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Povero Diavolo

Come si diventa un classico?
Sembra impossibile associare il concetto alla cucina di Piergiorgio Parini, tanto è libera, originale, sorprendente.
Eppure sempre più spesso, girando per gola, non solo in Italia, ci s’imbatte in richiami, suggestioni, echi che hanno un’origine chiara nel lavoro di questo chef prezioso per la cucina italiana.
In questi quasi dieci anni passati al Povero Diavolo si sono prodotte, senza esagerare, migliaia di piatti, talvolta rimasti in carta lo spazio di un cenone di capodanno quando altrove avrebbero fatto la fortuna per lustri dello chef che li avesse proposti.
Una cucina sempre stimolante e mai prevedibile, bella a vedersi, buona e sana, realizzata senza sforzi da quello che gli americani direbbero un “natural”, un cuoco per cui inventare è come respirare.
Il fatto poi che sia offerta in un luogo semplice, poco incline alle lusinghe e allo sfoggio come il suo patron, Fausto, burbero buono, equilibrato dal tocco gentile di sua moglie Stefania, ne fa una di quelle singolarità italiane che andrebbero esaltate ovunque.
Ogni portata è una festa per il gourmet, perché ci sarà sempre almeno un passaggio impensato, un ingrediente da scoprire, una pista aperta da percorrere; e qualche fugace accostamento meno riuscito, rovescio della medaglia inevitabile di tanta originalità, si dimentica volentieri perché qui non richiederete certezze ma lo stupore che vi strapperà più di un sorriso.
La nostra prima visita dell’anno è in primavera, e il menù lasciato alla libera mano dello chef ha contato, su quindici piatti, non meno di quattro passaggi da fondo scala.
A un avvio un po’ in sordina, con gli amuse-bouche che, a parte il cipollotto, non lasciano traccia, è seguita una brusca impennata con un succedersi di primi (un “tris”, per richiamare una pratica criminosa dell’offerta gastronomica nostrana, anzi un poker) che non sarà facile dimenticare e che spazia dalla pasta secca, al riso, alla pasta ripiena, al grano, sempre dando sfogo a un estro magico. Solo il gusto personale ci può far preferire i tortelli di faraona, a cui abbiamo dato l’onore della copertina, perché coniugare golosità con giochi di consistenze, contrasti che ti farebbero tornare a gustare mille e mille volte è impresa da segnalare.
E i secondi sono rimasti sullo stesso livello, con un solo passaggio a vuoto, la salsiccia di capra con lumache, in cui l’incontro tra i due elementi principali non è riuscito, controbilanciata da un piccione ancora nuovo rispetto ai tanti provati da queste parti e ancora da applauso.
Dolci non di scuola, mai ruffiani e mai gratuitamente provocatori, che non inseguono tendenze: il dolce non dolce qui si è proposto prima e meglio che quasi ovunque, insieme al dolce-dolce se serve. E se non ci sono interpretazioni dei classici per mostrare la sapienza della mano, non è detto che non vi siano domani, ma per scelta e non per moda.
Per la proposta enoica, senza lamentarvi di una carta che ha di sicuro delle rivali più corpose in giro, il consiglio è di lasciarvi suggerire dal patron: se la cucina è di quelle che sembrerebbe dare ragione a Marchesi e invitare a pasteggiare ad acqua per non essere distratti, Fausto Fratti saprà invece sorprendervi con bicchieri di grande originalità, spesso sul versante “naturale”, ma anche qui per scelta consapevole e ragionata, in quanto ottimi partner delle proposte di Parini. Nel nostro caso il Fricandò, Albana dell’azienda Al di là dal Fiume e l’ottimo Bianco dell’Armonia della Tenuta l’Armonia hanno svolto egregiamente il loro mestiere.
Un luogo del cuore, del quale vi racconteremo spesso nel corso dell’anno.

