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Ratanà

Tra qualche anno, con molte probabilità, considereremo il Ratanà come uno dei simboli della gastronomia milanese di questo periodo, tanto per la caratteristica posizione geografica, quanto per il contributo nel diffondere per la città la moda dei rubitt, i piccoli piattini tanto cari agli aperitivi milanesi, nonché alla riscoperta dei mondeghili, le squisite polpette di carne cotta, nate come piatto di recupero e ora qui (e in altri luoghi) servite come stuzzichino, in apertura di cena.

Parlando del primo merito, la location, non si può non definirla “particolare”, soprattutto per Milano: una villa storica sede della Fondazione Catella, attiva nello sviluppo del territorio urbano, all’interno di un verde parco giochi pubblico, circondato dai grattacieli del quartiere di Garibaldi Porta Nuova. L’accostamento tra l’edificio storico e i nuovissimi imponenti palazzi, con la loro componente in prevalenza vetro/metallo, generano un colpo d’occhio decisamente d’impatto, è innegabile.

Una volta entrati al ristorante, quando il panorama è ormai soltanto un ricordo, ci concentriamo sull’aspetto gastronomico che, date le aspettative, ai fatti si rivelerà deludente. La cucina dello chef Battisti, dichiaratamente “volta a recuperare la solida tradizione milanese e lombarda” è piacevole, corretta, con delle esecuzioni senza errori, materie di tutto rispetto, attenzione alla stagionalità, alla provenienza e all’armonia dell’insieme: semplicemente, una formula scontata e oramai quasi banale, soprattutto parlando di uno tra i ristoranti di primo piano nella scena milanese attuale.
Quello di cui si sente la mancanza è quel pizzico di fantasia, del battito d’ali necessario a prender le distanze della media meneghina di qualità; in un concept così moderno e attuale, dalle ambizioni parecchio elevate, ci si aspetterebbero proposte, innovazione, creazione, e invece semplicemente ci si allinea alla media, limitandosi a “svolgere bene il compitino”, per quanto bene sia svolto.

Giovane e fin troppo disinvolto il servizio, che ben si accorda al moderno ambiente, dall’arredo un pò chiassoso ma ricercatamente cheap, con la possibilità di cenare al tavolo o al bancone. L’aspetto globale è smaccatamente radical chic, ma purtroppo quel che stride in modo fastidioso, anche in questo caso, sono i più o meno Euro 60, senza vino ovviamente, a sedia occupata. Nettamente più chic che non radical.

Nota positiva per la carta dei vini, un plauso all’appassionata e competente sommelier ma soprattutto alle molte bottiglie interessanti. Nessun nome particolarmente altisonante ma tante proposte centrate, che faranno felice l’appassionato, offerte con ricarichi medio/alti al tavolo ma, complici i contenuti prezzi di partenza, restano quasi tutte stappabili senza particolari remore. Interessante e PG approved la scelta di indicare per tutte le bottiglie il prezzo, questo sì davvero competitivo, per l’acquisto da asporto. Bravi.

Il benvenuto dalla cucina, ma non dai camerieri: lasciato sul tavolo senza una parola. A sensazione: ricotta di capra, semi di qualcosa, un mezzo rapanello e olio.

Il cartoccio dei Mondeghili, buonissimi.

Il Cataratto di Nino Barraco: duro e sapido come uno scoglio nel Mediterraneo. Meraviglia.

Risotto ai peperoni dolci, limoni e acciughe.
Risotto cotto al dente e molto ben mantecato, purtroppo resta monocorde sui peperoni dolci. Acciughe e limoni pervenuti solo allo sguardo, in carta.

Risotto alla milanese con ossobuco.
Anche questo risotto molto buono, al dente e ben mantecato. Zafferano deciso, pure troppo. Ossobuco di gran qualità.

Il nostro vitello tonnato con capperi di Salina.
Carne di vitello tagliata spessa, anch’essa di eccellente qualità. Ma i 24€ (!) richiesti paiono un tantino eccessivi.

I famigerati grissini del grissinificio Edelweiss. Creano dipendenza fisica e psicologica, assoluti.

La nostra sbrisolona ai fiori di ibisco e crema di nocciole.
Una buona sbrisolona. Crema di nocciole dall’ambigua e poco attraente consistenza.

Tartelletta al lemon curd e spuma di mandorle. Acidità del lemon curd netta e ben definita, un buon dessert. Un pò meno riuscito l’impiattamento.

La sala, i tavoli e il bancone.

Panoramica esterna. Alle 23:30.

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante
Siamo alle solite. Mi ostino a girare il mondo alla ricerca del “pret a manger” migliore, della “nouvelle vague” in cucina, fatta di qualità estrema nel piatto, attenzione alla materia prima ed alle preparazioni originali, pochi fronzoli attorno. E poi, un giorno, decido di andare a provare un posto che, chissà perché, continuo ad ignorare per una cena in Milano. Si, quella Milano che, a parte i soliti noti, offre poco, pochissimo di valido. Il solito refrain del gourmet ottuso, mi ci metto in testa. (altro…)

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Recensione ristorante.

Provate ad aprire il sito internet e capirete. Verrete accolti da Antonio Albanese che, sulle note suadenti dell’ormai storico sottofondo, mostrerà la grottesca macchietta del sommelier rotea-calici ed annusa profumi.

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