Gaudì, Leo Messi, Adrià, Mirò, Eusebi Güell, funivia del Montjuïc, mare, sole, tapas, Camp Nou, Sagrada Familia, paella, spiaggia, ramblas, divertimento, movida, colore, integrazione, ordine, caos, orgoglio: continuate voi con tutte le parole che vi vengono in mente, per etichettare questa meravigliosa città.
Tutto qui, tutto dentro Barcellona, così grande eppure così piccola, dove tutto sembra a portata di mano, una città vivibile come poche altre in Europa: la spiaggia e il mare a due passi da un centro storico vivo, il clima, le opportunità turistiche e non solo, rendono questa meta un unicum.
Così come la gastronomia: Barcellona è uno dei poli mondiali della cucina d’autore, le novità si succedono a ruota continua ed è davvero difficile scegliere gli indirizzi da provare.
Vi abbiamo parlato e vi parleremo di alcuni dei ristoranti più famosi, quegli indirizzi a cui dedicare più tempo e, a volte, anche più soldi.
In questo articolo e nel prossimo vorremo invece fare una carrellata veloce su alcuni locali meno impegnativi ma non meno soddisfacenti: pasticcerie, tapas bar, hamburgerie, tutte sotto il grande cappello della qualità e del divertimento assoluto.
Sì, divertimento: la caratteristica distintiva di tutti i locali di successo di Barcellona.
Perché il modo di mangiare o bere non può che essere lo specchio della società in cui ci si trova: è solo un altro modo di conoscere un luogo che si decide di vivere, un modo decisamente piacevole.
¡Buen Viaje!
La pastisseria Barcelona
Cominciamo questo tour da una grandissima pasticceria.
Josep Ma Rodriguez Gerola, campione del mondo pasticceria 2011 in team con Jordi Bordas e Julien Álvarez, a soli 29 anni stupisce con una serie di preparazioni incredibili.
Il locale ha anche dei tavoli per la degustazione, cosa per niente scontata in molte pasticcerie di successo. I dessert sono semplicemente meravigliosi, spesso costruiti con una base croccante e una morbida mousse sopra. Il Pur chocolate resterà a lungo nella nostra mente.
Mojito: mousse leggera di lime e menta con crema di lime e tenera torta di mandorle.
Pur chocolate: mousse fondente di cioccolato guanaja 70%, biscotto croccante al cioccolato, glassa nera lucida.
Escribà
Una istituzione della città catalana, fondata nel 1906 al 546 della Gran Via Corts Catalanes.
I tre figli di Antoni Escribà, il “mago del cioccolato” mancato nel 2004 all’età di 74 anni, continuano l’opera dell’illustre padre, sfornando dolci di altissimo profilo.
Anche in questa pasticceria sono presenti tavoli per la degustazione, anche se il locale non risulta particolarmente confortevole (incredibili le dimensioni lillipuziane della toilette).
A nostro avviso le preparazioni sono leggermente inferiori a quelle di Rodriguez Gerola, ma stiamo comunque parlando di assolute eccellenze.
Da Escribà si preferisce l’abbondanza e la complessità, sovrapponendo ingredienti diversi. Tecnicamente siamo ad altissimi livelli.
E’ presente anche una succursale sulla Rambla nella splendida Casa Figueras.
Il pane.
Maduixots (fragole): pâte sucrée, crema di mandorle, crema leggera e fragole fresche.
Angie: spugna di cioccolato, gelatina di lampone, croccante di nocciole, crema di vaniglia e topping al cioccolato nero.
Bar Pinotxo
Posto numero 466, Mercado de la Boquería.
Non si può venire a Barcellona e non passare di qui. Non parliamo solo dello splendido mercato, ma anche di questo food-truck che, nonostante gli elevati numeri e le frotte di turisti, mantiene una altissima qualità del cibo.
Il Mercato.
Juanito Bayen, sempre lì al suo posto da tempo immemore, e suo nipote Jordi Asín portano avanti la tradizione della grande cucina di mercato. Aspettate il vostro turno e prendete posto nei pochi sgabelli disponibili (meglio evitare gli orari di punta), quindi lasciatevi guidare dalla vostra fame o, meglio, dalla vostra curiosità.
