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Imágo

Continua la crescita di Andrea Antonini

Una crescita continua e a nostro avviso inarrestabile. Andrea Antonini, ne siamo convinti, non ha ancora mostrato interamente tutto il suo valore. Sta ancora prendendo le misure, sta passo dopo passo facendo crescere la sua idea di cucina all’interno di un luogo che ha giustamente tanti vincoli e deve tener conto del contesto. Ma la continua e progressiva evoluzione che sta compiendo la sua cucina la indica con il numero del menù, ad oggi l’ottavo da quando ha varcato per la prima volta la soglia di questo straordinario albergo.

Non dimentichiamoci l’età, 31 anni, e il curriculum di tutto rispetto che ha alle spalle, che bene abbiamo già raccontato qui. Queste sono condizioni necessarie ma non sufficienti per fare di un cuoco un potenziale grande cuoco. Servono anche idee, passione, tecnica… in poche parole, talento. E di talento dalle parti di Trinità dei Monti ne abbiamo trovato davvero molto.

La partenza, gli amuse bouche, così ricchi e articolati – qui si nota l’influenza del percorso spagnolo e crippiano – sono a dir poco paradigmatici di ciò che vi aspetta nel prosieguo. Una rilettura dell’italianità in cucina costruita su basi tecniche e inventive notevoli. Fine ed elegante il tagliere iniziale, apparentemente una selezione di prodotti, sì, ma che prodotti! Proporzioni e gusti concatenati perfettamente. E poi l’infilata di snack, tutti con un senso compiuto gustativamente parlando. Senza dimenticare il gioco, una componente cara al cuoco romano, che pare ancora più evidente nelle portate successive. Prugne e parmigiano nella crocchetta ? Al gusto, ad occhi chiusi, un erborinato… Qui inizia il gioco, senza terminare mai.

Nel Misto di mare un tripudio di piatti e porzioni che ironizzano sul gran misto pesce ma che al contempo fissano l’asticella del gusto e delle preparazioni molto in alto, con Alici e puntarelle, piatto caleidoscopico e delizioso nei sapori espressi. Il gioco continua con il fake risotto e la fake pasta, così soprannominati da noi perché trattasi di un risotto alla milanese eseguito al 100% con un calamaro e una splendida pasta di patate (non con patate) con zabaione salato al tartufo. Un tripudio anche la Faraona alla diavola, senza dimenticare il piatto che più ci ha colpito e intrigato: quel Carciofo e animelle che ci ha fatto intravedere le vere e reali potenzialità del cuoco. Un occhiolino strizzato appena all’umami, all’amaro, alle note tostate.

Cucina di palazzo? Cucina accomodante e confortevole? Solo all’apparenza. Il movimento sul fake, sulla trasposizione, sulla non-identificazione prosegue e proseguirà in questa direzione, crediamo con piccoli passi verso una identità ancora maggiore di gusto e intensità. Perchè i piccoli passaggi continui e costanti modificano senza apparire, rivoluzionano senza ostentare. E crediamo che nelle corde dello Chef ci sia molto di più e ancora tanto da vedere. Anche la dispersione dell’estetica di impiattamento crediamo sarà più indirizzata verso concentrazione e semplificazione, seppur apparente. Ci auguriamo che la strada verso la crescita di intensità e identità sia ancora lunga e piena di incrementi e che porti ad un cambio di colore, oggi oro ma in futuro certamente rosso, che non solo auspichiamo ma anche caldeggiamo.

Un plauso finale anche alla parte dolce, precisa come in pochi altri luoghi, e che ci ha divertito non poco.

Ad affiancare questo grande talento Marco Amato, storico padrone di casa e Alessio Bricoli, sommelier, entrambi talentuosi uomini di sala che sanno stare al passo di un cuoco di sicuro avvenire.

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Esperienze parallele, l’Omakase di Anthony Genovese

Anthony Genovese continua inarrestabile la sua crescita, anche dopo aver superato la soglia della apparente maturità. Lo fa con idee e contenuti davvero personali. Supportato ormai da tempo dal suo restaurant manager, Matteo Zappile, che è molto di più di una spalla. È il completamento di un cerchio che si chiude o, se la volete vedere così, l’incontro di due rette parallele che si intersecano all’infinito, alzando in continuazione l’asticella e spingendosi reciprocamente, senza mai sovrapporsi.

