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Akaoni

Zero estetica, un sacco di sostanza: ecco a voi uno dei migliori izakaya di Tokyo

Nel distretto di Setagaya, uno dei ward in cui è suddivisa la sterminata Tokyo, a Sangenjaya, un piccolo paradiso di izakaya a misura d’uomo, in piccoli antri per pochi, pochissimi avventori (spesso non più di cinque o sei) è possibile gustare le pietanze della vera tradizione giapponese in atmosfera conviviale e dopolavoristica.
E’ comune vedere salary man che al termine del lavoro vengono a trascorrere con allegria in questi locali, un po’ trattorie un po’ taverne, il crepuscolo della giornata.
Tra questi, Akaoni (“il diavolo rosso”) è forse il più famoso di tutti.

Il suo aspetto esteriore, particolarmente dimesso, dissimula efficacemente la sostanza che si cela dentro: uno dei migliori izakaya presenti a Tokyo.
Il sakè qui non è un semplice accessorio del pasto ma è considerato a tutti gli effetti l’asse portante attorno a cui gravitano le delizie gastronomiche presenti in carta.
Qui la cordialità è d’ordinanza come pure la quasi totale assenza di un benché minimo inglese parlato.
Poco male, perché a gesti e con grandi sorrisi si viene a capo di tutte le incomprensioni, e si vive un’esperienza gastronomica didatticamente davvero eccezionale.
Il sakè viene orgogliosamente portato in degustazione e a esso si accompagnano piatti gustosi, tradizionali, assolutamente no frills, come un’ostrica in tempura da bis e gli squisiti yakitori di pollo con wasabi, che restano impressi nella memoria.
Nella selezione di sakè, appositamente preparati da molti maestri espressamente per la casa, spicca quello frizzante, veramente notevole.
Il tutto per una spesa di 30 euro a testa, che assicura un’ora e mezza di grande felicità in uno spaccato giapponese genuino e ruspante.

Il miglior ramen del mondo?

Accreditare qualcosa come la migliore possibile richiede doti che non fanno parte del bagaglio di chi vuol descrivere con onestà e soprattutto distacco le esperienze gastronomiche fatte.
Tutto può essere relativizzato e tacciare qualcosa di assoluto può essere facilmente considerato come estemporaneo ed emotivo.
Alcuni casi, però, come questo piccolo locale della “ramen street”, il piccolo agglomerato di ristoranti che propongono quasi esclusivamente il popolare piatto a base di noodles sotto la fermata della stazione centrale di Tokio, rendono questo nobile intento quanto mai precario e vacillante.
La domanda che ci siamo posti sia durante che dopo l’assaggio è stata: “Può esistere un ramen migliore?“.
Siamo giunti alla salomonica conclusione di non poterlo affermare ma al tempo stesso non possiamo esimerci dal raccomandare molto caldamente una venuta qui mettendosi pazientemente in fila (viste le prenotazioni rigorosamente non possibili) insieme alla gente che dal primo mattino ordinatamente attende la propria razione di bontà.
Saggia idea quella di venire fuori dalle ore di punta cioè prima delle 12, come abbiamo fatto noi, o nel primo pomeriggio.
La fila scorre relativamente veloce e in attesa di essere chiamati a fare il biglietto alla macchinetta che permette di accedere all’agognato pasto, non sarà una perdita di tempo osservare la variopinta clientela che in disciplinato ordine aspetta il proprio turno.
La varietà di ramen offerta è lo tsukemen, cioè quello in cui i noodles e il brodo sono serviti in ciotole separate con pochissime variazioni sul tema, essendo possibile l’aggiunta di uova bollite, spezie o la scelta di varie quantità dei noodles stessi.
Alla fine dell’attesa e conseguito il prezioso tagliando, per una spesa che oscilla tra i 630 e i 1060 yen (tra i 5 e i 10 euro), sarà possibile accedere allo spartano bancone.
La consistenza dei noodles, resistente e meravigliosamente nodosa, e il brodo, fatto con maiale, pollo e katsuobushi, per intensità e densità restano profondamente e felicemente impressi nella memoria, rendendo l’attesa per assaggiare tale imperdibile leccornia un tributo del tutto accettabile

Un grande sushi master di Tokyo, giovane ma già allo stesso livello dei big.

