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Les Apothicaires

Dal classico e familiare al contemporaneo in un menù unico, prendere o lasciare

Ad arricchire la già abbondante offerta gastronomica di Lione, una città in questo senso formidabile, si è aggiunto da un paio d’anni scarsi Les Apothicaires, ristorante informale ma a suo modo molto raffinato.
Tabata Bonardi (oggi Tabata Mey, cognome del suo secondo marito Ludovic, che l’affianca in questa avventura) ha un percorso talmente ricco che sembra difficile associarlo al suo aspetto molto giovanile.
Arrivata in Francia dal Brasile, ha tenuto le redini del ristorante di Nicolas Le Bac, successivamente si è lanciata in un suo locale che proponeva temaki per gourmet, per poi far innamorare i francesi nell’edizione 2012 di Top Chef. La partecipazione televisiva l’ha catapultata, quindi, alle redini di Marguerite, bel ristorante borghese del gruppo Bocuse.

Ludovic era il suo secondo e, divenuti compagni di vita, hanno deciso di far nascere questa versione moderna del ristorante di quartiere: tavoli abbastanza ravvicinati, clientela in buona parte di habitué, arredo molto femminile (come anche il giovane servizio) ma, soprattutto, una cucina libera di spaziare dal classico e familiare al contemporaneo in un menù unico, prendere o lasciare.

Un’interessantissima proposta gastronomica, tecnica e raffinata

Le portate che si succedono sono otto (al prezzo quasi incredibile di 55€) e possono spiazzare nell’alternare un’ammirevole rilettura del classicissimo farcement de Savoie al tartufo nero (è una sorta di terrina di patate con pancetta) a un sorprendente, buonissimo abbinamento di rapa e pot-au-feu con topinambur fermentato e levistico, solo un po’ troppo spinto sulla sapidità per non essere da fondo scala.

Portate centrali di grande tecnica e coerenza nella filosofia di classicismo décontracté della maison: un faux fillet da manuale che si sposa però col kimchi oltre che con le carote e il rombo con cavoletto di Bruxelles sferzato dal bergamotto (anche qui forse un lieve eccesso di sale rovina un quadro altrimenti da applausi).
Applausi che, invece, non possono mancare su uno dei dessert più buoni da tempo: kiwi e cocco su cremoso di avocado e aneto, una delizia per finezza nel gusto ed eleganza alla vista che ha anche il merito della straordinaria leggerezza.

Le piccole imperfezioni non condizionano il giudizio finale, piacevolmente influenzato anche da un conto davvero encomiabile che si abbina a una carta dei vini non ricca ma mai banale, da cui peschiamo un vivacissimo Chenin dello Chateau di Brèzé, e da un servizio di sala sorridente e accogliente, affiancato dalla brigata di cucina che presenta i piatti al tavolo con un certo orgoglio.

La galleria fotografica:

Recensione ristorante.

Il vantaggio di Parigi è che, quando non si riesce a trovare posto nel ristorante di cui si parla di più (Septime) o alla già apprezzata Bigarrade, senza troppo penare, si può trovare un’interessante nuova apertura a due passi dal proprio albergo.
In questo caso, il bistrot ristrutturato e avviato, con notevole sprezzo del pericolo, da due giovani entusiasti reduci dalla Grande Cascade, in un angolo di città poco avvezzo alla ristorazione di qualità, quel quartiere Europe che è l’appendice “sfigata” del ricco 8° arrondissment.
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