Spazio Rivisondoli è un format a sé e differisce dagli indirizzi ubicati a Milano e a Roma. L’insegna richiama il luogo dove tutto ebbe inizio, dapprima come pasticceria, aperta dai genitori di Niko e Cristiana Romito, riconvertita in trattoria nel ’96 e poi sede originaria del Reale, dove è rimasto sino al 2011. Oggi è un laboratorio, parte fondamentale della formazione professionale e aperto solo in alcuni periodi dell’anno, concomitanti con il calendario didattico della Scuola di Formazione. Agli allievi viene demandato tutto. La creazione e la gestione del menù, la preparazione dei piatti (food cost compreso), il servizio, finanche la cura della carta dei vini. Noi abbiamo degustato il menù del ventesimo Corso Professionale. Parole d’ordine: semplicità e concretezza unite a cura, creatività ed esaltazione della materia prima, esclusivamente da fornitori locali.
Si può iniziare con gli antipasti in condivisione, formula di intuito che assume a tratti caratteristiche di autorevolezza, tra estetica e gusto e consente di avere una panoramica sulle varie preparazioni. Su tutti gli assaggi, colpiscono la Trota salmonata al pepe rosa, la Polenta integrale con cime di rapa e ricotta salata o quella con ragù di capocollo. Ricotta salata proposta anche infornata con spinaci e arancia. Le linee in cucina si equiparano in qualità e centralità dell’ingrediente sfoderando un apparente classico “alla romana” ma con formaggio abruzzese a condimento di un formato di pasta campano: Sigarette ziti con pecorino, pepe e limone; l’utilizzo e la freschezza dell’agrume, senza dubbio, le distinguono dal paradigma dell’immaginario collettivo. I sapori e la complessità si distaccano in crescendo nel Baccalà al latte con tortino croccante di verza assai buono, delicato, quasi cremoso, di ottima esecuzione. Stesso dicasi della parte dessert dove la Crostatina con pere (nashi), crema e caffè è pervasa da equilibrio. Tanto golosa quanto leggera e bilanciata in percezione zuccherina. Un susseguirsi ponderato di buone espressioni di gusto, descritte con non poca quanto comprensibile emozione, una cucina dove traspare passione ma si può anche sbagliare, anzi. Consci che la complessità diverrà pian piano più semplice, tra un impaccio vissuto in allegria e un piatto che un domani, forse, sarà armonia.
Questa tavola va un po’ oltre la semplice appendice naturale della scuola. Una sosta piacevole, moderna, attenuata nei grassi e che in sintesi, consigliamo. Peccato che l’apertura si limiti solo a qualche settimana dell’anno, motivo che però non ci esime dall’attribuire un voto all’esperienza, assolutamente degna di nota. Dalla teoria alla pratica ve n’è tanta di strada. Ma si parte da qui, dove tutto ebbe inizio.
IL PIATTO MIGLIORE: Baccalà al latte con tortino croccante di verza.
Piccoli Ducasse crescono, anche in Italia.
La Niko Romito Formazione, la scuola che il lungimirante tristellato chef abruzzese ha fondato in quel di Castel di Sangro, allo scopo di formare e preparare nel miglior modo possibile ragazzi per il mondo dell’alta ristorazione, è la matrice di un progetto, il primo nel nostro paese, che mira a replicare e diffondere, per ora nei confini nazionali e poi chissà dove, un format che oltralpe e non solo, da tempo, sembra in tutto e per tutto assai convincente.
La peculiarità qui, oltre alla spiccata territorialità della cucina, è senz’altro la presenza di uno staff di sala e di una brigata di cucina, vero e proprio prolungamento della scuola, ricca di passionale entusiasmo e giovanile energia che non mancherà di portare i piatti in tavola e venirli a spiegare di persona, ansiosa di ricevere in diretta preziosi feedback.
La prima tappa, lo Spazio 00, come lo definisce lo chef stesso, è stato il locale di Rivisondoli già ospite del Reale; ora, con spirito imprenditoriale non da poco, ecco arrivare nel novembre 2014, dopo un temporary opening per la stagione estiva a Salina, lo Spazio in quel di Eataly Roma, al terzo piano nella sala ex sede del ristorante “Italia”.
