte) sono parte integrante dei percorsi degustazione. Occhio però, perché si pescano vini interessanti grazie a una politica di prezzi “conveniente” a questi livelli. La squadra che gestisce la sala – ogni singolo cameriere si verrà a presentare al tavolo con il proprio nome – come detto, è un paniere prezioso di fenomeni e incide con la medesima determinazione della cucina sull’esperienza complessiva. Può sembrare banale – anzi lo è – ma sarebbe al contempo poco credibile non definire Disfrutar e il suo trio fenomenale di cuochi come una delle più divertenti e coinvolgenti esperienze di ristorazione che si possano fare oggigiorno in giro per il mondo.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia “thai” con multi-sfera di cocco.

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Maturità, a Senigallia, non fa rima con saggezza

Mauro Uliassi è, prima di tutto, un uomo di spessore e, poi, un grande cuoco. Possiamo tranquillamente affermare questo perché il suo tratto distintivo, da sempre, è stato quello di non scartare mai con superficialità una critica, un consiglio, una riflessione o un’osservazione. Anzi, si è costantemente messo in discussione, ha migliorato, ha progredito in tecnica e precisione, senza mai scordare il suo imprinting iniziale: la gradevolezza, la piacevolezza della sua cucina.

Molte osservazioni fanno pensare al ristorante Uliassi come a un luogo che nel tempo si è fin quasi snaturato per rincorrere il piacere di pochi. Ecco quindi menù che si susseguono per e a favore del critico di turno. Menù dai toni spigolosi, accentuati, con virtuosismi tecnici fini a se stessi. Mai osservazione fu più superficiale. Mauro ha sempre teso, e crediamo continuerà per lungo tempo, a migliorarsi, a progredire, a raggiungere finezze e sensibilità che ha rincorso e studiato con tenacia e determinazione. Senza, però, snaturare la sua indole, i suoi connotati, e il suo contesto. Del resto, un ristorante è pur sempre un’attività imprenditoriale e, pur volendo scomodare pensieri più profondi, siamo al cospetto di un uomo, e di un intero gruppo capitanato dalla fantastica sorella Katia Uliassi, che fa del servizio e dell’appagamento del cliente il punto di riferimento assoluto, perseguito con umiltà e dedizione che generano, come conseguenza immediata, un grandissimo successo di pubblico.

Non sarà dunque che la chiave di lettura risieda nella volontà di accontentare un più ampio spettro di pubblico possibile? Forse, accontentando i palati estremi più esigenti e, al contempo, accontentando anche i clienti diciamo “normali” non sarà che, così facendo, non solo si aneli e si tenda ma, di fatto, ci si avvicina tremendamente a quell’idea di ristorante perfetto, a quel luogo in cui tutti, o quantomeno tantissimi, escono “felici e contenti”? Ma non è questa, dunque, l’estromissione completa dell’ego del cuoco a favore della cultura del servizio e dell’accoglienza? Non è forse questa l’essenza di un ristorante?

Il ristorante perfetto

Ebbene, noi crediamo proprio di sì. Che la famiglia Uliassi, e per famiglia s’intende Mauro e Katia in testa a un gruppo solido e coeso, stia proprio rincorrendo il sogno del ristorante perfetto e, con questa ultima stagione, la 2020 iniziata con le difficoltà che tutti conosciamo, crediamo proprio che a quel modello gli Uliassi si siano infine avvicinati tantissimo.

La carta propone il menù dei piatti che hanno fatto la storia del ristorante, una carta ampia e in grado di accontentare tutti i palati; poi, loro due: il menù “caccia” e il nuovo “lab 2020”, disponibili solo su prenotazione anticipata. Una strategia brillante, perché quei menù, simbolo della ricerca più estrema dell’Uliassi-pensiero, devono essere prenotati e, dunque, voluti: fortemente voluti. Ecco quindi accontentato un enorme numero di appassionati e, contemporaneamente, salvaguardato il vero bacino di sostentamento del ristorante, con accortezza e tatto.