L’Esperienza Parallela di cui vi parliamo qui riguarda il progetto di un ristorante nel ristorante. Una sorta di Omakase dello Chef, prenotabile da 2 a 6 persone al massimo, in un luogo appartato e con servizio dedicato. Una tendenza in atto, questa, che sarà destinata a replicarsi in molti, moltissimi locali. Da un lato il ristorante, di grande livello e di grande qualità, dall’altro una esperienza ancora più audace, avanguardistica, profonda.

Il menù, 14 passaggi, ripercorre tutta la storia di Anthony Genovese e proietta la sua cucina verso vette ulteriori. I primi passaggi, folgoranti, hanno sancito definitivamente ciò che pensiamo da tempo: qui ci troviamo nel miglior ristorante di Roma capitale, senza se e senza ma. Come una Tatin, Mela, Rapa e Patate nasconde dietro l’apparenza di un prototipo di cucina di palazzo una serie di irriverenti sfumature speziate che solo il tocco di questa mano poteva pensare e assemblare. Un sottobosco di una profondità unica. Seguito da un altro colpo da maestro, Ostrica, rafano e coda di bue, che trova un connubio tra un brodo romano e un mitile bretone. Pare un uovo di colombo a cui però nessuno aveva mai pensato, sensazionale! Si prosegue poi con il terzo colpo ben assestato, quel Piccione a Pechino tanto rischioso – i piccioni ormai proliferano sulle grandi tavole da tempo – quanto originale, difficile ricordarne uno di tale intensità aromatica.

Proseguiamo poi con molti piatti divertenti e intriganti per poi approdare alla Faraona, magistralmente cotta, sugosa, tenera con pelle croccante accompagnata da un Pithivier semplicemente splendido. L’Astice poi, che racchiude un condensato della timbrica dello Chef, ci ha fatto volare tra India e Giappone, passando per Francia e condendo con pizzico di Italia. 

Una cucina, quella di Anthony Genovese, intensa e vibrante come non mai, ancora più in alto a quanto ci aveva abituato. Andateci! Senza esitazione e al più presto.

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Il monte delle muse

Se anticamente le Muse avevano dimora sul Monte Parnaso, a Roma, ai giorni nostri la situazione si capovolge; nel panoramicissimo Piazzale delle Muse trova spazio Parnaso. Lo storico locale delle feste parioline anni ’80 si è completamente rinnovato negli ambienti ma anche, e soprattutto, nella cucina, che ha abbandonato ogni nostalgia per riscoprirsi giovane e brillante, pur mantenendo un’impronta classica. 

Questa veste tradizionale sembra, tuttavia, più dettata da un’esigenza di menù che una decisione della cucina. Tal scelta potrebbe rappresentare una limitazione alla quale, tuttavia, lo Chef Matteo Carosi risponde con estro e curiosità che, se pur imbrigliati, non faticano a emergere con richiami ad Oriente appena possibile. L’augurio è che tale scelta, anziché un rischio, possa rappresentare l’occasione per mettersi ancor di più in gioco e trovare nuove alchimie in una proposta a mano libera che potrebbe contemperare le due anime e, consentendo di lasciare inalterata la linea del locale, potrebbe lasciare libera la brigata di sperimentare, divertendosi.

Tradizione, distinzione

Come detto, l’offerta generale cerca di conquistare con il gusto e il comfort più che con la sorpresa, senza però mai rinunciare all’estro, sia esso introdotto da una tecnica, da un ingrediente o da una salsa di accompagnamento. Ne sono un esempio il Caviale di tuorlo d’uovo che coccola l’ottima Battuta di manzo e i ricci che sublimano ed ingentiliscono col valido supporto delle polveri di liquirizia e cipolla bruciata. Così come l’esplosivo Ristretto di mare delle linguine (pastificio Gentile) e la riduzione di calamaro che, insieme al salmoriglio scomposto, attribuisce al Broccolo rosticciato e al Calamaro stesso la giusta combinazione di gusto e sapore.

