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Trattoria alla Pergola

Una tradizione di famiglia, giunta alla quarta generazione

La storia della Trattoria alla Pergola è antica e affonda le proprie radici nell’800. Tuttavia, è col 1913 che si ha la svolta, quando la famiglia Bresciani prende in gestione il locale per condurlo, di generazione in generazione, al giorno d’oggi. 

Parliamo della quarta generazione che alterna il lavoro di Stefano, in sala, e quello della moglie, Ornella, in cucina. La continuità è però solo in apparenza lineare, in quanto l’apporto degli odierni gestori si sostanzia quasi per caso. 

Stefano e Ornella, infatti, prendono in mano il locale nel 1988 senza avere alcuna pratica culinaria. I due si conoscono e si innamorano sui banchi dell’università, mentre studiano medicina a Padova. Esterni alla realtà della cucina, abbandonano la carriera medica spinti dall’amore reciproco e da una sana incoscienza, con l’obiettivo di salvaguardare la tradizione familiare dei Bresciani. 

Il paradiso del bollito e non solo

La proposta, presentata a voce per le inevitabili conseguenze del COVID-19, pesca a piene mani dalla tradizione popolare veronese, in cui a farla da padrone è il carrello dei bolliti, ma lo sguardo si posa anche a realtà regionali limitrofe.

Iniziamo con un tagliere di salumi a base di coppa, soppressa, prosciutto crudo e salame “impitarà, ovvero avvolto e conservato nel proprio grasso. La qualità complessiva è buona, ma a spiccare è l’ultimo salume per morbidezza delle carni e ottimo dosaggio della sapidità.

Come prima portata scegliamo il risotto all’isolana e i tortelli di zucca alla mantovana. Il risotto, originario del comune di Isola della Scala, si rivela ottimo. Assai equilibrato tra la presenza delle carni di vitello, maiale e tastasal, a donare una spiccata nota sapida, si chiude con una splendida lunghezza data dalla cannella. La spezia non è però aggiunta nel finale, in separata sede, ma è unita durante la mantecatura grazie a un formaggio appositamente aromatizzato. Un piatto diretto, rotondo e ben fatto. Meno incisivi i tortelli che, pur garantendo una qualità elevata degli ingredienti, risultano poco equilibrati nel dosaggio della noce moscata e nella composizione della pasta.

La portata principale è il cavallo di battaglia del locale: appunto, l’opulento carrello dei bolliti. La proposta vede la presenza di tagli bolliti e arrosto di cui scegliamo un assaggio complessivo: cappello del prete, lingua, lingua salmistrata, testina, cotechino e gallina per i bolliti; carré di vitello, carré di maiale, tacchino e prosciutto per gli arrosti. Il tutto accompagnato da kren (rafano grattugiato messo sotto aceto), mostarda e pearà, tipica salsa veronese preparata con brodo, pane raffermo grattugiato, midollo, Grana Padano e una dose generosissima di pepe, da cui il nome. La qualità della materia prima è alta, e prova ne è la morbidezza delle carne, soprattutto quella arrosto.

In chiusura ci viene presentato un secondo carrello, questa volta dei dolci. Quasi tutte le leccornie sono preparate dalle mani sapienti della signora Ornella, eccezion fatta per le torte, realizzate da una pasticceria locale. Scegliamo il Pan di Spagna con zabaione, realizzato in casa, in cui spicca la splendida crema dalla nota alcolica accentuata, senza però eccedere in stucchevolezza e mantenendo una consistenza lieve e persistente.

Non possiamo quindi che augurarci che la famiglia Bresciani continui nel proprio operato, anche nelle generazioni a venire.

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La trattoria contemporanea di due fratelli, a Roma

Manuel e Nicolò Trecastelli, figli di ristoratori da generazioni – la vecchia Osteria Trecca era in passato un avamposto trafficatissimo di colletti bianchi – hanno fatto tutt’altro fino a pochissimo tempo fa. Studi universitari, che gli hanno aperto mente e cuore, e che li hanno convinti che la loro strada era la riscoperta delle loro tradizioni. Prendendo quindi come modello Trippa, un punto ormai di riferimento costante, sono andati alla riscoperta della propria storia culinaria di famiglia. Hanno coinvolto la nonna, ultra novantenne, e si sono fatti raccontare la storia della cucina di famiglia, attraverso le ricette e i manicaretti che spesso incontravano in gioventù.