Il nuovo “lab 2020”, voluto dal cliente con piena consapevolezza, è un inno ai toni amaro-rancido-acidi visti con l’occhio felice, e moderato, di Mauro Uliassi. Ma questo menù, lo diciamo, è decisamente diverso da tutti i lab che lo hanno preceduto. E benché l’occhio attento avrà notato, soltanto l’anno scorso, alcune timbriche ricorrenti nel pancotto e nell’ossobuco di mare, quest’anno le ritrova amplificate, dirompenti, debordanti.

Oltretutto, si tratta di un menù pensato dall’inizio alla fine, molto più articolato nelle sue cadenze e nei suoi passaggi di un tempo. Non una sequenza di piatti, ma una serie di passaggi che compone una sinfonia d’insieme. Ogni boccone finale di un piatto anticipa e riverbera il successivo, e così di seguito.

Un cambio di paradigma accentuato, molto accentuato con, al centro del percorso, Uliassi stesso che nella sequenza amaro-rancido-acido porta al tavolo capolavori quali l’indivia di calamaro con essenza di alloro, in cui l’ortaggio appare a tutti gli effetti una illusione di forma ma anche di sapori – un calamaro con tanto di nappatura di estratto del cefalopode – davvero incredibile. Immenso lo spaghetto ai peperoni, polvere di friggitelli, olive ed estratto di eucalitpo, in cui la nota balsamico-rancida (tra olive e eucalpito) rinforza la polvere di friggitello sostenuta dalla dolcezza dell’amido in accompagnamento: un piatto apparentemente semplice che serba una complessità gustativa e un tasso di avanguardia assoluti. L’imperioso rognone, nobilitato e nobilitante e quasi urticante nella rincorsa tra l’estratto di arancia e l’olio alla cannella, esprime la potenza di un grande pepe nobile e agrumato. Lo stesso simile sentore di pepe che troviamo nella pasta in bianco, tutt’altro che un esercizio di stile, in cui burro di aringa e pepe timut si rincorrono vorticosamente nell’esaltazione della finezza e della lunghezza gustativa. Anche qui grasso, quasi rancido, affumicato e agrumato nobile.

E potremmo continuare per ore, e ore. Non un piatto sotto tono, non un accenno alla discesa. Non una crisi di identità e di gusto. Non un dopo che non abbia senso rispetto al prima. Cadenze pensate con un filo conduttore ben delineato.

Il menù perfetto, insomma, in un ristorante perfetto di un cuoco, una cucina e una sala gestita, semplicemente, alla perfezione. Evviva gli Uliassi, evviva l’Italia!

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Ogni chef, così come ogni relativa cucina, porta in dote specifiche e personali virtù. Ci sono i cuochi più classici, gli interpreti della tradizione o di specifici filoni del passato. Ce ne sono altri invece più contemporanei, più aderenti ai canoni e agli stili odierni, maggiormente al passo con i tempi.
Tra tutti, alcuni svettano come selezionatori di prodotti e materie prime, altri primeggiano grazie alla tecnica o attraverso idee particolarmente innovative, altri riescono a trovare nuovi spunti per valorizzare ingredienti e piatti. I più talentuosi si esprimono attraverso innumerevoli sfumature di tutti questi pregi.
Oltre a tutto ciò, ci sono Niko Romito ed il suo Reale.

Un luogo quasi mistico, questo, teatro ideale per un’esperienza profonda e intensa quale è questa cucina. Lontano da tutto, ai piedi dell’Appennino abruzzese dove la collina inizia a farsi montagna, un pranzo al Reale è molto più di un semplice pasto, per quanto di altissimo livello esso sia.
Una sala fortemente silenziosa, nonché volutamente spoglia, scevra fino all’eccesso del superfluo, che costringe l’avventore alla concentrazione e alla dedizione completa nei confronti delle portate, come una sorta di luogo di culto, come un moderno refettorio gastronomico. E tutto ciò è coadiuvato da un servizio dalla forte ritualità, a tratti quasi spirituale, che agisce con timorosa dedizione nei confronti delle portate.

