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I Tigli

Da Simone Padoan, ovvero nel tempio della pizza gourmet

Nel panorama contemporaneo la realtà della pizza gourmet ha assunto dimensioni notevoli. Nell’approcciarci al fenomeno, abbiamo scelto un registro diacronico e siamo andati in quello che può essere considerato uno dei suoi templi più storici e rinomati: I Tigli di Simone Padoan. Il pizzaiolo veronese, classe 1971, ha una storia che parte da lontano, con la nascita della sua creatura datata addirittura nel 1994. Ma è nel 1999 che arriva la svolta, con un cambio programmatico dell’idea stessa di pizza, che porta Padoan a ricostruire il pasteggiamento, creando quella che, a tutt’oggi, è comunemente conosciuta come pizza gourmet. Non più una pasta standard da guarnire con diversi ingredienti, ma un impasto che assurge a ruolo di attore protagonista, diversificato di volta in volta per valorizzare il più possibile le farciture. Il tutto, in un ambiente che, dal 2012, è parte imprescindibile dell’esperienza: grazie a un profondo restyling del locale, si può infatti ammirare la brigata all’opera, Padoan in testa, dalla cucina a vista. A ciò, va poi ad aggiungersi la cura dell’ambiente, in cui ogni elemento concorre a ricordare cosa si sta esperendo: arredi in legno che rimandano ai ceppi del forno, bancone in pietra gialla di Vicenza a ricordare la crosta del pane, mise en place che richiama i canovacci per coprire gli impasti.

Due anime

Nella nostra visita abbiamo optato per una scelta che desse ragione delle due anime che sostengono il locale: la tradizione affiancata alla sperimentazione. Se le farciture presentavano una qualità di prim’ordine, siamo rimasti colpiti dagli impasti, capaci di valorizzare senza riserve gli ingredienti di accompagnamento. Margherita, nella sua variante soffice: l’impasto ha presentato una delicata morbidezza interna sbalorditiva, alla quale hanno fatto seguito la cremosità del fior di latte e l’acidità del pomodoro San Marzano, che hanno completato la gamma gustativa senza riserva alcuna. Ma è con la terza pizza che il livello si è alzato vertiginosamente: Lumache e Buon Enrico è stato un piccolo capolavoro, grazie all’impasto all’orzo, agreste e croccante, che ha funto da base ideale su cui adagiare la componente gastropoda. Il connubio con la componente vegetale ha conferito un’alternanza terrosa notevole e verace, dai tratti ferrosi e dalla lunghezza dell’impasto all’orzo persistente. Una pizza lontana dal facili accondiscendenze, rustica e ruvida, ma non per questo non riuscita. Discorso a parte meritano i dolci: Torta delle rose con gelato al pistacchio ci ha colpiti grazie alla rotondità del gelato, perfettamente sposata con la leggerezza dell’impasto della torta, ottimamente alveolato, umido e voluttuoso.Difficile uscire da I Tigli senza provare un senso di appagamento profondo e indimenticabile. Da anni Simone Padoan ci ha abituati all’eccellenza. E di questo non possiamo che essergli grati.

IL PIATTO MIGLIORE: Lumache e Buon Enrico.

La Galleria Fotografica:

Fino a qualche anno fa parlare di pizza era molto più semplice.
C’era quella di Napoli, dai più considerata la più buona e comunque quella originaria. Cornicione soffice, elastica al punto da non spaccarsi una volta piegata a portafoglio, di norma alquanto indigeribile. Ma tutto sommato generalmente buona.
Poi c’era la versione sottile e croccante fatta propria dai romani, generalmente di livello tutt’altro che eccelso soprattutto (ma non solo) per la scarsa qualità degli ingredienti utilizzati nella maggioranza dei casi.
A completare il quadro la pizza nella teglia grande, rotonda, alta, tipica della tradizione toscana (genere Spontini, i milanesi conosceranno) e quella al trancio cotta nel forno elettrico, assai diffusa nella Capitale e soprattutto sempre assai unta, troppo.

