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L’Arcade

Nikita Sergeev è, lo tradisce il suo nome, un giovane, anzi giovanissimo, ragazzo di origini russe, divenuto ormai marchigiano d’adozione. Vive in Italia da oltre 15 anni e qui ha imparato il mestiere di cuoco, sua grande e profonda passione.

Dopo aver frequentato l’Alma, Nikita ha deciso di aprire il suo ristorante nella terra che lo ha adottato e cresciuto. Di buon gusto, l’Arcade è e vuole essere il ristorante di riferimento di Porto San Giorgio, complice il fatto di avere al timone un cuoco che in brevissimo tempo sembra aver appreso al meglio le basi della cucina italiana. Metodico, esteta e scrupoloso, Nikita propone una cucina personale, molto diretta e dai tratti assai interessanti. Piatti come i tortelli di rapa rossa e anguilla o il piquillo con brodo di faraona allo zafferano e tartufo denotano una complicità con fuochi e pentole, tanto da tenere alla larga da queste preparazioni l’ombra della banalità, qui elegantemente lasciata in disparte.

Però tutto questo non basta, non deve bastare. Da uno come lui, colto e intelligente, ci aspetteremmo molto di più. Innanzitutto sulla ricerca della materia prima. Che in questa nostra visita ci è parsa scontata, seppur di ottima qualità, e a tratti anonima. Capesante e gamberi presi lontano e, sopratutto i secondi, pensiamo decongelati… perché?

Siamo a Porto San Giorgio, vicino al mare. E’ così difficile cercare tra i pescatori della zona qualche prodotto più local e meno global? Quel risotto aveva bisogno di una nota dolce a stemperare l’irruenza dello scalogno e quel gambero raffinava il vero protagonista della preparazione, il sedano rapa cotto nel brodo del lardo, grandissimo colpo di genio e d’ala di una cucina che non vuole scendere a compromessi ma che spesso fa saltare gli equilibri.

Potenza senza controllo, in sintesi. Irruenta, maschia a tratti troppo sapida o troppo, veramente troppo, amara, tanto da rendere stordente un piatto che potrebbe anche essere interessante. Quei trucioli di seppia nostrana -questa sì- limone bruciato ed extravergine e salvia, in cui sia il limone bruciato che l’oliva davano una virata quasi rancida nella preparazione. Virata che sarebbe stata mitigata dagli equilibri, rivedibili, o dalla tecnica di lavorazione.

Idee tante, spesso strabordanti. Belle, divertenti e anche originali. Forse qualche lacuna tecnica ancora da colmare e qualche irruenza da placare. E ci siamo permessi questi appunti diretti e affilati, come affilata e diretta è la cucina di Nikita. Perché siamo convinti che la sua crescita, vista la giovane età, sia tutt’altro che compiuta. E che abbia nel contempo ampi, ampissimi margini di crescita e di evoluzione.

Già oggi comunque, una tappa interessante per chi si trova in questo stupendo angolo del litorale marchigiano.

Il benvenuto della cucina.
Arcade: Il Benvenuto
Bulgur, bisque di crostacei, riccio. Freddo il bulgur e troppo sapido l’insieme. Ottima l’idea, meno felice l’esecuzione.
Arcade: Bulgur, bisque di crostacei, riccio
L’ottimo pane in accompagnamento.
Arcade: Pane
Ostrica, cetriolo, spaghetto di mare.
Arcade: Ostrica, cetriolo, spaghetto di mare 1Trucioli di seppia nostrana, limone bruciato ed extravergine.
Arcade: Ostrica, cetriolo, spaghetto di mare 2
Gamberi rossi di Mazara, finto lardo, finger lime e coriandolo.
Arcade: Gamberi rossi di Mazara, finto lardo, finger lime e coriandolo
Alcuni degli ottimi accompagnamenti del maitre/sommelier.
Arcade: Vino 1
Arcade: Vino 2
Arcade: Vino 3
Piquillo, brodo di faraona allo zafferano e tartufo. Strepitoso.
Arcade: Piquillo, brodo di faraona allo zafferano e tartufo
Tortelli di rapa rossa e anguilla. Qui il connubio aromatico-grasso-fumè dell’anguilla al cospetto della terrosa dolcezza della rapa. Chapeau!
Arcade: Tortelli di rapa rossa e anguilla
Riso, scalogno, capasanta. Ottima l’idea di addolcire con la capasanta, non locale, un riso molto aggrappante ed estremo, virante verso l’amaro-acetico.
Arcade: Riso, scalogno, capasanta
Altro accompagnamento.
Arcade: Vino 4
Guanciola di tonno brasata.
Arcade: Guanciola di tonno brasata
Lampone, mandarino, uva fragola.
Arcade: Lampone, mandarino, uva fragola
Altri abbinamenti…
Arcade: Vino 5
Arcade: Vermouth
Visciole, mandorle, dragoncello e meringhe.
Arcade: Visciole, mandorle, dragoncello e meringhe
La piccola pasticceria.
Arcade: La piccola pasticceria.

