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Le Beccherie

La tradizione del tiramisù e molto di più

I campanilismi fanno parte della tradizione italiana. A guardarli con occhio indulgente li si apprezza per il senso di identità che emanano, quasi la paternità di un piatto definisse per estensione le sfumature che ogni variante regionale manifesta. E dunque il Tiramisù rientra a piene mani in questa contesa, con Treviso in prima posizione a ottenere l’agognato primato. In quest’ottica Le Beccherie spicca quale baluardo del Tiramisù vero, quello primigenio e archetipico della tradizione dolciaria tanto diffusa nel mondo. La questione, al di là delle legittime informazioni filologiche facilmente reperibili, col 1972 quale anno ufficiale, ma non ufficioso, del servizio del dolce codificato così come lo conosciamo oggi, potrebbe sembrare assolutizzante, e in parte lo è, di una realtà che, oltre a primeggiare in un reparto dolciario straordinario, ci ha stupiti col servizio di una degustazione di impronta classicheggiante assai intelligente e strutturata.

Merito dei giovani Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti in cucina, ragazzi capaci, dopo essersi conosciuti presso la brigata di Fabio Cucchelli all’hotel Ciasa Salares, di creare un percorso tradizionale, certo, ma non banale né scontato, giocando su note amaricanti figlie della stagione invernale garantendo ugualmente una gratificazione generale assai goduriosa. Il tutto sotto la vigile supervisione di Paolo Lai, patron del ristorante Le Beccherie e suo burattinaio.

Non solo Tiramisù

Tra le portate più riuscite ha spiccato sicuramente Fiore Nero, con a base il cavolfiore grigliato, ebbro di note affumicate, rilanciate dalla tostatura delle nocciole e, in chiusura, un richiamo terroso tutt’altro che invasivo del tartufo. Un piatto che ha racchiuso l’inverno e lo ha reinterpretato inserendosi nella legittima visibilità della componente vegetale che la contemporaneità ci sta presentando, senza però scadere in banali greenwashing. Una portata intelligente, non accomodante, che ha giocato su aspetti meno immediati ma non per questo meno precisi. Stesso discorso lo teniamo per lo Spaghettone Massi al Raboso, radicchio di Treviso e ricotta affumicata: un piatto notevolissimo, senza parti di carne ma non certo meno incisivo, con nuovamente l’amaricante a farla da padrone, omaggiando la natia Treviso in maniera eterodossa rispetto a stucchevoli pregiudizi di sorta. Segnaliamo un dettaglio: contrariamente alle cottura più diffuse della pasta che la vedono al dente ai limiti della crudità, qui si è sposato un approccio opposto nel quale, la seppur precisa presentazione finale, era più vicina alle preparazioni della domenica in famiglia, con pasta accomodante e tenera anziché risoluta e croccante.

In chiusura il “re” del reparto dolci del locale: quel Tiramisù preparato ad hoc, meraviglioso in consistenza e struttura grazie a una bagna dei savoiardi golosa ma non eccessiva, e con la crema al mascarpone montata ad arte, così da fornire uno straordinario collante complessivo sia in termini di dolcezza che di godibilità: un capolavoro! In sintesi siamo certi che, continuando su questa strada, gli esiti cui può approdare questa tavola saranno assai interessanti.

IL PIATTO MIGLIORE: Spaghettone Massi al Raboso, radicchio di Treviso e ricotta affumicata.

La Galleria Fotografica:

Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia

Di Hiroki Yoshitake e del suo Sola (“cielo” in giapponese e non fregatura in romanesco) avevamo parlato già anni fa, individuandolo come una delle aperture più interessanti in una Parigi già in piena bistronomie.
Lo chef, dopo un lungo apprendistato in Giappone (suo maestro Hiroyuki Sakai, star televisiva come “iron chef”) è partito in giro per il mondo per arrivare finalmente in Francia, suo obiettivo originario. Qui fa il suo apprendistato in cucine prestigiose e stimolanti (Astrance, Ze Kitchen Galerie, l’ormai negletto alla stampa italiana Magnolias di Jean Chauvel, grande promessa di una decina di anni fa) prima di stabilirsi a Singapore.
Insoddisfatto dell’avventura del suo locale, non ha resistito alle lusinghe di Youlin Li, imprenditore franco-tunisino e sino-cambogiano al tempo (una fusion vivente) che aveva avuto modo di apprezzarne le doti in passato e che già aveva lanciato locali asiatici di successo nella Ville Lumière (Guilo-Guilo su tutti).
Il Sola è nato così, nei locali del vecchio Toustem della Darroze, riorganizzati mantenendo la sala superiore in uno stile tutto rustico “vecchia Parigi” (piuttosto incongruo con la cucina) e ammodernando quella inferiore in perfetto stile nipponico.
In questo contesto, lo chef propone la sua idea di cucina: una rilettura sapiente della grande cucina francese in una chiave leggera e arricchita dall’uso di presentazioni e ingredienti non necessariamente transalpini. Con esiti davvero notevoli per finezza, pulizia, nettezza dei sapori, in cui è facile ritrovare i paradigmi ispiratori (soprattutto Barbot e Ledeuil abilmente meticciati).
Cucina piacevolmente raffinata, dicevamo, proposta a prezzi formidabili (48 euro a pranzo per un menu di 4 portate più amuse-bouche e petit fours; 98 la sera per il menu più ricco), accompagnata da impeccabile carta dei tè (per noi un prezioso Gyokuro) o da una stimolante carta dei vini, molto ben pensata e prezzata in maniera introvabile a Parigi in locali di questo livello.
In un pranzo tutto notevole, le punte sono state la sogliola con declinazione di cavoli, dalla cottura millimetrica e una rilettura davvero indimenticabile del tiramisù (delle mille versioni provate in giro per il mondo, di una spanna la più bella e la più buona. Un grande applauso al pasticciere, Hironobu Fukano).
Non è il locale di cui si parla di più a Parigi: meglio così, trovare posto non è impossibile e ne vale davvero la pena.

Il tè, servito in bellissime tazze

Eclair con foie gras caramellato e crema dauphinoise. Perfetta la consistenza dell’éclair, ottimo l’insieme
Eclair, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Carpaccio di orata con finocchio, pompelmo e salsa al pompelmo. Pompelmo un po’ coprente, non esalta l’ottima qualità della materia prima
Carpaccio di orata, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Raviolo di poulet de Bresse in brodo, con radicchio, rapa e tartufo nero. Quando la cucina “fusion” ha un senso.
Raviolo di poulet de bresse, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Sogliola con declinazione di cavoli, piselli e salsa agli spinaci. Un grandissimo piatto, che non ci stupiremmo di gustare da Barbot
Sogliola, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Piccione, petto e coscia con radicchio. Realizzazione impeccabile e bella presentazione (meno cruenta della moda attuale, ma bene così…)
Piccione, petto e coscia, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Rilettura del tiramisù. Un esempio di grande pasticceria: bellissimo, contrasti di consistenze e temperature, leggerezza e zucchero in giusta quantità. Da applauso.
Tiramisù, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia

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Recensione ristorante.

Si attendeva da tempo l’apertura di Lucio Sforza, già tre gamberi in quel d’Orvieto, in una tranquilla stradina di un quartiere residenziale di Roma Nord. E se il locale è spiazzante, perché dove ti aspetti tovaglie quadrettate trovi invece tavoli di Saarinen e sedie di Jacobsen, in un quadro tutto ispirato al moderno design scandinavo, la cucina è invece rassicurante: piatti classici della ristorazione popolare, preparati come si deve, con ingredienti d’eccellenza e fatti pagare il giusto.
Senza troppi complimenti (il menù è già sul tavolo, i cappotti si appendono per conto proprio) si propone una carta molto ampia, soprattutto nei secondi, e stimolante, per appetiti robusti.

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Recensione ristorante.

Stefano Preli, già chef dell’Acino Brillo e soprattutto di Antonello Colonna a Labico e al Palazzo delle Esposizioni si aggiunge all’ondata neo bistrottiera che sta caratterizzando la capitale e anima in quel di San Lorenzo questo bistrot molto piacevole.

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