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Dammuso

Quintessenza di sicilianità in un dammuso di Noto

Non siamo a Pantelleria. Ma a Noto. E allora vi chiederete il perché, un’osteria incastonata in un vicolo del centro storico di una delle perle del Barocco della Sicilia sud orientale abbia preso in prestito il nome della arabeggiante struttura architettonica in pietra, caratteristica tipica dell’isola pantesca. Ebbene, la risposta la ritroverete una volta varcata la soglia di questa gettonatissima insegna, caratterizzata da un soffitto con volte in pietra che evoca, appunto, un Dammuso.  

Piccola divagazione a parte, la famiglia Baglieri, che in città sa il fatto suo quando si parla di ristorazione, è custode di una cultura gastronomica antica, quella familiare, tramandata nel tempo, capace di far riaffiorare ricordi ma anche di far scoprire il gusto nuovo della tradizione. 

Al Dammuso bastano soltanto pochi minuti per capire che si è seduti ad una tavola rassicurante, dove la schietta cucina della tradizione viene attualizzata quel tanto che basta da renderla gradevole per ogni avventore, senza rinunciare ai connotati golosi delle ricette dimenticate e qui recuperate con grandi consensi della clientela. È il caso della Ricotta fritta o delle Polpette di patate. Ma in carta, oltre ai “superclassici” come la Parmigiana di melanzane, le Sarde a beccafico, il Macco di fave o la Pasta alla norma non mancano proposte ittiche che trovano la massima espressione nella lavorazione del Tonno, presente in diverse preparazioni tra antipasti, primi e secondi piatti. Eccellente, in tal senso, si è rivelata la cottura del pesce sia servito a tagliata sia nella versione – un classico della casa – in Crosta di pistacchi e caponata. Meno entusiasmanti i primi piatti, serviti a una temperatura che, a nostro avviso, risultava eccessivamente elevata e in un formato di pasta (fatta in casa), a metà strada tra una mezza pappardella spessa e un pacchero liscio, aperto, che abbiamo trovato difficile da maneggiare. Dolci semplici, fatti rigorosamente in casa.

Le ragazze e i ragazzi di sala si muovono con garbo e disinvoltura e il servizio scorre rapido anche durante le serata sovraffollate (quelle estive) dove viene imposto di rispettare un doppio turno che, però, si rivelerà intelligente e determinante per la piacevolezza complessiva della cena. La cantina è ben fornita, soprattutto in termini di etichette siciliane.

Complessivamente possiamo affermare che quella del Dammuso è una cucina solida, in crescita rispetto al passato, anche in termini organizzativi: una insegna che merita sicuramente una visita se siete a Noto in quanto, elemento non scontato da queste parti, vi riserva una tavola di ottima qualità.

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Federico Sisti e la sua cucina moderna fatta di territorio e tradizione

Quello di Federico Sisti è un nome noto a chi segue con attenzione la scena della ristorazione milanese. È stato lui a guidare per qualche anno le cucine dell’Antica Osteria il Ronchettino restituendo nuova vitalità al panorama un po’ asfittico della cucina tradizionale milanese. Cucina antica, quella delle mamme e delle nonne la sua ma, allo stesso tempo, moderna, alleggerita con quel tocco di creatività e di talento che certo non gli fanno difetto. Frangente è la sua prima avventura da solista. È il “suo” ristorante. Un po’ bistrot, un po’ osteria.

Piccolo e accogliente, appena entrati si respira subito un’atmosfera giovane, moderna e dinamica.  All’ingresso fa bella mostra di sé lo chef’s table che guarda sulla bella cucina a vista per chi voglia seguire da vicino la creazione di ogni piatto. Per chi già conosce lo Chef non sarà una sorpresa trovare da Frangente un livello eccellente di materia e una grande capacità di reinterpretare la tradizione senza mai stravolgerla. Tre i capisaldi della sua cucina ci sono il territorio, l’innovazione per poter rinnovare le tradizioni gastronomiche esaltandone le qualità e, come si diceva prima, zero compromessi sulla qualità delle materie prime. Classici milanesi, qualche divagazione extra-lombarda e una spruzzata di Romagna, per ricordare le origini di Sisti. Come la Piadina con rucola e stracchino che in carta non manca mai, e che vi farà dimenticare tutte le piadine che avete mangiato fino ad oggi.

