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Il miglior piatto di pasta del 2023

Che si tratti di pastasciutta, di pasta fresca o essiccata, di una sfoglia all’uovo o semplicemente approntata mescolando acqua e farina, diviene chiaro che la pasta abbia mille volti e si presti ad altrettante declinazioni. Un mondo talmente vasto e vario che da tempo abbiamo scelto di occuparcene approfonditamente in questo sito a lei esclusivamente dedicato, dove raccontiamo i formati di pasta esistenti e diamo spazio a tutti quelli che con la pasta ci hanno a che fare ogni giorno: produttori e grandi cuochi. Abbiamo così voluto riassumere l’anno attraverso il miglior piatto di pasta del 2023.

Tra quelli elencati dai nostri autori troverete ricette di tradizione secolare, così come piatti dall’animo estroso e contemporaneo; la solidità e il conforto della cucina che ci riporta a casa e quella che ci proietta in un viaggio alla scoperta di gusti e abbinamenti insoliti. Quale che sia la vostra versione preferita, il bello è proprio questo: la pasta è buona in tutte le salse e può incontrare il gusto di tutti.

Leonardo Casaleno

Cappellaccio di lepre à la Royale: pasta fresca al cioccolato, fegato grasso e tartufo nero – Eugenio Boer – [bu:r]

Pensate ad Escoffier che si ispira a Carême. Poi immaginate di poter conferire un accento italico a un classico intoccabile della cucina transalpina… et voilà: un piccolo medaglione di lepre della misura di pochi centimetri quadrati diventa un delizioso ripieno di un cappellaccio al cioccolato  adornato con tartufo e adagiato su una salsa tirata, come si deve, con cioccolato e sangue dell’animale. È la Lièvre à la Royale secondo Eugenio Boer. Un piatto monocromatico, visivamente affascinante, dannatamente goloso, che cattura l’essenza di entrambe le ricche tradizioni gastronomiche, pur restando, sempre, un piatto di pasta.

Orazio Vagnozzi

Tagliatelle burro e parmigiano – Diego Rossi – Trippa

Chi non ha nella memoria il gusto dolce e casalingo della pasta in bianco? E, se come fa Diego Rossi, arricchisci le tagliatelle di umami, cuocendole nel brodo di pollo e al burro aggiungi del buon Parmigiano, il ricordo diventa sublime!

Leila Salimbeni

Spaghetto Felicetti al caviale ferrarese e panna acida – Cristina Maresi – Le Occare

Minimale, quasi monastico lo Spaghetto Felicetti al caviale ferrarese e panna acida (ma può trattarsi di burro chiarificato o altre emulsioni, a gusto e capriccio di Cristina Maresi, cuoca e ospite tanto sensibile quanto raffinata) de Le Occare, luogo che con la sua potente individualità ha (di)segnato l’indole di tutto il mio 2023. Perché alcuni luoghi restano attaccati addosso e finiscono per abitarti molto più di quanto tu sia in grado di abitare loro. 

Gianni Revello

Spaghetto con olio all’alloro – Matteo Baronetto – Del Cambio

Lo spaghetto è mantecato al momento, c’è una forte componente olfattiva, un elemento decisivo, la spiegazione è già nel profumo (mi viene in mente il sacchetto a maglie non strette pieno di semi di cardamomo caldi messo in tavola a El Bulli nel momento di pausa nel passaggio dal gruppo di piatti “tapas” al gruppo di piatti “caccia”). Infine qui viene posato un disco compresso di parmigiano reggiano. L’elemento balsamico amaro di norma spiazzante in un piatto di pasta, qui diventa sorprendente col molto ben calibrato veicolo oleoso nel ravvivare il carboidrato e nella funzione di stacco, messo circa al centro della quindicina di piatti salati. La gola (pasta, olio, grana) e la testa (alloro, netto) che detta il mood.