Se volete fare un tuffo vero nel Giappone più profondo, Ootanino sushi è quello che fa per voi. Una entrata anonima, difficile da trovare. Mai direste di essere arrivati davanti all’ingresso di un ristorante: solo una lampada con ideogrammi giapponesi, di fronte, può far intendere -ai più avvezzi alla cultura giapponese- di essere al cospetto di uno scrigno di grande bontà culinaria.

Varcata la soglia, una stanza, o forse meglio dire uno sgabuzzino, con 10 posti a sedere ed un maestro davanti a voi dall’aria vispa, giovane, dinamica… e con tanto, tantissimo talento.

Qui non c’è la carta, non c’è il menù. Ci si siede e ci si affida a ciò che il mercato e il talento di Ootanino hanno deciso che quel giorno andava fatto. Il menù omakase questo significa: totale improvvisazione, l’adesso più estremo.

Ecco quindi che, come è successo a noi, potrete essere investiti da un tripudio di pesci fritti vivi -nel senso di cucinati estratti direttamente dall’acquario ed immersi nel caldo olio bollente- o assistere alla preparazione di un calamaro appena uscito dall’acqua… e, come potete vedere, non è per niente una metafora.

Poi alternanze di caldo-freddo: lattume di ricciola alla brace, Abalone, nigiri e maki eccezionali, un imperioso bambù al vapore e pesto di shiso, sublimi ricci di Okkaido, gamberi ancora vivi, bonito e fegato di pescatrice, sashimi eccellente accompagnato da polvere di zenzero fresco o wasabi: tutto freschissimo, incredibilmente vivo.

Una grande, grandissima esperienza quella da Ootanino, difficilmente uguale da un giorno con l’altro, da un servizio con l’altro.

Avrete a disposizione un maestro che cucina per voi e per pochi altri, che vi condurrà nel più profondo ed intenso percorso gustativo che possiate mai immaginare, uno dei più interessanti da noi provati.

Ootanino non è tra i più famosi e pluricitati sushi master, ma secondo noi merita la visita più di molti altri.

Una cucina di grande personalità, un kaiseki moderno e contaminato

Di RyuGin e del suo chef Seiji Yamamoto abbiamo già parlato innumerevoli altre volte. Questa volta vorremmo soffermarci sul motivo per cui questa tavola è così tanto ambita, goduta, intensamente bramata da tutto il nostro gruppo.

Semplicemente perchè l’unione di una grande tecnica, al servizio del gusto e della tradizione locale del Kaiseki, genera un tale prorompente e devastante zenith gustativo da lasciare letteralmente storditi per lungo tempo.

Eh, già… potrebbero sembrare queste preparazioni semplici, banali. Qualche ardita valutazione superficiale ci potrebbe indurre a credere che l’esplorazione di sapori e di tecniche a noi sconosciute, semplicemente esotiche, accostate a lavorazioni tipicamente nostre, creino un connubio che facilmente può ammaliare. Quasi come le sirene di Ulisse.
Tutto ciò potrebbe avvenire e si potrebbe nascondere un rischio concreto.

Peccato che, nel nostro girovagare nella terra del Sol Levante, di cucine di questa tipologia ne abbiamo provate davvero tante. Alcune ci hanno lasciato la sensazione descritta in precedenza, altre ci hanno intrigato e divertito, oltre che a tratti affascinato.
Ma nessuna, RyuGin a parte, ci ha fatto innamorare. Per la sua apparente semplicità, per la sua tecnica affatto esibita. Per le sue temperature perfette. Per le sue consistenze ineccepibili e, ultimo ma non per importanza, per il suo straordinario sapore.

