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Takazawa

Da circa dieci anni Yoshiaki Takazawa si è ritagliato, nella formidabile offerta gastronomica della capitale nipponica, uno spazio la cui rilevanza è inversamente proporzionale alla dimensione del locale. Uno spazio minimo, per 8 fortunati (all’inizio, quando il ristorante si chiamava Aronia di Takazawa, erano addirittura 4), che è pero visibilissimo su guide, riviste specializzate e sulla bocca di tanti appassionati.
La spiegazione è presto data: Takazawa propone una cucina molto personale, di impostazione occidentale ma con ingredienti e precisione della tecnica tutti locali e indirizzati alla perfezione del risultato finale. La massima espressione possibile dell’idea di “fusion”, purtroppo frequente lasciapassare per superficiali commistioni di idee di cucina mal comprese.
Niente di tutto ciò da queste parti: nulla è lasciato al caso, la ricerca della materia prima è maniacale, la capacità del cuoco è sopraffina e, almeno in parte, trasparentemente mostrata perché lo chef cucina in larga parte su un proscenio splendidamente illuminato.
L’offerta è fatta di diversi menu degustazione, più o meno estesi, tutti contenenti la data di creazione dei piatti, abilmente combinati per offrire una combinazione dei classici della maison e delle novità.
Non c’è un solo passo falso e ci sono alcune vette che resteranno a lungo nella memoria, per intensità dei sapori e loro armoniosa combinazione; un luogo, dunque, sicuramente capace di dare gioia a ogni appassionato.
Basterebbe la paradigmatica ratatouille, in carta da sempre e già descritta anche da queste parti nella precedente visita, o lo scenografico maccarello affumicato a dare testimonianza del livello di finezza proposto. Fa piacere, però segnalare l’omaggio al mediterraneo nel folgorante vegetable parfait: un delizioso, delicatissimo, gazpacho sormontato di spuma di mozzarella al parmigiano, salsa al basilico, caviale e foglia di basilico fritta.
Se proprio ci si deve sforzare di trovare un limite a un ristorante di questo livello è nel contesto in cui si colloca la proposta. Tokyo è una città dove non basterebbero dieci vite a sperimentare tutte le meraviglie della cucina giapponese che vi viene proposta; Takazawa è, probabilmente, la meno giapponese delle grandi tavole che abbiamo avuto la fortuna di provare da queste parti e la più vicina, per molti aspetti, a esperienze accessibili più facilmente in Europa.
Il servizio, affidato a madame Takazawa è esemplare per cortesia, calore e, raro da queste parti, per il buon inglese utilizzato nella descrizione dei piatti.
Il commiato alla porta, con chef e signora che ringraziano come da tradizione locale è piacevolmente malinconico, pensando alle due ore di serenità e piacere appena passati e alla distanza da casa di questo luogo di civiltà.

PS: a pochi passi dal ristorante, non perdete le delizie della pasticceria Libertable del bravissimo Kazuyori Morita, degna di paragone con i grandi transalpini: valgono il viaggio in questo bel quartiere, quale che sia la zona di Tokyo in cui vi troviate, anche se non avrete trovato posto da Takazawa…

Ostrica di impressionante qualità, con spuma al limone.
ostrica, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Primo amuse-bouche: minestra, ottenuta dalla sferificazione delle tre componenti, da mangiare in un sol boccone.
amuse bouche, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Lecca lecca di provolone gratinato: il “provolone” è in realtà proveniente da una fattoria dell’isola di Hokkaido, di proprietà di un produttore appassionato della nostra specialità
lecca lecca di provolone gratinato, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
La deliziosa ratatouille, boccone da re.
ratatouille, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Un po’ di pane e grasso di maiale per placare la fame in attesa del prosieguo.
pane e grasso di maiale, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Il piatto della serata: vegetable parfait.
vegetable parfait, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Potato and butter: la ricostruzione di una patata in una pasta di pane ripiena di patata al burro e tartufo; gourmandise chic.
potato and butter, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Bouillabaisse: rilettura in salsa locale del classico marsigliese, intensissima nel sapore anche se meno bella del resto.
bouillabaisse, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Nanakusa: la rilettura di un classico locale. 7 erbe, che ci parlano dell’arrivo della primavera, in fogge e presentazioni diverse, abbinate a un delizioso maiale (anche il maiale in Giappone ha una classificazione legata alla qualità, e questo era del primo livello della classificazione stessa).
nanakusa, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Special Camembert: in realtà una eccellente cheese cake, accompagnata da una fragola dall’intensità di gusto trovabile solo da queste parti. Molto buono ma tutto sommato un esercizio di stile.
camembert, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo

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Il cammino verso la perfezione.
Concezione, esecuzione, risultato: gesti ripetuti ossessivamente nella ricerca del miglioramento continuo. Giorno dopo giorno. Per tutta una vita.
Jiro Ono è un uomo di 88 anni, ancora al posto di comando nel suo minuscolo locale nella stazione della metropolitana di Ginza.
Jiro Ono è uno shokunin: è difficile tradurre in italiano un termine così lontano dalla nostra cultura. La traduzione in “artigiano” infatti non gli rende giustizia: è molto di più.
Comporta certamente avere competenze tecniche, ma implica anche una coscienza e un atteggiamento sociale. Lo shokunin ha l’obbligo sociale di lavorare al meglio per il benessere generale della popolazione. Obbligo che è sia spirituale che materiale. Una cosa enorme, ma è fondamentale averne chiarezza prima di mettere piede qui dentro.

“Dovete innamorarvi del vostro lavoro”: così dice Jiro nel famoso documentario di David Gelb, Jiro Dreams of Sushi.

Quanto è fortunato l’uomo che riesce a trovare nel proprio lavoro passione e forza innamorandosi di quello che giornalmente è chiamato a fare per la comunità! L’unione tra vita e lavoro diventa quindi vocazione.
Tutta la vita di quest’uomo non è stato che questo: un cammino verso una perfezione che non è raggiungibile perché non si sa quale sia il suo apice ma a cui bisogna continuamente tendere.

«Io continuerò a salire, cercando di raggiungere la vetta, anche se nessuno sa quale essa sia». (Jiro Ono)

Ma Sukiyabashi Jiro non è solo il contenitore della storia di un grande uomo: qui le storie da raccontare sono molteplici e si intrecciano come si mischiano le esistenze degli esseri umani.
C’è la storia di Yoshikazu, il figlio maggiore di Jiro San: al fianco del padre tutti i giorni. E’ un macigno da portare sulla schiena quella eredità che probabilmente lo relegherà ad eterno secondo.
E’ lui che tutti i giorni va al mercato a scegliere il pesce: solo il meglio per Jiro Ono. Possono essere aperti anche 40 tonnetti prima di trovare quello degno di essere servito da Jiro San.
C’è la storia del figlio minore Takashi, che ha aperto un suo locale a Roppongi Hills che è l’esatta copia a specchio del locale del padre ( Takashi è mancino). Fuga che può diventare salvezza e rinascita.
O quella dei tanti apprendisti in attesa di un segno di approvazione dal Maestro: chi ha il compito di strizzare gli asciugamani, chi per mesi e mesi non fa altro che frittate dolci, chi ancora massaggia i polpi (non meno di cinquanta minuti per renderli morbidi).
Non ci sono concessioni, non ci sono regali: qui ogni cosa è sudata e guadagnata sul campo.

Al giorno d’oggi i genitori dicono ai figli: “Se non funziona puoi tornare a casa”. Quando i genitori dicono stupidaggini come questa, i figli sono destinati a fallire nella vita. (Jiro Ono)

