Un celebre adagio nietzschiano faceva del caos interiore il responsabile di una creatività luminosa, efficacemente descritta dal filosofo apolide con l’immagine di una stella danzante. Ebbene, non è improbabile che, in una parabola creativa di lungo corso come quella di Moreno Cedroni, a iniettare un’ulteriore, caotica spinta creativa abbia contribuito il suo braccio destro, Luca Abbadir, fautore del The Tunnel, il laboratorio di ricerca e sviluppo della Madonnina del Pescatore, nell’anno del Signore 2019.
Ma con un corollario assai diverso da quello di Nietzsche perché, qui, la creatività si manifesta piuttosto e più volentieri nella solidità e nella stabilità. Lo dimostra un menù che, benché poco cambiato negli ultimi due anni, si fa oggi più profondo e più cerebrale perché sottoposto a sottili, costanti rimaneggiamenti e drappeggi che, solo adesso, e più propriamente, lo ridefiniscono, mettendolo decisamente più a fuoco.
Un lavoro di cesello che, in particolare, ha coinvolto tutto tranne il reparto pasticceria, l’unico dove, invero, imperversa ancora lo stesso approccio ludico e, per certi aspetti, anche naïf, del primo Cedroni, vivo ancora oggi di una vis giocosa e intelligente ma, appunto, più a fuoco e più profonda, più coraggiosa, anche, e sempre molto prodiga di dettagli personali e autobiografici.
Come accade con la maturazione del pesce, che rappresenta il prosieguo di un lavoro avviato nel lontano 2000 benché mai divulgato prima né portato, finora, mai a tavola. Dopo poco più di vent’anni col menù 2021 il mondo appare dunque pronto per questa rivoluzione, che contempla l’idea di accogliere la materia ittica nella sua interezza fino quasi a portarla al suo limite massimo: la frollatura, di cui la Riviera Adriatica sta diventando il fuoco in termini di sperimentazione.
Una materia che impone, da sola, un trattamento speciale: al tavolo. Sempre espresso e sempre preceduto da un momento di taglio e preparazione che mette in risalto la perizia e le frequenze cromatiche delle varie stagionature servite in ordine crescente, l’effetto “clinico” è presto sdrammatizzato dalla presenza stessa dello Chef che, in versione maître au gueridon o, se preferite, Itamae di Senigallia, presso ogni tavolo si occupa personalmente dei tagli, fatti al momento, e di nappature che sono veli leggerissimi, studiati all’uopo.
Oltre a questo, tra i piatti più efficaci segnaliamo senz’altro la royale di riccio insolitamente fusion nel legame che instaura tra l’usanza sicula di consumare i ricci crudi col pane, la scuola classica francese presente grazie a panna e uova e i rimandi, più vernacolari, alla grigliata sul mare, presentificata da pan grattato e prezzemolo.
Oltre a ciò ritroviamo anche un piatto nato già grande: le penne, burro e ricci di mare che varrebbero, da sole, il prezzo totale del biglietto. Solo un piatto di pasta? Manco a dirlo perché qui ci sono manifeste manifesti in uno: quello, individuale, dello Chef e quello, collettivo, dell’italianità tutta. Innanzitutto perché al posto della posata classica è sagacemente imposta all’ospite una pinza che costringe a gustare le penne una ad una come a dire, con eco nazional-popolare, che chi va piano va sano e va lontano. Poi, per il deliquio con cui il burro ai ricci di mare e la polvere di capesanta sposano le rispettive sapidità alle note amare ed empireumatiche di ortica e seppie sui carboni, il tutto in una consistenza da manuale, impreziosita dalla stellina di ricci di mare liofilizzati da sbriciolare, tra le dita, a proprio piacere.