Tutto eccellente, una sosta che vi divertirà e vi farà aprire gli occhi sul significato della parola “ristorazione”.
Calamaretti con fagioli.
Ceci: cipolla, uvetta, pinoli, butifarra negra e aceto balsamico.
Crocchette di formaggio e di prosciutto.
Gamberi.
Aragosta.
Funghi.
La coda stufata.
Tapas24
Uno dei locali di maggior successo di Carles Abellan, lo stesso proprietario del Suculent e di altre insegne della città catalana. Su quale sia il protagonista, il nome del locale è molto chiaro: tapas, a volte tradizionali, altre volte più creative, ma sempre rilette in chiave gourmet.
Tutte di buone qualità, non si urla al miracolo (se non per il mc-foie burger, preparazione da grande ristorante) ma si sta molto bene spendendo in ogni caso il giusto.
Bravas.
Pan y tomate.
Ceviche di corvina.
Crocchette di prosciutto.
Crocchetta di pollo.
Mc-foie Burger: burger con ganache al foie gras.
Bikini comerc 24: sandwich con prosciutto, tartufo nero e mozzarella di bufala.
Calamaretti fritti.
Continua…
Barcellona è indubbiamente una delle mecche golose d’Europa.
Si fa sempre fatica a scegliere i posti in cui mangiare: Grandi ristoranti, grandi chef, molto spesso ottimi prezzi e tantissima varietà, troppa.
E’ una di quelle città, come Londra o Parigi, in cui non ci si annoia mai.
E il bello è che, oltre alla densa concentrazione di tavole di classe, è proprio nel paniere di proposte più modeste, non per forza tradizionali ma sicuramente più economiche dei luoghi blasonati, che il viaggiatore goloso fa piacevoli scoperte.
Tra queste, annotate sul taccuino di viaggio il Ten’s.
Sulla carta, un ameno tapas bar. Non uno di quelli tradizionali, per intenderci: la vista di un’anonima sala da pranzo con lineamenti moderni in un anonimo hotel nel movimentato quartiere di Born, a due passi da Barceloneta, fa pensare a tutto fuorché ad un tapas bar.
Ten’s è il ristorante pop (l’appellativo di gastro bar, in tal caso, calza a pennello) di Jordi Cruz, star televisiva di Masterchef Spagna e talentuoso chef di successo, già due stelle all’ABaC, uno dei migliori ristoranti della città, che qui si cimenta in una cucina imperniata sulle tradizionali ricette spagnole e catalane, presentate in chiave giocosa, visivamente d’effetto, ma assolutamente tradizionali nei sapori.
C’è poca complessità gustativa ma ottimo bilanciamento di sapori, ineccepibili doti tecniche e l’utilizzo di prodotti di notevole qualità. Finalmente abbiamo trovato delle patatas bravas cotte alla perfezione, esternamente croccanti ma non ustionanti nel cuore, che non vengono sovrastate dalla salsa aioli, qui molto delicata. Anche la freschezza dei calamari all’andalusa, presentati in versione finger food, riesce a contrastare la salsa d’aglio, smorzata dalla citronella. Ma anche su preparazioni soltanto assemblate, come il crostino con le acciughe o il pan de tomate, il livello resta alto. Poi c’è una serie di piatti decisamente più creativi, alcuni presi in prestito dall’ABaC, altri con alcuni tocchi asiatici -in voga un po’ ovunque, oggigiorno- ed altri più estemporanei che seguono gli arrivi giornalieri dal mercato.
La scelta del beverage è molto limitata, con una carta un po’ più strutturata sarebbe stato davvero un locale al top. Ma in un posto del genere, che ricalca la filosofia del tapas bar, una cerveza ghiacciata resta comunque la scelta ideale.
Quello che conta, qui, è la cucina, frizzante, leggera, golosa e assolutamente a buon mercato; in più, è sempre aperto, a pranzo e cena.
Pane tostato con acciughe del Cantabrico, pomodoro e crema di aglio nero. Tradizionale a metà, con un filetto di acciuga di commovente bontà.