I grandi classici della cucina milanese e non solo

Perfetta la reinterpretazione di grandi classici meneghini come i Mondeghili, qui serviti con una strepitosa salsa agrodolce in accompagnamento, o come la Cotoletta alta, che si fa apprezzare per la qualità della materia prima e la precisione della cottura che la rende rosa e succosa al punto giusto. Rispetto alla tradizione dura e pura non c’è l’osso, e latita un po’ la croccantezza della panatura, ma si compensa con il buon purè in accompagnamento. Un passaggio a vuoto il Petto d’anatra con peperoni e gateau di patate, piatto che ci ha lasciato un po’ interdetti per via dell’effetto un po’ “bollito” della carne e l’eccesso di umidità. Passaggio presto riscattato con il dessert: una millefoglie semplicemente perfetta!

In sintesi, Frangente è un progetto davvero interessante: abbiamo grande fiducia in Sisti e nelle sue capacità che, nel tempo, abbiamo avuto modo di conoscere e vedere consolidarsi sempre più. Stavolta la valutazione è un po’ arrotondata in eccesso, ma siamo comunque già di fronte ad una delle migliori “trattorie contemporanee” della città.

La Galleria Fotografica:

Tradizione e autenticità

Nella fotografia come nella pratica enologica la luce è uno dei fondamenti della buona riuscita di uno scatto o di un vino. La luce, infatti, che tange un soggetto o, nel nostro caso, i 9 ettari di viti ad alberello, partecipa a delineare uno specifico istante. Un istante che per il vino contempla come protagonista la vite, il suolo e l’uomo: in una parola, il terroir. L’uno imprescindibile dall’altro, l’uno che dialoga con l’altro in una “fotografia del territorio”. Luca Attanasio racconta così i propri vini, in un’adesione totale al territorio da cui provengono, dove la mano del produttore interviene il meno possibile per garantire all’uva di farsi soggetto e fondamento di una storia di passione per il vino.

Luca Attanasio e il Primitivo di Manduria

L’azienda, nata sei anni fa, vede come unico e solo protagonista Attanasio, che della sua ha una tradizione di viticoltura tramandatagli dal padre con cui condivide la cura e l’attenzione riservata ad una terra, quella del Salento, votata al Primitivo di Manduria.

Questo vitigno autoctono, pugliese per eccellenza, trova terreno fertile e ottima esposizione solare tra Sava e Manduria, nell’Alto Salento. La sua massima espressione si ottiene proprio grazie alla vicinanza al mare, al suolo calcareo ferruginoso e al calore delle giornate pugliesi, restituendo grappoli ben maturi e un mosto molto ricco di zuccheri, che garantirà vini corposi e strutturati. Le uve, raccolte a mano, si trasformano in vini rossi e rosati che raccontano di una tradizione mai sopita e che vede al centro una vinificazione naturale, senza aggiunta di lieviti o altri coadiuvanti. Vini quasi ad enologia zero, per preservare l’autenticità di un prodotto prezioso e identitario.

L’impegno nella conservazione di scorci di paesaggio rurale parte dalla vigna, da quelle viti ad alberello che richiedono d’essere lavorate ancora manualmente, garantendo nelle rese ridotte una qualità superiore. Luca esprime la sua passione per il territorio in nome di un Primitivo di Manduria che coglie nelle varie sfaccettature: il Primitivo Salento IGP “Dodecapolis”, il Primitivo di Manduria DOP “Librante” – affinato 12 mesi in barrique di rovere francese – i due Primitivo vinificati in rosato: Primitivo Rosato Salento IGP e il Settepunti, ottenuto dalla vinificazione dei racemi e, infine, “Fioremio”, il vino dolce Puglia IGP Primitivo Rosso.

Il lavoro di Attanasio parte prima di tutto dal conservare le potenzialità e le specificità di una terra, con uno sguardo al futuro, nella costante ricerca della sostenibilità ambientale: dalle pratiche agronomiche svolte in vigna fino alla vinificazione.

Come in un ritratto chiaroscurale, ciascuno dei vini de Le Vigne di Luca Attanasio racconta di una filiera corta, dalla vite alla cantina, che ricorda i vini di una volta: vini in cui la luce della Puglia risplende in un’istantanea di autenticità.