Mozzarella doppio latte, mandorla, finocchietto, erbe. L’avvio un po’ in sordina, la mandorla vince sulla mozzarella e il tutto non appassiona
Mozzarella, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Mazzancolle alla griglia, asparagi, limone, dragoncello, spinacio. L’asparago se non è il migliore mai provato ci manca poco; mazzancolla buonissima ma, ancora, non siamo sui livelli stratosferici cui questa tavola ci ha abituato.
Mazzancolle, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Grongo alla brace, crema di piselli, piselli, rapa bianca marinata al Martini, foglia di acetosa. Un primo scatto in avanti, con un pesce difficile. E la rapa marinata al Martini urla “Parini”…
Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cipollotto, fegato di merluzzo, ginepro fermentato, foglia di cappero sotto sale. Eccolo il fuoriclasse: contrasti inusitati (ci aspettiamo capperi e fegato in giro per lo stivale…) e risultato finale da applauso.
Cipollotto, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Linguine, brodo di paganelli, polvere di tiglio. Un saggio sul concetto di persistenza e la dimostrazione di quanto la grande cucina può, anche, essere gradevole in prima lettura, perché sfidiamo a trovare una forchetta che non mangi volentieri un piatto così.
Linguine, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Riso (vialone nano), stridoli, semi di cumino, polvere di luppolo, di felce, di sumak. Un tassello ulteriore a una storia di risotti lunga e felice, al Povero Diavolo. Mille sapori e sensazioni che si abbracciano e si respingono in successione, un piatto dinamico come un Amoureuses di un grande autore, con cui giocare per un paio di minuti felici.
Riso, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Tortelli (la pasta è fatta con farina d’orzo) di faraona, ristretto al melograno e riso. 20/20, potrebbe essere un classico della cucina italiana degli anni ’10 del secolo e magari tra un mese sparirà…
Tortelli, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Grano spezzato mantecato con burro affumicato, Squacquerone, cialda di stridoli e borragine, fiori di borragine, polvere di erbe e orzo. Bello, buono, ludico. Cosa chiedere alla cucina contemporanea oltre questo?
Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Spiedo di lumache, salsiccia di capra, rapa rossa, polvere di pioppo. Sì, si può scivolare, anche da queste parti. Di sicuro la salsiccia è troppo secca perché funzioni, nonostante l’intingolo da leccarsi i baffi.
spiedo di lumache, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Animella con “polenta alla saba” (Parmigiano, pane e saba). Piatto da grande table con tocco di italica gourmandise, la “polenta” è da gaudenti padani.
animella, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Kiwi e nervetti (anche soffiati a popcorn). Peccato esserci arrivati solo a fine cena a un piatto così, perché rendere questa materia gradevole a uno stomaco già un po’ saturo è impresa ardua. Bel lavoro del popcorn nel dare consistenza che contrasta e alleggerisce il boccone.
kiwi e neretti, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Piccione, rafano, ciliegie (candite e poi sotto aceto), capolini di piantaggine (“Plantago lanceolata”), crema di fegatini. Qui c’è tutto lo chef: il piatto da tristellato, riplasmato per farlo nuovo, non stucchevole, ricco di slancio.
Piccione, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Ricotta (a base di latte di mucca e capra; viene sifonata e appena montata), sesamo nero e mandarino (anche scorza in polvere). Per chi scrive, portentoso: ricotta trattata al meglio, il sesamo è un tocco di genio che porta il piatto, apparentemente visto mille volte, su strade non battute.
ricotta, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Nespole, alloro, polline fresco. Mano inconfondibile e combinazione “pariniana” quanto altre mai.
Nespole, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cioccolato di sorgo, kiwi candito e cipresso. Sfoggio di tecnica stravolgente che pare abbia stregato anche Genin. I più golosi tra voi continueranno a pensare che il cacao sia più adatto a farne cioccolato, ma se c’era bisogno di ribadire quante idee ci sono da queste parti ecco il dolce ideale.
Cioccolato, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana

FUSILLI CON PECORA E EUCALIPTO

“Siamo diventati poveri”, scriveva Walter Benjamin nel 1933. Poveri di un’esperienza smentita ieri dalla guerra, nel XXI secolo dalla recessione. “A cosa mai è indotto il barbaro dalla povertà di esperienza? È indotto a ricominciare da capo; a iniziare dal nuovo; a farcela con il poco; a costruire dal poco e inoltre a non guardare né a destra né a sinistra”. Si parla molto di semplicità, nella cucina contemporanea, e questa parsimonia di mezzi e di effetti, questo primitivismo che talvolta assume lineamenti esotici, di indigeni maori o di indios amazzonici, ha pochi lasciti da spendere in tasca. Siamo tornati poveri, ancora una volta: e chi povero lo è sempre stato, potrebbe partire in vantaggio.

Per esempio la Romagna, terra di una ristorazione naturalmente in sintonia con la contemporaneità. Il cui ristorante più avanzato, in quel di Torriana, dalla povertà ha tratto una rivendicazione da appendere fin sopra il portone. Quella con bacche ed erbe spontanee, da incarnierare in un foraging ante litteram, è una consuetudine diffusa persino nelle trattorie, dove non sono mai appassiti fiori di sambuco, rosole, stridoli ed erbe dialettali, da abbinare magari a una saraghina. In cerca di una cucina “in cui le persone possano far risaltare la propria povertà, quella esteriore e in definitiva anche quella interiore, in modo così netto e chiaro che ne venga fuori qualcosa di decente”.