Poi, nel giro di qualche anno, anche nel mondo della pizza (come nel food in genere) è cambiato tutto.
Si è iniziato a parlare di lunghe lievitazioni, di ingredienti di alta qualità, di farine, di impasti, insomma di tutto ciò che è necessario per trasformare uno dei piatti poveri per eccellenza in una esperienza in grado di soddisfare anche i palati più esigenti.
Tre i principali artefici di questa vera e propria rivoluzione, i tre Cavalieri dell’Apocalisse della pizza.
Enzo Coccia (pizzeria La Notizia) che ha reso finalmente digeribile la pizza di Napoli, portandola a vette prima mai raggiunte. Grazie a lui, oggi, il livello medio della pizza napoletana si è incredibilmente elevato. Chapeau!
Gabriele Bonci, virtuoso degli impasti che ha sdoganato la pizzetta a taglio romana, facendo della sua piccola bottega uno dei luoghi di culto per i gourmet di ogni dove. Pizza a taglio (e lievitati in genere) di strabiliante bontà.
E, last but not least, il signore de I Tigli, Simone Padoan. L’uomo che in un certo senso ha inventato la pizza gourmet, un modo nuovo di intendere la pizza.
Pizza intesa come base, a volte come contenitore, su cui o dentro cui cucinare o comunque assemblare materie prime di eccelsa qualità.
La base è un grande impasto, che ha pochi eguali. Pizza sofficissima, leggerissima, digeribilissima. Lievito madre e un buon apporto di farina integrale negli impasti.
Grandi le materie prime utilizzate per le farciture, e grande gusto negli abbinamenti.
Ce n’è per tutti. Da quelle più tradizionali, tra cui abbiamo provato un eccellente pomodoro San Marzano e fior di latte, a quelle più spinte come l’eccellente Gambero rosso, fior di latte, rucola, mango e noci di Macadamia. E’ davvero difficile sbagliare.
Una buona selezione di birre artigianali e una discreta carta dei vini, con una bella scelta di bollicine, completano un quadro davvero da non perdere.
L’eccellenza della pizza passa anche da qui.

Pomodoro San Marzano e nodini di fior di latte di Alberobello. Perchè bisogna partire dalle cose semplici, essenziali per il giudizio. Cottura da manuale. Impeccabile.
pizza, pomodoro san marzano, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
pizza, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
Sashimi di Gambero Rosso, fior di latte, rucola, mango e noci di Macadamia. Gambero splendido, pizza che gioca su toni dolci senza esagerare.
Pizza Sashimi di gambero, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
Pizza sashimi di gambero, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
Burrata e Crudo San Daniele. Di una golosità senza limiti.
Pizza burrata e crudo, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
crudo e burrata, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
L’hamburger che non c’è: melanzane, pomodoro al forno, fagiolini, , cipolla agrodolce e senape.
hamburger, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio
hamburger, I Tigli, Simone Padoan, San BonifacioIdea di Rocher.
Rocher, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Cioccolando, viaggio nel mondo del Cacao Domori
cioccolando, I Tigli, Simone Padoan, San Bonifacio, Verona

Se sulla paternità -nazionale- della pasta aleggia ancora qualche effimero dubbio, lo stesso non sembra potersi dire per la pizza che, secondo alcune fonti, vide la luce nella Napoli della metà del settecento.
Ben trecento anni dopo, precisamente nel 1999, a circa settecento chilometri di distanza, qualcuno ha rivoluzionato il cibo più famoso d’Italia trasformandolo in un prodotto di grande qualità, creatività, innovazione ed opulenza. La nuova frontiera della pizza, a metà strada tra la cucina d’autore e l’universo gastronomico popolare, è partita dall’anonima San Bonifacio, alle porte di Verona grazie a Simone Padoan. A questi il merito di aver conferito un taglio personalissimo ed originale ad uno degli alimenti più inflazionati e convenzionali del pianeta. Se oggi si parla di “pizza gourmet”, è probabilmente grazie a lui.
Vero è che l’accostamento di ingredienti pregiati ad un pasto popolare implica coraggio e determinazione in quanto si sovvertono le regole della normalità: è anche per questo che I Tigli non può essere considerata una semplice pizzeria; non lo è nei prezzi, non lo è per il servizio, né, tantomeno, per il curatissimo ambiente. Il locale di Padoan è decisamente un luogo fuori dagli schemi, qualcosa di raro da trovare, attualmente, e non soltanto in Italia. Bisogna metterci piede, almeno una volta, per avere a portata di mano un adeguato riferimento comparativo sul tema.
Da qualche anno ha cambiato anche look. Dopo il restyling, l’ambiente, anche con gli arredi, in cui dominano legno, pietra e porfido, viene richiamato il macrocosmo della pizza.
Qualcosa purtroppo è mutato anche sotto il versante della proposta. L’offerta resta sempre molto ampia, ma la scomparsa dalla carta dei percorsi degustazione -fondamentale per farsi un’idea della filosofia del locale- è una pecca di non poco conto. Soprattutto alla luce del prezzo finale, decisamente impegnativo. In meno di quattro persone, infatti, la scelta della pizza risulta molto difficile e, considerate le dimensioni impegnative delle stesse, è impresa ardua riuscirsi a focalizzare su 3/4 pizze senza evitare gli sprechi.
Anche il servizio, decisamente di alto livello in passato, in quest’ultima occasione è apparso un po’ svogliato e distaccato. Probabile si è trattato di un caso isolato.
Ottime notizie invece sul versante enoico. Considerata la proposta gourmet, infatti, non poteva mancare una carta dei vini ricercata e per nulla banale (compaiono etichette di vini naturali italici ma sono presenti in carta anche Champagne, Alsazia, Borgogna, Germania e Spagna) che, in effetti, potrebbe risultare più confacente con la proposta rispetto ad un più tradizionale accompagnamento con birra (per la quale non manca, comunque, una ragionata selezione artigianale, di produttori italiani e stranieri). Ma la bellissima sorpresa la riserva il reparto dolciario, sia sul versante tecnico che concettuale. Di fattura tanto notevole da non risultare inferiore al livello delle pizze.