Le imprese di Alain Ducasse sparse per il mondo possono essere considerate a buon diritto dei veri e propri McDonald’s per gourmet.
Non appaia blasfema tale affermazione.
Come la nota catena funge per l’orbe terraqueo da punto di riferimento per chiunque voglia sfamarsi con menù omologhi a qualsiasi latitudine e longitudine, allo stesso modo quelli che hanno maggiori pretese della semplice sazietà possono trovare negli indirizzi ducassiani sparsi ormai ovunque per il mondo un approdo sicuro con un’offerta gastronomica calibrata e garantita.
La sua è una ricetta semplice: piatti classici del repertorio Alain Ducasse, alta qualità della materia prima e una strizzatina d’occhio al terroir dov’è ubicato il ristorante e via andare per soddisfare ogni affamato buongustaio.
Così dopo aver fatto in città un paio di esperienze che mi avevano lasciato a dir poco perplesso, ho ristabilito il giusto rapporto con la ristorazione haut de gamme provando la cucina di Stephan Gortina alter ego dello chef in quel di San Pietroburgo.
Il ristorante è ospitato all’interno della catena degli hotel di design “W” e caratterizzato da mise en place e atmosfere molto easy che non hanno nulla a che vedere con la sontuosità monegasca del Louis XV né con la sua sublime opulenza gastronomica, tutta di stampo Ducasse-Cerrutiano.
Qui tutto è progettato per un’offerta più austera e decisamente meno sfarzosa e luculliana, mirata comunque al benessere del cliente.
E’ un piacere infatti sedersi, poter scegliere un bel vino senza svenarsi e assaggiare piatti di golosità assoluta come un maialino da latte cotto in modo impeccabile da leccarsi le orecchie, un beef da applausi con un adeguato sughetto al tartufo per finire con un babà di fattura partenopea o, volendo, degna di un Jacques Genin.
Meno significative magari la giovanilistica sogliola, pur fritta in modo ottimale, o l’halibut sovrastato dagli accompagnamenti, comunque classificabili come particolari secondari in un contesto di assoluta piacevolezza.

Sala

Amouse bouche

Ottimo pane, cosa da non dare mai per scontata.

Variazione sul tema club sandwich.

Coniglio in porchetta con insalata.

Sogliola fritta, fast food style, con salsa tartara.

Tournedos di manzo, sedano rapa, scalogno, funghi, tortello alle erbette e sugo al tartufo.

Maialino da latte croccante, mostarda e….

…terrina di parmigiano, mascarpone e zucca.

Halibut brasato, generosamente accompagnato da sugo di pollo, salsa champagne…

…e semplici spinaci.

Montblanc.

Notevole babà con panna.

Un grande vino.

Seconda sala, interna, del ristorante.

Ingresso dell’albergo.

Hermitage.


Il Grand Hotel Europe di San Pietroburgo è un’autentica istituzione.

Non soltanto perché è uno degli alberghi più vecchi della città ma anche perché è quello che ha visto passare per le sue avite stanze ogni sorta di celebrità, nazionale e non, che ha soggiornato a San Pietroburgo. Persino ora che è avvolto da imponenti lavori di ristrutturazione il peso della sua storia è tangibile in modo evidente.

E’ una vera e propria cittadella a sé stante, con negozi, bar, diversi bistrot addirittura di cucina italiana e cantonese, saloni, corridoi. Ovunque barman, concierge e portieri vari in livrea sembrano avere chiaramente, più di altri, il compito di oliare i meccanismi che rendono la struttura quella che è. Può capitare, una volta dentro, di sbagliare strada, ma subito solerti inservienti sanno gentilmente indicarvi, in un inglese approssimativo ma efficace, la giusta indicazione. Vi capiterà anche di notare statuarie e pazienti signorine sedute su comode poltrone intente, forse, ad aspettare Godot.