Nessuno come Piergiorgio Parini, nato a San Mauro Pascoli, figlio di contadini, sa elevare questa povertà al rango di estetica contemporanea. Dove la brevitas, come uso accorto dei mezzi espressivi da parte dei classici, sfuma nell’espressività graffiante dell’inopia. Gli ingredienti sono generalmente tre o quattro, e poco solenni. In questo caso fusilli, pecora, eucalipto e alloro, a comporre un ragù a crudo dall’integrità esemplare, che riscatta la vituperata insalata di pasta. Dove la carne di spalla è battuta al coltello, le foglie di eucalipto sono ridotte a julienne e l’alloro per una volta non è centrifugato alla Greenstar, che ne estrarrebbe un altro profilo, ma pestato e liquefatto, con un esito di maggiore soavità. Praticamente un latte di alloro che rinuncia alle lusinghe tecnologiche.

Intensa, fondente al palato e quasi cremosa, la carne è dinamizzata non per via di acidità ma attraverso la freschezza degli aromi balsamici, che a loro volta dialogano con la nota leggermente selvatica dell’ovino e quella silvestre dell’alloro, evocativa di una cottura in absentia, quasi un sapore della memoria in chiave subliminale. “Questo piatto è nato una sera dei primi caldi di stagione, per un cliente che non mangiava la pecora, su cui grava un certo pregiudizio. Invece io sono attratto dalla sua dolcezza, che mi ha ispirato un secondo in stile tataki, con il carré e il cosciotto appena scottati. Restavano le parti meno nobili, che ho elaborato in una pasta fredda, senza dirgli cosa fosse. Ho scelto i fusilli del Pastificio dei Campi perché si prestano alla preparazione in ‘insalata’, a causa dello spessore, e la carne può infilarsi fra le spire; sono conditi da tiepidi, in modo da creare un’emulsione con la battuta e un goccio d’olio, favorita anch’essa dalla spirale. Mentre l’eucalipto è quello che ho piantato in giardino tre anni fa, in cerca della nota verde perfetta”.

Fusilli con pecora e eucalipto, Chef Piergiorgio Parini,

Una semplice porta sormontata da un’insegna amichevole e familiare: sono questi i candidi vessilli del “Povero Diavolo”, vestiboli minimalisti di una delle più interessanti, stupefacenti e vibranti cucine contemporanee d’Italia.

E c’è da chiedersi se ancora qualcuno arrivi qua per caso, non spinto da un ardente desiderio di emozioni e ignaro della fama di questo luogo. E’ una tirannica curiosità quella che ti spinge a divorare i chilometri per arrivare al cospetto del folletto di Torriana e a decidere ogni volta di dare in pasto a un genio culinario assoluto i più reconditi e verginali frammenti del proprio animo gourmet, la cui tenacia critica è messa costantemente alla prova da un ambito sorprendente, in continua evoluzione. La cucina di Pier Giorgio Parini è il prodotto di un talento incomparabile, che di giorno in giorno (o forse di ora in ora), si trasfigura in forme cangianti, in nuovi lineamenti e in espressioni inaspettate, ma che rimane fondamentalmente ancorata alle salde certezze della sua essenza più profonda e immutabile.

Piergiorgio Parini, a dispetto della giovane età, è uno tra i più grandi conoscitori a 360° delle materie, sia che provengano dal mare, dalla terra o soprattutto da… sottoterra. La continua sperimentazione relativa alle nuove tecniche applicate non è da leggere come una implicita adesione alla moda del momento, ma come un’opportunità per ampliare il ventaglio di possibilità delle sue innumerevoli creazioni, mantenendo in questa maniera aggiornato, attuale e realmente avanguardistico, il suo stile. Uno stile che non verrà mai snaturato, rimanendo sempre puro e riconoscibile: a tal proposito calza a pennello l’ultimo, recente grande lavoro, ovvero l’introduzione di numerosi elementi fermentati a beneficio delle relative inflessioni di acidità apportate.

Le critiche mosse negli anni a Piergiorgio Parini sono forse figlie di incomprensioni proprio verso il suo stile e le principali si sono concentrate sul modus operandi dello chef: creando di continuo una mole impressionante di piatti, si rimproverava il fatto che non ce ne fosse uno immediatamente riconoscibile. Alcune preparazioni, soprattutto le più essenziali e minimaliste, arrivavano a esser definite “semplici”, quasi incompiute e leggermente monocorde, cavalcando ripetutamente modulazioni di note vegetali.
Se oggi qualcuno ha ancora qualche dubbio che Parini non possa avere il diritto di sedersi accanto ai grandissimi, le scarse motivazioni contrarie a questa tesi si sciolgono come neve al sole.