Due virtù caratterizzano la cultura giapponese: l’onore e la ricerca della purezza.
L’onore è parte integrante del proprio lavoro, nell’amore che si prova per esso e nella continua ricerca del miglioramento.
La purezza va invece ricercata nella semplicità.
Niente di più semplice dell’accoppiamento di riso e pesce in un vortice armonioso che porta alla fusione di questi due elementi.
Il riso: molti tendono a cuocerlo troppo. In quello di Jiro si sente l’aceto ed è servito a temperatura corporea. È cotto ad altissima pressione, il che lo rende soffice e vaporoso, ma allo stesso tempo ogni chicco mantiene la sua forma. E’ una rivelazione, un riso straordinario.
Il pesce: niente che sia meno di eccellente. La fornitura giornaliera al mercato di Tokyo è maniacale.
L’armonia: la perfetta unione tra i due elementi si rispecchia nel gusto, unico ed emozionante.
Il wasabi, modulato in quantità a seconda del pezzo: uno schiaffo iniziale che lascia il campo al gusto di questa incredibile radice che in Giappone tocca vertici qualitativi assoluti.
Una spennellata di salsa di soia. E subito in bocca in pochi secondi, perché la perfezione è fugace.
Il menu (19 portate fisse) si sviluppa come un’onda, in un crescendo di sapori.
Solo sushi preparato dal Maestro davanti ai vostri occhi: 30 minuti per i 240 euro meglio spesi della vostra vita.
Una composizione che rende terra e cielo più vicini, continui shock neurosensoriali che non si dimenticheranno facilmente.
Chissà se avremo ancora la possibilità di gustare il sushi preparato da questo monumento della gastronomia mondiale. Chissà se lo troveremo ancora lì, a perfezionare il suo riso, il suo pesce, il suo sushi. A costruire il suo destino partendo da se stesso, giorno dopo giorno.
Dopo giorno, dopo giorno…

Note pratiche: la prenotazione può essere fatta dal concierge dell’albergo, solo il primo giorno del mese precedente la visita (esempio, il primo settembre per il mese di ottobre).

Il ristorante si trova sotto alla fermata Ginza della metropolitana: per individuarlo cercate il cartello del ristorante Birdland che riporta la scritta in inglese ed entrate nel corridoio. Jiro si trova proprio di fronte.

Il menu è fisso ma a fine pasto è possibile richiedere dei bis dei pezzi che avete preferito.

Sono accettati solo contanti, quindi ricordate di fare il pieno prima di entrare.

Akagai, Jiro, Tokyo
Akagai: vongola rossa (ark shell)

I cartelli da seguire per l’ingresso
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Karei: passera pianuzza
Karei, Jiro, Tokyo
Sumi-ika: Calamaro
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Shima-aji: caranx vinctus (striped jack)
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Akami: tonno
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Chu-toro: Tonno semi grasso
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Kohada: alosa americana (gizzard shad)
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Mushi-awabi: abalone al vapore
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Aji: sugarello (jack mackerel)
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Kurumaebi: gambero bollito
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Katsuo: tonnetto (bonito). Leggermente affumicato, l’apice di tutto il pasto. Gusto e consistenze indescrivibili.
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Shako: canocchia
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Iwashi: sardina. Altro colpo da ko, di cui infatti abbiamo chiesto il bis.
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Akagai: vongola rossa (ark shell)

