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SanSui Japanese Garden Restaurant

Un ottimo ristorante giapponese a Rimini

Sorge nella zona di San Giuliano a Mare SanSui Japanese Garden Restaurant, l’intrigante ristorante giapponese che non ci ha affatto delusi, al netto delle premesse non certo incoraggianti. Se già è difficile, anzi quasi impossibile, degustare del buon sushi a Milano, figuriamoci a Rimini! E invece no. Nelle nostre plurime visite, a dire il vero, abbiamo riscontrato una certa alternanza di qualità. La domenica, ad esempio, il riso era poco cotto e mantecato non a dovere, pareva quasi vecchio. di sabato sera, invece, abbiamo trovato un riso perfettamente condito e a temperatura quasi perfetta, oltre i 30 gradi. Ci riteniamo comunque soddisfatti di un prodotto portato a giusta temperatura, cottura e condimento. Il riso tiepido è una rarità dalle nostre parti, purtroppo. Qui viene inoltre servito con interessanti varianti, anche con una Triglia e dei Gamberi dolci fenomenali. Peccato per il Toro, riportato in carta, ma mai presente e disponibile alla degustazione.

Ottimi anche gli Udon, qui assaggiati in una versione asciutta – primaverile – e ottimi anche i dolci, con i Dorayaki decisamente all’altezza. Completano il quadro un servizio informale, ma garbato, gentile e pronto, e una serie di salette, muovetevi molto prima per la prenotazione, davvero in stile giapponese e molto intriganti. Il dominio del ristorante è registrato in Giappone, buona intenzione dei proprietari a fornire un segnale rassicurante.

Ecco quindi un punto di riferimento, per chi ama la movida riminese, e vuole rimanere al passo con le migliori notti milanesi. Non ve ne pentirete affatto.

La galleria fotografica:

Tripadvisor è un riferimento efficace? L’attacco della stragrande maggioranza di addetti ai lavori, chef e giornalisti, ha la sua ragion d’essere. Recensioni falsate, spesso comprate, in molti casi commissionate per distruggere il locale della concorrenza o, viceversa, per incrementare le visite della clientela, in questo momento economicamente molto difficile.
Fino allo spiacevole episodio, ultimo della serie, in cui Davide Paolini, nota penna di punta dell’enogastronomia italiana, ha visto utilizzare il suo nome in maniera impropria da un utente che ha inondato di recensioni molti locali della penisola.
Tripadvisor ha certamente molte colpe in questo meccanismo, e potrebbe risolvere agevolmente, con un controllo maggiore dei post e degli utenti, i problemi di utilizzo fraudolento. Tanto più in questo periodo, in cui la sua leadership di ascolti e di ritorni è certamente consolidata e difficilmente attaccabile.
Però ci sentiamo, anche in questo caso, con lo spirito laico e critico che ci contraddistingue, di spezzare una lancia a favore di Tripadvisor. Che qualcosa di buono propone. Basta saperlo leggere. Le foto, ad esempio, sono spesso utili per comprendere, all’occhio attento, che tipo di cucina e di qualità di preparazioni il locale realizza. Vedere piatti imbrattati d’olio e lanciati direttamente dalla cucina è già di per se un segnale che induce il popolo gourmet a scansare elegantemente la visita.
E poi i commenti che, anche qui, se letti con attenzione, forniscono qualche informazione aggiuntiva utile e sufficientemente esaustiva. Perchè i messaggi palesemente falsi è abbastanza facile individuarli. Ebbene sì, prima di visitare un ristorante di cui nessuno, o quasi, parla, anch’io utilizzo Tripadvisor. Per capire se la fregatura è dietro l’angolo oppure se c’è la possibilità che qualcosa vada per il verso giusto. E poi c’è il gusto di capire, di colmare quella distanza spesso siderale che c’è tra le valutazioni della gente comune ed invece l’opinione degli autorevoli esperti del settore.
Hana è stata una piacevole ed intrigante scoperta. Costantemente in testa alla classifica del succitato come miglior Sushi di Milano, ci siamo armati di sana e comprensibile curiosità e siamo andati a sbirciare.
Risultato? Abbiamo trovato certamente uno tra i migliori sushi di Milano, curato e ben realizzato. Proporzioni della materia ittica in rapporto al riso, cottura del riso e presentazione certamente all’altezza. Condimento e temperatura di servizio meno, ma crediamo che questo non sia altro che un adeguamento al gusto dei Milanesi, che amano poco il Wasabi, che adorano un riso poco acido e tendenzialmente freddo. Però il pesce utilizzato è tra i migliori in assoluto.
Servizio curato e molto gentile e discreto, al netto di chi vi riceverà all’ingresso, che ha uno stile poco Giapponese e molto Milanese, per capirci. Cortese ma, diciamo, un pò invasivo.
Consigliamo Hana per un buon sushi e, perchè no, anche per qualche piatto creativo che non abbiamo degustato ma che abbiamo visto servire ad alcuni nostri dirimpettai. E che ci hanno stuzzicato per la presentazione e per la qualità espressa. Questa volta Tripadvisor ci ha preso.