Tabula rasa, senza troppi panegirici: porro, nocciola, umeboshi, amarena sott’aceto. Creare un piatto come questo sulla semplice base di un “porro”, è indiscutibilmente dimostrazione di classe cristallina: la struttura del porro, croccante e filamentosa, è ammorbidita da una balsamica e concentratissima salsa di nocciole, mentre i pezzi della stessa impegnano la masticazione. Nel frattempo l’amarena, con la sua lievissima dolcezza mitiga e al contempo fa da ponte verso l’umeboshi, che invece, dal canto suo, rende una sensazione acida altissima. Game over.
Basata sulle stesse note la Zuppa di canocchie, radici di tarassaco, lampascioni sottaceto, fiori di senape selvatica che, accanto alla sapidità marina dei mitili e del brodo (un vero distillato tanto è concentrato), pone la progressione amara dei lampascioni e del tarassaco, mitigate dalla freschezza dei fiori di senape. Altro colpo da KO.
Ultimo allegato alla motivazione di grandezza: spaghetti alla chitarra, rapa rossa, battuto di prezzemolo, yogurt bianco. Piatto sensuale già nell’aspetto, con lo spaghetto terroso e lievemente dolce che fa il paio con il piacevolmente invadente peperoncino che, smorzato dallo yogurt, mantiene soltanto la nota calda e anestetizzante e una lieve piccantezza: il concetto di equilibrio estremizzato a livelli impensabili.

Potremmo continuare a lungo con la commovente qualità del rombo, o del brodo di sandalo profumato e persistente al limite del credibile, o alla maniera in cui è gestita e modulata l’amarezza degli asparagi nel risotto, dei finissimi dessert… ma risulterebbe quasi inutile, perché, come al solito, mentre leggete queste righe tutti questi piatti sono già storia.

Tutto semplice? Tutto semplicissimo. Qui non c’è nessun segreto, basta macinare qualche chilometro per rendersene conto.
Oggi, in Italia, chef con tale sensibilità e livello di inventiva se ne possono contare davvero pochi, utilizzando le dita di una mano. E magari ne manteniamo chiuse un paio, sperando di aprirle in futuro…

Pane, grissini, focaccia.
Grissini, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Ceci e rose fermentate.
ceci e rose, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Tortino di sedano rapa. Non solo del maiale …non si butta via niente, in questo caso anche del sedano rapa, con il quale viene fatta la spuma, la “tagliatella” che avvolge il tutto e i cubetti all’interno. Un biscotto dolce di avena sul fondo rende dolce e croccante l’insieme, per una partenza fresca, divertente e golosa.
tortino di sedano rapa, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Sgombro e cavolo nero.
La marcata affumicatura dello sgombro, unita alla polpa incredibilmente carnosa, amplia la balsamicità del succo di finocchio selvatico e le note verdi del cavolo nero e dell’orecchio di lepre. Leggero e fresco, ma al contempo intenso e complesso.
sgombro e cavolo nero, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Zuppa di canocchie, radici di tarassaco, lampascioni sottaceto, fiori di senape selvatica. Primo colpo basso.
zuppa di canocchie, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Brodo di sandalo, triglia, carciofi.
Un assestato uno-due. La (favolosa) triglia e i carciofi sono solo struttura e texture, il vero protagonista del piatto (non a caso elencato per primo) è il brodo, dalla concentrazione quasi masticabile, dal profumo avvolgente e dalla persistenza infinita, aiutata dalla componente tannica del carciofo. La classe non è acqua. E’ brodo.
brodo di sandalo, triglia e carciofi, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Riso al brodo di tiglio, asparago selvatico, pepe fermentato, polvere di tiglio.
L’evoluzione degli ormai famigerati risotti di Piergiorgio. La nota lievemente amaricante dell’asparago, dosata alla perfezione, s’incastra tra la freschezza del tiglio e la lieve speziatura del pepe. Speziato, amaro, vegetale e fresco: la rappresentazione grafica del nuovo passo avanti fatto da Parini.
riso al brodo di tiglio, asparagi, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cappelletto del Povero Diavolo.
Un cappelletto “tradizionale” (per così dire …) con una fresca e decisa nota citrica e un colloso fondo di Parmigiano Reggiano 40mesi.
cappelletto del povero diavolo, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Spaghetto alla chitarra, rapa rossa, battuto di prezzemolo, yogurt bianco.
Piatto dall’aspetto davvero sensuale, nel concetto più semplice (anche se sicuramente altrettanto tecnico) dei precedenti ma non per questo meno interessante. La rapa è inserita nell’impasto degli spaghetti, rendendoli di un concentrato rosso porpora, lievemente dolci, terrosi ma ben al dente. Lo yogurt bianco sul fondo sfuma la marcata presenza del peperoncino, mantenendone calore e sapore: l’aglio olio e peperoncino del quarto millennio. Una sola segnalazione, occhio alla camicia.
spaghetto alla chitarra, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Animella, camomilla, salvia.
La freschezza della salvia e il profumo della camomilla sorreggono la grassezza golosa dell’animella.
animella, camomilla e salvia, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Porro, nocciola, umeboshi, amarena sottaceto.
L’uppercut del ko, la chiusura del cerchio, i 19,75/20 fatti piatto. Con un food cost risibile.
porro, nocciola, umeboshi, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Pecora, asparagi, rose.
Una carne non di facile approccio, resa mite dalla cottura ma comunque sublime nel gusto.
Pecora, asparagi e rose, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Piccione, rosa canina, pastinaca fermentata.
Un piccione da grande table, davvero tra i migliori mai incontrati, cotto alla perfezione, con il plus della componente estremamente acida della pastinaca fermentata.
piccione, rosa canina, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Gelato alle viole selvatiche, polvere di biscotto, miele rifermentato.
E’ uscito un po’ di sole, quindi per quattro-cinque giorni ci sono le violette selvatiche, sono andata io a raccoglierle perché Piergiorgio non poteva…” racconta Stefania.
Un grande dessert, per non più di una settimana all’anno. Questo è il Povero Diavolo.
gelato alle viole selvatiche, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Cicoria, biscotto integrale, massa di cacao, polvere di radice di felce.
La barretta Mars del futuro, ennesimo dessert strepitoso a cui ci ha abituato questa cucina. La degna chiusura di un pranzo travolgente.
cicoria, biscotto integrale, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana
Il vino della casa di Fausto…
vino, Povero Diavolo, Chef Piergiorgio Parini, Torriana