Uni: riccio di mare
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Kobashira: cappasanta
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Ikura: uova di salmone
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Anago: grongo
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Tamago: frittata dolce di uovo. La consistenza di questa frittata è unica. Solo una frittata? Non scherziamo…
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Musk Melon: non si può descrivere l’intensità gustativa di questi costosissimi meloni giapponesi (al mercato vengono venduti intorno ai 100 euro cadauno)
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Mise en place essenziale
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Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il perfezionismo del minimalismo.
Questa è, a nostro parere, la sintesi della filosofia kaiseki e di questo grande ristorante. Abbiamo già trattato l’argomento nella recensione di Kitcho, ma qui vorremmo dare un ulteriore punto di vista, che vada oltre la maniacale attenzione per la materia prima, per la stagionalità e per il rito.
Perché al ristorante Koju ci troviamo di fronte ad un’interpretazione, se volete estrema, del modernismo stilistico kaiseki targato Giappone. Un rito che rimane tale e che al contempo viene spogliato di numerosi orpelli, reso metropolitano e contemporaneo, per certi versi anche antiteticamente veloce, ma che preserva tutti i contenuti veri e profondi di quest’arte.
Punto di partenza è la cura nelle preparazioni, apparentemente semplici, ma frutto di elaborazioni lunghe e molto puntigliose. In cucina, anche se non si vedono, ci sono 2 addetti alla cottura del riso, 3 addetti alla preparazione dei brodi, altri 4 alla cesellatura di verdure e pesce. Un esercito concentrato su partite a prima vista elementari, in realtà coordinate e capitanate da veri e propri maestri dotati di esperienza pluriennale.
Il “Maestro” rifinisce e cesella il sashimi, assaggia e ritocca il già quasi perfetto brodo per lo shabu-shabu, osserva e dirige con una attenzione da vero e proprio direttore d’orchestra. Comprendiamo ora sino in fondo l’assonanza con un altro Maestro come Marchesi con questa filosofia, ed anche il suo costante accostamento alla simbologia e alla stilistica, nonché al rigore della grande opera musicale d’orchestra. Mai come in questo caso metafora fu azzeccata.
Il giorno della nostra visita lo chef Toro Okuda si trovava a Parigi per l’apertura del suo primo locale fuori dal Giappone (Okuda Paris, già segnato col pennarello rosso tra le prossime visite da fare nella Ville Lumière).
Il suo sostituto, giovane ma con una sicurezza da chef navigato, non ha fatto rimpiangere il Maestro.
Koju è l’esperienza, con la E maiuscola, di una contemporaneità Kaiseki portata all’apice.
Dove ogni ingrediente primario, un pesce o una verdura, viene preservato nella sua essenza più profonda. Non troverete sale aggiunto da nessuna parte. Tutto puro, se è dolce sarà dolce, se è sapido sarà sapido. Così come, se l’ingrediente lo è, lievemente piccante. Presentato nella sua purezza maestosa e intonsa.
Il ruolo di protagonista di ogni preparazione è demandato spesso ai brodi, di concentrazione, finezza e persistenza, nonché sapidità, notevoli e dagli apparenti comprimari. Una volta un frutto secco, l’altra volta un’erba piuttosto che una laccatura in cottura.
Una affascinante esperienza che dovrete, se vorrete avere un quadro completo ed esaustivo, affiancare ad un grande esempio di tradizione kaiseki in quel di Kyoto. Ed il vostro cerchio gustativo in Sol Levante sarà completo.

La table du chef.

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Mise en place.

mise en place, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il giovane chef all’opera.

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Granchio reale, gelatina di aceto di riso e soia, agrumi: un concentrato di rara eleganza.

granchio reale, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Abalone, purea di melanzana e fagioli di soia: consistenza fantastica dell’abalone e della melanzana profumata al gelsomino.

Abalone, pure di manzo, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione del nostro sashimi.

sashimi, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il primo brodo.

brodo, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Aragosta, fagiolini di soia, funghi, polpetta ai crostacei e radice di loto.

aragosta, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Sashimi di tonno, seppia, orata, daikon, insalata di alghe, rapanelli. Di consistenza e purezza fantastici.

sashimi di tonno, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione dello shabu-shabu.

shabu-shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Barracuda al vapore con funghi, anguilla arrosto e laccata con bianchetti. Immersi in un giardino d’autunno. Patate dolci, noci gingo, polpette di daikon, radici di zenzero, peperoni, lime, pepe e shiso. La foglia di pepe sull’anguilla un tocco da vero maestro.

barracuda al vapore, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

barracuda, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione della radice di Wasabi.

wasabi, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Shabu-Shabu di pesce (simil merluzzo) e funghi pregiatissimi Matsutake. Il brodo intenso e pervasivo, con il fungo che emana sentori di fiori d’autunno e sottobosco. Fantastico.

shabu shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

shabu shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Riso, brodo di miso e funghi, cipollotto e sottaceti.

riso, brodo, miso, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La rilettura del tradizionale mochi. Gelato al caramello e castagna, liquore di castagna, castagna bollita e palline di riso dolce. Strepitoso.

pochi, gelato al caramello, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il classico finale con il the Matcha.