Claudio Persichella

Tortelli di pero misso, burro e Parmigiano – Diego Rossi – Trippa

In uno dei templi nazionali della cucina materica e golosa, altissima espressione dell’italico artigianato ecco una paradigmatica sintesi di abilità manuale, assemblaggio perfetto di sapori e sapientissima selezione di materie prime di assoluto livello.

Giovanni Gagliardi

Spaghetto al riccio di mare – Marco Sacco – Piccolo Lago

Quest’anno mi piace premiare il mare che non ti aspetti. Quello assaggiato su un lago. Per l’intensità delle note iodate contrastate meravigliosamente dalla nota di liquirizia regalata dall’aglio nero utilizzato in mantecatura. Un bravo a Marco Sacco ed alla sua squadra.

Antonio Sgobba

Raviolo amaro, tuma persa, miele d’ape nera e bottarga – Riccardo Fazio – Blum Restaurant

Il piatto di pasta dell’anno è questa pasta ripiena mangiata in riva al mare nella baia di Mazzarò, dove Riccardo Fazio non ha avuto paura di proporre un piatto dalle note amare nettamente percepibili solo elegantemente smussate dal latticino e dalle nuances salmastre. Una creazione originale e dalla lunga persistenza palatale.

Davide Bertellini

Tortellino gratinato al forno a legna con crema di Parmigiano Reggiano 36 mesi – Jessica Rosval – Al Gatto Verde

La magia del fuoco nel nuovo ristorante a Casa Maria Luigia eleva all’ennesima potenza questo iconico piatto di Massimo Bottura

Claudio Marin

Tagliatelle ai funghi – Antonia Klugmann – L’Argine a Vencò

Il coronamento di un tenace lavoro sulla pasta fresca, l’ossessione per gli spessori e le glassature che culmina in una sorprendente compenetrazione tra sfoglia e condimento. Una meravigliosa nota di fumo, che rimanda al bosco. Un piatto che vive dell’equilibrio di un istante. La capacità di innovare ciò che sembra cronicizzato.  

Alfonso Isinelli

Anelletti, estratto di pesci di scoglio, tenerumi e crema di fagioli Cosaruciaru – Gabriele Camiolo – Capofaro Locanda & Malvasia

Affacciati da Salina sullo splendido panorama delle Eolie, si gode a Capofaro della cucina di Gabriele Camiolo, che infonde nei suoi piatti leggibili ma di magistrale tecnica, tutti i profumi e i sapori isolani. In questa magnifica minestra si fondono mare e vegetale, sucpportati dal perfetto e classico formato siciliano, gli anelletti. Una vera goduria.

Fiorello Bianchi

Pasta al non pomodoro – Riccardo Scalvinoni – Il Colmetto

Spaghetto con ciliegie cotte e estratto foglie di fico, delizioso e originale per l’acidità e dolcezza del pomodoro portata invece dalle ciliegie, delizioso.

Gherardo Averoldi

Spaghetto cotto in acqua di pomodoro con ricci di mare e grue di cacao – Stefano Baiocco – Villa Feltrinelli

Piatto spigoloso, complesso e stratificato in cui si sommano molteplici elementi tra loro apparentemente dissonanti ma che rivelano un ineffabile equilibrio ed una infinita profondità.

Giacomo Bullo

Gigli al Ciliegiolo, seppia e olivello spinoso – Bruno Cossio – La Trattoria di Enrico Bartolini

A ricordare le radici toscane, il famoso giglio. A suggellare uno dei piatti meglio riusciti del 2023 a tema pasta, Bruno Cossio de La Trattoria di Enrico Bartolini a L’Andana dallo spirito maremmano. I gigli sono qui cotti in una vigorosa riduzione di ciliegiolo, finanche ad una nota di caramello. La forma perfetta sposa e raccoglie la dolce salsa di cipolla incontrando la fresca acidità irriverente dell’olivello spinoso. Chiude la seppia in fondente tessitura. Piatto complesso nella costruzione tecnica ma dannatamente goloso.