Il risultato? Un lento e costante recupero, attualizzato ad oggi, di ricette che rischiavano di andare perdute. Perché non esistono solo carbonara, fettuccine, rigatoni con la pajata ma esistono le fettuccine, le carbonare e tutte quelle ricette che posseggono una propria codifica, famiglia per famiglia. Ecco allora spuntare, nella amatriciana dei “Trecca Boys”, un fiume di cipolla perché la cipolla a casa loro si usava come riempitivo gustativo. E via di fettuccine tirate poco al mattarello, perchè nonna ha poca forza, ma con una ruvidezza e irregolarità tali da trasformare un difetto in un affascinante e intrigante pregio: texture che si modificano a ogni boccone, impreziosite da rigaglie di pollo e da un pomodoro da antologia. E vogliamo parlare delle stoviglie? Una bellezza vintage che va recuperata, e i Trecca lo fanno.

Così come la coda, rigorosamente in bianco, denominata “presciarola” perchè bisogna spiccarsi a cucinarla. O come er padellino, ache qui timbro di fabbrica e di famiglia. E i dolci, rigorosamente romani e presi a piene mani, ricetta e stile, dalla pasticceria di papà.

Completano il quadro un ambiente in stile rispolverato ai giorni d’oggi, un servizio celere e curato dalla mamma e dal papà dei ragazzi, una carta dei vini esclusivamente biodinamici e naturali, concisa ma completa. E anche il rumore ed il chiasso a locale pieno hanno il loro senso, qui, dai Trecca: un luogo assolutamente da visitare, se vi trovate a Roma.

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Da Irma: un’enclave di toscanità in Friuli

È questo ristorante in zona di Udine dove si viene per mangiare la carne di Chianina non solo nel piatto ma anche nelle storie e nelle emozioni di Alberto Genero – allievo del più rinomato Dario Cecchini – il quale manda avanti il ristorante avviato dalla nonna raccontando, con il trasporto della vera passione, la storia di ogni taglio servito sulla tavola di Irma.

Ed è al commensale che spetta il compito di lasciarsi trasportare in un percorso degustativo tra i tagli più e meno nobili di sua maestà la carne, il cui sacrificio deve essere esaltato in ogni forma.

Si comincia con un aperitivo a base di ricottina di podolica nella zona bar del ristorante, prima di accomodarsi nella sala principale dove inizia, per tutti, il servizio. 

Incipit di riscaldamento con la pappa al pomodoro, servita per preparare il palato al trionfo delle carni che si concede al volgo con assaggi di fesa pressata, battuta al coltello e magatello con giardiniera fatta in casa, per poi passare alla culaccia, al crostino con la milza e allo spinacino del Chianti, che effettivamente spicca tra gli assaggi.

Si arriva finalmente alla bistecca, che vanta una frollatura di 82 giorni: cotta alla perfezione, dal sapore intenso, che lascerà un ricordo vivo di sé, per lungo tempo.

Per finire, poi, si giunge a gli avanzi, nel senso buono del termine: data la limitata disponibilità della materia prima “non si butta via nulla”, per dirla con le parole di Alberto, il quale gode anche di un proprio, piccolo allevamento, evidentemente non per il servizio. Spazio, quindi, a fegato, polmoni, diaframma, divisi tra i tavoli e quindi alla mercé della sorte, fatto salvo, beninteso, qualche gentile concessione da parte del padrone di casa. 

Infine, una grande attenzione ai vini: una ricchissima scelta adatta a ogni tasca per consentire a ciascuno di godere appieno di una serata in una trattoria toscana in Friuli.