Se tutta questa abnegazione -quasi vera e propria devozione- non fosse supportata da una fortissima, esasperata cucina, rischierebbe di risuonare come un urlo nel vuoto. Un ego gonfiato a dismisura che, se posto sotto i riflettori, mette a nudo tutti i propri difetti, evidenziati ed amplificati dalle luci sopra di esso, mostrandosi privo di sostanza.

E invece la grandezza di Niko Romito è proprio qui, e tutti i suoi piatti gli permettono, ai fatti, di volare altissimo per tutto il servizio: sotto ai riflettori vi è una talentuosa e capace primadonna, conscia delle sue potenzialità, in grado di trarre giovamento dalle enormi attenzioni e per questo primeggiare senza fatica alcuna.

Ingredienti di qualità sempre sopra ogni ragionevole certezza. Un occhio costantemente puntato verso la tradizione, ma con la mente proiettata al futuro. Non ultimo, un intelligente utilizzo della tecnologia, che permette di mettere in evidenza il fine, senza mai far prevalere il mezzo.
Tutto ciò permette di ottenere dei piatti straordinari, complessi ma minimalisti, spesso composti da due, tre ingredienti al massimo, ma che celano un pensiero, una tecnica e uno studio tutt’altro che essenziali; nessuna improvvisazione né abbozzo ma anni di studio e ricerca, e mesi di perfezionamento sul singolo passaggio.
Strabiliante come ogni piatto, all’assaggio, risulti incredibilmente compiuto, senza lasciare alcun margine di perfettibilità o miglioramento. E, come se tutto ciò ancora non bastasse, con una leggerezza e lievità sorprendenti, inspiegabili se pensiamo alla potenza e all’intensità dei sapori e delle concentrazioni.

La distanza, come detto, sensibile da qualsiasi parte dello stivale si provenga, potrebbe farvi desistere dal sedervi a questa tavola. Ma sarebbe davvero un errore madornale, perché vi sottrarreste al privilegio di sedere in una delle principali tavole italiane, e non solo.
Allora, armatevi della doverosa devozione per giungere fin qui, senza leggerezza alcuna ma prestando attenzione ad essere, a vostra volta, all’altezza delle luci della ribalta. E l’esperienza complessiva ripagherà ampiamente lo sforzo, garantito.

Uno scorcio della sala a fine servizio.
sala, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Con il benvenuto già si parte a tutta:
Soffice di pistacchio salato.
Ravanello Marinato.
Pane e ragù.
Pomodoro pelato, arrosto glassato al miele.
Patata sotto la cenere.
benvenuto, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Infuso di bietola.
infuso di bietola, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Crostatina con olive nere e olio d’oliva.
crostatina, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Grissini, sfoglia di ceci e rosmarino, pizza abruzzese.
grissini, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Mandorle e misticanza alcolica.
mandorle, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Spigola, capperi e prezzemolo.
spigola, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Calamaro, pepe rosa e lattuga.
calamaro, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Pane.
Una parentesi sul capitolo pane, per evidenziare ulteriormente l’aspetto rituale di questa tavola. Il pane è a tutti gli effetti una portata del menù degustazione, e viene portato a tavola da solo e solo in questo punto del menù.
Nemmeno a dirlo è un pane da urlo, un prodotto che il 99% dei panettieri (anche di grido) non è in grado di ottenere.
pane, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Cocomero e pomodoro. Un piatto basato sull’accordo (cromatismo) e il discordo (consistenze e sapori), per un risultato davvero altissimo. Una menzione speciale per le concentrazioni, da laboratorio di chimica.
cocomero, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Pancetta e sedano rapa. Un lavoro certosino sulle consistenze, da perderci la testa.
pancetta, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Linguina fredda con ostrica e patate.
linguina, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Verza arrosto. Ormai un classico di questa tavola, il paradigma dello stile di cucina di Romito: materia povera, idea di base proveniente dalla tradizione, altissimo tasso tecnico, risultato fenomenale.
verza, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Tagliatelle cacio e pepe. Semplicemente, la migliore cacio e pepe del mondo conosciuto.
tagliatella, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Piccione fondente e pistacchio.
piccione, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Gel di vitello, infuso di porcini secchi, mandorle e tartufo nero. Il signature dish di Romito, a ragione: meraviglioso.
gel di vitello, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Granita di liquirizia, aceto bianco, cioccolato e aceto balsamico. Alla faccia di chi ai congressi pontifica che “…no, non si mettono le acidità nei dolci!”. Un dessert stellare, tra i migliori di sempre.
granita, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
Gli ottimi vini abbinati, selezionati con gran cura e attenzione da Giovanni Sinesi, appassionato sommelier in sala.
vino, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
vino, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
vino, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo
In accompagnamento al caffè, i dolci finali.
piccola pasticceria, Reale 2016, Chef Niko Romito, Castel di Sangro, aquila, abruzzo