Gianluca Montinaro

Pasta Arsa – Jessica Rosval – Al Gatto Verde

Nelle barchesse che circondano i curati giardini di Casa Maria Luigia (il magnifico relais modenese di Massimo e Lara Bottura) ci si diverte a sovvertire, come da ‘filosofia botturiana’, i dettati classici della cucina. Sicché, come i gatti diventano verdi, anche la pasta può diventare un risotto. È proprio quello che fa Jessica Rosval, ai tavoli – disinvolti e raffinati al contempo – di Al Gatto Verde. Qui la pasta è «arsa»: ovvero bruciata, poi cotta come un risotto e accompagnata da sfilettature di biancostato e da sciroppo d’acero. Il risultato? Una pietanza cosmopolita che, attraversando l’oceano, lega una idea canadese di barbecue al feticcio per eccellenza della tavola italica. Sentori di fumo, molteplici tendenze dolci, il grasso vellutato della carne, l’aromaticità dello sciroppo d’acero… un piatto sì complesso e tecnico, ma centrato sul gusto e di piacevolezza estrema!

Gianpietro Miolato

Chitarra, Kombucha al Pomodoro arrosto, Pepe verde, Olio di Baccelli, Kefir all’Aceto di Gelsomino e Bottarga – Richard Abou Zaki e Pierpaolo Ferracuti – Retroscena

Piatto intenso, temerario, giocato su una spinta acida all’apparenza eccessiva ma funzionale a unire tramite nuances fermentative elementi di terra e mare in un connubio indimenticabile. Un piatto audace e non accondiscendente; semplicemente ottimo.

Marco Bovio

Culurgiones con riduzione di marmitako e tonno fresco – Dabiz Muñoz – RavioXO

La fusione tra un raviolo tipico di Ogliasta, una ricetta tradizionale Basca e un sushi giapponese? Ebbene sì, dalla folle mente dello chef Dabiz Muñoz, arriva questo piatto saporito e attraente. Un culurgiones fatto alla perfezione, servito con una riduzione di stufato di tonno (marmitako) ed una lucida fetta di tonno. La distruzione di mille preconcetti in un sublime boccone.

Andrea Mucci

Fusillone Zaccagni, triglie, salsa di fegati, olive nere – Simone Parisotto – Insight Eatery 

Il fusillone in tal caso rappresenta un formato di pasta ideale sia per il buon legame con la salsa, densa, ottenuta dal recupero di fegatini da più pesci dell’Adriatico, che per la vista, con una bella congiunzione cromatica. Le triglie dal canto loro, caratterizzate da gusto terroso, amplificano i sapori, rifiniti dalle olive nere, che ricordano la loro ottima predisposizione per condire e arricchire piatti di mare. Da apprezzare l’idea di cucina a scarti zero.

Destini che si uniscono…

Sliding doors” è un’espressione che, in senso figurato e complice un famoso omonimo film degli anni ‘90, suggella il momento topico di una storia, un elemento assolutamente imprevedibile che può cambiare la vita di una persona. Ebbene, come sarebbe stata la carriera professionale di Stefano Baiocco se il fratello, a sua insaputa, non avesse inviato diverse lettere all’Enoteca Pinchiorri, portando Annie e Giorgio ad accogliere per perseveranza il giovane anconetano nel loro staff?

Dove sarebbe, ora, Stefano Baiocco se non avesse attraversato quella “porta scorrevole” spalancatagli dal suo collaterale e che lo ha proiettato nel mondo dell’alta cucina passando per la Francia (Alain Ducasse e Pierre Gagnaire) e la Spagna (gli Adrià) prima di fare ritorno in patria?  Per fortuna sono domande alle quali non possiamo rispondere e, pur se avessimo potuto, non avremmo voluto rispondere perché quella (ormai lontana) storia di solidarietà e complicità fraterna da cui tutto è partito e ciò che successivamente ne è derivato hanno forgiato uno Chef maturo, sensibile, colto, ormai parte integrante di uno dei progetti di ospitalità di lusso più ambiziosi sul territorio nazionale al punto che pare impossibile immaginare Villa Feltrinelli senza Baiocco alla guida del ristorante.