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La trattoria, tra immaginario collettivo e realtà

La prima immagine della trattoria italiana? Tavola, tovaglia a scacchi e atmosfera conviviale. Quella di un ristorante gastronomico? Un pregevole desco imbandito, dove degustare piatti e vini ricercati. Questo, certo, se non intendiamo scostarci dallo stereotipo.

Ora, condensiamo queste due immagini, sovrapponiamole fino a distillarne una, come una sorta di ibrido: eccoci arrivati alla Trattoria Ai Due Platani, di Giancarlo Tavani e Gianpietro Stancari, appena fuori Parma, a Coloreto dove, già all’ingresso, campeggia un’imponente pressa in argento, vessillo della lunga serie di riconoscimenti ottenuti nel tempo.

La tradizione, su una tovaglia a scacchi

Di fatto, trovare un tavolo libero qui, a detta di molti, sembra essere una delle sfide da grandi maison tristellate, eppure la fama acquisita da questa celebre insegna emiliana ha oramai raggiunto il livello nazionale facendo balzare anche a mesi la lista d’attesa per un tavolo. Parlavamo giustappunto di tradizione e fine dining, tovaglie a scacchi nazional-popolari che vanno a braccetto coi Grand e Premier cru di Borgogna. Tavani in sala e Stancari in cucina fanno strabuzzare gli occhi dei commensali col loro menù e una carta dei vini che, anche ai più edotti, offre la possibilità di divertirsi.

Quanto alla tradizione, i tortelli alle erbette e quelli alla zucca, grazie alla sfoglia sottilissima e tirata al momento, fanno da scrigno al ricco e setoso ripieno, in perfetta esecuzione ducale. Oppure il piccione, feticcio dell’haute cuisine: petto scaloppato con cottura saignant, mentre la coscetta fritta accompagnata da pane alle noci e spinaci saltati mostrano quanta padronanza di tecnica e gusto vi siano dietro a una solo apparentemente, semplice trattoria.

Infine, il monumentale gelato alla crema mantecato fresco a ogni servizio con una storica Carpigiani del ’64, al quale è possibile aggiungere, a proprio piacimento, divertissment come zabaione, cioccolato, o nocciole caramellate. 

Se la rinascita identitaria della cucina italiana passa anche dalla trattoria, siamo veramente fortunati poiché I Due Platani, di Coloreto, ne rappresenta una manifestazione esemplare. 

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Il cuore della Borgogna

In una trasferta a Beaune, è inevitabile che il cibo passi in secondo piano. Certamente l’individuazione di una buona tavola è sempre in cima ai nostri pensieri, ma in Borgogna l’elemento che guida maggiormente l’appassionato alla ricerca del ristorante in cui passare un paio d’ore è ovviamente una carta dei vini di spessore più che un menù. Spesso la voglia è più quella di piatti semplici ben eseguiti, da abbinare a una grande bottiglia. E quando cibo e vino vanno a braccetto, si può dire di aver fatto bingo: è il caso de La Dilettante: piccolo locale del centro cittadino, gestito da Laurent Brelin e sua moglie Rika.

La Dilettante: vino e cucina

Laurent è conosciuto agli habitué per aver gestito per anni, e con grande successo, la Cave Madeleine. Da qualche anno ha aperto questo locale in Rue du Faubourg-Bretonnière, dove la sua esplosiva simpatia ha modo di esprimersi al 100%. Un oste in tutto e per tutto, capace di guidarvi tre le proposte della sua cantina, ricca di etichette non banali. Le bottiglie sono elencate in una lavagna all’ingresso (ma le referenze girano spesso). Tanti vini naturali e una fascia di prezzo molto ampia.

I piatti del menù sono semplici e sempre ben preparati: dal piatto di affettati misti fino al pollo fritto dalle dichiarate influenze giapponesi. Per arrivare ad un Comté da resuscitare i morti. Tutto, come detto, comprimario alla bottiglia di vino (o ai numerosi calici) che avrete la fortuna di gustare.

Un paio d’ore di benessere assicurate, con una spesa assolutamente contenuta (vino permettendo): da segnare in agenda.

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