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Qualia

Un angolo di Nord Europa nella calda Cefalù

Una bella sfida, quella di portare la filosofia della cucina del Nord Europa, nel centro di Cefalù. Una coppia: lui, Davide, a capo della brigata di cucina e lei, Marilena, a gestire la sala, carta vini compresa con una bella selezione sui vini “naturali”, tanti dalla Sicilia. Hanno lavorato bene, i due, sul concept, partendo dal locale: un arredamento super minimal, moderno e accogliente, con una finestra sulla cucina sempre ispirata dalla natura, che nasce da connessioni genuine con agricoltori, pescatori, allevatori e vignaioli. L’attenzione alla materia prima è totale: sia nella selezione sia nella manipolazione. Lo stile “nordic” imperversa in tutte le preparazioni, con l’utilizzo delle fermentazioni, ma lo si ritrova anche negli impiattamenti e nella selezione delle stoviglie: una sensibilità che deriva dall’esperienza maturata dallo Chef al Maaemo di Oslo e poi al Relae a Copenahgen.

La Sicilia vista da un “Siculo Nordico”

La peculiarità della cucina è precisamente che questa rielaborazione della cucina nordica parta da un siculo, avente a disposizione la materia prima ricca di varietà di fragranze e sapori siciliani. Alcuni gli spunti interessanti, piatti dalla bella sapidità, che denotano una certa personalità come gli Spaghetti alla carrettiera con garum di fegato di seppia e nduja di Spilinga sapidamente incisivi e con un sugo lasciato (volutamente?) abbastanza lungo; il Crudo di gambero viola, latte di mandorla e kimchi di cetrioli, rivela un bel gioco di equilibri fra dolcezza e piccantezza, mentre aree di miglioramento sono state individuate tra gli amuse bouche, assolutamente trascurabili, e la concezione di un percorso degustazione un po’ debole nella scelta delle portate, con uno dei due secondi, ad esempio le Cozze allo sfincione, decisamente più da antipasto.

Ma l’impostazione nordica si percepisce tutta nella leggerezza complessiva dell’intero percorso, al punto che abbiamo deciso di integrare con un piatto, ovvero l’Agnello allo spiedo con cavolo kale sottaceto, umeboshi e olio al rosmarino. Nel complesso un’esperienza originale, al netto dell’eccessiva semplicità di alcune portate che, sia concettualmente che tecnicamente, necessiterebbero invece una maggiore complessità e profondità. Vedremo se e come si evolveranno in futuro.

IL PIATTO MIGLIORE: Spaghetti alla carrettiera con garum di fegato di seppia e nduja di Spilinga.

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Il tutto è più della somma dei singoli elementi.

Il tutto è più della somma dei singoli elementi“. Aristotele, psicologia della Gestalt o Battiato, con Inneres Auge? No, è quello che compare in un foglio, presentato al tavolo, che racconta la filosofia gastronomica di Mauricio Zillo, il creativo Chef brasiliano che è da quattro anni in Sicilia al ristorante Gagini. Ricercatore ossessivo di materie prime, rigorosamente siciliane, povere ma di eccellenza, a cui vuole dare un’espressione individuale rendendole attrici di una nuova identità del gusto, se l’inneres auge di Battiato è l’occhio interiore che permette di vedere l’aura degli uomini, quello di Zillio permette di vedere l’aura dei vegetali, dei pesci e degli animali in genere, che si combinano magicamente nei suoi piatti.

A questo proposito, è incredibile il rapporto simbiotico che si è instaurato fra Mauricio e la Sicilia, che rafforza il suo estro creativo; il ristorante diventa quindi una sorta di laboratorio gastronomico del gusto mediterraneo. L’approccio estemporaneo che lo ha sempre caratterizzato resta sicuramente come punto di partenza, ma sta diventando sempre più canalizzato e focalizzato sulla ricerca di una maggiore armonia di fondo.