Se dovessimo indicare il piatto che esprime al meglio le potenzialità della cucina, probabilmente punteremmo sulla Ricciola, soda, saporita, gustosa. Una parata di sapore perfettamente scortata nella sua marcia dal gel allo zenzero e dalla salsa tartara. L’aneto, la misticanza, il caprino e l’olio alle erbe che la accompagnano completano il corteo. La particolarità di questo piatto è nella consistenza del pesce che è prima sottoposto a una marinatura agrumata a secco con sale e zucchero, poi trattata a bassa temperatura per pochi minuti e infine scottata con il cannello.

Il filetto di Maialino, presentato nuovamente anche sotto forma di raviolo, così come il Plin, sono probabilmente poco adatti al clima estivo ma riflettono scelte di cui difficilmente ci pentiremmo anche nel più caldo dei giorni. Veramente interessante l’offerta dei dessert; in particolare ci hanno colpito i Bignè craquelin, così buoni da meritare un ruolo da protagonista più che da semplice pasticceria da fine pasto.

Qualche imprecisione nel servizio: il personale di sala, composto principalmente da giovani leve, pur primeggiando in impegno e buona volontà, non riesce a garantire il livello qualitativo che troviamo nei piatti. Anche la carta dei vini potrebbe essere ampliata, incrementando l’offerta (qualche proposta più particolare sarebbe benvenuta); i ricarichi restano comunque giusti e mai esagerati.

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Anabasi e Catabasi

Uno dei salotti più interessanti di Roma, dall’estate del 2021, ha riaperto i battenti in maniera permanente e definitiva. Ed è una gran bella notizia perché al timone della cucina c’è Daniele Lippi, un giovane Chef dalle idee chiare e con personalità e tecnica per metterle in pratica. Fa parte della scuderia di Paolo Troiani, un nome che a Roma ha forgiato diversi giovani di valore, non ultimo il compianto Alessandro Narducci, il precedente Chef di Acquolina, prematuramente scomparso in un tragico incidente nel 2018, e l’ottimo Giulio Terrinoni. Daniele Lippi dopo l’apprendistato decennale al Convivio Troiani ha affinato le proprie qualità in diversi stage da maestri assoluti come Enrico Crippa e Yannick Alleno, che hanno arricchito con evidente profitto il bagaglio di esperienza nonché la crescita di un professionista che, al momento, si accredita come titolare di una delle tavole più interessanti di Roma.

Il suo menù principale “Anabasi Catabasi” rappresenta, già nella suggestiva e letteraria evocazione, efficace dichiarazione di intenti che rende pienamente l’idea del saliscendi di sensazioni che, in un continuo e costante intreccio di rimandi e sollecitazioni, vede congiungersi efficacemente peculiarità di mare e quelle di terra. Comunione che non si realizza attraverso semplice e consueto accostamento, surf and turf, di carne e pesce, ma instaurando un vero e proprio dialogo tra loro dall’esito assai produttivo. Il tutto con sensibilità e originalità non di poco conto e in un ambiente elegante e ovattato che, pur essendo nel pieno centro di Roma, permette di godere dell’esperienza con la dovuta tranquillità.

Fermentazioni, acidità e trompe-l’oeil

Se il buongiorno si vede dal mattino allora gli amuse bouche rappresentano già promettente biglietto da visita non solo per la loro fattura ma per come esprimono, compiutamente, la volontà di solleticare diversi registri gustativi. L’utilizzo calibrato di fermentazioni, gradienti di acidità e composizioni di sapori si accompagna a presentazioni formalmente interessanti che non disdegnano persino qualche piccolo trompe-l’oeil. È il caso della Ricotta, costituita di latte di mandorla, che funge da degno comprimario ai ricci o del Fungo cardoncello che sostituisce felicemente la lumaca di mare grazie alla sua texture e allo squisito fondo e caviale delle lumache stesse.

