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Impero

Il profumo del tempo, a Sizzano

Il ricordo può palesarsi inaspettato, portandosi dietro la nostalgia che irrompe nell’anima, emozionando. Questo potere ha la cucina, questo potere ha il cibo e Marcel Proust nella prima parte della sua recherche, in “Dalla parte di Swann”, lo palesa con una metafora tanto ovvia quanto sorprendente. La nostra “madeleine” è tutta riassunta in questo locale di Sizzano. È qui che, spesso, ci fermavamo la domenica a pranzare, prima di andare a trovare la nonna, a Grignasco. È qui che abbiamo mosso i nostri primi passi gourmet, assaggiando lo strepitoso salam d’la doja di fegato, la paniscia – che qui si chiama così, e non panissa come a Vercelli e dintorni – la gallina ripiena di carne e verdure, gli agnolotti al burro e salvia.

E potremmo continuare all’infinito, ricordando le innumerevoli volte che, successivamente, abbiamo trovato ristoro qui, con grande e intenso piacere. Ciò premesso c’era il rischio, dopo molti anni di peregrinazioni altrove e molti altri ristoranti visitati, di subire una cocente delusione e, invece, no: abbiamo trovato tutto come allora; la “madeleine” ci ha emozionato come allora. E se anche al nostro fianco non ci sono più le persone e le relazioni di allora, nel tempo ne abbiamo coltivate altre che, nella staffetta delle generazioni, rappresentano il futuro.

A queste nuove generazioni abbiamo il dovere di tramandare le nostre storie, i nostri saperi e sapori, come quello di una paniscia meravigliosa, un fritto misto dolce piemontese perfetto, una gallina ripiena realizzata semplicemente come Dio comanda. Nessuna scorciatoia, tutto fatto come un tempo, con valore e profondità. Gusti perfetti, rodati, frutto di gesti eseguiti mille e mille volte, sempre uguali. E qui, in un bellissimo borgo sulle alte colline novaresi, vi potrete far cullare da una splendida cucina di territorio, annaffiata dagli splendidi vini di questa regione, una delle poche, oltre la Langa, in cui il nebbiolo può trasformarsi nel grande vino che è.

Un luogo della memoria e per la memoria, da non dimenticare, da non scordare. Andateci!

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Il cocktail bar e vineria, in quel di Rimini

Il locale nasce nel 2016 come bottega e bistrot e, in questi anni, si è imposto come un punto di riferimento per la qualità sul genere, a Rimini. La bottega vi permetterà di acquistare da asporto alcuni prodotti enogastronomici, il cocktail bar, la vineria e il bistrot, invece, di consumare sul posto. Una di quelle formule non ben definite che, però, soddisfa un ampio raggio di pubblico e ben si presta a interpretare l’ambiguità del presente momento storico coi suoi innumerevoli DPCM.

Ma c’è un plus, perché qui tutto è curato e fatto al meglio. La selezione di vini naturali, non eccessiva ma molto curata, vi farà divertire sicuramente.

La cucina, anch’essa semplice seppur rifinita, si presta a un pranzo veloce, uno stuzzichino da aperitivo, una cena informale con gli amici.

Ci ha divertito tanto, in particolare, il girotondo di taco, buoni e ben pensati, il club sandwich, le polpette di baccalà e lo strepitoso ciambellone della tradizione. Meno persuasivi il fish & chips e la polenta, forse perché la parte più cucinata è anche quella più difficile da eseguire in questo contesto.

La proprietà, la stessa della trattoria Da Lucio di Rimini, ha curato e congegnato la macchina per essere un ottimo punto di riferimento se la necessità è quella del nécessaire, appunto: ovvero uscire di casa con un gruppetto di amici e ritrovarsi in un ambiente informale, disinvolto e piacevolissimo.