Al banco per capire meglio…
banco, Hana Restaurant Sushi, Milano
Hana Restaurant Sushi, Milano
I Nigiri dello chef, straordinari!
nigiri, Hana Restaurant Sushi, Milano
nigiri, Hana Restaurant Sushi, Milano
nigiri, Hana Restaurant Sushi, Milano
Sushi misto creativo
sushi misto creativo, Hana Restaurant Sushi, Milano
Un ottimo e mai visto rainbow roll, un caleidoscopio di pesci e crostacei
pesci e crostacei, Hana Restaurant Sushi, Milano
Sushi misto creativo
sushi misto e creativo, Hana Restaurant Sushi, Milano

Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo

Quando il concierge del nostro hotel ci ha consegnato il foglio della prenotazione di Shima siamo rimasti allibiti: una cartina ben definita, con particolari oltre ogni ragionevole immaginazione, addirittura la foto dell’ingresso con una grossa freccia che recitava “Entrance just before Tully’s coffee shop”. “Ci avranno preso per Totò e Peppino in trasferta a Milano?” abbiamo pensato con presunzione. Ma dopo una decina di minuti, sicuri di essere davanti al posto giusto e senza la minima idea di dove fosse il ristorante, magari avessimo incontrato un vigile a cui offrire un accorato “Noio volevan savuar …”.

Già perché l’imprescindibile caratteristica che accomuna la maggior parte dei ristoranti di Tokyo, ovvero un mimetismo camaleontico che può provocare pericolosi stati di ansia ad un gourmet incapace di orientarsi, qui è portato all’eccesso. Timorosi siamo scesi con l’ascensore al piano B1, chiaramente indicato nel premuroso vademecum, ma davanti a noi le porte si sono aperte svelando uno sgabuzzino di un metro quadro, buio e ricolmo di scatoloni. “Ma non può essere qui” abbiamo pensato. Ebbene sì, quello era l’ingresso. E non lo avremmo varcato se un timido commis non avesse aperto per caso il pertugio d’accesso alla nostra sinistra.
Superato lo stupore, eccoci da Shima, indirizzo noto in città per l’eccellenza delle sue carni. Manabu Oshima ci accoglie con un sorriso e una buona parlata inglese. Ha girato molto in Europa, ha acquisito un atteggiamento non usuale da queste parti, cordiale, affabile, curioso, compiacente. Ci accomodiamo al bancone, l’esperienza si rivelerà estremamente piacevole.