Pane al pomodoro.
Cono di calamari all’andalusa, da intingere nella crema di aglio e citronella.
Una notevolissima patatas bravas con salsa d’aglio schiumosa e soffritto piccante.
Anche in piatti più strutturati il livello è alto: polpo, peperoncino pimenton de la vera, patata con olio di oliva (viene utilizzata la qualità Arbequina, tipica catalana) e fumo di faggio.
Il piatto più creativo è tutt’altro che scontato: capasanta arrosto, ricci di mare, purè di radici piccanti e soia verde.
Chiudiamo con il più tradizionale uovo con funghi, topinambur, Parmigiano e tartufo.
Molto goloso.
Bella sorpresa anche con l’unico dessert provato: crema di risolatte e cocco con gelato allo yogurt e limone.
Interni.
Ingresso.
Divertente: in questa unica e semplice parola si potrebbe racchiudere il Tickets.
E non crediate sia poca cosa, che sia un aggettivo sminuente per il lavoro che viene fatto qui: un’attività ristorativa che sa divertire il cliente, ha in mano le chiavi del successo.
Ed infatti il pubblico qui non manca, mai.
Nonostante i turni multipli, nonostante le difficoltà di prenotazione (l’apertura delle stesse avviene solo due mesi prima della data, e alle 00.01 i posti vengono bruciati in poche ore, con il sito web in tilt quasi sistematicamente), nonostante tutto: locale sempre e inesorabilmente pieno.
E questo apre uno spunto di riflessione sulle capacità imprenditoriali dei fratelli Adrià, che non solo hanno saputo rivoluzionare la storia della gastronomia, ma contemporaneamente sono riusciti probabilmente anche a fare un pozzo di soldi, circondandosi di soci illuminati e realizzando idee quasi sempre vincenti.
Si possono fare tanti soldi con la qualità: date un’occhiata qui dentro, e provate a fare un rapido calcolo di quale possa essere l’incasso settimanale.
La genialità la si coglie anche nel modo in cui viene data forma alle idee: Tickets è indubbiamente l’evoluzione gourmet del Tapas Bar, una taperia con il vestito della festa, colorato, bello e luccicante, studiato in maniera millimetrica per piacere e fare parlare di sé.
Ma non è l’unico locale di questo tipo di Barcellona, in altri hanno cercato di rendere più modaiolo quello che a Barcellona è più uno “state of mind” che un modo di mangiare.
Ma l’unicità, la chiave del successo, è che Tickets, in questa sua evoluzione, non ha perso l’anima del Tapas Bar, non ne ha perso l’essenza. Che è fatta di amici, di convivialità, di libertà, di bevute anarchiche passando andata e ritorno da cocktail a vino, a birra, di comande sempre troppo corte o sempre troppo lunghe, di aggiunte, di cancellazioni, di “porta pure tanto non rimane sul tavolo”, di confusione di gusti e sapori, di innamoramenti gustativi e profonde delusioni. Il Tapas bar ci concede di tornare bambini per due ore, di mangiare con le mani, di prendere qualcosa dal piatto del vicino, di spezzare i conformismi.
In un tapas bar c’è tutto un mondo, al Tickets anche di più.
I riferimenti al mondo di Alice, al Circo, ai cartoni animati vanno tutti in questa direzione: una ambientazione al limite del kitsch, eppure stranamente piacevole e azzeccata anche quando volutamente eccede.
A tutto questo è dovuto numeretto lì in alto, all’inizio della recensione: forse c’è solo qualche preparazione che valga quel numero, o forse no.
Ma questo posto è unico.
E noi ci torneremmo ancora, e ancora, e ancora.
Che teste questi Adrià…
Il locale si sviluppa in diverse aree di lavorazione: crudi, salumi, piatti caldi.
La carta delle bevande si presenta così:
Un Mojito favoloso, giusto per scaldare i motori.
Le olive del Tickets: nel nostro caso, varietà Gordal, con cannella, anice stellato, pepe nero e buccia di limone.
Jamón Ibérico Joselito Gran Riserva.