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La riviera romagnola ha una nuova trattoria contemporanea

A Rimini e dintorni non è sempre facile mangiare bene. Nonostante infatti la buona offerta che lo circonda, durante la stagione estiva questa si rivela risicata. Dopo le interessanti aperture di Augusta e Agriofficina, considerando che Da Guido e Abocar sono ormai istituzioni, ecco comparire all’orizzonte un progetto davvero originale per forma ma, anche, per contenuti.

Enrico Gori in sala e Jacopo Ticchi in cucina di anni ne hanno 25 ciascuno, e sono già promotori di Necessaire, un cocktail bistrot di grande successo, e della bottiglieria-enoteca Ferramenta. Con la  trattoria da Lucio la spinta, iniziata da pochissimo, è ancor più nella direzione dell’accoglienza e della buona cucina. Un format inedito, che si prefigge di lavorare il pesce in tutte le sue forme, anche il quinto quarto dello stesso, e con le più disparate tecniche sia di cottura che di conservazione. Non necessariamente kilometro zero, dunque, ma kilometro ragionato, che consente loro di attingere anche a pesci di dimensioni elevate in arrivo da mari distanti, ma con una unica e originale tecnica di conservazione: l’affinamento e la stagionatura.

Ebbene, sì, avete capito bene. Immaginiamo già le levate degli integralisti del pesce istantaneamente fresco, ma dobbiamo sapere che ad ogni latitudine di questo mondo la conservazione e contestuale frollatura e stagionatura della materia ittica è tradizione da tempo immemore. Pensiamo al nostro sotto sale, al Garum, alla colatura, alle estreme tecniche orientali, giapponesi, di frollatura e stagionatura, alle aringhe e baccalà e stoccafisso dei nostri cugini nordici. E potremmo continuare all’infinito. Ma questa via, davvero originale e inedita per una trattoria di pesce, vi consentirà di vivere una esperienza originale e tutt’altro che scontata. Oltre che efficacemente buona.

Ecco allora seguire il menù degustazione, a 65 euro e vivamente consigliato come prima esperienza in questo locale, che partirà dai crudi, per approdare ai fritti, per poi virare sul quinto quarto e sulla brace. I primi piatti in fondo, Kaiseki style, per lasciar gustare prima tutto il pesce nella sua completezza e soddisfarsi solo nel finale con il carboidrato. Non tutto è ancora a punto, i cappelletti erano molta panna e poco mare, alcuni passaggi sullo scorfano erano troppo acetici, ma la buona volontà e la determinazione porteranno questo luogo sicuramente lontano.

Completano l’offerta un servizio efficiente e una carta dei vini davvero interessante, con grande spazio alla zona e a vini di impronta naturale. Un locale ricavato nella sala da pranzo di un albergo, molto schietto e conviviale, che vi farà viaggiare nel mondo ittico a 360 gradi.

Da provare certamente se siete da queste parti.

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La Langa più intensa e profonda

Il Battaglino è una istituzione intramontabile. Arrivato ormai alla terza generazione, anche se la seconda è ancora lì, al suo posto ovvero interloquire amabilmente, coi i tavoli, il Battaglino è il paradigma della cucina langarola più verace e autentica. Nulla è mutato nel tempo, a parte qualche licenza ed attualizzazione – sono oggi concesse divagazioni vegan e di pesce, per accontentare i nuovi palati moderni – tutto è rimasto fedele a se stesso.

Ovvero un tripudio, a cominciare dalla tartare e la salsiccia di Bra, passare attraverso un vitello tonnato tradizionale che più tradizionale non si potrebbe, per poi approdare ad agnolotti del Plin davvero notevoli per via della sfoglia eterea e della farcia, perfettamente bilanciata e, infine, concludere con una sontuosa trippa che Giuseppe, seconda generazione, ci confida non essere ancora al top: occorre attendere novembre e i primi porri di Cervere per averla come Dio comanda. A fianco a queste preparazioni, il peperone imbottito e la trota di allevamento affumicata, entrambi davvero molto ma molto buoni.

