Il ristorante di uno dei più storici cuochi d’Italia ha sede in un luogo decisamente affascinante, affacciato sul lago di Corbara, ed ecco che la necessità, dopo una luculliana cena dal Gianfranco nazionale, di ricevere ospitalità in loco è fondamentale.
Da tanto tempo quest’accoglienza è qui operativa, ma non avevamo mai avuto occasione di approfittarne.
La Casa è merito anche del, parimenti vulcanico, figlio di Gianfranco: Luca Vissani è, oltre ad un grande ed accogliente padrone di casa, la mente, insieme all’illustre padre, di una serie di idee e formule molto accattivanti in grado di stimolare sicuramente la fantasia e l’estro dei gourmet.
Ed eccoci quindi qui, ad approfittare di un soggiorno per due con un pacchetto cena, pernottamento e colazione.
Tutte le suite sono arredate con opulenza e con ogni comfort possibile, tecnologico e non. Rimarcano lo stile barocco e strabordante del Maestro, con tocchi di raffinata e costosa magnificenza. Si dorme comodi in questi fantastici letti, con lenzuola di grande qualità, e con una serie di arredi all’altezza.
Ma sopratutto si può fare una colazione con ogni ben di dio, selezionato da Vissani durante le sue scorribande, televisive e non, lungo l’intero stivale. Una colazione davvero notevole (che, per fare il salto definitivo nell’eccellenza, meriterebbe dei croissant veramente artigianali, seppur quelli scelti già risultino di estrema qualità) con burro Echirè, uova sode di Paolo Parisi, salumi ottimi e formaggi strepitosi, pane fatto in casa… ogni dettaglio è curato nei particolari. E non potrebbe che essere così.
Avrete sicuramente un risveglio gioioso, dopo una cena altrettanto divertente.
Il corridoio delle suite.
La nostra suite.
La fantastica e pantagruelica colazione.
Gianfranco Vissani è innegabilmente uno dei cuochi che hanno segnato la storia della cucina italiana. Il lavoro di ricerca e avanguardia fatto qui, a Baschi, in questo luogo lontano un po’ da tutto e da tutti, è immenso.
Crediamo che il paragone calcistico tra Diego Armando Maradona e Gianfranco Vissani cada decisamente a pennello. Il cuoco di Baschi e la sua cucina, più che barocca -e lo è certamente- più che ricca e opulenta, è istintiva, prima di tutto istintiva. Il condensato della sua storia crediamo sia questo. Istinto allo stato puro. Raramente visti, nel nostro girovagare per il mondo, abbinamenti e accostamenti tanto arditi quanto genialmente azzeccati.
A chi verrebbe in mente di mettere assieme noci Pecan, Gamberi e Caviale?
O Papaya Menta e Mandorla?
O, ancora, Riso, Barolo Chinato e Astice?
Solo a Gianfranco Vissani. E volete sapere qual è la notizia? La notizia è che sono abbinamenti tanto assurdi quanto geniali, centrati, irriverenti ma gustativamente eccezionali.
Ma proprio come a suo tempo Dieguito, quando il cuoco di Baschi si allontana da ciò che sa veramente fare, e per esempio comanda dalla distanza, la situazione non funziona, o funziona solo in parte. Dieguito non è nato per fare altro che il giocatore, perchè non sa creare una scuola, non sa spiegare perchè è così bravo a muoversi con la palla, lo è e basta. Istinto, appunto.
Ecco quindi che le proporzioni all’interno del piatto alle volte fanno virare una preparazione fortemente interessante verso un tripudio di insuccessi palatali. E all’interno dello stesso piatto poi, l’eccesso di ingredienti, non governati direttamente e con un processo di continuo affinamento da parte di chi li ha abbinati, portano alle volte a risultati pessimi. Piatti che sulla carta parrebbero curiosi. Perchè tutti lo sono, curiosi. Lo sono a tal punto che possono essere fregnacce o grandissime genialità. Il confine è labile, sottile. Questi stessi ingredienti in mano a un cuoco comune portano ad un disastro annunciato.
Qui a Baschi no, dipende. Sarete portati a spasso su montagne russe gustative tanto spiazzanti quanto sonoramente distanti, da farvi passare le vertigini provate durante l’attraversamento del Golden Gate, o quando vi siete sporti dall’ultimo piano della tour Eiffel.