Pane e pomodoro, semplice e immancabile. Per chiarire meglio il concetto, per capire come la qualità si basi sui dettagli: questo è il pane al pomodoro più buono che troverete girando per tapas bar.
Rubia gallega in un Air Baguette: grande classico che merita tutta la sua fama.
Tonno in cornetto di alga nori: assemblato al tavolo. Stupefacente la profondità gustativa.
Ventresca di tonno, grasso di prosciutto e caviale: come si può spiegare una cosa come questa se non definendola capolavoro? Noi giriamo locali per cose come questa. Da lacrime. E da bis, ovviamente.
Ostriche!
Viaggio a Parigi: con aceto di vino al dragoncello.
Viaggio a Barcellona: con brodo caldo di pesce. Molto interessante.
Pomodoro e pomodoro: acqua di pomodoro, cuore di pomodoro, crema di mais e huacatay.
Polpo croccante e piparra (un tipo di peperoncino) sottaceto: polpo impanato con panko, bietola fermentata.
Anche questo ha richiesto il bis, senza nessuna discussione tra i commensali.
Pollo marinato, aria di lime, pane imbevuto nel suo succo di cottura.
Gamberi al carbone.
Accompagnati da una salsa olandese e da brodo di pesce.
Salsicce e seppioline, mare e montagna: la tradizione attuale. Spettacolo.
Per i dessert ci si può spostare in un’altra sala, decisamente “singolare”.
Il soffitto…
Le preparazioni.
Alle pareti video famosi…
Al Tickets i cucchiaini crescono sugli alberi.
La singolare carta dei dessert.
I Dessert sono tecnicamente perfetti, ma gustativamente non hanno la complessità della parte salata.
La Rosa, sfera di litchi e fragola con gelatina di acqua di rosa.
Air-pancake, spuma di yogurt, wafer caramellizzato, sciroppo d’acero e composta di ribes nero.
Cono di carota, yogurt al cardamomo, sesamo, gelato di mango e carota.
Éclair al cioccolato, nocciole e royaltine.
Millefoglie verticale coon una base di cioccolato, crema di burro di nocciole e fragoline di bosco.
Il cheese cake di Tickets: crema di formaggio “coulommiers”, cioccolato bianco, nocciola e frolla.
Le tapas non sono solo cibo, ma una filosofia di vita.
Partiva da questo concetto l’idea di Albert Adrià per quel posto che oggi è il Tickets. Un progetto creativo che andava ben oltre la concezione del miglior tapas bar al mondo. Perché, ancor prima di aprire i battenti, il Tickets era stato concepito come il luogo ideale per tutti.
È iniziato tutto in modo assai curioso. Era il febbraio del 2010 quando Albert festeggiava con amici di famiglia il terzo compleanno del figlio in uno dei suoi ristoranti del cuore. Prima della torta ricevette un regalo inaspettato dal suo amico Juan Carlos Iglesias, attualmente suo partner in affari. Si trattava di un mazzo di chiavi di un immobile le cui mura ospitavano una concessionaria di auto.
Albert si soffermava spesso davanti quella bottega, affascinato dalla spaziosità di quegli interni. Un luogo ideale in cui, un giorno, avrebbe potuto trasferire il suo Inopia Classic Bar. Ma non era soltanto una questione di spazi. Quello era solo un pretesto.
Da quel momento, infatti, i concetti di tapas classici e dell’Inopia si persero tra le mille idee partorite in innumerevoli brain storming, fatti tra le cucine di elBulli e il Taller di Barcellona da quelli che erano le colonne portanti della fucina d’avanguardia di Roses: Albert e Ferran, Oriol Castro, Eduard Xatruch, Andrés Conde e Miguel Estrada.
Nasceva quindi l’idea del Tickets, alla base della quale c’erano due simboli del Bulli: l’oliva sferica e l’air baguette. A seguire, il lavoro sulle ostriche e un altro paio di centinaia di ricette tra tradizione e pura sperimentazione, perseguendo un (ennesimo) nuovo linguaggio gastronomico.
L’obiettivo era diventato sempre più preciso, anzi, non era mai mutato: si continuava a perseguire la ricerca dell’intrattenimento guardando al futuro.
