Si innamora della cucina in casa – il padre poliziotto era un cuoco provetto – e dopo aver frequentato controvoglia l’alberghiero ed aver collezionato numerose esperienze, negli alberghi di lusso e nei ristoranti di alta cucina (fra i quali l’Aqua Crua di Giuliano Baldessari), nel dicembre 2016 Salvatore Camedda apre la sua casa: Somu (dal sardo “sa domu”). Inizialmente a San Vero Milis, piccolo paese di 2500 abitanti a 30 minuti da Cabras, sua città natale. Dopo appena un anno e mezzo il ristorante si trasferisce nel pieno centro storico di Oristano, nei locali dell’Hotel Duomo, di fronte alla Cattedrale di Santa Maria Assunta.
La proposta è quella di una cucina creativa e leggera che utilizza sia ingredienti del territorio, come il pesce di Cabras e le farine del Sinis, sia materie prime provenienti da territori lontani, poiché lo chef sostiene che la qualità dell’ingrediente sia prioritaria rispetto alla vicinanza geografica. La carta dei vini è principalmente composta da prodotti regionali, dove fra vitigni più blasonati come Vernaccia e Vermentino ne spiccano altri da scoprire come Alvarega e Arvisionadu. Il servizio è nelle mani di Ilaria Musu, mentre i dolci sono firmati dallo stesso chef.
Roberto Petza ha aperto la strada ad una cucina creativa in Sardegna, ed è proprio a lui e allo chef Roberto Serra che Salvatore Camedda deve l’ispirazione, con l’idea di proporre una cucina più contaminata rispetto a quella dei colleghi, in un ristorante la cui proposta è fruibile anche nello spazio bistrò.
La carta propone una notevole varietà di piatti, presenti anche nei 3 menu: uno dedicato ai classici, uno ai sapori di mare e l’altro ai sapori di terra, tutti ottimamente prezzati considerato il livello della proposta. Nei piatti traspare la volontà di emergere all’interno di una ristorazione ancorata alla propria tradizione, un’indiscutibile conoscenza tecnica e l’esigenza di distinguersi con l’utilizzo, insolito a queste latitudini, di ingredienti esotici.
Se tutti i piatti presentano degli elementi interessanti, alcuni di questi non sono esuli da difetti: l’eccessiva crema di pistacchio a coprire il sapore della bottarga negli spaghetti (interessanti nell’insolita rivisitazione e nell’accostamento con i pistacchi) e la secchezza della faraona, seppur buona nella sua semplicità. Sul fronte dolce abbiamo notato una certa embrionalità, che si traduce in creazioni semplici e poco identitarie.
Con un paio di assestamenti, non abbiamo dubbi sul fatto che Somu diventerà una meta gastronomica isolana, che la clientela -locale e turistica- saprà apprezzare sempre di più.
Roberto Petza da tempo può meritatamente fregiarsi del titolo di pioniere, e tutt’ora alfiere, della fascia alta della ristorazione sarda.
I tempi del trasferimento di S’Apposentu dal centro di Cagliari sono lontani. Oggi, a distanza di anni, possiamo affermare, col sigillo che solo il tempo sa apporre, che nel piccolo paese di Siddi lo chef pare proprio aver trovato il suo habitat ideale.
Una territorialità mai compiacente e scontata si coniuga nel suo ristorante, come e più di prima, a una mano felice, garante del suo ormai consolidato e maturo magistero professionale.
I chilometri che separano Cagliari da Siddi nel corso degli anni sembrano sempre più lievi e quando si giunge al portone della casa padronale, ex rinomato pastificio, che ospita il ristorante e l’annessa scuola di cucina si può ben dire di aver compiuto un percorso iniziatico verso la quintessenza della moderna cucina sarda.
Il territorio è il punto di partenza. Dalla bidimensionalità della grande tradizione Roberto Petza ha raggiunto profondità ed eleganza tali da rendere più completa la sua cucina, attraverso un percorso durato almeno quattro lustri.
Piatti di una rusticità basica come l’Uovo poché in crema di patate, pancetta e cipolla e la Lasagnetta con ragù di pecora fungono da testimonianza del punto di partenza e al contempo da trait d’union verso quell’evoluzione al passo con i tempi che rappresenta il tratto distintivo dell’attuale cucina dello chef sardo.
La delicata Pizzaiola con tracina arrosto, lo squisito Fegato di rana pescatrice affumicato o la Quaglietta alla Vernaccia con pere in agrodolce sono piatti che celano attraverso una veste facilmente riconoscibile la volontà di rivelare sapori più modulati ed eterogenei.
Facilmente si uscirà soddisfatti da questa tavola di piacevolezza inversamente proporzionale alla notorietà di cui essa al momento gode anche grazie a un dehors che saprà dilatare ulteriormente il benessere in questo indirizzo sardo ricco di sorprendenti qualità.
Nel corso principale di Cagliari una famiglia per circa cinquant’anni, senza soluzione di continuità, ha rappresentato uno dei principali punti di riferimento gastronomici cittadini con una degna riproposizione di cucina del territorio.