La cucina d’avanguardia, così come tutti i movimenti di questo genere, per essere considerata tale deve necessariamente prendersi dei rischi ed esplorare territori sconosciuti in cui la padronanza e la piena dominanza dei risultati non sempre è sotto controllo.
C’è chi decide di accomodarsi in situazioni più confortevoli, semplici, e chi invece decide di spingere sull’acceleratore. Di osare. Non sempre con tutti gli strumenti esattamente a punto, non sempre con il controllo.
Ilario Vinciguerra fa parte della seconda categoria. Non condividiamo la definizione spesso attribuitagli di interprete innovativo della cucina partenopea. Questo francobollo va stretto addosso al cuoco di Gallarate. Perché la sua cucina, com’è ovvio, possiede profonde radici italiane, ma spazia in continuazione in territori inesplorati tentando strade ardite, difficili e, a dire il vero, non sempre con esiti positivi.

Ecco quindi un importante avviso ai naviganti: da Ilario Vinciguerra potrete alternare cene intriganti, originali e ricche di personalità (come la nostra ultima) a percorsi più tranquilli, incanalati su binari più rassicuranti, perfino con qualche preparazione scialba. Il coefficiente di difficoltà che il cuoco sceglie è talvolta, invece, assai elevato, e la padronanza non sempre è completa e compiuta. Ma in alcuni casi il risultato è davvero strabiliante. Prendiamo ad esempio la triglia in copertina. Una purea di fagioli di soia fermentati, albicocche grigliate e lievemente acerbe, funghi giapponesi essiccati e triglia in cottura poché… Boom!
Esplosione di personalità e originalità. Intrigante ed affascinante. La nota acida dell’albicocca acerba che spinge letteralmente la triglia e le sue note iodate verso confini salmastro-ematici interessatissimi. Con la timbrica di fiele in evidente persistenza. Un gioco di sapori inediti dissonante ma efficace.
Lo stesso dicasi per il più rassicurante raviolo aperto con salsiccia cruda, apparentemente un piatto più nella norma ma dal profilo gustativo decisamente piacevole e a tratti originale. Qui la tecnica è usata, non abusata, per cercare nuovi confini gustativi.

Il successo non sempre è garantito, ma quando il cuoco colpisce nel segno la fa con una profondità e originalità uniche. Montagne russe su cui siamo disposti a salire, per cogliere quelle emozioni che quella triglia ci ricorderà per lungo tempo.

Gli accompagnamenti all’aperitivo, su cui si stagliano i fritti…
aperitivo, Ilario Vinciguerra, Gallarate
fritti, Ilario Vinciguerra, Gallarate
amuse bouche, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Ciliegia ripiena di foie gras, carne cruda. Tecnica al servizio del gusto, con la nappatura di concentrato di ciliege a conferire una tensione gustativa unica
ciliegia ripiena di foie gras, Ilario Vinciguerra, Gallarate
La parmigiana nella melanzana. Piatto goloso, tecnico, personale. Un signature dish di Vinciguerra, che forse vedremmo più appropriato con dimensioni più ridotte.
parmigiana nella melanzana, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Ravioli aperti con salsiccia cruda di Minoli (macellaio di Gallarate), crema e polvere di basilico, pomodori secchi, crema di pecorino. Un interessante gioco attorno alla materia prima.
raviolo aperto, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Risolio all’acqua di prosciutto, prosciutto essiccato, composta di fichi del Cilento. Forse leggermente troppo invadente la nota dolce.
risolio all'acqua, Ilario Vinciguerra, Gallarate
La mastodontica triglia ai profumi d’oriente precedentemente descritta
triglia, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Un divertente intermezzo: molto più di un semplice esercizio stilistico. Pane, alici, pancetta tesa e cipolla di Tropea.
pane alici e pancetta, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Variazione di Cipolla di Montoro, baccalà. Peccato solo per la sequenza ripetitiva di verde che nulla aggiunge al piatto. Evitabile quest’ultima, piatto invece da incorniciare per essenzialità e pulizia gustativa.
cipolla di montoro, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Agnello Aragonesa con spuma di senape e miele millefiori. Chapeau!
agnello, Ilario Vinciguerra, Gallarate
i divertimenti finali…
divertimenti finali, Ilario Vinciguerra, Gallarate
piccola pasticceria, Ilario Vinciguerra, Gallarate
piccola pasticceria, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Un ottimo dessert: salsa al cardamomo e albicocche, gelato di mandorla, brunoise di pesca
dessert, Ilario Vinciguerra, Gallarate
Ricotta e pere da urlo!
ricotta e pere, Ilario Vinciguerra, Gallarate