Più in generale ogni piatto persegue un disegno che non si risolve nella bidimensionale esaltazione di questo o quell’ingrediente quanto, piuttosto, in preparazioni che, attraverso più composite stratificazioni, rendono l’esperienza assai soddisfacente. Sintomatico il Crudo di ricciola che si arricchisce delle sfumature di una soia di lenticchie che nappa felicemente il piatto insieme alla dolcezza, invero assai modulata, del cachimela e del regale foie gras. Solo il dolce, un’ode quasi banale al cioccolato, stona per stile e diversa leggerezza con un percorso che ha lasciato la piena percezione di un talento da seguire con attenzione.

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Un’audace cucina contemporanea

Durante il proibizionismo le Autorità chiudevano un locale che avesse venduto alcolici apponendo i sigilli e la scritta “Barred!” all’esterno. Oggi, questo nome ha perduto ogni connotazione punitiva (sebbene resti un memento delle lunghe peripezie burocratiche che i fratelli Palucci hanno dovuto affrontare per aprire il locale) diventando, invece, un richiamo per chi vuole sperimentare una cucina contemporanea a tratti audace, dove pochi ingredienti, quasi sempre umili, sono esaltati dalla tecnica e dagli abbinamenti.

È proprio negli accostamenti che la proposta dello Chef Tiziano Palucci (con un passato da Marzapane) trova la sua particolarità e meglio esprime la sua idea di cucina. La Lingua, beurre blanc e uova di pesce sintetizza l’idea alla base del locale; due ingredienti lontani e raramente accostati si sposano perfettamente, esaltandosi vicendevolmente a cercare il contrasto, e suonando all’unisono una piacevole melodia culinaria. La cottura e l’insolito spessore della carne completano una preparazione veramente riuscita. Discorso analogo può essere fatto per il Ceviche di persico, mandorle e chorizo; in questo caso l’armonia del piatto, potenzialmente compromessa dal gusto deciso del salume, è salvaguardata dalla generosità del taglio del pesce che permette di mantenere la coerenza nell’abbinamento, scongiurando rischiosi sbilanciamenti e consentendo a ciò che poteva sembrare un azzardo di trasformarsi in un interessantissimo alleato nell’esaltazione del gusto. 

Fra il valzer ed il Rock and Roll

Quando ormai ci eravamo abituati all’armonia e all’elegante metrica delle portate siamo rimasti sorpresi dalla vena rock della Lasagnetta di agnello. L’ottimo stracchinato acido regala il giusto slancio, sferzando le papille ad ogni boccone. Proprio questa spinta di sapore è invece poco presente nella Palamita alla diavola e cicoria arrosto. Dalla premessa del titolo ci aspettavamo una maggiore personalità: la materia prima è trattata con il rispetto che le si deve, l’aglio fritto è sfizioso, così come la cicoria, ma il piatto pecca di poco carattere. Probabilmente una maggiore attenzione al “diavolo”, anche solo in forma di salsa di accompagnamento, per non spaventare i più timidi, avrebbe sicuramente rappresentato un plus.

Plauso particolare, invece, alla pasticceria, in grado di accontentare gli amanti del “dolce” e quelli di un fine pasto meno tradizionale. La Tartelletta di caramello salato è scolastica, giusta, fin quasi troppo “perfettina”; la Crema di nocciole è molto più arrogante, estremamente dolce, ma perfettamente bilanciata dal Gelato all’aceto balsamico e dalla salvia; grintosa, vincente.

Estremamente ricca (forse anche troppo) la carta dei vini naturali: un elenco molto corposo che percorre tutto lo Stivale e arriva in Francia; principalmente contenente prodotti di piccole realtà locali. La quantità dell’offerta potrebbe essere foriera di lunghe attese alla ricerca della scelta giusta, ma l’ottima guida del preparato Mirko Palucci (fratello dello Chef), consentirà anche ai non estimatori di trovare la giusta bottiglia.

Probabilmente l’inclusione di alcune etichette classiche tenderebbe la mano ai più tradizionalisti, ma la direzione del locale è ben marcata e il coraggio e la coerenza sono qualità che vanno sempre apprezzate.

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