Shima è un indirizzo ideale per un percorso iniziatico nel mondo della cucina nipponica: senza l’eccessiva rigidità di altri locali, qui si respira un’aria quasi “internazionale” e “casual”, lontana da quel clima di religiosa ostentazione spirituale che abbiamo imparato a conoscere nel Sol Levante.
Il menù è ridotto all’osso: pochi piatti d’entrata (pesce e verdure), poi il pezzo forte della casa, la carne. E’ proposta in due versioni, Beef Sirloin e filetto: lo Chef prima di procedere alla loro preparazione ci mostra con orgoglio i grandi tagli di questa prelibatezza. In pochi gesti i nostri golosi bocconi sono tagliati, conditi e pronti per essere accolti nel forno a carbone di legno di quercia. La nostra preferenza andrà al Sirloin, più saporito e consistente del filetto, e forse più corrispondente ai nostri gusti europei.
Tra una chiacchiera e l’altra il pranzo scorre via veloce e divertente, con Manabu Oshima che regge una conversazione veramente gradevole. Forzati dalla nostra bulimica fame d’informazioni gli chiediamo maggiori dettagli sulla provenienza e sulla qualità della carne di Kobe che ci ha servito. Per levarsi dall’imbarazzo ci fornisce la scheda di provenienza dell’animale, con tanto d’impronta del naso, ma completamente in giapponese e del tutto incomprensibile.
Lo ringraziamo lo stesso. D’altronde sapere proprio tutto, alle volte, non è affatto necessario.

Manabu Oshima all’opera sulle entrée.
Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Mise en place atipica con olive e panini.
mise en place, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il nostro goloso obiettivo.
wagyu, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Inizia la preparazione.
wagyu, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Taglio del Beef Sirloin e del filetto.
taglio filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
taglio filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyofiletto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyofiletto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
E via nel forno.
forno, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
In attesa una buona insalata di stagione.
insalata, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il Beef Sirloin, a cui va la nostra preferenza: texture e succulenza splendide.
beef sirloin, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il filetto. In entrambi i casi, l’accompagnamento alle carni è più europeo che nipponico, con verdure e purè.
filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
La scheda.
scheda, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
La mappa…
mappa, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo

Ginza Ukai-Tei, Giappone, tokyo

Bastano solo un paio di giorni per orientarsi bene a Tokyo. La metropolitana è di un’efficienza disarmante e le indicazioni sono chiare anche per chi parla bene solo le lingue neolatine e non mastica altrettanto correttamente gli ideogrammi. Se poi avete la fortuna di soggiornare a Ginza tutto risulta più facile. Ovvio che un cellulare dotato di navigatore vi consentirà maggiore tranquillità, ma questo quartiere ha un aspetto simile alle moderne città occidentali, con i suoi grattacieli imponenti, i negozi lussuosi, i brand della civiltà consumistica a cui siamo abituati. Per strada la gente è in perenne e ordinato movimento, colpisce l’assenza quasi assoluta di bambini o anziani, ma forse il motivo è che siamo nella zona del business. C’è un silenzio irreale ovunque e il traffico delle automobili, discreto e privo di quella simpatica sinfonia di clacson tipica di Roma o New York, non disturba per nulla. Addirittura i cantieri sembrano lavorare con il silenziatore incorporato: è incredibile per la nostra cultura, ma qui a Tokyo è proprio così.
Girovagare a piedi senza difficoltà è quindi possibile, a meno che non abbiate prenotato un pranzo o una cena presso uno dei tanti leggendari maestri Sushi di Tokyo. Normalmente essi officiano in sconosciuti e anonimi building, senza targhe o insegne riconoscibili dalla quasi totalità della popolazione mondiale: in questi casi la situazione si fa più molto più complessa e dovrete ricorrere a tutta la vostra intelligenza e capacità intuitiva.
Non è così per l’Ukai-Tei di Ginza, uno degli indirizzi più rinomati della città in tema di cucina giapponese versante Teppan-Yaki. Dopo giornate intere a scovare con atteggiamento sospetto questo o quel recapito enigmatico, azione a cui abbiamo sacrificato i preziosi neuroni rimasti, ecco per fortuna un locale facilmente riconoscibile: anzi il suo accesso imponente e sfarzoso ci predispone immediatamente ad una inusuale serenità, anche se la piacevole sensazione dura solo pochi istanti, perché il sospetto che questa volta proprio non ci abbiamo azzeccato con la prenotazione, si tramuta quasi subito in realtà.
L’ambiente è curato, ma pomposo e opprimente. Dopo il portone in stile Las Vegas, osserviamo sbigottiti un arredamento tra il kitsch cinese e i vetusti ristoranti francesi di epoche passate. Per carità, sorrisi e gentilezze a profusione, ma mentre ci conducono nella nostra saletta riservata avvertiamo un sottile turbamento, quella sinistra convinzione di essere le vittime occidentali di turno della serata.
Ci accomodiamo nelle nostre eleganti sedie barocche, davanti a noi si svela in tutta la sua lucentezza metallica il mitico Teppan-Yaki. Propendiamo per un compromesso, scegliendo dal menù il percorso di degustazione chiamato “Lobster&Steak” a quasi 19.000 Yen (oltre 140 Euro). Il nome ci sembra una piccola garanzia che almeno qualche delizia l’assaggeremo, golosamente sfrigolante su quel piano rovente che abbiamo al nostro cospetto. E poco importa se intorno a noi di quel minimalismo giapponese cui siamo oramai devoti seguaci, non c’è neppure l’ombra.
Lo stile Teppan-Yaki non affonda nei secoli la sua tradizione. Fu inventato a Kobe solo nel 1945 da Shigeji Fujioka: il suo motto era “Let people taste truly delicious meat” e appare quindi chiaro che l’intento del buon Shigeji era quello di offrire ai suoi commensali il modo migliore per esaltare la preziosa carne che dalla sua città natale ha mutuato il nome. Negli anni lo stile Teppan-Yaki ha trovato una diffusione notevole, soprattutto negli Stati Uniti. E forse la sua fama ha subito troppe degenerazioni occidentali. Ma quale modo migliore se non quello di andare a Tokyo, in questo famoso ristorante, per scoprire la sua essenza più vera?
Con tutta sincerità non siamo riusciti a toglierci il dubbio: dove risieda il fascino di vedere davanti a sé uno chef che usa il Teppan-Yaki come una banale piastra qualsiasi rimane un mistero.
L’Ukai-Tei di Ginza è un buon ristorante a onor del vero, ma della cucina giapponese, di quello spirito seducente che ci ha folgorato in molti altri posti, non ha proprio nulla. E’ semplicemente un ridondante locale in stile francese per ricchi uomini d’affari e mascherato artatamente con un maquillage orientale, giusto per stupire incauti e sprovveduti turisti.
Un luccicante spettacolo circense insomma, tra l’altro costoso e pretenzioso, molto distante dalle legittime aspirazioni di una vera anima gourmet. Alle foto e alle rispettive didascalie lasciamo il compito di riportare fedelmente il resoconto di una serata andata storta a Tokyo.
Una cronaca a tratti autoironica e divertente, benché al momento dei dessert (e di fronte ad un inquietante Crème Caramel) lo smarrimento abbia preso decisamente il sopravvento sul sorriso.
Se vi capiterà una piccola disavventura come la nostra, nel cuore pulsante di Tokyo e in quella Ginza così scintillante e smagliante, non vi scordate mai che ci sono straordinarie pasticcerie ovunque con cui raddrizzare una serata.
Ah, dimenticavamo: straordinarie pasticcerie giapponesi.