In spagnolo aspettare si dice “esperar”, perché in fondo aspettare è anche sperare.
Nel caso de El Celler de Can Roca l’attesa può essere davvero lunga, fino ad un anno, per sedersi a tavola.
La speranza, dopo tanto attendere, è quella di non restare delusi.
E delusi, davvero, non si resta.

Miglior ristorante al mondo per la San Pellegrino World’s 50 Best Restaurants 2015 (superato nel 2016 dalla sola Osteria Francescana), il tristellato dei fratelli Roca è un’orchestra magnificamente accordata e magistralmente diretta dai tre maestri Joan, (lo chef), Jordi (il pasticcere) e Josep (il sommelier e direttore di sala). Tre fratelli, affiatati e determinati, che hanno saputo portare la passione e la professionalità trasmessagli dai genitori, sul tetto del mondo.

Era il 1967 quando Josep Roca e Montserrat Fontané aprirono un piccolo bar ristorante, il Can Roca, nella periferia di Girona. Cinquant’anni dopo, migliaia di appassionati gourmet arrivano da ogni parte del globo per gustare la cucina del Celler, la creatura dei Roca brothers.

Al di là dei riconoscimenti e delle classifiche, l’esperienza gastronomica è di quelle da ricordare, per la qualità delle proposte ma non solo. La sensazione, fin dall’ingresso in sala, ed ancor più una volta seduti, è quella di essere accolti in un vero e proprio teatro dell’alta cucina.
C’è grande competenza, passione, garbo, fierezza ed umiltà in ogni singolo membro degli oltre sessanta attori, tra cucina e sala, che ogni giorno mettono in piedi uno dei più “gustosi” spettacoli sulla scena gourmet internazionale. Non si ordina alla carta, solo due menù degustazione, quattordici le portate del Festival, il più completo, provato in questa occasione.
Quella a cui assiste l’avventore è una sorta di danza, ritmata ed armonica, che, senza mai risultare impacciata o affrettata, porta in tavola i quattordici piccoli capolavori e gli altrettanti vini, se si opta per la degustazione (proposta in abbinamento al costo di 90 euro). Il tutto in meno di tre ore, senza tempi morti ma anche senza quella fastidiosa sensazione di oppressione, da parte del servizio, che si prova in alcuni grandi ristoranti. Da sottolineare come il menù sia presentato nella lingua dell’ospite per renderlo pienamente intellegibile nei nomi e nella composizione dei piatti. Persino il personale è “su misura”: maître italiano e cameriera spagnola, ma di lingua italiana.
Perché il diavolo sta nei dettagli e al Celler lo sanno bene.

Teatrali sono anche le presentazioni, di grande impatto e mai fini a loro stesse, per una esperienza davvero multisensoriale. Passando dalla forma alla sostanza, va detto che nessuno dei passaggi proposti, amuse-bouche e predessert inclusi, è stato meno che perfetto quanto ad equilibrio e piacevolezza gustativa, fatta di centrate contrapposizioni. Una tecnica sopraffina che porta all’ennesima potenza il concetto di fusione tra tradizione ed innovazione.
Di una precisione più unica che rara anche gli abbinamenti dei vini selezionati da Josep Roca tra le oltre 3.800 referenze e 50.000 bottiglie stivate in cantina.
Ed è qui che il Celler guadagna ulteriori punti. In barba ad alcune autorevoli voci che vorrebbero l’acqua come miglior abbinamento per l’alta cucina ed il vino come attore non protagonista, qui ci si può rendere conto davvero di quanto un vino centrato possa completare un piatto, restituendo al palato un equilibrio ed una armonia di rara efficacia.
La cantina è costruita certamente sulle grandi etichette, che in un ristorante del genere non possono mancare, ma con un occhio molto attento anche a tante, piccole, interessantissime realtà scovate dal Roca sommelier in giro per il mondo.