L’ossimoro Villa Feltrinelli – Baiocco

Ma se è vero che le vite della struttura ricettiva e del cuoco anconetano sono legate a doppio nodo e paiono un unicum inscindibile, è altrettanto vero che l’idea e la progettualità culinaria che si appalesano in quel di Gargnano contrastano apparentemente con l’atmosfera del luogo che le ospita. Infatti, nello sfarzo di una villa storica e lussuosa gestita da una cordata russa e frequentata per lo più da clientela straniera ci si sarebbe aspettati un’impronta morbida, classicheggiante… invece no! Lo chef Baiocco mette in pratica un’idea di cucina aperta alla ricerca e al rischio, sostenibile e all’avanguardia, elegante e limpida con particolare attenzione al mondo vegetale.

Le fresche acidità dell’insalata di trota salmonata e foie gras aprono la via a un percorso degustativo di altissimo livello che trova i suoi apici nella Lasagna di mare, dove la geniale royale di plancton fa sentire le note iodate del mare pur in assenza di prodotti ittici e nello spaghetto che termina la cottura in brodo di carne e groppello, con aggiunta di polvere di ginepro, assenzio e artemisia, dalle note acide sferzanti, taglienti che ripuliscono il palato per aprire agli altri due capolavori che chiudono la parte salata del menù: la sua idea di insalata, piatto simbolo che risale al 2007, che Stefano definisce democratica (perché usa 120 erbe e 25 fiori, uno per tipo) e al tempo stesso anarchica (perché ogni boccone è sempre diverso dal precedente e dal successivo) e la destrutturazione del coniglio nel quale vengono utilizzati tutti i ritagli dell’animale perché la sua filosofia è che del cibo non si butta nulla. 

Menzione a parte merita Tutto pomodoro, uno dei piatti simbolo di Baiocco, paradigmatico della sua sensibilità nel trattare i vegetali. Trattasi di un piatto composto con 50 diverse varietà di pomodoro (alcuni semi-dry, alcuni conditi con olio agli agrumi, altri serviti in insalata con olio, sale e pepe), in accompagnamento si trovano budino di mozzarella e granita di panzanella, che si ha il privilegio di assaporare solo nel periodo fine agosto/settembre poiché prima non è possibile reperirne tutte le tipologie. Acido e fresco al tempo stesso, profondo, inesauribile, “emana una luce propria, maestà benigna”, citando l'”Ode al pomodoro” di Pablo Neruda.

Nell’ultima visita del 2019 era stata attribuita una votazione arrotondata, però, per difetto in quanto si sperava che il piede fosse un po’ più premuto sull’acceleratore; ebbene, quel guizzo in più auspicato due anni or sono si è oggi appalesato e concretizzato mediante sapori decisi, contrasti e approfonditi, che confermano Villa Feltrinelli nell’Empireo dell’alta gastronomia nazionale.

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Il caffè è da sempre utilizzato prevalentemente come una bevanda, con il suo effetto stimolante, che dà inizio alla giornata di milioni di persone in tutto il mondo. Sempre sotto forma di bevanda è utilizzato come fine pasto e come collaterale al pasto stesso. La sua degustazione è una vera e propria arte, tanto che ci è sembrato doveroso tracciare un parallelismo con il mondo del vino e approfondire per intero la filiera, a partire dalle piantagioni in cui si coltivano le Cru de Le Piantagioni del Caffè, ormai nostro punto di riferimento in termini di qualità.