Qui si vive e si respira a pieni polmoni l’estate siciliana

Quello che impressiona, positivamente, è quanto Zillo riesca a far arrivare in modo nitido tutto gli elementi, che non sono mai pochi, e farli rimbalzare nel palato in modo, dicevamo, armonico. Zucchine che danzano e incontrano sarde marinate e umeboshi fatto in casa; la semplicità di Fichi con bottarga e una Portulaca condita con yogurt fatto sempre in casa, di latte di capra. I Bottoni di pecora di Cammarata bollita, accompagnati da un ottimo brodo e piper auritum sono deliziosamente intensi. Il piatto decisamente superiore per profondità e complessità di spunti è la Seppia di Terrasini, tenerumi, patata di Grenailles fermentata, zapote nero, pepe verde e garum di calamaro. Super golose le Melanzane in tre consistenze, amarene, provola delle Madonie e cappero di Pantelleria. Il Carpaccio di vacca, brodo caldo di molluschi, salsa bernese alle cozze e nocciola di Tortorici è piacevolmente gustoso anche se abbiamo trovato fin eccessiva la quantità di salsa. La parte dolce risulta essere sempre un po’ sottotono, mentre la parte dei lievitati, gestita egregiamente da Melania Guarneri, migliora di anno in anno.

Complessivamente quello che apprezziamo è la cucina assolutamente differente, fuori dagli schemi, poliedrica e identitaria di Zillo, con un percorso stagionale che fa vivere e respirare a pieni polmoni l’estate siciliana. Ciò detto, siamo esigenti: ci aspettiamo sempre più piatti come la seppia, foriera di tutte le potenzialità di questa cucina.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia di Terrasini, tenerumi, patata di Grenailles fermentata, zapote nero, pepe verde e garum di calamaro.

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Mangiare la montagna

Tra le insegne fine dining incastonate nelle tante, prestigiose strutture ricettive che costellano il paesaggio dell’arco etneo, il ristorante Dodici Fontane dell’Hotel Villa Neri a Linguaglossa è senza dubbio quello più in sintonia col vulcano più grande d’Europa, “idda” o “a muntagna” per i catanesi. Un genius loci fatto di suggestioni antiche, di un ecosistema unico al mondo in cui il brullo e il selvaggio paesaggio delle sciare si contrappone a zone rigogliose di boschi e vigneti, di produzioni agricole benedette dalla fertilità dei detriti vulcanici e dall’influenza benefica del mare su cui si affaccia. Un paesaggio umano e culturare che è nel DNA di Elia Russo, cuoco schivo e poco amante della ribalta, portatore sano di valori, sinceramente legato alla sua terra, di cui promuove con malcelato orgoglio prodotti, tradizioni e suggestioni. Anche se molti suoi piatti riverberano il clima internazionale della migliore hotellerie della vicina Taormina, cui Elia deve formazione e ispirazione, al palato viene comunque restituito un mondo antico, familiare, identitario, fatto di riti e radici rispettate.

Tra terra e mare

Tre sono i menù degustazione in carta: in uno – quello dei “Ricordi” – passano in rassegna i piatti da cui traspare, per chi volesse indagarla, l’evoluzione stilistica dello Chef; nel secondo c’è il suo racconto della terra e, nel terzo, la sua interpretazione del mare, quel mare “così lontano, così vicino” che da qui non vedi ma senti nell’aria, nella brezza che sale verso sera da levante e che, abilmente combinato con la terra, è l’humus in cui Elia si muove più a proprio agio. L’invito, quindi, per chi voglia vivere un’esperienza trasversale della cucina del Dodici Fontane è ad attingere liberamente dagli ultimi due, superandone le compartimentazioni.