Qualche esempio? Astice, barolo chinato e Carnaroli. Un tripudio di emozioni. Astice e foie gras, neanche a dirlo, di qualità eccelsa. Accompagnati da un riso al vino, d’uso ad esempio in Piemonte, che trova la quadratura non con l’acidità della Barbera ma con il dolce-amaro del Barolo Chinato. E le spezie, officinali, a chiudere il cerchio, non solo amarostico, del fine astice. Tutto millimetricamente dosato, un eccesso di un ingrediente qui avrebbe portato probabilmente nel baratro.
Parimenti in Groviera e cipolla stracotta, mango e salvia al limone, l’acidità delle componenti citate non è minimamente percepibile, tant’è che questa preparazione risulta una preponderante crema al groviera, al palato. Senza che il contrastante effetto chaud-froid faccia il suo dovere sino in fondo. Fosse stato presente Vissani forse avrebbe notato meno concentrazione del solito nel ghiacciolo al mango, avrebbe aggiunto qualche punto in più di cipolla bruciata o qualsivoglia istintiva e coerente sistemazione per riportare la barra del piatto a posto.
O forse c’è anche un’altra lettura. Quella che l’equilibrio gustativo e la coerente analisi di ciò che si fa è volutamente un elemento non ricercato, e che quindi si alternano strafalcioni gustativi a geniali intuizioni e sottigliezze palatali. Ma a questa seconda ipotesi no, ci rifiutiamo di credere.
Resta poi un’ultima, ma non per importanza, considerazione trasversale. Che ci fa capire come questa cucina, che rimane comunque interessante, senta il peso degli anni senza però essere riuscita a diventare un Classico. E a tal proposito prendiamo in prestito il parallelismo con Pierre Gagnaire. La sua cucina è riuscita a diventare un grande classico, pur essendo tra le più innovative d’Oltralpe, facendo della pulizia gustativa e della concentrazione, nonché dell’abile uso dei contrasti e delle spezie, il suo grande cavallo di battaglia.
La cucina di Vissani invece sente il peso degli anni, pur avendo in sé ancora contenuti che potrebbero essere attuali. Se solo si attualizzassero le nuove tecniche, per esempio, o si lasciasse più spazio ai contrasti, sempre e comunque troppo lievi, o si ricercasse anche una maggiore concentrazione gustativa. Qui invece il grasso, meno dobbiamo ammettere, e il dolce -molto di più- la fanno da padrone, e questo non aiuta. Arrotonda da un lato ma smorza anche dall’altro, ed ecco allora svanire l’effetto di alcuni degli ingredienti.
Ad esempio nel Brodo ristretto di ricciola Hamachi, spigola, punti di erbe amare, soufflè glacè agli asparagi e arancia amara. Se quel soufflè fosse meno dolce non smorzerebbe totalmente il fenico amaro dell’asparago che bilancerebbe tutto il piatto. Che invece si appiattisce su toni decisamente troppo dolci. E non esce, rimane annegato in un brodo che sarà anche ottimo, ma scompare. L’amaro delle erbe e il piccante dell’arancia in mostarda sono troppo sussurrati. Il dolce è bene in evidenza invece. O come nel bisonte in cui l’unico appiglio sarebbe quella crema, giustamente amara, di cicoria. Se lavorata con l’estrattore, perché così è poco amara, decisamente poco amara, e quindi non riesce ad equilibrare i mirtilli in sciroppo e la crema di patate.
Proporzioni, sono tutto le proporzioni in cucina. E le concentrazioni.
Un ottovolante interessante? Gianfranco Vissani e la sua cucina non vi lasceranno indifferenti, statene certi.
L’elegante e barocca sala del ristorante.
Il benvenuto di grissini, tutti rigorosamente all’olio.
L’aperitivo… tartare di fassona, uovo di Parisi e caviale, acciughe e pan brioche, tartara di scampo e di tonno e gambero, parmigiana di zucchine e salame felino. Un tripudio di ingredienti di qualità.
Il primo benvenuto della cucina: raviolo di more, mandorle amare e salsa di pesto alla genovese. Poco definita la scala di sapori.
