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Tim Raue

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Berlino è incredibile crocevia di culture e tradizioni che affonda le sue radici sia negli eventi storici che ancora segnano indelebilmente le sue strade, sia nella particolare posizione geografica, ultimo avamposto occidentale del vecchio continente e porta d’accesso alle lande orientali.
Nelle grandi metropoli mondiali è oramai consuetudine imbattersi in ristoranti multietnici, spesso di buon livello, specie oltre i confini italici, e la capitale tedesca non fa eccezione.
Il talentuoso Tim Raue, ben lontano dal clichè della classica cucina mittel-europea, consapevole delle sue radici ottomane, ha inteso dare vita ad uno dei più alti esempi di ristorazione contaminata da influssi orientali che possiate trovare non solo in Germania.
E la location dove prende il volo la sua creatività non è stata, probabilmente, scelta a caso.
Rudi-Dutschke-Straße infatti, ad un tiro di schioppo dall’emblematico Check Point Charlie, è la direttrice che divide, non solo simbolicamente, il quartiere Mitte, cosmopolita e centro finanziario, con Kreuzberg, fulcro della comunità turca in città.
Si narra che lo chef, da ragazzo, fosse membro di una dalla gang minorili più temute di Berlino e che, ad un certo punto della sua vita, qualche buon consigliere lo pose dinanzi al suo futuro: “di fronte a te ci sono 3 strade” gli disse “imbianchino, giardiniere o cuoco”.
Adesso sappiamo che la scelta fu quella giusta, almeno a giudicare dai risultati.
Si è fatto le ossa esclusivamente nella capitale, che non ha mai voluto abbandonare. Die Quadriga, Rosenbaum, Swissotel tra le sue esperienze; la consacrazione nel magnifico Adlon sulla Unter den Linden, con sguardo rivolto alla Brandeburger Tor. Poi, nel 2010, ha deciso di mettersi in proprio e la Rossa lo ha premiato ben due volte, facendolo divenire capofila dell’alta ristorazione cittadina.
Cina, Giappone, Thailandia. Queste le cifre stilistiche della sua proposta.
Le hashi saranno le vostre posate, ma se avete difficoltà ad impugnarle, chiedete i più tradizionali forchetta e coltello, sarete accontentati.
La pulizia dei piatti e la ricerca della perfezione sono mutuate dal Sol Levante, i dim sum, sempre presenti in carta, dalla terra di Marco Polo, le numerosissime spezie utilizzate dal Siam.
A pranzo ci sono diverse proposte a prezzi molto vantaggiosi, a cena si veleggia sui costi standard dei locali bistellati.
Rispetto alle nostre più datate visite, abbiamo notato la consueta finezza e precisione nelle cotture, l’essenzialità degli accostamenti, ma, di contro, un utilizzo in alcuni casi smodato delle acidità e delle aromaticità.
Il rombo sovrastato dallo zenzero, il salmone, pur ottimo per concezione, ha visto prevalere il pompelmo.
Buonissimi, invece, i dim sum di pollo, con spuma di topinambur, cuori di palma, crescione e tartufo nero, così come il piccione al curry, questa volta dosato mirabilmente, con insalata di chinese artichoke, che nulla hanno in comune con i carciofi nostrani.
Tim Raue regala, comunque, un’esperienza sensoriale e palatale fuori dai canoni ordinari, seppur con qualche eccesso, che riteniamo indispensabile per comprendere la vera accezione dell’abusato termine “fusion”.

Mise en place.
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Appetizer: anacardi al curry, cetrioli marinate al sale, ravanello con maionese giapponese, alghe marine.
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Salmone Ikarimi al sesamo, pompelmo, gelatina di vitello alla vaniglia, aceto e menta. Molto interessante, anche se troppo spinto su note amare e acide tanto da lasciare poco spazio, se non per la consistenza, all’ingrediente principale.
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Dim Sum di pollo con spuma di topinambur, cuori di palma, crescione e tartufo nero. Perfetti.
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Rombo, noci macadamia, dai lan, cardifole, zenzero. Lo zenzero, non giustamente dosato, è predominante.
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Maialino da latte, tangerine, pepe di Sichuan, insalata di fiori di loto. Magistrale esempio di connubio di acidità e spezie. I fiori di loto conditi con l’agrume sgrassano la laccatura del maiale. Un gran piatto.
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..Insalata di fiori di loto.
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Piccione al curry con funghi shitake e …
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… insalata di chinese artichoke (dall’aspetto un po’ inquietante), uva sultanina e noci.
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Mango, cardamomo, frutto della passione, meringhe, gelato alla vaniglia. Acido e rinfrescante.
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Stecco con sorbetto di lamponi e cioccolato.
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Sala.
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Quadro esplicito in sala… ricordo del recente passato (il ristorante era una sala di esposizioni artistiche).
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Questa recensione aggiorna la precedente valutazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Un passaggio da Tim Raue è davvero rinfrancante per chi cerca di non soggiacere alle mode del momento o al frustrante tentativo di non essere mai superato dalle mode stesse. Da Tim Raue si mangia “fusion”, cioè si mangia una cucina asiatica rivista e “contaminata” con ingredienti europei, una cosa che sembrava indispensabile qualche anno fa ed è men che negletta oggi. Ma si mangia molto bene, come da William Ledeuil e da altri chef che, infischiandosene di essere in linea con le passioni più comuni ai contemporanei, alle cucine asiatiche s’ispirano con passione vera e competenza.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Non c’è solo Francia in Germania.
L’alta ristorazione tedesca sembrerebbe, per lo più, una diretta appendice di quella francese. Con un modello così vicino e storicamente importante d’altronde era ed è difficile non fare costante riferimento ad essa. Gli chef tedeschi ne hanno fatto un paradigma, e, in taluni casi, vedi Bareiss ad esempio, sono diventati più realisti del re diventandone a loro volta dei modelli di eccellenza pressocchè assoluta.
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