E se gli amuse bouche di benvenuto – seppur ben eseguiti, gustosi ed equilibrati – fanno trapelare poco del bello e del buono che segue, è nella pacifica coabitazione in carta di starter come il Peperone abbuttunatu, battuto di manzo, peperone arrosto, olive e acciuga e la Zuppa fredda di germogli di pisello, gambero rosso al fumo di brace e caviale che emerge l’identità dello Chef, il suo sapersi muovere tra pop e top con disinvoltura, il suo saper fondere, coniugare cucina povera e cucina aristocratica nel segno dell’eleganza, dell’equilibrio e della riconoscibilità. A seguire è tutto un compenetrarsi di eco di classicità – eredità di cucine blasonate frequentate e ben assorbite – e memorie di casa riesumate: l’Alalunga alla soia, bernese di zucchine, fichi e limone e il Trancetto di pesce bianco in crosta di sale, caponata di verdure e beurre blanc denunciano in maniera più incisiva questo eclettismo, ma non inganni l’apparente semplicità degli Spaghettoni Vicidomini al pomodoro arrostito, acciughe, pane atturrato e basilico che al palato svela profondità di pensiero e tecnica.

Si chiude con la rinfrescante Zuppetta di pomodoro costoluto e fragole, cioccolato avorio e mandorla pizzuta, sollievo e solluchero perfetto per climi sempre più surriscaldati. Severamente vietato astenersi dalla piccola pasticceria finale.

IL PIATTO MIGLIORE: Trancetto di pesce bianco in crosta di sale, caponata di verdure e beurre blanc.

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Ode al nero

Nella pratica fotografica lo scatto in bianco e nero spesso sottende al voler astrarre dal reale una sorta di significazione, l’essenza. È il gioco di contrasti tra luce e ombra a dare profondità all’immagine, scevra della “distrazione” del colore. Immaginando il territorio dell’Etna come una fotografia: sono il nero della terra lavica e la luce che la assola i fautori della caratterizzazione di vini dalle infinite sfumature. Un terroir che si fonda sul contrasto tra mare, terra, cielo e montagna, dove l’uomo è votato ad una terra emblematica e forte, come i vini che ne derivano.

È l’essenza del vulcano stesso, nel suo nero profondo, la base su cui nasce il progetto di Palmento Costanzo. Una base non solo ideologica ma fondante e alle fondamenta del Palmento, appunto, sorto su una colata lavica del 1879. Un legame quello della famiglia Costanzo con la terra e con la tradizione del fare vino che passa per l’acquisto di alcuni ettari in Contrada Santo Spirito, a Passopisciaro, in provincia di Catania, nel cuore del Parco Naturale dell’Etna, e per il restauro conservativo di un antico Palmento annesso. Questa struttura di storica e intrinseca fattura siciliana, costruita in pietra lavica, trova nuova linfa nella ristrutturazione secondo i principi della bioarchitettura e coniugando il sapere antico di vinificazione “a caduta” alle più moderne tecnologie come vasche termoregolate in acciaio inox, le Ovum, botti in rovere francese a forma ovoidale che sfruttano i moti convettivi per favorire il bâtonnage naturale, le botti Stockinger e le anfore. Il progetto, nato nel 2010, vede il fare artigiano unito al rispetto di un territorio dalla grande biodiversità, che ha il cuore nero d’Etna.

18 sono gli ettari di proprietà, 12 dei quali in Contrada Santo Spirito, che vantano viti che superano i 130 anni di età – il cru d’elezione della cantina -, mentre i restanti sono a Santa Maria di Licodia, a Sud Ovest dell’Etna. L’essenza dunque del bianco e nero fotografico si articola in vigneti coltivati ad alberello, tra i 600 e gli 800 m di altitudine, sostenuti da pali in castagno e che poggiano su terreni compositi di sabbie vulcaniche e roccia effusiva, ricchi di scheletro e microelementi, dal tipico colore scuro. Qui, la viticoltura, condotta interamente a mano, è eroica e a regime biologico, dove i terrazzamenti in pietra a secco ne sono il caposaldo. Le varietà sono esclusivamente autoctone: per i rossi troviamo il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio, mentre per i bianchi, il Carricante e il Catarratto.

