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Roseval

Peripherique di Parigi, 4 Luglio 2012.
L’iimmancabile bouchon che ci accoglie lungo la rampa d’uscita ospita il nostro primo contatto col mondo civilizzato dopo i 500 chilometri di autoroute da Lione. Ciak. Si affianca Suv targato F ma con sospetto toro griffato dietro. I finestrini si abbassano, tre mani come una sola ne escono sventolando ciascuna quattro impertinenti dita, e parte il coro “italianos, cuatro a cero!”. E poopopoppoppopooopooo. Neanche un coro loro, sanno creare, e son convinti di aver inventato il calcio. Il Suv allunga, non ci resta che incassare la solidarietà di un camionista francese, che dalla prima corsia mi ricorda che abbiamo giocato bene e che dobbiamo essere orgogliosi di quella che i telecronisti francesi chiamano La Squadra. A proposito: in barba a qualsiasi credenza, i commentatori di TF1 hanno tifato spudoratamente per noi almeno fino all’uscita di Motta. Da lì in poi si son comprensibilmente dedicati alla celebrazione del trionfo imminente della Roja.
Ha ragione il camionista, comunque. Dobbiamo essere orgogliosi dei ragazzi di Prandelli. E dobbiamo esserlo anche di tanti altri che all’estero ci vanno non per tirare calci ad un pallone ma per svolgere lavori meno remunerativi ma certamente più impegnativi. Gente che in tutto il mondo fa molto di più di governi, ambasciatori e popstar per abbattere l’apparentemente inossidabile immagine di italiano pizza spaghetti mandolino mamma mamma sai chi c’è è arrivato il merendero.
Simone Tondo ha ventiquattro anni, età alla quale (e di questo dovremmo invece essere tutt’altro che orgogliosi) nel nostro Paese nessuno, in banca in particolare, ti prenderebbe sul serio. Eppure con il socio inglese Michael ha aperto il proprio locale nella giovane e multietnica (quasi monoetnica, in effetti) Menilmontant, nei pressi di Belleville. Sardo, cresciuto prima a casa con Andreini e Petza e poi in Francia con Colagreco prima ma soprattutto a Parigi come sous chef di Giovanni Passerini e Petter Nillson, Tondo ha già accumulato esperienze sufficienti per esprimere le proprie idee culinarie senza paura. Idee che sono di grande pulizia, di equilibrio e leggerezza e che sono frutto di un approccio sorprendentemente maturo ai sapori.
Fantastico, per esempio, il capocollo di maiale con melanzane e pompelmo. L’acido e l’amaro che completano il cast di supporto non tolgono affatto spazio al pezzo di carne, succulento e di giusto spessore. Nonostante i soli 42 euro del menù con formaggi (35 senza) non ci sono solo materie “povere”. Ecco quindi gli scampi con nocciole, pak choi e kumquat, arricchiti dal bouillon fatto con i crostacei, piatto schietto, perfetto tanto nell’esecuzione millimetrica quanto nella concezione logicamente ammirevole. L’abilità nel costruire piatti allo stesso tempo facili ed interessanti non viene persa nel dessert, con una ganache che si accompagna a pesche, crumble di sablé e mandorle dolci ed amare in gelato (da urlo).
Il locale al momento della nostra visita era aperto da soli 3 giorni e in tanti casi, nella stessa situazione, abbiamo scelto di uscire senza valutazione. L’impressione netta che ho avuto è però che il locale, già pieno nelle prime 2 settimane, viaggi già per qualche mistero a velocità di crociera. Crescerà, naturalmente, allineandosi in poco tempo alla valutazione che per il momento è ritoccata appena verso l’alto. Ma non credo affatto sia una scommessa azzardata.

Ravioli di ricotta affumicata, aglio e prezzemolo con pane sbriciolato alle acciughe, olive, fagiolini, rucola e limone.

Scampi, pak choi, nocciole, mandarino cinese e bouillon.

Seppie, cipolle in crema e midollo.

Capocollo di maiale, crema di melanzane arrostite e pompelmo.

Formaggi.

Predessert: limone e lampone.

Cioccolato, mandorle dolci e amare, pesche e sablé.