Il Tickets è la dimostrazione di come i parametri culinari degli Adrià siano in continua evoluzione.
Tra queste mura è racchiuso un mondo su di giri, una sorta di automobile con cui, allacciate le cinture, il passeggero fa un viaggio a due velocità. La guida è sicura ma non mancano i grandi virtuosismi. Il pilota conosce come pochi le tecniche di avanguardia e di molte ne è anche l’inventore.
Dai primi snacks, fino ai dessert, si ha sempre l’impressione di oltrepassare il muro del suono, ma pian piano ci si stabilizza, con sorpresa, in una più rassicurante andatura di crociera.
Si fanno i conti con tanta modernità, ma dietro l’angolo, ad attendere il palato, ci sarà spesso il baluardo della tradizione, con la rivisitazione delle tapas che incontra i ricordi di luoghi lontani. Sapori decisi, dall’impronta catalana marchiata a fuoco, si avvicendano alla strabiliante capacità di far viaggiare il commensale con la mente oltre i confini della Spagna. Sensazione che qualcuno aveva già provato a Roses, poi al 41° e che può ritrovare, in un contesto più limitato ma forse più meditato, anche all’eccellente Pakta.
Fa tutto parte di quella marcia in più che contraddistingue da sempre i fratelli Adrià, capaci di racchiudere una miriade di sapori in pochi assaggi.
Il Tickets, il primo dei ristoranti de “elBarri” (ovvero il “quartiere” degli Adrià, come è stato definito), è come un parco di divertimenti in cui l’avventore ha la possibilità di scegliere la giostra che vuole, quando vuole. Senza vedersi imposte sequenze di sorta o particolari restrizioni. Su qualsiasi cosa ricadrà la scelta, si avrà la certezza di mangiare qualcosa di immediata piacevolezza che appagherà repentinamente il palato.
Difficile assoggettare a critiche un luogo così, perché da due assaggi a trenta che siano, ci si trova sempre al cospetto di qualcosa che stupisce.
Ci si sforza anche nel trovare i difetti (!?): forse il fatto che manchi l’identità di un percorso degustazione? No, quello ve lo fanno se lo chiedete. Anzi ve ne fanno di diversi tipi visto la vastità della carta.
E allora è forse il livello di raffinatezza dei piatti che muta alla velocità della luce, passando da armoniose complessità gustative a più semplici bocconi di rassicurante goduriosità, che, molte volte, tendono a lasciarsi alle spalle la componente raffinata e più cerebrale? Si, forse è proprio questo il rischio: di avere troppe idee e di sfornarle tutte nello stesso momento. Si, probabilmente è forse questo l’unico limite del Tickets.
E se invece fosse la sua imprescindibile chiave del successo?
Chi ha cenato a elBulli avrà sicuramente un ricordo straordinario del servizio, replicato perfettamente, con le dovute proporzioni, anche al 41°.
Al Tickets invece non ci sono particolari formalismi e la macchina della sala è particolarmente amichevole, coerentemente con l’ambiente ed il concetto di locale.
Ciò detto, resta comunque un servizio di rara puntualità e cortesia, come quasi tutti i ristoranti visitati a queste latitudini, in cui è facile constatare un livello medio sempre altissimo.
Gli snacks.
L’albero del Tickets.
Goliardica presentazione con tanto di forbicette per tagliare il picciolo ricostruito.
Geniali meringhe al mirtillo (c’è probabilmente del rafano nell’impasto che dona una lieve nota piccante)…
…da inzuppare in una intrigante crema al rafano.
Le abbiamo provate e riprovate. Un po’ ovunque…
…ma vi assicuriamo che qui sono uniche.
Le (super) olive elBulli. E’ facile che ve ne rifilino di diversi tipi in diversi ristoranti e in altrettanti continenti, ma nessuno ha la concentrazione di queste. Un gusto lunghissimo, forse anche migliore di un’oliva di qualità assoluta. Quando la tecnica potenzia la qualità di un ingrediente.
Questa è la varietà Verdial…
…ma abbiamo assaggiato e percepito le differenze con la varietà Gordial, più forti e aromatizzate all’anice stellato e cannella.