Il secondo benvenuto della cucina: brodo ristretto di ricciola Hamachi, spigola, punti di erbe amare, soufflè glacè agli asparagi e arancia amara. Qui la spunta il dolce, très doux.
Il terzo benvenuto della cucina: tartare di pollo di Bresse (!!!) alquanto ardita, polvere d’olio, meringa alla fragola, melanzane e salsa di silene e pomodori gialli. Anche qui la proporzione delle salse non riesce a contrastare la dolcezza di fondo, appiattente.
Groviera e cipolla stracotta, mango e salvia al limone. Una crema di Groviera, purtroppo nulla più.
Asparagi bianchi, gamberoni al rosmarino, caviale alle noci pecan. Piatto Geniale, formidabile! Forse finanche pleonastiche quelle briciole di polvere d’olio.
Cicoria e Mirtilli, bisonte rosè con patate all’olio. Se la cicoria fosse più concentrata aiuterebbe a virare verso note meno dolci.
Sogliola, pomodori gialli, mentuccia e zucchine al basilico.
Imperioso Carnaroli con Astice al barolo chinato, fegato grasso.
Carbonara con guanciale croccante e banane, mirepoix di pere e caffè. Un assoluto tripudio di eccessi. La pera e la banana comandano, non dando spazio benché minimo al caffè, al guanciale e all’uovo. Rimandato a settembre? Forse anche oltre.
Zuppa di passion fruit, capesante e rosso d’uovo. Troppe cose, troppo confuso. La zuppa poco concentrata peraltro non aiuta.
Agnello dei Pirenei, flè di papaya, menta, mela e mandorle amare. Il Flè un colpo d’ala letteralmente fenomenale!
Acqua di cipollina con crema di cocco, tamarillo, trasparente di te nero.
La piccola pasticceria, peccato ce ne sia una per tipologia per i due commensali.
Le fantastiche praline, ai gusti e abbinamenti più disparati.
Tartufo nocciola e pepe, gianduiotto al sale, cioccolato e olio e cioccolato al latte e albicocca.
Altra pralineria di cui ricordiamo cioccolato bianco e rosa.
A Civitella del Lago non si arriva per caso, non è di passaggio, bisogna andarci.
Si può andare per una passeggiata tra le affascinanti vie medievali o per contemplare il suggestivo panorama sulla valle del Tevere e sul lago di Corbara.
Ma si può andare anche per un’esperienza gourmet che sappia coniugare i sapori e gli ingredienti della tradizione umbra con la tecnica e la creatività di uno chef dall’impronta moderna.
Questo offre la tavola di Paolo Trippini e del suo ristorante. Un ristorante aperto dal nonno negli anni sessanta come semplice trattoria e che con Paolo, ai fornelli dal 2006, è arrivato alla terza generazione.
La sala è una sorta di balcone coperto che affaccia sul lago.
Se si ha la fortuna di sedere ad un tavolo accanto alla vetrata, la splendida vista può costituire un importante valore aggiunto all’esperienza gastronomica.
Il servizio è garbato, l’ambiente è piacevole, anche se forse un tocco di modernità in più non guasterebbe.
Il menù, nonostante si mangi quasi specchiandosi nel lago sottostante, è decisamente orientato alla cucina di terra (faraona, quaglia, agnello, piccione, maiale, ecc.) con la sola trota a fare da eccezione alla regola.
Come accennato in apertura, la cucina di Paolo è fortemente legata al territorio.
I suoi piatti, quasi sempre, sono piatti tradizionali rivisitati e reinterpretati alla luce delle esperienze maturate tra Italia e Germania e di quella, forse la più formativa, fatta da Gianfranco Vissani.
Un legame col territorio riscontrabile non solo nelle ricette. Molti degli aromi, dei profumi utilizzati in cucina arrivano direttamente dal “boschetto”, angolo di macchia mediterranea da cui già nonno Giuseppe e papà Adolfo ricavavano gli ingredienti per i loro piatti e che quindi occupa un posto particolare nel cuore dello chef.