Ma fondamentalmente, sia nella sua forma non tostata – verde – ma anche e soprattutto tostato, è un incredibile e versatile ingrediente che si presta ad essere abbinato a molteplici altri ingredienti ed è utile se non fondamentale nella conclusione del cerchio gustativo di un piatto. Le diverse tostature, ad esempio, regalano aromatiche più o meno intense con sfumature di nocciola, vaniglia, cannella che si comportano come una vera e propria spezia, utile alla conduzione ed esaltazione del gusto di ingredienti principali come la carne, la selvaggina e i funghi.

Il caffè come una spezia

Ma anche nelle preparazioni ittiche, magari utilizzando una tostatura più tendente al verde, la “spezia” riveste un ruolo molto interessante. Pensiamo ad un pesce di fondale come la cernia, grassa e consistente, che con una polvere a basso grado di tostatura può avere risvolti interessanti al pari se non superiori all’utilizzo di un pepe. Aromatiche nuove, quasi spiazzanti, per persistenza e lunghezza gustativa espressa. L’aumento di intensità gustativa, donata dalle derive del nostro protagonista, e l’allungamento dei ritorni aromatici del pesce possono portare ad un risultato che, se abbinato ad un carciofo o meglio ancora ad un fungo, ha del sorprendente.

Carlo Cracco e il suo crudo di dentice

Uno dei cuochi, a nostra memoria, che da tempo immemore lo utilizza come spezia e di riflesso come conduttore gustativo è Carlo Cracco. Ricordiamo ancora un crudo di dentice, capesante, lime e caffè che sorprendeva per il risultato gustativo. L’amaro-acido del lime è un connubio formidabile.

Un altro ricordo interessante di applicazione, qui nella sua forma non tostata, è quello che ci presentò lo chef spagnolo Josean Alija nel suo ristorante Nerua di Bilbao. Carciofo, caffè verde, fondo di jamón ibérico ed erbe aromatiche. Anche qui la grassezza del fondo, in abbinamento con la consistenza e il sapore intenso del carciofo, trovavano la chiusura gustativa con l’estratto di caffè verde che riverbera note vegetali molto intense e speziate, in cui la componente che emerge in maniera eclatante è sostenuta dalle erbe aromatiche in abbinamento.

Massimo Bottura e il camouflage

Massimo bottura, in uno dei suoi piatti simbolo, il camouflage, lo utilizza come spezia, annegato in una miriade di altri ingredienti. Però l’evidenza di quanto il gusto si distenda grazie a questo incredibile tocco è palese a tutti quelli che lo hanno assaggiato.

Il mondo dei dessert

La forma di utilizzo più immediata, a memoria, risulta essere l’applicazione nel comparto dolce. Ma come abbiamo evidenziato con gli esempi precedenti anche il comparto salato ne può beneficiare in maniera significativa. Ciò detto dal tiramisù a sorbetti e bavaresi, molteplici sono gli esempi di dolci, anche della tradizione, con una forte connotazione di questo versatile ingrediente.

Stefano Baiocco lo abbina con il cappero

Non mancano anche qui però riferimenti illustri di innovazione, come nello splendido Cappero, caffè e maggiorana di Stefano Baiocco, che a sua volta rimanda a una preparazione del grande Massimiliano Alajmo, altro cuoco che lo usa spesso, spessissimo in qualità di spezia.

Ecco quindi che l’attenzione verso l’impiego del suddetto, meglio se di grande qualità come quello de Le Piantagioni del Caffè, come spezia o come ingrediente, può aprire le porte ad abbinamenti innovativi, performanti e decisamente originali.