Il menù verte su una quindicina di pietanze salate equamente ripartite tra antipasti primi e secondi e su sei dolci; non è contemplato un menù degustazione ed è presente una carta dei vini a dir poco simbolica riguardo a opzioni elencate anche se, con un diritto di tappo di sette euro, è possibile accedere al primo piano dell’edificio e scegliere liberamente potendo contare su ben altro assortimento.
Le scelte sono imperniate su ricette tradizionali eseguite in modo professionale che in alcuni casi rasentano una gustosa basicità, come il coniglio fritto poggiato su salsa agrodolce o la buona e confortante minestra di ceci e cazzarielli, mentre in altri si evidenziano fatture di livello superiore, come i tortelli di porri e pecorino o, soprattutto, l’eccellente pollo con la pelle ricreata con l’amido della patata su caramello di peperone, un piatto di alta cucina tout court.
Altalenanti i dessert, tra cui spicca una riuscita versione del Mont blanc e la zuppa di ricotta con lamponi con la presenza, tra gli altri, di un interessante pane e cioccolata, anche se dall’equilibrio non ancora perfettamente messo a punto, i cui contrappunti acidi di menta e limone sono degni di nota.
E’ un locale dove si sta bene, la bella sala è ampia e luminosa, anche se un po’ appesantita dall’infelice presenza di un eccessivo numero di piante decorative, ed è l’ideale per trascorrere una bella serata godendo di una cucina rassicurante offerta a prezzi ragionevoli.
Mise en place.
Amuse bouche.
Coniglio cotto a bassa temperatura e fritto in salsa agrodolce e misticanza.
Zuppa di cicale, patate e carciofi cotti al vapore, concentrato di pomodoro.
Manzo marinato alle erbe, cubi di pane al pomodoro, misticanza e salsa tonnata.
Minestra di ceci e cazzarielli e cicoria.
Tortello con stufato di porri e pecorino.
Convincente seppia arrostita con puntarelle saltate, sugo al nero di seppia( con pomodoro confit e limone).
Filetto di maiale, salsa di mandorle con limone, trito di pomodori, capperi, olive taggiasche e pomodori.
Finocchio in accompagnamento cotto al vapore.
Pollo, pelle ricreata con l’amido della patata, spinaci saltati e caramello di peperone.
Rivisitazione del Mont blanc: meringa ripiena di crema di castagne aromatizzate alla vaniglia accompagnata da panna semimontata non zuccherata.
Particolare.
Crostatina al limone( zucchero integrale grezzo, più amaro), crema pasticciera al limone, amarena e meringa.
Particolare.
Zuppa di ricotta su lamponi, crema al cioccolato, mandorle e menta.
Pane e cioccolata: fondente al 70%, fichi secchi, crostini di pane in infusione di menta e lemongrass, “olio al limone”.
Castagnole con crema pasticcera con zuppa di agrumi e menta.
Cialda di lingua di gatto con spuma al cioccolato fondente e gelato al finocchio su tuile al cioccolato.
Una sicurezza “triple a”.
Petit four.
Concetti chiari e inequivocabili.
Tra un chilometro e un altro del nostro dispendioso ma piacevolissimo girovagare, ci capita spesso di riflettere in merito alla sensazione, di piacere e soddisfazione, che uno chef prova dopo aver realizzato che anche un solo cliente seduto alla sua tavola abbia programmato, magari con largo anticipo, di percorrere distanze siderali per recarsi nel suo ristorante.
Siamo certi che una tale sensazione Niko Romito la provi spesso, in quanto sicuramente consapevole del fatto che, ovunque voi siate, per arrivare al Casadonna non sarà una passeggiata.
Ma non fatevi scoraggiare, la cucina del Reale merita ben più di una semplice deviazione.
Prima ancora di essere un cuoco di talento indiscutibile, praticamente autodidatta come alcuni grandissimi, Romito è persona intelligente, erudita e sensibile alla sua terra, al contempo grande comunicatore e imprenditore ricco di idee capaci di sconfiggere sul nascere la crisi, anche in un luogo in convalescenza dalle tristi ferite del recente passato.