Sedere al Celler de Can Roca è un privilegio. Raramente come in questo caso ci si alza da tavola già con un senso di nostalgia per l’esperienza vissuta. E con un misto di gioia e malinconia.
Gioia per quanto esperito, malinconia perché non si sa quando si potrà tornare, vista l’enorme difficoltà nel trovare un tavolo.

Senza esagerare, una delle cose da fare nella vita, almeno nella vita di un gourmet.

La sala, molto accogliente.El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Prima di iniziare il già ricco menù da 14 portate, una lunga serie di amuse-bouche gustosi, divertenti e stuzzicanti… tutti magnificamente centrati.

Il Mondo: un omaggio dello chef ai paesi che ha visitato.
Thailandia: salsa thai, pollo, coriandolo, coco, curry rosso e lime.
Giappone: crema di miso con gnignognachi.
Cina: cornetto di riso con verdurine e salsa di soia e prugna.
Perù: “causa limeña”.
Corea: crocchetta con kimchi e pancetta all’olio di sesamo.
Amuse-bouche, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Il Bar di Can Roca: sulle ali della memoria ricordando un piccolo bar di periferia nella Girona degli anni ’70.
Bombon al campari, omelette di patate e cipolla, calamari alla romana, croccante di baccalà, rognoni allo sherry.
amuse-bouche, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Olive verdi gelate: la presentazione con le olive appese all’ulivo bonsai è di sicuro impatto mentre la combinazione del freddo e dell’acidità dà una bella scossa al palato.
olive verdi gelate, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
“Calçot” liofilizzato.
Calcot, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Corallo: ceviche di orata, cozze in salsa “escabeche”.
Corallo, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Brioche al tartufo.
Brioche, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Bombon al tartufo: un’esplosione di tartufo in bocca.
Bombon al tartufo, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Gli appetizer sono stati accompagnati da un Albert i Noya “Clàssic” El Celler Brut Rva D.O. Penedèsvino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Molto ben assortito il cesto dei pani…
pane, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Il menù degustazione inizia con il Consommè autunnale: zucca con tè verde, tofu di nocciole, spinaci, succo di frutta della passione e castagne alla brace. Servito tiepido, incentrato sulle diverse consistenze e sul gioco di sapori che si alternano e tornano persistenti al palato.
consommé, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Celler Credo Estrany D.O. Penedès 2011.vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Triglia marinata con kombu, fico d’india, salicornia, lime e attinia: freschezza, acidità e grande equilibrio.
Triglia marinata, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Sancerrre Domaine Vacheron Le Paradis A.O.C. 2012.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Scampi con salsa di fava di cacao, mole nero con cioccolato e crema di canocchia con cocco e porcini. Sensazioni agrodolci che rimandano ad un che di orientale, equilibrio e persistenza infinita. Uno spettacolo.
Scampi, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Sarnin Berrux 2013 A.O.C. Saint-Romain.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Insalata di pernice con cavolo fermentato, brodo affumicato e spuma di dragoncello. Altro piccolo capolavoro.
insalata di pernice, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Eulogio Pomares 2011 Crianza Oxidativa, Pontevedra.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Piccione con riso fermentato, salsa di bucce di riso, pane di riso con parfait di piccione. Apre sui toni dolciastri riportati poi in equilibrio dalla nota selvatica. Gran piatto.