“Sotto la zolla
nasconde un segreto,
lo vede soltanto
la nebbia che cade.
Sanno i suoi gesti
di un palpito quieto,
non è troppo tardi
tornare a sperare.

Ha messo a tacere
la fame e l’affanno,
per mesi il suo sonno
non fu che sudore”

Il sudore, già. Quello di un uomo, di un contadino, che si affanna a zappare la terra. Per porre a frutto e far germogliare la vita. Il sudore, la tensione e la difficoltà della creazione di un’opera.
Il sudore … che continua a riecheggiare nelle mie orecchie. Perché un mio commensale ha trovato la definizione giusta per l’estro e il talento del folletto di Torriana. Quanto mai centrata. “Questi piatti non sono fatti con il sudore”. E’ la migliore definizione mai pensata della cucina di Parini. E non è detto, per inciso, che ciò sia un valore assoluto. Però, c’è un però, Mozart componeva di getto, d’istinto. E le sue note non erano mai ruvide, scomposte, azzardate. Quell’improvvisazione istintiva, quasi irritante, che non ho mai visto a nessun cuoco prima d’ora così dirompente, assordante e magica.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Una porta spalancata sul futuro dell’alta cucina. Un luogo magico, in cui stanno accadendo, giorno dopo giorno, eventi mai visti ed immaginati. Un luogo pervaso da energia positiva, da una tranquillità spirituale e da una carica creativa davvero unici. Un luogo che mi si veste addosso, che mi avvolge di preziose ed inaspettate sensazioni. Un cuoco che sta continuando il suo percorso di crescita con un passo impressionante, inarrestabile. Che ha trovato il suo equilibrio personale, il suo profondo ed originale quanto inatteso sviluppo nella direzione vegetale. Una cucina fresca, d’istinto, mai uguale a se stessa. Una frequenza da capogiro di piatti, ricette e preparazioni che riesce a stordire il più assiduo frequentatore. Da una sera all’altra rischi di non mangiare che pochi piatti già noti, su una sequenza di una decina abbondante di assaggi del percorso creativo a mano libera. Spesso accade che alcuni di questi piatti, veri e propri capolavori, rimangano atti unici, mai più ripetuti. Perché Giorgio Parini è l’emblema dell’arte dell’improvvisazione. E’ l’esplosione pura di talento istintivo, che non ha bisogno di brigate chilometriche e tanto ben addestrate. Che vive d’istinto, che esprime tutta la sua maestria negli abbinamenti, nella tecnica, mai ostentata ma ben presente.
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