Seiji Yamamoto è un maniaco selezionatore della Materia; ha prodotti che, spesso, non bastano e non sono sufficienti per tutti i commensali della cena. Divertente vedere come il menù degustazione, unica proposta possibile, vede continue e fluttuanti variazioni ai tavoli vicini.
Nessuno degusterà quello che state degustando voi, il problema sarà uno solo: quello che tutti i piatti serviti ai vostri vicini di tavolo vi sembreranno tremendamente buoni. E vorrete subito ritornare per provarli, senza purtroppo riuscirci.

Maniacale nella scelta degli ingredienti e folle nell’uso preciso, metodico e puntuale sia di tecniche ataviche della sua tradizione sia delle più moderne tecniche di cucina d’avanguardia. Ma tutto questo non lo vedrete neanche nell’ombra.

Lo troverete presente nei meravigliosi piatti che Seiji vi porterà, come il pesce palla, avvolto in una coltre, a ricostruire la pelle, lieve quanto intensa, costruita addensando gli scarti dei pesci e il loro collagene concentrato. O come quel paradisiaco Dashi, cucinato con l’acqua del monte Fuji che arriva al ristorante tutti i giorni. E come quel tecnicamente -ma anche gustativamente- ineccepibile roll in tempura di ricci, in cui lo chef è riuscito a friggere l’involucro senza minimamente alterare il contenuto, rimasto quasi freddo. Un’opera di tecnica finissima, per un risultato gustativo entusiasmante.

In definitiva ci troviamo ancora qui, dopo qualche anno, a confermare Ryugin come una delle cinque tappe indimenticabili del nostro lungo cammino di erranti gourmet, alla ricerca del miglior ristorante. E forse un candidato l’abbiamo trovato.

Al nostro ennesimo viaggio in terra del Sol Levante abbiamo deciso di fare un esperimento. Perché è facile prenotare i ristoranti pluridecorati, di cui tutti parlano, e mangiare bene, anzi in maniera eccellente. A dire il vero non è ciò più neanche tanto scontato, ma per capire il Giappone culinario più profondo, quello vero, abbiamo deciso di muoverci come si muoverebbe un turista qualsiasi, a nostro rischio e pericolo.

Abbiamo cercato sul web e scelto il ristorante più allettante -all’interno di due tipologie ben distinte- nel nostro stesso quartiere di residenza, proprio come farebbe appunto un turista qualsiasi. Che cercherebbe di cenare vicino all’albergo, in un posto caratteristico e senza spendere molto.

Non sobbarcandosi decine di chilometri per la città e lanciando milioni di improperi perché non trova il luogo tanto desiderato. Senza parlare della prenotazione, effettuata come minimo 4 mesi prima. E quindi la scelta ricade sul miglior tonkatsu e il miglior udon della zona.

Risultato? Semplicemente strepitoso!

Shin Udon“, luogo con la coda perenne al suo esterno -già un ottimo segnale- vi condurrà nel fatato mondo degli udon, immersi in un brodo dashi ancestrale e di una bontà e consistenza unica. Preparati rigorosamente al momento, cotti all’ordinazione, corredati da guarnizioni con materia prima di grandissima qualità. A prezzi da encomio, non spenderete più di 10/15 euro a testa.

Tonkatsu Hamakatsu Nishi-shinjuku” invece, come recita il nome, è la patria del tonkatsu, la cotoletta di pollo giapponese impanata nel panko, pane cassetta tipico giapponese, che dona una morbidezza e al contempo una croccantezza davvero invidiabili. Non un filo di unto, non un filo di grasso in eccesso. E accompagnamenti di grande qualità ne fanno una tappa irrinunciabile per conoscere la vera cucina giapponese, fatta non solo di nigiri e maki.

Secondo voi perché in Italia, o più genericamente in Europa, provando a fare lo stesso esperimento non si ottiene lo stesso risultato? A voi l’ardua risposta… ehm… sentenza.

Tonkatsu Hamakatsu Nishi-shinjuku

Shin Udon