tajarin, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe

Siamo a pochi passi dalle Langhe e dalle sue meraviglie, in quel Roero in cui il vino simbolo è l’Arneis, un bianco piemontese nella terra dei rossi per antonomasia. E nel cuore di Priocca, in questo piccolo paese di poche anime, il “centro” è proprio questo ristorante storico, di nome e di fatto.
E’ infatti da molti decenni che la famiglia Cordero lo conduce, da quando rilevò la preesistente osteria nel 1956 con Pietro e Rita, a cui sono succeduti il figlio Enrico con la moglie Elide.
Il Centro è famoso per essere un’oasi sicura alla scoperta di un’ottima cucina tradizionale al giusto prezzo, basata sui migliori prodotti del territorio, garantendo golose sinergie costruite nel tempo grazie ai rapporti con alcuni artigiani locali e potendo così portare sempre in tavola grandi materie prime, diverse a seconda della stagione.
Le sale che compongono il ristorante portano la mente agli anni ‘70, a un’eleganza sobria e priva di ostentazione. Apparentemente sembra che qui il tempo si sia fermato, ma non è certamente così per la cucina di Elide Mollo, più viva e attuale che mai.
Cotture millimetriche, maniacale attenzione ai particolari come, per esempio, i commoventi “tajarin”, per i quali il numero di tuorli d’uovo per chilo di farina (sempre dai 30 ai 32) viene deciso di giorno in giorno a seconda del tempo e dell’umidità dell’aria, con una sfoglia tirata a mano a regola d’arte. Alla fine vengono tagliati sottilissimi a coltello e fatti asciugare per un giorno e mezzo prima di essere cotti: queste e mille altre piccole grandi attenzioni segnano la differenza tra una grande tavola di cucina tradizionale e uno dei tanti, troppi, locali mediocri che affollano la penisola.
Quello che forse colpisce ancora di più qui al Centro è proprio la piacevolezza dell’insieme, quel riuscito mix fra grande cucina di tradizione e incomparabile capacità di trasmettere la passione del proprio lavoro, a cominciare dalla comanda a voce (che per molti è un difetto, ma un menù scritto ha comunque fatto la sua comparsa) che viene qui vissuta come un momento di condivisione, un modo meno freddo di proporre quello che è stato preparato per l’occasione, e che piace molto ai clienti locali, restando uno dei vezzi più tipici di questo locale.
Dall’arrivo della stella e dalla sempre maggior influenza del figlio Giampiero, le presentazioni dei piatti sono state svecchiate e sensibilmente migliorate, alcune preparazioni alleggerite e attualizzate, sempre però con coerenza e lasciando immutata quella sensazione di “famiglia” che ha segnato il Centro e la sua lunga storia.
L’unico neo di questa splendida tavola sono i dolci, non ancora all’altezza, come capita in molti ristoranti italiani, della parte salata del menù.
Bella e fruibile la carta dei vini, con tutto il meglio del Piemonte e un’ottima rappresentanza anche del resto d’Italia.
Merita poi una visita la bellissima cantina, nella quale è possibile fare degustazioni e cene per un massimo di dieci persone e dove sono conservate a perfetta temperatura naturale tutte le perle che poi ritroviamo nella lista.
Insomma è difficile, per chi ama il Piemonte, non passare da queste parti per provare una delle massime espressioni del territorio offerta a prezzi da trattoria. Una solida certezza, un rifugio del gusto, da oltre cinquant’anni.

Il pane.
pane, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Il benvenuto della cucina: polenta taragna e toma.
benvenuto,Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Ottimo il trancio di baccalà con mousse alle castagne e valeriana.
trancio, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
I “capunet”: involtini di verza ripieni di carne di maiale accompagnati da purea di zucca.
involtini di verza, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Millefoglie di topinambour e salsa leggera di acciughe.
millefoglie, topinambour, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Tajarin al ragù semplicemente perfetti.
primo piatto, tajarin, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Pasta e fagioli con maltagliati fatti in casa.
Pasta e Fagioli, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Una grande finanziera.
finanziera, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Agnello, cavolo e mela.
Agnello, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Panna cotta al caffè.
panna cotta, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Torta alle castagne e cachi.
torta, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe
Un buon Barbaresco a tutto pasto.
barbaresco, Il Centro, Chef Elide Mollo, Priocca, Cuneo, Langhe