Romito pensa in grande. Ha uno spirito imprenditoriale con pochi eguali in Italia, sintetizzabile nelle diverse brillanti iniziative tra cui spicca la scuola di formazione “Niko” che in due anni si è guadagnata l’ammirazione di Slow Food e della prestigiosa Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con la quale si è consolidata una importante collaborazione. Una scommessa stravinta e foriera di altri interessanti progetti come “Spazio”, attività gestita dai primi allievi della scuola, che partecipano anche agli utili, luogo gourmet polifunzionale aperto a Rivisondoli nella ex sede del Reale il cui concept sta per essere replicato a Roma e, probabilmente, in altre città italiane.
Ma non finisce qui: ben presto sentiremo parlare anche di “Unforketable”, in collaborazione con un altro colosso alimentare del made in Italy. Una sorta di enciclopedia della cucina italiana, progetto dal potenziale elevatissimo di cui non vi sveliamo nulla di più.
Tantissimi impegni che, in ogni caso, non pesano negativamente sulla dote creativa dello chef abruzzese. Egli sa molto bene che per pensare ad una cucina contemporanea ed evoluta è imprescindibile saper evocare il territorio e, giocoforza, conoscere a menadito le fondamenta della tradizione.
L’essenza degli ingredienti è la chiave di lettura di questa tavola, quello che più conta in un piatto. Quindi salse e condimenti sono ridotti all’osso e lasciano il campo alla concentrazione di tre, massimo quattro elementi messi nettamente a fuoco, la cui espressione minimalista non distoglie il commensale dal comprendere il principale significato della materia prima. Dietro ogni creazione si sviluppa un lavoro maniacale di ricerca che viene condotto su singoli prodotti dalla forte identità territoriale, e si mette a frutto con passaggi tecnici e complessi che conducono ad un risultato di apparente semplicità. Si lavora per eliminare grassi, zuccheri e tutto il superfluo. Un lavoro in cui si cimentano in molti, anche se sono ben pochi ad avere risultati così evidenti.
Siamo decisamente al cospetto di uno dei più sensibili interpreti della cucina contemporanea del nostro Paese che meriterebbe, come la sua Regione, maggiore visibilità anche all’estero.
La nuova, minimalista ed elegante sala da pranzo, è radiosa di giorno e calda la sera. E’ il regno di Cristiana, sorella dello chef, la quale coordina un gruppo di giovani affiatati professionisti della sala che, in perfetta sinergia con la cucina, offre un servizio amichevole ma di rara precisione, di livello altissimo.
Oggi il Reale è anche un bellissimo relais, esempio di perfetta integrazione architettonica tra antico e moderno, che vi dà l’opportunità di trascorrere un soggiorno a trecentosessanta gradi all’insegna del gusto e del relax pernottando in una delle bellissime camere del Casadonna. Al risveglio vi aspetta una raffinata colazione e delle amenities che ricorderete a lungo.
Gli stuzzichini sono un evergreen. Sempre quelli. Sempre fantastici. Crostino con ricotta di pecora e pomodorino candito; polpettina di capretto con patate, crocchella di cicorietta e pecorino, battuto di salsiccia con arancia candita, chips di rape rosse con patè di fegato di coniglio.
Seguiti subito dalla semplicissima e buonissima crostatina calda con olive nere.
Sfoglie e grissini.
Guanciale affumicato.
Altro grande boccone di piacere: panino fritto con scampi crudi, pomodoro candito e lattuga.
La prima tranche di pane.
La prima portata è una delle novità di quest’anno: distillato di prosciutto, ceci e rosmarino, che sintetizza al meglio questa cucina.
Il primo classico: emulsione fredda di manzo e olio con dragoncello e maionese di lamponi, al termine del quale l’eccellente servizio di sala ci sostituisce prontamente i calici di vino onde evitare sgradevoli odori di uova nel bicchiere.
Ancora pane, diverso, eccellente.
Gel di vitello, porcini secchi, mandorle, rosmarino e tartufo nero. La premessa di Cristiana Romito è fondamentale ed educa il commensale ad approcciarsi al meglio al piatto: il tartufo non è l’elemento principale e, come tale, non prevarrà sugli altri. Qui l’importante è dare l’idea di un sottobosco umido, freddo, ricreato dall’equilibrio di tutti gli ingredienti. Tecnicamente ineccepibile, effettivamente magistrale.