the matcha, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo

Per avere un eloquente quadro del livello qualitativo della ristorazione giapponese, rappresenta davvero una buona idea quella di venire in questo locale nel cuore di Ginza e godersi una serata piacevole e al contempo istruttiva.
Elementi per esercitare il sano strumento dello scetticismo per chi, come noi, tende a selezionare accuratamente i luoghi dove mangiare non mancavano di certo: il ristorante non è minimamente blasonato, anche se titolare di una solida fama radicata nel tempo, la scelta è stata affidata senza alcun filtro preventivo alla conciergerie di un hotel e, come se non bastasse, esso è noto per essere frequentato anche da vip che di solito non prestano particolare attenzione alla qualità del cibo consumato.
Anche la struttura del locale ha destato viva preoccupazione: invece di un’unica e raccolta sala con pochi posti ecco diverse sale ognuna dislocata ai quattro piani in cui è suddiviso l’edificio che ospita la sede di Ginza, quella da noi visitata.
Parliamo, infatti, tra l’altro di una risorsa che ha diverse succursali.
Al primo piano ecco Yosuke Imada, fondatore e titolare, mentre in ognuno degli altri piani la sala presenta un bancone presidiato da due chef che, con un inglese più che dignitoso e un’appena più marcata teatralità, unica concessione alla frugale liturgia che abbiamo conosciuto finora, officiano con savoir faire altrettanto efficace il rito del sushi.
Una volta aspettato il nostro turno in una curiosa e quasi museale sala d’attesa, viste le suppellettili esposte, ci si è affidati all’omakase, la degustazione di sushi decisa dallo chef, scelta davvero felice, pur essendo da menzionare anche diversi menù kaiseki sulla carta altrettanto interessanti.
Si è avuto modo di conoscere così, a un prezzo molto accessibile, quella che potrebbe essere definita un’espressione della ristorazione media che, comunque, qui fa decisamente più rima con alta.
Il riso sempre tiepido, e dai chicchi perfettamente separati, appena aromatizzato dall’aceto, la giusta e misurata quantità di wasabi o sale o lime, la qualità del pesce, mai men che ottima (basti pensare ai gamberi serviti praticamente vivi) e un servizio come sempre solerte e leggiadro, hanno permesso di aggiungere un ulteriore e decisivo tassello alla conoscenza di questo paese.
E fornire, ovemai ce ne fosse ancora bisogno, una testimonianza ulteriore del fatto che ogni forma di espressione culinaria da queste parti non è mai affidata al caso ma tenacemente persegue e consegue standard sempre fuori dall’ordinario.

Tuna belly.
tuna belly, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Seppia.
seppia, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Gamberi danzanti prima…
gamberi, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
E dopo…
Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Riccio di mare.
riccio di mare, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Tonno (maguro tuna).
Tonno, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Maccarello.
maccarello, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Capasanta.
Capasanta, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Divino O-toro.
O-toro, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Maki assortiti.
maki assortiti, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Tamago.
tamago, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Chef all’opera
chef, Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo
Senza parole…
Sushi Kyubey, chef Yosuke Imada, Tokyo

Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo

Conoscere e comprendere appieno il proprio passato, la storia del proprio paese, gli infiniti codici che ne caratterizzano i modi di essere e di fare e, partendo da essi, trascenderli con infinita grazia, è affare di pochi, pochissimi eletti.
Seiji Yamamoto è uno di loro.
La conoscenza cui si fa riferimento è intesa come un metodico e niente affatto vano incameramento di nozioni la cui applicazione, unita a ferrea e militaresca ripetizione dei gesti, rappresenta la strada maestra per giungere prossimi all’agognato concetto nipponico di perfezione, per i giapponesi un mirabile blend dove l’impeccabile forma diventa essa stessa sostanza e la sostanza la più ovvia delle conseguenze.
Questa perfezione, se possibile, appare cangiante, vitale e ancor più mutevole nelle mani di Yamamoto, che con il suo immenso talento e la sua spiccata sensibilità varca le soglie della disciplina da cui è partito, approdando a vette d’indimenticabile eleganza.
L’apprendistato è stato lungo, ma i circa undici anni, dai 22 ai 33, presso il ristorante Aoyagi dello chef Hirohisa Koyama, storico nume tutelare della cucina Kaiseki a Tokyo, l’hanno forgiato a dovere.
Questo percorso gli ha permesso di assimilare col massimo profitto i canoni della tradizione e di intenderla non come un circoscritto cortile, o addirittura un fardello, fatto di rassicuranti regole tramandate da maestro ad allievo che trovano ragion d’essere ed esaurimento in sé stesse, bensì come un mare aperto cui attingere infiniti spunti da sviluppare e proporre nelle forme più disparate.
La cucina Kaiseki, appresa in ogni sua sfaccettatura, rappresenta, quindi, per Seiji Yamamoto non solo un immutabile rituale, caratterizzato dalla successione armonica di pietanze presentate in modo esteticamente curato, ma un’occasione irresistibile offerta al suo estro di trasformare una compassata liturgia in un teatro dove le regole sono un canovaccio, gli ingredienti sono gli attori e lo chef l’ispirato regista che affascina noi spettatori.
Un pasto da Ryugin è un’esperienza memorabile, di quelle che lasciano il segno, un prima e un dopo nell’esperienza di qualsiasi buongustaio degno di questo nome.
Non si tratta solo di spostare semplicemente più in alto l’asticella del gusto, di grandi ristoranti ce ne sono in Giappone e altrove, ma di ammirare e riconoscere la più perfetta sintesi, all’interno della ristorazione, fra tradizione e modernità.
Non tragga in inganno la presentazione, quasi in souplesse, di ciò che viene servito negli splendidi piatti di questa minuscola sala inneggiante a mitologiche figure di draghi nel quartiere viveur di Roppongi.
Proprio dietro tale apparente semplicità, talvolta quasi frugale, emergono complessità e ricchezza di sfumature tali da donare a questa tavola il sommo valore che la contraddistingue.
I brodi, tutti espressi, arricchiti di nuance vegetali, citriche, sapide, ricorrono a tutto quanto è disponibile nella stagionalità dei cicli produttivi giapponesi e, essendo già di per sé elemento chiave della cucina del Sol Levante, meriterebbero tranquillamente un discorso a parte per la compiutezza e l’inarrivabile bontà che li caratterizzano.
Le cotture poi, mai men che perfette, le note affumicate, il sapiente alternarsi di temperature, gli accostamenti sempre ricercati fra elementi che possano suscitare contemporaneamente il più ampio arcobaleno di sensazioni possibile, sono la giusta celebrazione dell’infinita varietà offerta dalla natura del Giappone (non per niente il menù degustazione si chiama “Plating the prodigality of japanese nature”).
Il tutto non trascurando le tecniche più moderne, basti pensare alla divina polvere di castagne che accompagna il pesce persico o la fattura della mela nel dolce a essa dedicato di inaudita concentrazione.
Tecniche, appunto, mirabilmente inserite in un disegno, e non tecnicismi fini a sé stessi, inutili dimostrazioni di sterile abilità.
L’aspirazione alla perfezione dei metodi di questo magnifico chef passa attraverso un utilizzo della modernità a 360°: sua è stata l’intuizione, ad esempio, tanto per rendere meglio l‘idea, di ricorrere all’uso della TAC per mettere a punto un metodo di sfilettatura ottimale per l’hamo, una specie di anguilla di mare, la cui complessità a livello costitutivo ne rendeva da sempre molto ostica l’operazione.
Questo particolare, che solo superficialmente potrebbe essere inteso come puramente aneddotico, è fondamentale per comprendere appieno la levatura di questo chef capace di produrre poi, restando solo ai dolci e al classico, uno dei più sublimi e riusciti soufflé che ci sia mai capitato di assaggiare.
La sintesi di cui egli ha dato dimostrazione non è solo temporale ma anche spaziale, introducendo nel suo menù con infinita sapienza anche elementi occidentali come le uova cucinate, i dessert di stile europeo, o la capacità dei piatti di sostenere accompagnamenti alcolici diversi dall’ortodosso e amato sakè nazionale.
In buona sostanza una tavola da non perdere, quella che sarebbe pura follia non visitare se si mette piede in Giappone con la volontà di avere un’idea delle potenzialità gastronomiche di questo meraviglioso paese. Sostanzialmente quasi infinite.