I vini prodotti sono figli di una terra dunque estrema, netta, a contrasto, e si articolano in tre linee produttive: oltre all’Etna Doc Rosso Prefillossera e ai Metodo Classico a Nerello Mescalese: i freschi ed espressivi “Mofete” (bianco, rosso e rosato), “Di Sei” (bianco e rosso) espressione dell’Etna nel loro essere intensi e minerali, sino al progetto “Contrade” che articola vini di grande qualità e profondità, immagine delle sfumature del terroir e della parcellizzazione in Contrada Cavaliere e Contrada Santo Spirito.

* I vini dell’Azienda Palmento Costanzo sono distribuiti da Sagna Spa.

Cook the Sicily

La favola di Dario Pandolfo, giovane Chef tornato a casa, in Sicilia, dopo varie esperienze in pluri-stellati (Geranium, Terra, Vila Joya, Niederkofler), si è ormai trasformata in solida realtà. Dopo una prima esperienza a capo della cucina dell’hotel Ngonia Bay, di cui abbiamo parlato, da più di due anni è a capo del ristorante all’interno dell’hotel Le Calette, in una location incantevole, in estate con tavoli all’aperto con una bellissima vista. Pandolfo è riuscito a tenere e costruire una brigata solida che lo aiuta nel rendere operativa la sua idea di una cucina siciliana contemporanea di classe, eleganza e qualche spigolosità che davvero non guasta.

Seguendo le orme e l’imprinting di Cook the Mountain porta avanti un concetto di Cook the Sicily che spiega in questo modo: “un profondo legame con la terra madre e la consapevolezza di avere tra le mani un immenso patrimonio gastronomico. La natura è la fonte di ispirazione. Tutta la materia prima utilizzata ci viene rifornita da una filiera fatta di contadini, allevatori, pescatori e produttori esclusivamente siciliani, che come noi lavorano in maniera appassionata, etica e sostenibile e tramandano il loro sapere di generazione in generazione. Anche un singolo ingrediente della cucina povera può trasformarsi e dare vita ad un grande piatto in cui gusto ed equilibrio convivono armonicamente. Studio, tecnica, ricerca conducono ad un universo inaspettato di sapori dove protagonista è sempre la Sicilia.”

Libertà siciliana

È dunque il titolo del percorso degustazione più completo e il riferimento è alle contaminazioni siciliane, frutto di varie dominazioni passate che in realtà sono vissute come libertà di espressione da Pandolfo. Piatto della serata un Pesce spada con una texture incredibile, (marinato con la tecnica usata per il tacchino del giorno del Ringraziamento, lasciato in una soluzione salina e poi cotto su un yakitori predisposto con due livelli ulteriori di griglia) con una salsa alla Mugnaia di grande personalità, alleggerita usando il latticello e poi prezzemolo tritato abbastanza grosso e finger lime, per un piacevole gioco di masticazione. Licenza poetica le Melanzane alla Rossini in Sicilia, dove il filetto è una melanzana al vapore, il foie gras è ventresca di tonno sott’olio, la base è una crema di melanzane tipo babaganoush, il fondo è un ristretto sempre di melanzana e acetosa. Si spinge, quasi borderline, sulla sapidità con i Fagottini farciti di nduja con salsa alla Luciana di moscardini, vino rosso e nero di seppia. La Costata di manzo, cotta alla brace, con cipolla farcita di stracotto di coda di manzo al Marsala, salsa bernese all’acetosella con patate viola confit e un bouquet di misticanza creativa è un piatto con tanti (forse troppi) elementi e gioverebbe di un’indicazione (che avrebbe dovuto in realtà essere data) su come affrontarlo (tenendo gli elementi separati, partendo dalla carne e finendo con la misticanza).

Il dolce è perfettamente eseguito ma manca un po’ di originalità ma, nel complesso, Pandolfo si conferma essere un giovane talento in progressiva crescita, perfezionista, umile e molto attento ai commenti che lo possano aiutare ad alzare l’asticella sempre più in alto.

IL PIATTO MIGLIORE: Pesce spada alla mugnaia.

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