Da qualche anno la terza generazione, rappresentata da Stefano Deidda, partendo dal consolidato ruolo acquisito nel tempo dal ristorante, ha praticato una significativa innovazione stilistica il cui perno essenziale ruota intorno all’utilizzo del tutto moderno di materie prime non più puramente destinate ad assecondare ricette sicure e affidabili ma ad assurgere al ruolo di protagoniste.
Lo chef ha perseguito questo processo di affinamento attraverso tecniche apprese in molti insigni indirizzi, italiani e non, e al salutare e formativo apprendistato effettuato all’ALMA di Colorno.
Il ristorante, piuttosto lineare e assai classico, è stato diviso in due parti, quasi di pari dimensioni, grazie alla presenza, pressoché d’ordinanza per qualsiasi impresa gastronomica che si rispetti, del bistrot “The Fork” titolare di piatti più semplici e veloci.
Nella sala ammiraglia Stefano Deidda è autore di una cucina pulita, franca, efficace che ha intercettato molto bene i codici gastronomici conosciuti, facendoli suoi, presentando gli ingredienti interpretandone le caratteristiche, senza artifici di sorta, con il risultato di preservare le loro peculiarità.
La sensazione finale è quella di trovarsi davanti a piatti molto validi pur se talvolta eccessivamente semplificati, privi di quelle complessità che avrebbero sviluppato maggiormente le potenzialità che le premesse permettevano di intravedere.
Ecco allora un polpo con crema all’aglio inappuntabile ma che lascia una netta sensazione di scolasticità come l’interlocutoria misticanza con malto e lievito che risente anche di un coté eccessivamente dolce rappresentato dalla rapa.
Ottimi il maialino affumicato alla betulla e lo sgombro croccante a dimostrazione di trovarci in una tavola dove i fondamentali sono molto ben conosciuti e che non dubitiamo saprà portare avanti il percorso evolutivo intrapreso dallo chef.
L’apertura di un ristorante è un processo in cui l’avvio rappresenta senz’altro una delle fasi più delicate.
Cominciare dal nulla o ricominciare dopo uno spostamento, è sempre, comunque, una scommessa che comporta diverse incognite. Cambia poco se lo chef in questione è un professionista navigato e di valore indiscusso come Roberto Petza, che da Cagliari nel 2010 si è trasferito nel cuore del medio campidano, a 60 km dal capoluogo per aprire S’apposentu.
Le complessità logistiche generali e la difficoltà nel reperire e assemblare un affidabile e adeguato staff sono sempre ostacoli difficili da affrontare, indipendentemente dal proprio blasone e di questo abbiamo avuto piena contezza nel nostro precedente passaggio.
Adesso che il processo di trasferimento ha raggiunto la fase di assestamento in un’istituzione territoriale, pur se geograficamente defilata, come casa Puddu (famiglia che in quel di Siddi ha espresso probabilmente il più alto magistero regionale nella produzione della pasta) lo chef è tornato a esprimere i valori che gli riconoscevamo in passato.
La traiettoria ha compiuto il suo percorso, il ristorante è ora a pieno regime con annessa scuola di cucina e tutto, non solo a livello di personale, è tarato a livelli tali che ci permettono di dire che finalmente Roberto Petza incarna pienamente il ruolo che gli compete: ambasciatore della cucina sarda tout court.
Il territorio da S’apposentu è, infatti, rappresentato in modo esauriente ed esemplare.
Esauriente per quanto riguarda l’ampio spettro degli ingredienti utilizzati: un vero e proprio piccolo vademecum filologico della cultura gastronomica regionale che spazia dal mare, presente con un apposito menù, alla tradizione dell’entroterra, che caratterizza ancor di più la ristorazione sarda.
Esemplare, poi, per l’indiscutibile padronanza tecnica con cui ogni pietanza è preparata.
Con tanta attenzione e capacità si potrebbe forse osare qualcosa di più, trascendendo le suggestioni del ricco patrimonio territoriale, anima del ristorante, che lega i menù a una matrice fortemente radicata nella memoria gastronomica locale; ma già così una sosta al S’apposentu, il salotto buono della cucina sarda, rappresenta una tappa imprescindibile per qualsiasi goloso che orbiti in Sardegna e, segnatamente, dalle parti di Cagliari.
Una zuppa di fregua ai pesci di scoglio come si deve, gli impeccabili e golosi ravioli di pecorino e cipolla, la ricciola con verdure in agrodolce, lo squisito polpo in eccellente salsa di senape, sono solo alcuni esempi dell’esperienza che attende chi arriva da S’apposentu, piccola oasi del bon vivre gastronomico isolano, dove è anche possibile attingere da una lista dei vini, per lo più sardocentrica, piacevolmente insolita sia per cantine selezionate che per ricarichi applicati.
Chips di mais con quenelle di ricotta ed erba cipollina, noci e pralina di maialino
Pane.