piccione, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
pane di riso, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Loxarel 109 Xarel.lo 2004 D.O. Penedès.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Gambero di Palamos marinato in aceto di riso, vellutata di gambero con una spugna di plancton e alghe, testa e zampe liofilizzate. Consistenze, intensità, persistenza. Lascia un segno indelebile sul palato.
Gambero, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Heymann-Löwenstein Uhlen 2012 VDP Mosel.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Razza confettata con olio di senape, beurre noisette, miele, aceto di chardonnay, bergamotto, senape aromatizzata, capperi confettati e nocciole tostate. Altro ottimo passaggio.
Razza, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Nelin 2008 D.O. Qa Priorat.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Pagello con mosaico di samfaina di verdure saltate. Il livello si mantiene sempre molto alto, anche questo passaggio non delude.
Pagella, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Carles Andreu 2013 Trepat D.O. Conca de Barberà.
Vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Maialino iberico con corbezzoli e melagrane. Un ottimo inizio per le carni.
Maialino iberico, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Rumbo al Norte 2013 D.O. Vino de la Tierra de Castilla-Léon.
Vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Agnello con purè di melanzane e ceci con zampa di agnello e pomodoro speziato. Ispirato al kebab, è di un equilibrio sconvolgente.
agnello, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
El Ciruelo 2013 Suertes del Marqués D.O. Valle de la Orotava.
Vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
“Llata” di vitello, taglio locale della spalla, avocado, tuber aestivum, midollo, tendini. Una degna chiusura prima di passare ai dolci.
Llata di vitello, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Negre dels Aspres Criança 2001 D.O. Empordà.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
“Suspiro limeño”: il primo passaggio del percorso affidato a Jordi Roca, con la sua freschezza, è l’ideale per ritemprare il palato e prepararlo ai dessert più complessi che lo seguono…
Suspiro Limeno, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Weingut Grans-Fassian Trittenheimer 2009 Kabinett VDP Mosel.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Profumo turco: rosa, pesca, zafferano, cumino, cannella e pistacchio.
Profumo, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Ökonomierat Rebholz Albersweiler Latt 2007 Auslese VDP Pfalz.
vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Cromatismo di tonalità arancioni. Uno gioia per gli occhi e per il palato.
Cromatismo, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Cromatismo, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Matias i Torres Malvasia 2012 D.O. La Palma.
Vino, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Il sontuoso carrello dei cioccolati e della piccola pasticceria…
cioccolati, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
petit fours, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
In cucina la brigata di quaranta persone all’opera…
El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
La cantina merita assolutamente una visita. Molto interessanti le aree tematiche con video esplicativi.
cantina, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
cantina, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Cantina, El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants
Molto ben fornito anche l’angolo sigari e distillati…
El Celler de Can Roca, Chef Joan Roca, Girona, The World's 50 Best Restaurants