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Un lusso che non fa rumore

È ormai trascorso un quindicennio dalla folgorazione dell’allora (più) giovane Stefano Baiocco, già forte di solide esperienze in alcune delle più grandi cucine del pianeta, verso la via di Gargnano. Un colpo di fulmine che ha portato a un legame indissoluto e indissolubile, tant’è che oggi sarebbe forse inimmaginabile pensare a Villa Feltrinelli senza il suo chef, né Stefano Baiocco senza di essa. Non è in effetti difficile capirne le ragioni: un microclima ideale, imprescindibile per la realizzazione di un sogno, una location che ha pochi eguali nello Stivale e non solo, una struttura storica riportata con intelligenza ai fasti di un tempo che è perfetto connubio di sfarzo, eleganza e discrezione. Perché chi viene qui, oltre al lusso e a un servizio sartoriale, viene per la tranquillità degli spazi, per la fragranza dei profumi, per la posizione quasi appartata e defilata all’interno della pur sempre frequentatissima (specie in alta stagione) Gargnano, lontana da certo glamour. E poi, viene anche per lui e la sua cucina. 

Cucina che sintetizza abilmente le esperienze pluriennali di Baiocco attingendo da molteplici culture, che rifugge contrasti particolarmente accentuati per prediligere realizzazioni all’insegna dell’eleganza, della finezza, del perfetto equilibrio. Il tratto caratterizzante, anche nelle realizzazioni più complesse, è quello di una limpidezza gustativa cristallina, perfettamente leggibile in ogni sua sfaccettatura, dove ogni componente è protagonista pur nel contributo che dona all’assieme.

Dal mondo vegetale, l’impalcatura e l’orpello del piatto

Peculiari in tal senso due piatti iconici, autentici manifesti programmatici della cucina di Baiocco: il Tutto pomodoro, variazione sul tema composto da ben 53 elementi, stupisce per la policromia gustativa che fa seguito a uno spunto che sulla carta potrebbe apparire monocromatico. La semplice insalata nasconde, nella sua ironica denominazione, un piatto quasi stordente nel suo magma di suggestioni (parliamo di oltre 140 componenti, con diverse lavorazioni): una sorta di alea controllata ma costantemente mutevole, dove l’esito finale dipende da periodo, dal clima e, non ultima, dalla fruizione da parte del cliente. Un apparente disordine dove tutto ha, paradossalmente, senso. Ma la stessa filosofia la ritroviamo anche in quei piatti in cui la materia vegetale va a costituire l’impalcatura su cui poggiare altri protagonisti, dai conchigliacei ai pesci di lago e di mare, fino alle carni. E anche nella parte dolce essa contribuisce a conferire freschezza e ad evitare abilmente derive stucchevoli, come nel caso di mandorla, miele e olive taggiasche cappero, caffè e maggiorana, in cui le componenti sapide fungono da contrappunto perfettamente dosato, né coprente né timido.

Se proprio vogliamo trovare il pelo dell’uovo, e sconfinando indubbiamente ancor più nella soggettività, a fronte di cotanta algida, naturale eleganza che non manca certo del suo fascino ci chiediamo, specie alla luce della materia di partenza, se qua e là qualche guizzo in più, qualche contrasto maggiormente approfondito, insomma il piede un po’ più premuto sull’acceleratore non potrebbero contribuire a  concretizzare quell’ultimo, piccolo balzo verso l’assoluta grandezza. In questo senso non possiamo non chiederci se le peculiarità proprie di questa location, fisiologiche prima ancora che legate a improbabili indirizzamenti espliciti da parte della proprietà, in particolare la necessità di accontentare più palati, sensibilità ed esigenze, non possano sul lungo termine costituire una sorta di freno alla compiutezza di questa cucina, per la quale ci riserviamo ancora di mantenere la precedente valutazione arrotondata, va evidenziato, per difetto. 

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Una villa dall’inarrivabile fascino, una proprietà coraggiosa e uno chef talentuoso per un connubio perfetto tra lusso e cucina d’autore

Secondo alcuni è il più bell’albergo d’Italia. Noi, senza entrare nel merito della classifica, non possiamo che confermare che Villa Feltrinelli sia un luogo semplicemente incantevole.