Foto d’apertura: l’ingresso, facilmente riconoscibile…

La mise en place davanti al Teppan-Yaki: molto classica, almeno in Europa.
mise en place, Ginza Ukai-Tei, tokyo, giappone
Qualcosa d’italiano (e per fortuna…) non poteva mancare.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Amuse bouche: flan di tartufi…
flan di tartufi, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Uno dei pochi meriti per essere un ristorante filofrancese: la carta dei vini…
vino, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Prima portata: un discreto dentice marinato (ma il Teppan-Yaki?)
dentice marinato, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Incominciano finalmente ad allestire il Teppan-Yaki, siamo fiduciosi. Finora abbiamo fissato il muro davanti a noi.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Lo chef all’opera sulla seconda portata, ma il Teppan-Yaki è usato come strumento scenografico, anche un fornello da campo sarebbe stato utile per riscaldare un piatto già cucinato.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ecco il risultato: lingua di bue grigliata (sì, ma in cucina).
lingua di bue, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Dopo tanto Teppan-Yaki sempre dalla cucina arriva una zuppa di crostacei, giusto per darci tregua… (ma siamo a Parigi?)
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ci presentano un astice crudo, non sarà che lo cuoceranno al Teppan-Yaki?
astice, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Eh, magari… Ecco che lo chef lo prepara seguendo una tipica ricetta giapponese: la fricassea.
astice crudo, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
astice, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Il risultato: ecco il nostro astice in fricassea. Bienvenue a Tokyò, Monsieur…
astice in fricassea, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Il primo indizio che forse siamo veramente a Tokyo.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
La conferma: il Teppan-Yaki funziona davvero e lo usano!
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ci siamo quasi…
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Siamo commossi: Ukai Prime Beef Siliron al Teppan-Yaki!
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E vai, esageriamo con il Teppan! Riso saltato all’aglio…
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Abbandonato il Teppan-Yaki ecco la sala dove ci saranno serviti i dessert.
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Tra i quattro assaggiati riportiamo solo la foto di quello che ci è sembrato, all’Ukai-Tei, il più vicino possibile alla cultura giapponese: il Crème Caramel.
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Usciamo, c’è Ginza by night…
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Una straordinaria pasticceria giapponese…
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Adesso sì che siamo felici…
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Siete stanchi del solito giapponese e vi accascia l’idea di rischiare che la vostra serata milanese si tramuti in un naufragio nel mare magnum delle barchette, delle caravelle e dei transatlantici di sushi e sashimi nei locali della città? Cercate allora di fare in modo che la prossima tappa risol-levante sia allora J’S Hiro, sempre che, qualora foste in macchina, riusciate ad intercettare un parcheggio in un angolo di Milano dove per strada è più facile trovare una banconota da cento euro che un posto nelle strisce blu accessibili ai non residenti.
In questo locale, la cui esigua capienza unita alla robusta fama raggiunta attraverso il tam-tam cittadino rende necessaria la prenotazione, troverete molti fra i piatti che caratterizzano la cucina domestica giapponese, come lo yakimeshi, lo yakisoba o la zuppa di udon con tempura, con riso e pasta a dare risalto a condimenti di verdure, carne e pesce sempre gustosi e decisamente autentici.
In cucina si divertono però anche a giocare con piatti di matrice decisamente italica, ed ecco fare capolino, fra ingredienti filologicamente inappuntabili, tanto le cime di rapa quanto una versione nipponica e aromatizzata al tè Matcha del tiramisu. Nonostante l’evidente volontà di omaggiare il Giappone e alcuni dei suoi piatti meno noti, d’altronde, non c’è da parte della proprietaria Hiromi alcuna intenzione di trasformare il proprio locale in una bomboniera folkloristica; il desiderio di far sentire l’ospite a casa propria caratterizza infatti tanto l’accoglienza, calorosa ed amichevole, quanto l’arredamento, anch’esso poco conforme allo stereotipo del locale giapponese che ben conosciamo. Sorprendentemente, il locale tende a riservare qualche delusione proprio quando invece che sui piatti domestici si punta sul sushi, piuttosto ordinario così come un cirashi di discreta varietà ma molto migliorabile per qualità del pesce e cottura del riso, ed una tempura di gamberi e verdure decisamente sbilanciata verso il versante vegetale.
J’S Hiro rimane comunque uno dei nostri locali di riferimento per la cucina giapponese a Milano, per l’originalità di una proposta non omologata, per la piacevolezza complessiva e per un rapporto qualità/prezzo che tiene lontano ogni possibile rimpianto.

Polpettine di pesce (offerte come piccola entrata).
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Zuppa di udon con tempura
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Tataki di tonno
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Tempura mista
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Yakisoba
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Il deludente Cirashi
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Tiramisu al Tè Matcha
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Bavarese di Asuki
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..e che non si dica che su questa tavola manca l’acuto…
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