Il benvenuto: pizza al trancio. Soffice e croccante, con un pomodoro dalle note dolci ed un grande olio in abbondanza.
pizza al trancio, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
La nostra ardua scelta è ricaduta sulla Blu di cappasanta alla camomilla… fior di latte, grill di asparagi bianchi, carpaccio di asparagi verdi, maionese al corallo e chips di prosciutto.
pizza, blu di capsanta, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Una lievitazione da manuale, impasto leggerissimo che, purtoppo per noi, assume un livello impegnativo con l’elemento grasso della maionese. Bello visivamente l’effetto scenico della cappasanta che, dopo un tempo imprecisato di marinatura nel cavolo blu, assume quel colore bizzarro. Camomilla non pervenuta. Nel complesso, comunque, un abbinamento centrato.
pizza, blu di capasanta, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Focaccia con tartare di asparagi crudi, carne limousine e salsa tartara.
focaccia con tartare, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Da vicino.
focaccia con tartare e asparagi, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Un bel prodotto tedesco ma naturalizzato italiano.
birrra, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Il capitolo dolci merita molta attenzione.
Dalla selezione “il pane diventa dolce” si gioca sempre col tema lievitazione e si resta estasiati dalla semplicità del “Pan – Biscotto”… con mele caramellate e gelato alla mandorla” in cui predomina la fragranza delle cialde e la cremosità di una mandorla persistentissima.
il pane diventa dolce, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Dal reparto “i nostri dolci” scegliamo la “Zuppa di Agrumi”… Sorbetto gelato al Cynar, carciofi, pompelmo rosa e arancia e la musica non cambia. Una cifra tecnica e stilistica che ci lascia sorpresi in positivo, per concentrazione di ingredienti ed equilibrio di tonalità dolci e amare.
zupap di agrumi, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Tavolo.
tavolo, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Maestro all’opera.
I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
L’ingresso nascosto.
ingresso, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona

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La migliore pizza di Milano (senza se e senza ma e ce ne prendiamo la responsabilità, per lo meno sino all’arrivo del grande Pepe ?) la fanno in un locale molto trendy dove, probabilmente, un’alta percentuale di clienti passa la serata bevendo degli eccellenti drink.
L’insegna recita “Cocktails & Pizza”: un blend geniale e tutt’altro che scontato al quale, effettivamente, nessuno aveva ancora pensato, almeno in città. Del resto, pensare a Milano senza l’aperitivo è come pensare ad una cielo senza stelle; tutti i locali della città che si pregino di avere una bella location o un’ubicazione strategica, a prescindere dal fatto che abbiano dei bravi barman, sono sempre stracolmi di gente, in tutte le stagioni. Lo stesso discorso vale per le pizzerie, unica tipologia di ristorazione che pare immune alla crisi.
Due format di successo, in questo caso racchiusi tra le stesse mura.
L’idea nasce da quel gruppo di imprenditori e professionisti già dietro al brand Pisacco. Guidati dall’esperienza gastronomica di Andrea Berton, essi hanno portato una ventata di freschezza in Via Solferino, trasformandola in un piccolo polo gourmet con due locali modaioli, ma pregni di concretezza ed economicamente alla portata di tutti.
Era matematico che, ben presto, Dry avrebbe funzionato a meraviglia grazie alla sua formula vincente (un locale studiato per diverse generazioni che sfoggia un servizio attento, pizze di qualità con ingredienti ricercati e un’immancabile location di design). Un concept che, siamo certi, vedrà molti cloni in città.
Forse gli unici a storcere il naso, a livello popolare, sono i tradizionalisti, ossia quelli che stentano a sostituire la birra (o la coca-cola) con altro beverage in accompagnamento alla pizza. Ora sembra apprezzatissimo anche l’abbinamento con le bollicine. Certo è che il concetto del cocktail sembra una sfida per la quale non resta che lasciare al pubblico l’ardua sentenza. Qualsiasi sia il desiderio del cliente, comunque, da Dry potrà essere esaudito: ci sono birre, poche ma ricercate, qualche etichetta interessante di vini, anche francesi, qualche champagne dall’ottimo rapporto q/p e, ovviamente, una lista sterminata di cocktail particolarmente buoni e pensati dal promettente Guglielmo Miriello, ex bar manager alla Maison Pourcel di Shangai.
A Simone Lombardi invece, allo stesso tempo chef e pizzaiolo, è affidato il compito di sfornare delle grandi pizze.
A seguito di una breve ma intensa esperienza a Napoli dal maestro Enzo Coccia e di una più duratura e di pari importanza a San Bonifacio dall’altrettanto geniale Simone Padoan, Lombardi ha lavorato e condotto uno studio approfondito sugli impasti, abbandonando i metodi a lievitazione diretta e indiretta con lievito madre e optando invece per il metodo poolish (ormai in voga in ambito gourmet). Con tale metodo, detto anche “a biga”, si riesce a conferire al prodotto finale maggiore leggerezza grazie ad un elevato tasso di acidità dell’impasto.
Si parla di una fermentazione della durata di un giorno a 16°; a questa prima fase di preparazione, nella quale il volume dell’impasto triplica, ne segue una seconda che vede l’innesto di nuova farina (una miscela di farine di tipo 0 e 1 macinate a pietra, selezionate con cura direttamente dallo chef) e di sale. L’impasto finale subisce quindi un’ulteriore lievitazione di altre 24 ore. Un procedimento complesso che garantisce una pizza croccante e fragrante.
Anche gli ingredienti utilizzati hanno una marcia in più: troviamo prodotti di qualità, tra i quali primeggiano un pomodoro pugliese dolcissimo e persistente e la mozzarella fiordilatte dal caseificio di Gennaro Fusco di Agerola, che vengono cucinati con grande rispetto, senza alterarne i sapori in cottura. Il segreto è l’utilizzo della tecnica partenopea di cottura ad una temperatura più elevata della norma (450° circa) con gli ingredienti che vengono infornati per un tempo inferiore al minuto.
Il menù offre tre tipologie di pizza: quelle chiamiamole “tradizionali” e personalizzabili, ossia margherita e marinara (alle quali è possibile aggiungere qualche accessorio per accontentare i gusti personali, come origano e capperi, olive taggiasche, ventresca di tonno, cipolla stufata, prosciutto crudo o cotto), e le focacce e le pizze dello chef. Ciascuna tipologia presenta caratteristiche diverse, ma un unico comune denominatore: la facile digeribilità, vero elemento di discrimine tra la “pizza comune” e la grande pizza.
Anche il capitolo prezzi fa sorridere, per due pizze e una birra è possibile spendere meno di 20 euro a persona. Troppo bello per essere vero? Infatti lo è.

Partiamo dalle basi: la margherita con bufala, servita curiosamente con un’oliva taggiasca.
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Scalogno al sale con provola affumicata e ciliegini arrostiti.
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Interessante quella con salmone affumicato con composta di pomodoro e fior di latte che forse pecca di eccessiva dolcezza per via del sapore troppo stucchevole della composta di pomodoro.
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Tra le migliori pizze dello chef c’è quella Pancetta arrosto con fior di latte e pepe di Sarawak. Un gusto più delicato di quanto si possa immaginare.
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Apriamo il capitolo focacce con quella ai datterini affumicati. Leggera, croccante, semplicissima.
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Non è da meno la focaccia con stracciatella di Bufala e prosciutto crudo 24 mesi “I Tigli style”.
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E’ altrettanto intrigante la focaccia con Vitello tonnato e polvere di cappero, classico esempio di pizza gourmet,
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come il Calzone bianco farcito con scarola brasata, pinoli, uvetta e ricotta di bufala, con ripieno compatto e dal gusto equilibrato. Anche in questo caso si prova un senso di leggerezza non indifferente.
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Infine la Marinara, in cui si può pienamente apprezzare la dolcezza della passata,
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sulla quale abbiamo aggiunto la cipolla brasata e le olive taggiasche.
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E il nostro beverage… da tradizonalisti
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Interni
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Ingresso.
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