Costruita a fine ‘800 dalla famiglia Feltrinelli, la villa, in stile liberty, è un pezzo di storia italiana anche per il fatto che, tra il 1943 ed il 1945, Benito Mussolini vi trascorse gli ultimi giorni della sua vita. Oggi Villa Feltrinelli è un esclusivissimo albergo -con sole 20 stanze- che si rivolge ad una clientela per lo più internazionale (soprattutto americana) di altissima fascia.

Dotata di una vista tra le più belle del Lago di Garda, circondata da un parco da sogno di 80.000 mq, in cui tra le piscine, la darsena privata e un campo da golf fanno bella mostra di sé anche una bellissima limonaia e l’orto, fortemente voluto dallo chef Stefano Baiocco.
Anconetano di 45 anni, lo chef ha un curriculum impressionante che parte dall’Enoteca Pinchiorri, passa per Parigi da Alain Ducasse e Pierre Gagnaire, e quindi in Spagna da Ferran Adrià, solo per citare le esperienze più importanti.
Tornato in Italia, dopo aver ricoperto il ruolo di sous-chef al Rossellini’s di Ravello riceve la chiamata da Villa Feltrinelli, dove assume il ruolo di Executive Chef del ristorante dell’albergo.

A pranzo il ristorante, aperto per la sola clientela dell’albergo, propone una cucina più semplice, di stampo più internazionale e mai troppo complicata.

La sera Baiocco propone la sua cucina prettamente ai clienti dell’hotel e ai pochi ospiti esterni (avendo il ristorante una capienza max di 40 coperti), senza disdegnare le richieste di una clientela non facile, spesso portata ad avanzare richieste stravaganti, ma a cui non si può mai dire no.

Coraggiosa la scelta di proporre una cucina non semplice e non ruffiana in un grande albergo

Una cucina estremamente elegante, caratterizzata da marcate note vegetali e floreali.

Iniziamo con quello che è diventato ormai il suo signature dish, Una semplice insalata…: più di 100 erbe diverse per un piatto anarchico, difficile, una pennellata d’autore al servizio di innumerevoli tonalità di gusto, 100% vegetali. Non è da meno il Sandwich di Wagyu e Shiso verde in cui acido e amaro giocano a rincorrersi, in un piatto non facile servito in maniera spiazzante come seconda portata a conferma di una cucina che non ha paura di osare nonostante il contesto, come testimoniato dalla semplice rilettura del Pinzimonio che colpisce per originalità ed equilibrio.

Meno convincenti ci sono sembrati  gli Spaghetti freddi con granchio e caviale, un po’ acquosi a causa dell’eccessiva acqua di pomodori (fredda anch’essa), così come non ci ha entusiasmato l’ennesimo maialino della nostra vita, tenero e ben eseguito, ma ormai più che standardizzato. Il livello risale in coda con un dessert che porta con sé echi di Max Alajmo: Cappero, caffè e maggiorana. Di grande livello.

La carta dei vini ha ricarichi proibitivi ed è interamente italiana (con tanto Nord e poco Sud per la verità), fatta eccezione per qualche grande Champagne mentre il servizio è adeguato al contesto e, dunque, di ottimo livello.

In conclusione, non si può non rimarcare la bravura dello chef e quanto sia illuminata la proprietà (oggi russa) a concedergli la libertà di osare e di proporre, senza troppi vincoli, la sua cucina. Il contesto, i conseguenti elevatissimi prezzi (basti pensare che per una degustazione vini di livello assolutamente “normale” abbiamo pagato 100 euro a persona) e il ridotto numero di coperti fanno sì che la clientela del ristorante sia composta in maggioranza dai facoltosi ospiti dell’albergo.

Baiocco resta uno chef tra i più bravi e meno conosciuti dalla “normale” clientela di ispirazione più spiccatamente gourmet, sebbene la sua cucina meriterebbe di essere frequentata e conosciuta maggiormente, aldilà dei fortunati ospiti della Villa.

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