Crostino di acciughe con semi di pomodoro e cristalli di olio.
Dalla sezione “Pura Razza”, è il momento di Joselito. Pata negra Gran Reserva.
Accompagnato da pane al pomodoro.
Sezione “Finger Food”.
Tonno in tartare con mille-feuille di alga nori croccante. Boccone strepitoso.
Incredibili gamberi rossi crudi con panatura al “mojo” verde (tipica salsa delle Canarie, a base di coriandolo e prezzemolo). Spettacolo.
Le ostriche: sulla sinistra con kimchi di yuzu e sulla destra, con salsa ponzu e uova di salmone.
“Rubia gallega” arrotolata nella leggendaria air baguette.
“Jowl & Panceta”
Una succulenta brioche al burro con testina di maiale, mozzarella, mostarda, paprika e “ras el hanout”.
Ed ecco i piatti principali del Tickets: le tapas, all’insegna della tradizione.
Insalata di pomodori Raff, straciatella di bufala e aria di basilico. Sotto la schiuma degnamente concentrata si nasconde una caprese, ma non solo. Prima i pistacchi, poi delle fragoline di bosco generano una divertente alternanza di sapori e tonalità di raro equilibrio. Geniale semplicità.
Strepitosi cannolicchi con salsa al cocco, funghi e arachidi. Siamo in Thailandia o a Barcellona?
Carciofi, crema di sedano rapa e vinaigrette al tartufo. Notevole piatto di matrice francese.
Piselli di Maresme (una delle Comarche della Catalogna) con jus di finocchio e pancetta croccante. Piatto da trattoria o preparazione di alta scuola con tecnica sopraffina?
Un altro piatto cult: spalla di maiale con patate confit e salsa di ossa di costine di maiale. Piatto di estrema golosità il cui abuso rischia di saturare le papille gustative. Ne bastano un paio di bocconi.
Il pollo in due sequenze. O meglio, il piatto del viaggio.
Una favolosa variazione del volatile che fonde al meglio lo spirito di questa cucina: tradizione e innovazione.
La schiuma di lime da’ profondità al saporito boccone e il cubo di pane imbevuto nella salsa del volatile creano dipendenza.
Ma il colpo di grazia arriva con il brodo di pollo. Un consommé degno del miglior tristellato francese. Talmente chiarificato da sembrare acqua. È il caso di dire, uno di quei piatti indimenticabili.
Variazione di Payoyo, tradizione e evoluzione.
I dolci. Dai quali, francamente, ci aspettavamo un coinvolgimento emotivo maggiore. Comunque iper tecnici e anch’essi golosi, ma da un grandissimo pasticcere come Albert Adrià ci aspettavamo molto di più.
Mini cheesecake, meringhe al limone e crema di formaggio con composta ai frutti rossi.
Pancake con yogurt, sciroppo d’acero e composta di more. Questa volta il tasso di stucchevolezza va oltre il nostro gradimento.
Altro dessert, spuma di panna e cioccolato.
Tickets’ “crazy coconut”, gelatin alla menta, crema al frutto della passione e stracciatella di cocco. Da mangiare con le mani.
Uno dei tavolini.
Gli interni.
Alcuni banconi.
Merchandising.
Insegna.
Buona ristorazione, a basso costo. È l’ultima carta a disposizione dei ristoratori per ridurre, oggigiorno, il rischio imprenditoriale. Regola, questa, alla quale sembrano sottostare anche i grandi chef che, sempre più spesso, si ritrovano a fare i conti con pizzerie, wine bar o trattorie griffate, con un unico grande intento: far quadrare i conti delle loro aziende.
Discorso che calza ancor più a pennello se si parla di un paese come la Spagna, in cui l’impennata economica (sfruttata comunque nel miglior modo possibile) e il benessere di un decennio fa sono ormai soltanto un ricordo.
Il grandissimo Quique Dacosta ha quindi studiato delle formule -sulla carta vincenti- sfruttando le sue capacità di brillante ristoratore, su una piazza in cui la domanda è decisamente più alta rispetto alla tutt’altro che frenetica vita di provincia.