Completano il quadro un servizio celere, gentile e molto famigliare e un tripudio di dolci della tradizione tra cui spicca la Crema Battaglino e le pesche al cacao e nocciole.

Impossibile non immergersi nella storia della cucina di Langa, di casa, e non passare qui a fare una sosta. Ne saranno deliziati tanto il vostro palato quanto la vostra anima, quella più profonda.

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Per la serie: “trattorie 2.0”

Chi l’avrebbe mai (pre)detto che un format gastronomico sensibile alle tradizioni, al prodotto e alle stagioni, il tutto rivisto in chiave contemporanea, sarebbe diventato l’esempio trainante della ristorazione trendy metropolitana? Dopo il case study di Trippa, infatti, Milano si è popolata di locali di ogni genere ma caratterizzati da due assunti imprescindibili: comfort food di qualità e prezzi contenuti. Nessun effetto speciale, quindi, ma tanta immediatezza, sostanza, gusto e semplicità.

Sono quindi nate quelle che a noi piace definire “trattorie 2.0”, in cui la tradizione non può prescindere dalla tecnica di esecuzione (moderna) e dalla ricerca e ostentazione del prodotto di nicchia e del piccolo produttore/fornitore.

Una delle nuovissime insegne milanesi che ripercorre questo apprezzatissimo filone è Ciciarà, in dialetto milanese, “chiacchiericcio”, nata qualche mese fa con l’intento di riportare in tavola la cucina della tradizione con uno spirito conviviale, sebbene, di questi tempi, è meglio limitarsi al primo obiettivo, speranzosi che tutto possa tornare presto come prima. Una vera trattoria moderna, a cominciare dagli ambienti, lineari, con mattoni a vista, bancone da bar, lavagna con i piatti del giorno e pezzi d’arredamento stile shabby chic. Forse all’interno c’è qualche tavolo di troppo ma al momento è anche allestito un dehors esterno, per queste ultime giornate dal clima mite.

Interessantissima anche l’ubicazione, nella tranquilla Piazza Santo Stefano, a poche centinaia di metri dal Duomo.

Brillanti sfumature in piatti semplici, preparati con ottima tecnica

In cucina officiano Michele Mette (uscito dall’ALMA e precedentemente alla Trattoria del Nuovo Macello) e Aronne Giorgetti  (passato dalla scuola di Niko Romito da cui arriva ragguardevole tecnica nelle preparazioni) che realizzano l’importante compito di abbellire di brillanti sfumature piatti semplici, coadiuvando la materia prima protagonista con interessanti contrappunti che ne esaltano prima di tutto la qualità intrinseca. E così, in una già eccellente battuta di toro vengono adagiati dei talli d’aglio che mettono il turbo al piatto, o una trota marinata diventa irresistibile con una insalata di cetrioli, finocchietto e limone che ricorda l’affascinante gusto del gravlax.

Ma anche i primi piatti e i secondi lasciano il segno, come gli spaghettoni con alici e fiori di zucca, in cui tutti i sapori sono ben definiti per un equilibrio complessivo di gran gusto o i ravioli di patate, menta e pecorino con sugo di pomodoro, con la farcia delicata che si sposa a meraviglia con il sapore deciso del pecorino.

C’è anche la tradizione nell’accezione più ampia del termine, con polpette al sugo, caponata e cotoletta di maiale. E per non dimenticare le esigenze di chi vuole fare un semplice aperitivo di qualità, c’è spazio per gli ormai immancabili cocktail e per affettati di una certa ricercatezza.

Il servizio può migliorare con le tempistiche e i vini (tra i quali si registra qualche etichetta interessante) potrebbero avere ricarichi più contenuti, ma non si può avere tutto nella vita. Il nostro invito, quindi, è quello di venire a provare questa interessantissima tavola che ci sentiamo di annoverare tra le migliori (nuove) trattorie contemporanee della città.

Appunto, una “trattoria 2.0”.

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