(altro…)

Viaggiare è uno dei piaceri della vita.
Conoscere nuovi posti però, per chi ha la divorante passione gourmet come noi, non basta.
Mai.
Si cerca sempre, anche se magari non lo si confessa neanche a se stessi, un indirizzo, un’occasione per conoscere o approfondire realtà gastronomiche meglio ancora se lontane dalle nostre abitudini.
Il più delle volte, poi, per noi appassionati la meta è proprio il ristorante, o, meglio, lo chef, e, in seconda battuta, ma a diverse incollature, la località.
Stavolta no: la meta è, indiscutibilmente, la città, in questo caso, oltretutto, bella di una bellezza vetusta e ricca di storia e cultura.
Anche in circostanze come questa, come detto, il desiderio, anzi, l’istinto, a completare la “visione” del luogo spinge alla ricerca di tavole che possano offrire l’opportunità di placare il nostro demone personale.
Le fonti cui attingere informazioni gastronomiche su una città come San Pietroburgo non sono classiche, siamo in un paese non esattamente al centro dell’attenzione rispetto ai fermenti culinari altrove profondamente presenti.
Il tam tam del passaparola langue in modo quasi totale.
La selezione operata raccogliendo e cercando di interpretare il web ha portato a individuare un paio di indirizzi, il primo dei quali è questo Palkin ubicato al primo piano di un palazzo direttamente affacciato sulla Prospettiva Nevskji.
Se i luoghi comuni non sono forse lo strumento migliore, in generale, per filtrare e interpretare la realtà devo dire che in questo caso ci troviamo di fronte a un’eccezione alla regola.
Chiunque riesca a immaginare un ristorante russo per ricchi oligarchi dove, da un momento all’altro, potrebbe entrare Putin o chi per esso e nel quale l’affettazione del giovane personale di sala è così sopra le righe da sembrare quasi parodistica, beh dovrebbe passare una serata al Palkin.
E’ un teatro con tutti i crismi: luci soffuse (da qui la qualità delle foto) adatte a incontri romantici (o clandestini), pianoforte e sala da ballo integrati nel ristorante, quadri alle pareti dall’estetica equivoca e un servizio che definirei teatrale piuttosto che efficacemente preparato tale da non risparmiarci neanche la trita e pomposa nuvola d’azoto liquido.
E la cucina?
La cucina?
Giusto. La cucina.
Adeguata, oserei dire, al contesto.
Cioè assolutamente secondaria.
Buone zuppe d’ordinanza, salse alquanto approssimative se non superflue, una signora Wagyu accompagnata da pomodori eccessivamente dolci, patate grondanti olio e, alla fine, una millefoglie che denota una certa confusione al riguardo.
Coerente a tutto ciò mi è sembrata la carta dei vini tarata, per usare un eufemismo, su ricarichi inavvicinabili.
Alla fine, non fosse per l’eccessivo prezzo pagato, l’esperienza mi è sembrata comunque didatticamente interessante e persino divertente.
Anche se difficilmente ripetibile.

mise en place

Pane

Burro

Amuse bouche. Salmone e aioli.

Shchi (e non sushi :-)): tradizionale zuppa di crauti.

Dressing della zuppa: panna acida all’aglio e senape al miele.

Zuppa di barbabietole con bacon affumicato e pasticcini all’aglio.

Dressing della zuppa: panna acida all’aglio, cipolla ed erba cipollina.

Intervallo(??) con frutti rossi e mela con scenografica(sic!) presentazione all’azoto liquido.

I frutti rossi come apparivano alla fine della magia….(almeno erano buoni).

Storione con salsa di crostacei, olive e funghi all’arrivo dalla cucina.

Presentazione dopo la pulizia al gueridon.

Salsa addizionale(ancora sic) con panna, vino bianco e midollo.

Wagyu beef “3” con pomodori confit e patate fritte(unte, molto unte).

Torta di mele, molto buona, gelato alla vaniglia, ciliegie.

Millefoglie(??)con biscotto al cocco, mousse al cioccolato bianco, tuile ai lamponi e mousse al cioccolato, crema alle ciliegie.

Crema calda alle ciliegie da aggiungere a volontà.

Il danno minore che era in carta, giusto perché non riesco a pasteggiare ad acqua.

Arte in sala(?)

Altra arte in sala(??)

Indicazioni(strasic)con foto dei piatti.

Bar annesso al ristorante.

Nevskji prospekt.