La qualità delle materie prime denota una passione ed una dedizione da grande tavola, mentre qualche incertezza qua e là nella concezione o nell’esecuzione di alcuni passaggi sta ad indicare che c’è ancora spazio per crescere. Comunque, la buona padronanza delle varie tecniche di cottura, l’uso ragionato dei contrasti ed un oculato dosaggio di spezie e aromi, sono il segno che le carte in regola per fare un ulteriore, importante, passo in avanti ci sono tutte.
La carta dei vini è piuttosto fornita anche se non ben equilibrata per quanto riguarda le fasce di prezzo (è un po’ troppo livellata verso il basso) e le zone rappresentate. Mentre è più che comprensibile ed apprezzabile una buona presenza di vini umbri e della vicina Toscana, lo è meno l’esigua, quasi nulla, rappresentanza di altre importanti regioni italiane. Per il “resto del mondo” poi la scelta è limitata (a parte qualche champagne) a 6 francesi e 2 tedeschi per i bianchi e a 3 francesi ed uno spagnolo per i rossi.
Forse un po’ poco, anche in tempi di crisi, per un ristorante dalle giustificate ambizioni come il Trippini di oggi. In compenso i ricarichi, salvo qualche eccezione, sono più che onesti.
In una regione in cui le tavole gourmet non abbondano, il coraggio, le capacità, la costanza e, perché no, la simpatia di questo giovane chef umbro meritano senz’altro una visita.
Il palato ringrazierà, così come il portafogli, dato l’ottimo rapporto qualità/prezzo.
Sicuramente da provare e, nel caso lo si sia già fatto, da riprovare. In crescita.
L’ambiente.
L’amuse-bouche: spugna di pomodoro, salsa al tartufo. Uovo di quaglia su base di pecorino, pralina di fegato con nocciole e cacao su salsa di rape rosse.
Il pane…
…e i grissini.
Trota bianca, tuberi e radici: piatto semplice ma piacevole ed equilibrato. Forse le carote, che pure contribuiscono a dare croccantezza, potrebbero essere presentate meglio.
Quaglia imbottita alle erbe di campo con ricotta al limone: buona la cottura, sapore delicato, predomina leggermente la nota di limone della ricotta.
Tortelli di Grana Padano con guazzetto di strigoli e fave: un piatto che lascia il segno. Non sarà in perfetto equilibrio per l’ingombrante presenza del grana ma nel complesso è sicuramente accattivante al palato. Le gocce di mosto cotto aggiunte al guazzetto gli donano poi una piacevole nota distintiva.
Piccione in due cotture al tartufo e rissola d’interiora.
La prima cottura, scottato in padella poi arrosto: buona la cottura, ma non particolarmente saporito.
La seconda cottura, aletta e coscetta in salmì: gusto pieno, intenso ed equilibrato. Ottima la rissola.
Royale di anatra con petto scottato: nella royale a base di fegato grasso, fichi e noci, la complessità che ci si aspetterebbe dalla presentazione non si ritrova nel piatto, gusto quasi evanescente. Sicuramente meglio il petto.
Il pre-dessert: gelatina al frutto della passione, latte cotto al cioccolato biondo, granella di tozzetti e mirtilli.
Gelato alle olive con spugna di mandarino: il maître consiglia di assaggiare tutto insieme per attenuare il gusto forte delle olive ma non basta. Da rivedere il gelato per renderlo più delicato.
Flan caldo di cioccolato tainori, gelato alle spezie dolci: un’ottima conclusione.
Per accompagnare il caffè…
I vini proposti in abbinamento…
Recensione Ristorante
Continua il successo della famiglia Trippini che con il loro ristorante bomboniera affacciato sullo splendido Lago di Corbara sono ormai arrivati alla terza generazione.
E’ una bella storia di ristorazione di famiglia, la loro, che ebbe inizio negli anni ’50 con il nonno Giuseppe e la sua trattoria dal nome che era tutto un programma: “Da Peppe se pappa”. Quindi la seconda generazione con Adolfo che, in anni di sacrifici e dedizione assoluta, mostrando grandi capacità, trasforma poco alla volta la modesta trattoria paterna in un ristorante di buon livello, mantenendo però una dimensione nel complesso intima. Ancora oggi, infatti, da Trippini sembra di mangiare nel salotto di casa; una casa panoramica, con grandi vetrate dalle quali è possibile ammirare lo spettacolare panorama del Lago di Corbara e delle colline circostanti.
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