È quasi impossibile credere che Moreno Cedroni e Mariella Organi abbiano festeggiato il compleanno della Madonnina del Pescatore soffiando, assieme sin dall’inizio di questa straordinaria avventura, ben 36 candeline. Impossibile perché vedendo l’energia, la vitalità, la freschezza con cui entrambi conducono questo splendido luogo non si può credere che la loro storia sia cosi lunga. Ebbene, sì, il trucco nella vita è proprio questo e loro ce lo insegnano, mettendo sempre una straordinaria passione in ciò che fanno tutti i giorni coadiuvati da un sous chef, Luca Abbadir, che ha sposato in pieno la filosofia della casa e si è integrato splendidamente.
Però, c’è un però. Spesso parliamo della incredibile cucina di Moreno e Luca, Luca e Moreno, che anche quest’anno ha superato se stessa. Ma ci dimentichiamo di raccontare quanto la sala di questo magico luogo, condotta amabilmente dalla sua padrona di casa, sia in un crescendo continuo. Attenzioni discrete, passo svelto ma mai evidente, una macchina perfetta che gira come un orologio svizzero. E che soprattutto vi inonderà di calore e attenzioni, sempre discrete. Ci si sente a casa alla Madonnina, una casa elegante, sobria, d’altri tempi. Un caldo tepore che allieta l’anima.
Ma anche la cucina, dicevamo, non si è affatto fermata anzi ha continuato la sua progressione e il suo miglioramento continuo sebbene con la storia e il blasone che questo ristorante ha alle spalle, forse, non ce ne sarebbe nemmeno stato bisogno. Eppure è così, crescita continua, mai fermi sulle posizioni. Tant’è che quest’anno a fianco di qualche nuova entrata, derivata direttamente dallo studio portato avanti nel tunnel – il laboratorio di ricerca della Madonnina – sono comparsi molti piatti storici abilmente rivisitati e attualizzati.
Parliamo, ad esempio, del quattro cucchiai, antipasti crudi e cotti, del San Pietro alla mugnaia o del fantastico spaghetto psichedelico. Piatti simbolo puntualmente e ampiamente ritoccati e rivitalizzati sebbene, sinceramente, a questi livelli non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno. È proprio qui che risiede la grandezza di questo chef e di questo luogo: fermarsi mai, accontentarsi mai. Sempre in movimento, continuo e costante.
La crema cotta ai ricci, il cannolicchio, l’ape regina, costituiscono oggi il coronamento di una ricerca e di una direzione di cucina davvero originale e molto, molto interessante, nonché piatti di una intensità inaudita, che assieme alle penne al burro ai ricci – liofilizzati – ci hanno letteralmente fatto sobbalzare sulla seggiola.
Quindi un ennesimo “bravo!” a tutta la squadra della Madonnina del Pescatore: un luogo che abbiamo nel cuore e nell’anima.
Dal 1984 quando, ventenne o poco più, aprì il suo locale a Senigallia, Moreno Cedroni ha contribuito, con il proprio approccio all’alta cucina, ad accorciare le distanze da una clientela via via sempre più varia e affezionata, attratta dal suo stile mai serioso, persino ludico in certi aspetti.
Il suo stesso physique du rôle, bandana multicolore compresa, era assolutamente propedeutico a questo scopo e l’utilizzo del pesce crudo, destinatario di una geniale caratterizzazione tramite il termine italianizzato “susci”, ne ha rappresentato un originale biglietto da visita, destinato successivamente ad alimentare sagge operazioni di marketing.
E noi, che seguiamo con interesse e attenzione la grande cucina, non possiamo astenerci dall’apprezzare questo pioneristico e pluriennale processo di avvicinamento della liturgia della grande tavola a un pubblico eterogeneo.
Ora il ristorante, visto e considerato il pienone in un infrasettimanale qualunque, naviga a velocità di crociera, godendo appieno dei frutti di questa lunga evoluzione, testimoniando ancora una volta che la grandezza viene raggiunta non solo quando ci si avvale dell’opera di un grande solista ai fornelli ma anche, e forse soprattutto, quando si riesce a coniugare qualità dell’offerta e quantità degli avventori.
Sotto questo aspetto La Madonnina da tempo, ormai, fa parte della cerchia dei grandi locali italiani. Questo orientamento decisamente easy ha trasformato lo chef in un vero e proprio marchio, che ha contribuito ad affermare e consolidare il lavoro svolto anche attraverso la diversificazione delle offerte, siano esse la salumeria di pesce, il susci bar di Portonovo e altro.