Interno.
Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Mise en place.
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Granita di vino di prugne e spumante.
Granita di vino di prugne e spumante, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Verdure di stagione, funghi shijtake, germogli, noci macadamia in una squisita salsa di pinoli. Lo chef si presenta da par suo: umami, acidità, armonia, ma, ancor più, intensità nei sapori.
verdure di stagione e funghi shitake, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Granchio, abalone, gelatina di aceto di mele e zenzero, alga wakame, brodo di abalone. Giochi di texture, ma non solo, in un piatto davvero risolto.
granchio, abalone, gelatina, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
granchio, abalone, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Lattume di merluzzo fritto delicatamente con crema alla santoreggia, salsa ponzu per un tocco acido ineccepibile.
lattume di merluzzo fritto, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
lattume di merluzzo
Kinki fish cotto alla brace, melanzana e zenzero il tutto amplificato da un meraviglioso ichiban dashi, brodo chiaro fatto espresso, di fragranza, profumo e bontà incredibili. Cottura fantastica del pesce. Meraviglioso mix di note citriche e affumicate.
kinki fish, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Variazione di sushi, un messaggio dalle coste giapponesi:
rombo con salsa oroshi ponzu e cipolline,
aragosta, salsa soia, wasabi e alga nori,
calamari e uova di aringhe,
ebodai marinato con aceto accompagnato da gelatina di salsa di soia e zenzero fresco,
fegato di pesce rospo con fiore di crisantemo,
divino bonito affumicato con senape giapponese,
al centro flan di fegato di abalone con uova di salmone.
Bonito e aragosta impressionanti in un piatto in cui ogni preparazione è curata in modo magistrale.
variazione di sushi, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Pesce persico di mare con riso tostato cotto alla brace (vera e propria variazione sul tema del sushi, in questo caso cotto), polvere di castagne, noci di kingko, funghi matsutake, avocado con verdure sottaceto su purea di arancia e carota, foglie di pera e zenzero a ripulire.
La grande tecnica al servizio del gusto. Anche qui cottura del pesce didattica. Armonia, in questo caso, ottenuta per modulazione più che per contrasti.
pesce persico con riso tostato, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Polpetta di gambero con zuppa di rapa gelificata allo yuzu (piatto molto kaiseki, delicato, quasi tenue). Altro esempio di tecnica innovativa che attualizza, migliorandola, la tradizione in una preparazione molto apparentemente semplice dall’eleganza ed equilibrio rimarchevoli.
polpetta di gambero, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Filetto di wagyu cotto prima alla brace e poi in stile sukiyaki con uovo pochè.
Magistrale zuppa di miso in brodo di gamberi e squisiti sottaceti.
filetto di wagyu, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Piatto extra menù: riso con orata cotta nel pepe sansho, verdure saltate e yuzu, buono ma non al livello dei piatti precedenti tale da poter essere considerato l’unico piccolo passo indietro.
riso con orata, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
La mela candita….
mela candita, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
La mela è a -190°, e su di essa viene poggiata una golosissima marmellata di mela calda.
Una volta rotto l’involucro un fragrante aroma di mela pervade ogni senso.
Tecnologico e basic allo stesso tempo, ça va sans dire.
mela candita, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Me-ra-vi-glio-so soufflé di sake col suo mochi appaiato al suo gelato.
La quintessenza dell’artigianale abilità e della delicatezza applicate a un dolce.
Un benchmark assoluto.
Contrasti di consistenze corredati da clamorosa concentrazione del liquore in cui il grado alcolico cede il passo al puro sapore.
Il dolce dell’anno.
soufflè di sake, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Roppongi pudding: un vero e proprio crème caramel.
rappongi pudding, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Sabe di wasanbon (zucchero giapponese), sudachi e fichi freschi.
sabe, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Immancabile e buonissimo tè matcha.
tè matcha, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Artiglieria pesante per accompagnare degnamente il pasto.
vino, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
vino, Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Insegna
Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo
Tokyo
Ryugin, Chef seiji Yamamoto, Tokyo