Sul solco tracciato dai soliti fratelli Adria’ – che a nostro avviso restano ancora la pietra filosofale del tapas bar “creativo” – ecco partorire l’idea di Vuelve Carolina, un divertente ristorante/taperia nel cuore di Valencia. Ubicato nello stesso stabile di El Poblet, succursale cittadina del più famoso ristorante di Denia che, insieme al nuovo Mercat Bar, completa il piccolo impero gastronomico della Daco & Co.
Vuelve Carolina è un locale dall’atmosfera stranamente più nordica che latina.
Lunghissimo bancone di legno all’ingresso e una saletta più raccolta, con un allestimento di piante grasse sulle pareti di legno chiaro.
Offre una carta molto ampia, suddivisa in categorie di portate che spaziano dalle tapas ai crudi, fino ai piatti principali di carne e di pesce.
Vengono proposti piatti tradizionali che recano la firma dello chef valenciano. Una sorta di reinterpretazione non troppo sofisticata di piatti amati dal cliente locale.
Lo stile avanguardista dei piatti contempla alcuni classici di Dacosta, come il cuba libre di foie gras o alcuni dei suoi famosi “risi” che si alternano a più banali affettati o immancabili (è la moda del momento) hamburger.
Inoltre ci sono due convenienti menu degustazione (da prendere per un minimo di due persone, a 24,20 euro e 27,50 euro) tra i quali è possibile assaggiare una selezione di tapas creative oppure i piatti storici di Dacosta.
Ci si può divertire se si sceglie oculatamente: alcune portate, infatti, hanno una riuscita decisamente migliore rispetto ad altre, anche a livello di materia prima, stranamente variabile a seconda dei casi (su tale aspetto potrebbe giocare un ruolo chiave il flusso di commensali in una giornata). L’ostrica, le capesante, il maiale e i cannolicchi ne sono l’esempio positivo. Più deludenti invece i gamberi fritti ed il polpo.
Si intravede tutto il know how di un grande maestro dei fornelli, dai bocconi più semplici, connotati da esercizi tecnici di elevato standard (patata soffiata con tuorlo d’uovo) ad assaggi più complessi (si pensi allo storico cuba libre di foie gras).
Sebbene ci siano stati (più) alti e (meno) bassi, questa resta una esperienza da prendere in considerazione, una valida alternativa a tavole più blasonate, specie se si vuole fare un pasto più veloce e meno impegnativo, ma comunque all’insegna della qualità e del divertimento.
Le buone olive.
Il pane (che viene prezzato a 2,50€), con grissini ai semi di girasole e un godurioso formaggio aromatizzato al peperoncino verde.
L’ostrica, omaggio al Perù. L’ostrica viene servita con un fresco e speziato succo al lime che contribuisce ad allungare il gusto della prima.
Tra i piatti migliori: carpaccio di capasanta marinata con condimenti marini naturali (ricci, alghe, ed altro).
Gamberi fritti e (ottima) maionese di pomodoro secco. Peccato per i crostacei dai quali ci aspettavamo un gusto più intenso, probabilmente coperto dalla frittura.
Tradizionalissimi cannolicchi con ratatouille di verdure. Semplici ma buoni.
Polpo alla brace con patate, olive e pomodori appassiti. Uno dei classici di Dacosta, per noi abbastanza deludente.
Patata soffiata con tuorlo d’uovo: un piacevolissimo esercizio tecnico.
Il cuba libre di foie gras, che consigliamo di dividere in due o tre persone. E’ una panna cotta di fegato grasso ricoperta da una intensa gelatina di cuba libre, rucola e arancia. Piatto impegnativo a livello lipidico ma collaudatissimo.
Uovo con funghi e mousse di patata affumicata.
Carpaccio di maiale iberico. Gustosissima la carne ma anche la salsa (una sorta di fondo bruno particolarmente acidulato).
Torta di mele alla maniera di Carolina. Una destrutturazione abbastanza scontata e, a nostro avviso, con qualche errore tecnico e di concepimento (fette di mela troppo spesse e poco caramellate).
Di ottimo livello lo yogurt con gelato alla viola, concentratissimo.
Curiosi dettagli.
Insegna.