Assoluto di cipolla, parmigiano e zafferano tostato. Probabilmente il simbolo della cucina del Reale. Concentrazione ed essenza di tre ingredienti diversissimi che si esaltano l’un l’altro. Ormai un grande classico dell’alta cucina italiana.
Baccalà, patate, olive nere e basilico.
Croccante espressione di lingua. Un must per gli amanti del genere.
Si riparte con i primi, con un’altra novità: ravioli di ricotta di bufala, distillato di bufala, pepe e capperi. Un brodo denso, ricavato centrifugando l’acqua della mozzarella di bufala che assume una consistenza vellutata e intrigante. La dolcezza dei ravioli (il piatto, prima di essere perfezionato, era stato concepito per essere un dessert) viene bilanciata dal contrappunto sapido dell’essenza di cappero. Chapeau.
Fettuccelle di semola, gamberi rossi e pepe rosa. Che dire… il colore rosso non è pomodoro ma una concentrazione di teste di gamberi ottenuta su una lavorazione a freddo del carapace. I risvolti freschi e acidi che allungano la percezione iodata del gambero crudo arrivano con il dragoncello e il limone. Sui primi Romito è un fenomeno.
Agnello, aglio e pompelmo rosa. Evoluzione del territorio. La carne sembra cruda ma è cotta nel latte di pecora e poi affumicata. Siamo al cospetto dell’ennesimo piatto brillante.
Da una vasta carta vini abbiamo pescato il Montepulciano di una delle aziende più lungimiranti che abbiamo. Annata 2000, ultimo in cantina. Inaspettatamente chiuso all’inizio, è bastata un’ora dall’apertura per regalare quella complessità ed eleganza che lo contraddistingue.
Essenza. Un dolce coraggioso. La rotondità del gusto, fino ad a questo punto una costante, qui lascia spazio ad una piacevolezza cerebrale.
Pensatissima anche la piccola pasticceria: crostatina con pesche, rosmarino e panna; bomba calda al cioccolato.
Croccante al caffè e cioccolato al latte.
A chiudere la spugna al limone.
Di giorno la sala è luminosissima.
Ingresso del ristorante.
Niko Romito meriterebbe di essere studiato molto attentamente. Caparbio e tenace, come luogo comune impone per un abruzzese, è stato in grado di raggiungere obiettivi incredibili muovendo appassionati ed ispettori verso terre decisamente, e immeritatamente, poco battute non solo dal punto di vista gastronomico. Ha dimostrato di essere non solo cuoco capace ma anche, in costante collaborazione con l’inseparabile sorella Cristiana, imprenditore lungimirante e, più di recente, si è rivelato anche eccellente nell’ambito della formazione grazie al progetto Spazio, che voci insistenti danno prossimo a sbarcare nella Capitale.
Sono già passati tre anni dal trasferimento dalla romita Rivisondoli alla più accessibile, per quota più che per distanze dalle rotte più battute, tenuta Casadonna: un’oasi di tranquillità e bellezza che in breve ha regalato a Castel di Sangro la fortuna di poter ammirare la Cintura di Orione in ogni stagione dell’anno, giorno e notte. Sarebbe però ingiusto e, soprattutto, completamente errato nascondere i meriti di un grande talento culinario dietro le capacità imprenditoriali e un cadre di straordinario impatto emotivo, perché in questi anni è stata soprattutto la cucina di Niko Romito ad essere protagonista di una graduale ed incessante crescita. Una crescita fatta di studio, di costante labor limae sui concetti maturati e di altrettanto continua filtrazione delle tendenze della cucina mondiale per le maglie di una sensibilità legata come poche altre ad un’ancestrale italianità. Non stupisce allora che le vette più alte, a quote da primato nazionale, vengano toccate con i primi piatti, da sempre al Reale in meraviglioso equilibrio fra golosità, originalità e finezza.