Si è ormai detto moltissimo su Massimo Bottura, come praticamente tutto è stato scritto dell’Osteria Francescana.
Voti e parole sembrano essere agli sgoccioli: una sfida continua per chi scrive di ristoranti, costretto di volta in volta a guardare oltre e, talvolta, spostare artificiosamente il proprio orizzonte critico dalla grandezza di un luogo che, in modo paragonabile forse solo al Bulli ma secondo modalità assai differenti, non ha precedenti nella storia della ristorazione.
Perché il sospetto è che in via Stella non sia il fondo scala ad essere toccato, bensì che sia questo luogo baciato dal talento e dal successo a spostare, di anno in anno, di menù in menù, di piatto in piatto, l’idea stessa di eccellenza gastronomica. Un’eccellenza che è, ovviamente, innanzitutto gustativa. Da questo punto di vista, però, l’incredibile è ormai la norma alla Francescana e diventa inevitabile attendersi, in un percorso sempre eccellente eppure in continuo, costante crescendo, che le emozioni di un piatto vengano superate dal successivo.

Il superamento continuo dei limiti è del resto il vero tratto distintivo, almeno in questa fase storica, dell’Osteria Francescana.
Equilibrio? Contrasti? Contrasti in ricomposizione? Equilibri in esplosione? C’è tutto questo nella cucina di Massimo Bottura ma non è solo il “buono” (o il “piacevole”) a non essere più in discussione: la concettualizzazione dell’oggetto edibile finisce per superare anche la fase di valutazione degli equilibri fra gli ingredienti, tale è la corrispondenza fra sensazione e, di volta in volta, memoria, idea o visione. E così ciò su cui il gourmet ha discusso per metà del proprio tempo a tavola finisce per restare sospeso, nell’aria sollevata da un punto di domanda. L’elencazione stessa degli ingredienti, la costruzione dei dettagli diventano superflue di fronte all’importanza del processo.
Esemplare un fugace passaggio dello chef al tavolo: “Asparagi come un cremino, non vi sto a dire come”. Il cliente, con tutto il proprio bagaglio e il proprio vissuto, posto davanti a un concetto ma libero di viverlo senza un dedalo d’appigli a vincolarne la percezione.

A perdere di significato è inoltre la diatriba sulla cucina come arte o come alto artigianato, discussione già sterile in partenza ma qui privata in toto di senso storico.
In via Stella l’arte, nelle opere esposte, nei racconti e dietro al piatto, è tutta intorno con il proprio carico di messaggi sociali, culturali ed estetici.
La cucina di Bottura rappresenta invece, a tutti gli effetti, un’autorevole voce della critica d’arte contemporanea: si fa racconto artistico del milieu di cui si nutre e di cui è possibile, tramite il racconto stesso, nutrirsi. Un “cucinare di pittura” che mette in dubbio le certezze di chiunque un tempo riteneva “danzare d’architettura” assurdo e che perciò fosse impossibile, ad esempio, “parlare di musica”.
Ma, d’altronde, le certezze di oggi non sono che limiti di fronte al progresso di domani.

Assaggi di benvenuto: baccalà con pomodoro, macaron di coniglio alla cacciatora, borlengo, tempura con carpione, corn on the cob (farcito di ceviche).
benvenuto, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
benvenuto, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
benvenuto, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
I pani proposti.
pani, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
pani, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
grissini, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Miseria e nobiltà, ossia ostrica alle erbe e brodo di prosciutto.
miseria e nobiltà, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Una lenticchia meglio del caviale.
lenticchia, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Riso Levante, con agrumi e la vaniglia spruzzati in finitura.
Riso levante, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Gnocchi come un’insalata tzatziki. Il viaggio riportato a casa.
gnocchi come un'insalata, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Sogliola o rombo? Al cartoccio, al sale o alla mugnaia? In pochi centimetri quadrati un pezzo di storia culinaria, la stravaganza di un cartoccio edibile realizzato con acqua di mare, una materia prima sensazionale e una padronanza delle cotture e degli equilibri irreale.
Sogliola o rombo, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Autumn in New York, omaggio a Billie Holiday, prima e dopo la finitura con brodo di funghi, piselli, e quel che c’è.
Autumn in New York, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
autumn in New York, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
“Osteria Francescana”
Osteria Francescana, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
This little piggy went to market: 5 preparazioni che portano il maiale in giro per quattro continenti, prima di tornare a Modena con il cotechino finale. Sensazionale.
little piggy, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Il piatto perfetto arriva subito dopo: A volte germano, a volte pernice ma anche bollito unisce la caccia alla storia del locale, con la farcitura di bollito (ovviamente non bollito) e le salse in accompagnamento. Salsa civet un po’ meglio che da manuale.
germano, pernice, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
I compagni di viaggio del germano.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
La zucca fra Mantova e Ragusa, con mandorla, mandarino e ravioli aperti di zucca (perché i maestri si omaggiano anche quando non sono più in grado di imparare dai più giovani).
zucca, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Asparagi come un cremino.
asparagi come un cremino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Yellow is Bello, la Torta Mimosa nel 2016.
yellow is bello, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best
Fra un’ottima bolla, un eccellente abbinamento al calice proposto (Barolo chinato di Cappellano sul germano) e una bottiglia scelta da noi (la clamorosa Ribolla 2000 di Gravner), un intrigante cocktail preparato da un Giuseppe Palmieri sempre sul pezzo.
drink, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena, 50best