Qui alla casa madre di Senigallia il mare è saldamente protagonista dei piatti, in una perfetta comunione con la vista che, dalle vetrate della bella e luminosa sala, piacevolmente si perde fino alla battigia e all’orizzonte.
Le pietanze, arricchendosi ogni anno di new entry e contrassegnate rigorosamente dal millesimo di ideazione, mantengono quel che promettono: una cucina vivacemente golosa, solida e impeccabilmente eseguita che ha però lasciato intravedere, in qualche passaggio, una marcata indulgenza verso certe rotondità che avrebbero senz’altro beneficiato di più incisive rifiniture.
E’ il caso dell’ostrica con foie, in cui l’aceto di lamponi e la confettura di ciliegia fanno virare troppo sul dolce quello che poteva essere uno spunto interessante, o ancora il tonno, ove la salsa tonnata e l’uovo in camicia creano un corto circuito lipidico che le rape rosse e la giardiniera non riescono ad arginare.
Il blasone viene prontamente ristabilito con piatti come la ricciola, esaltata a dovere da una squisita salsa di porro e lemongrass o altri dall’ottima fattura, come il petto di piccione servito con le lumache locali e la pluma di maiale -cotta alla perfezione- e accompagnata da diversi e convincenti contrappunti.
Ugualmente altalenante il risultato per quanto riguarda i dessert: ottimo appare infatti il gelato al rum su confettura di ananas e lime, mentre decisamente rivedibile è la millefoglie con pan di spagna alle alghe, crema all’aglio nero e granita di sakè, infelice sia per la discordanza tra le temperature che per la mancata armonia dei sapori.
Il percorso è stato più alterno questa volta rispetto al passato, ma la sensazione di piacevolezza generale è stata tale da immaginare gli impasse in cui siamo incorsi come effetti di una fisiologica e temporanea fase di assestamento di un ristorante che certamente avrà ancora molto da dire nel panorama gastronomico nazionale.
Mise en place.
Gelato al Parmigiano.
Pani fatti con lievito madre, molto buoni.
Margarita: tequila, lime, sale e peperoncino.
Crudo di ricciola con salsa di porro e lemongrass, gommoso di basilico e amaranto fritto, viola del pensiero.
Ostrica su caramello di aceto di lamponi, confettura di ciliegia, foie arrostito, granita di ostriche e ciliegie, perle di tè Lapsang Souchong.
Zuppa di vongole e mandorle, broccoli, frutti di mare.
Tonno su salsa tonnata, salsa di rape rosse, giardiniera di verdure, uovo in camicia.
“Cassoeula” di pesce: zuppa di fagioli, spigola, trippa di coda di rospo, salsiccia di calamaro e verza.
Tortellini ripieni di parmigiano liquido con battuto di marchigiana al coltello su riduzione di aceto balsamico e salsa di pomodoro, gelatina di basilico.
Petto di piccione con raguse, misticanza e sedano rapa.
Pluma di maiale iberico, salsa di finocchio e arancia candita, crescione, finocchio, aglio nero e cioccolato.
Gelato di topinambour col suo croccante.
Tiramisù scomposto, versione non memorabile di un classico nazionale: cremoso di uova e mascarpone, pane del giorno prima bagnato nel caffè, gelato al caffè, gelatina di caffè.
Gelato al rum zacapa, su confettura di ananas e lime, gelatine di rum, streusel al cocco, granita alla batida de cocco.
Millefoglie con pan di spagna alle alghe, alga caramellizzata, base all’arancia, crema inglese all’aglio nero, granita di sakè.
I vulcani nel mondo: wasabi e yuzu, fagiolo nero e peperoncino, basilico e pomodoro liofilizzato, banana, tapioca e curry, olio extravergine, mastice( resina degli alberi e ambra) e olive nere.
Dalla cote des Blancs…
Ingresso.
La spiaggia.