Testimone della lunga ma costante maturazione di Romito è una carta in cui ogni anno le nuove proposte fanno fatica ad esaurire le dita di una mano, ma nella quale ogni piatto finisce per risultare ad ogni visita assolutamente à la page, segno allo stesso tempo della personalità dello chef e della sua capacità di ritoccare preparazioni che in alcuni casi sfiorano già il decennio di vita. Fra i piatti della collezione 2014 segnaliamo, oltre a un formidabile spaghetto con estratto di seppia, seppie e mare, lo splendido “calamaro, pepe e lattuga”, dove l’amaro vegetale gioca un ruolo fondamentale nel dare spinta e vigore al mollusco, qui trattato con mano da clavicembalista.
Peccato solo per i dessert, a nostro modo di vedere su un livello decisamente lontano da quello delle rimanenti portate: i più creativi si rivelano assai meno incisivi rispetto alle aspettative, mentre la curiosità di provare una millefoglie viene delusa: mettere in carta un simile dolce significa, in un locale di questa importanza, accettare il confronto col meglio del meglio della pasticceria mondiale. Un confronto da cui la versione provata al Reale, pur pregevole nel gusto, non esce certo in trionfo e non solo per lo sfortunato cedimento strutturale. Per puntare alla nostra massima valutazione riteniamo manchi anche, come spesso accade quando ci troviamo in Italia, un rapporto pienamente soddisfacente fra i piatti di un menu degustazione e quelli richiesti alla carta, con questi ultimi che, lasciando da parte ogni mera questione quantitativa, si gioverebbero di una migliore articolazione formale.
Un applauso, infine, lo spendiamo per uno dei migliori servizi che si possano incontrare lungo lo Stivale: Cristiana Romito e l’ottimo sommelier Giovanni Sinesi, istantaneo nel cogliere i gusti della clientela e proporre abbinamenti al calice assai mirati, conducono in souplesse una sala cui la terza stella, che ha come di consueto portato ad un consistente ritocco dei prezzi, pare abbia infuso sicurezza più che nevrosi.
In apertura: spugna di pistacchi salati,
la storica serie di accompagnamenti all’aperitivo
e l’eterea tartellette alle olive.
L’entrata gentilmente offerta: un gelato di piselli perfetto per rapporto fra gusto e temperatura.
Emulsione fredda di manzo e olio con maionese ai lampone: una vera carezza al palato, quasi troppo tenue.
Straordinario calamaro, pepe e lattuga.
Spaghetto con estratto di seppia, seppia e mare, ossia ricci di mare di estrema qualità nel contesto di un piatto ovviamente ad alta concentrazione di iodio.
Dal mare alla terra con i tortelli affumicati di capocollo di maiale laccati in bianco: sublimi nel combinare con estrema finezza elementi che non fanno della leggerezza il loro punto forte.
Tra mare e campagna con acciughe, scampo, cicorietta e patate, piatto datato 2010 che giocando con le temperature crea una fruttuosa giustapposizione di elementi sapidi, amari e dolci, senza che l’assenza di un’acidità importante tolga interesse e finezza alla preparazione.
Agnello, aglio e pompelmo rosa: pochi elementi ma una grande preparazione di carne.
Il migliore dei tre dessert provati: granita di liquirizia e aceto di vino, cioccolato bianco e aceto balsamico.
Mandorle, yogurt, nocciola, salvia e limone. Nell’imbarazzo della scelta, questo piatto ci è parso girare a vuoto, oltretutto con i singoli elementi che si rivelano assai tenui.
Millefoglie.
Tutto ciò che riguardi la panificazione è, qui, straordinario.
Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui
Recensione Ristorante
Inevitabile per me, ormai, associare la figura di Niko Romito a quella di un monaco.
Il collegamento è probabilmente dovuto al suo aspetto austero e all’ardente passione che evidentemente lo divora. Passione che lo porta ad immaginare, plasmare, cesellare, arrivando al cuore delle materie prime, dei sapori, estraendo da ogni ingrediente il meglio, il tutto non disgiunto, visto il salto di qualità che ha fatto dalla mia prima visita diversi anni fa, da una ferrea determinazione a migliorarsi.
Determinazione che ha reso ogni volta la sua cucina arricchita da nuove idee, nuovi risvolti, in un continuo fermento che gli permette di vantare a soli trentacinque anni un repertorio di piccoli capolavori che molti grandi chef neanche in una vita riuscirebbero a collezionare.
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