Grissini e pane carasau.
Cozze fritte con semola e alga nori, crema di rucola, bottarga.
Le lumache in verde, peculiarità del territorio, con mandorle tostate al profumo di limone.
Polpo arrostito con susine in salsa di senape, pane alle erbe e ceci, davvero ottimo.
S’ou cun bagna: uovo poché con salsa di pomodoro al basilico, verdure e pane croccanti. Un po’ rustico, forse, ma piacevolmente caratteristico.
Zuppa di fregua (semola fatta a mano) ai pesci di scoglio con crostini, basilico e agrumi.
Brodo di pecora, pesciolini di scoglio ed erbe aromatiche con ravioli di formaggio acido (casu axedu).
Vellutata di ceci con polpettine di salsiccia al finocchio, gnocchi di formaggio alle erbe, chips di cotenna di maiale.
Spaghetti con salsa di pomodori al basilico e limone, cozze fresche.
Ravioli di cipolla margherita e pecorino, salsa di pecorino stagionato e noci, fiori di basilico, pepe e pomodoro secco.
Ricciola di fondale con verdure croccanti e in agrodolce, gamberi freschi su acqua di pomodoro e basilico.
Stinco di maiale in due cotture: bassa temperatura e ripassato alla brace, melanzane arrostite, pane alle spezie, salsa di prugne.
Sorbetto di susine e crumble di mandorle.
Cannolo croccante, crema al cardamomo, pera al cannonau e composta di limoni
Gelato allo zafferano di San Gavino, gatò di mandorle, miele, sapa.
Millefoglie, pesche caramellate, sorbetto di pesca, crema alla liquirizia.
Tortino di cioccolato, gelato alla vaniglia, susine e composta di pere.
Petit four
Un grande vino: solo uve granazza del territorio di Mamoiada per 16° di grande personalità.
Interno
Colori…
Nel 1985 un gruppo di operatori della laguna di Nora costituì una cooperativa per gestire il patrimonio lagunare, trasformandolo in un’oasi di preservata e salvaguardata tranquillità nei pressi dell’antica città fenicia di Nora, facente parte del comune di Pula.
Contribuire alla formazione di una coscienza ecologica rispettosa dell’equilibrio dell’ecosistema è stato il primo obiettivo di un processo che ha portato alla formazione di un piccolo parco, dove è possibile visitare l’aquarium, fare birdwatching o snorkeling in un angolo di natura incontaminata, nei pressi di spiagge meravigliose e di un sito archeologico di grande interesse.
Non poteva mancare, per completare degnamente tale progetto, la presenza di una ristorazione semplice, per famiglie, ma non solo, che offrisse la possibilità di gustare una sana e piacevole cucina di pesce in un ambiente dalla bellezza primitiva.
Nel 2012 si è deciso di affidare al bravo Manuele Senis, già brillante allievo di Roberto Petza e titolare di varie esperienze all’estero, le redini di questo piccolo ristorante stagionale, aperto solo sei mesi l’anno, affacciato direttamente sul mare, da cui è diviso solo da una vetrata.
La scelta è stata quella di selezionare, rispettando rigorosamente la stagionalità e i cicli riproduttivi, una materia prima costituita non necessariamente da razze pregiate, ma anche da quelle definite “neglette” dagli stessi gestori, come caponi, sgombri o muggini dalla indiscutibile freschezza, presentandole in modo essenziale e genuino, con pochi e chiari accostamenti.
Un angolo di ristoro di vero valore, in una regione che tende a delegare esclusivamente ogni delizia alle bellezze naturali di cui è ricchissima.
Così, approfittando del comodo e invogliante menù degustazione di soli 38 euro, o scegliendo liberamente da una carta contenuta ma interessante, sarà possibile assaggiare con piena soddisfazione, tra le altre pietanze, una buona tagliata di capone con susine cotte e crude, una fresca insalata di prosciutto di muggine con sedano e rape rosse e una gustosa ricciola di fondale con variazione di pomodori e capperi.
Rustica mise en place.
Bottarga di muggine con zuppa di pesche, prugne e fichi d’india, ricotta alla menta.
Tagliata di capone, susine cotte e crude, croccante alla paprika.
Prosciutto di muggine, rape rosse, sedano, croccante al nero di seppia.
Crema di ceci, polpo al rosmarino e porri fritti.
Fettuccine con cozze, melanzane, pecorino e basilico.
Ricciola di fondale, pomodori, capperi.
Mousse di yogurth, fichi flambati alla Monica (vino rosso locale) e croccante alle nocciole.
Savoiardo al caffè, crema al mascarpone, nocciole.
Tortino di carote e mandorle, spuma di formaggio fresco, olive nere e farro soffiato al miele.
Dalla limitata lista dei vini, un’autentica sicurezza
Grafico della Laguna di Nora.
La passeggiata per arrivare all’ittiturismo lungo il terrapieno che separa il mare dalla laguna.
Le rovine di Nora con la Torre di Sant’Efisio sullo sfondo.