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Nove

Il giardino di Giorgio Servetto

Se la Liguria è stata giustamente ribattezzata “il giardino d’Italia” dall’intellighenzia contemporanea, Giorgio Servetto al ristorante Nove dell’amenissimo Relais & Châteaux Villa della Pergola, ad Alassio, fa di questo “giardino nazionale” la più calzante delle trasposizioni culinarie.

E a maggior ragione considerando che la struttura – rilevata nel 2006 dalla famiglia Ricci che, così facendo, ha risposto nient’altro che all’imperativo morale di salvarla dal progetto di speculazione edilizia in serbo per lei – ospita, tra le altre cose, uno dei più bei giardini d’Italia: un parco di oltre 22mila metri quadrati i cui prodromi etici ed estetici sono da ricercarsi nel tardo romanticismo inglese d’ispirazione coloniale. Un ideale che, nel tempo, ha fatto loro inanellare oltre 5000 individui tra piante, fiori, ninfee e cipressi, e pergolati a perdita d’occhio punteggiati delle grandi, sferiche infiorescenze di 500 agapanti e rigogliosi Farfugium japonicum mentre, sopra, in stagione, si assiste allo spettacolo di oltre 34 diversi tipi di glicine.

Merito, oltre che di Alessandra Ricci che si divide tra la carriera accademica e l’ingranaggio di questo paradiso e di Francesca Ricci, Restaurant Manager del ristorante Nove, di Giorgio Servetto, che l’imperativo di questo pollice verde lo raccoglie davvero dando al giardino la funzione più sostanziale di tutte, quella dell’orto o, meglio degli orti che amministra: “l’orto rampante” che già fu di Carlo Levi, amico intimo di Italo Calvino, da cui il nome, e quello di Albisola, a Sassello, dove cresce il frumento e razzolano le bestie da cui arrivano i magnifici salumi.

La sua cucina è, dunque, un carotaggio nella terra ligure, il ché contempla anche una certa dose di Piemonte mutuata dall’infanzia a Sassello e di certo dalle esperienze pregresse – all’Antica osteria del ponte di Silvio Salmoiraghi, dal Devero di Enrico Bartolini, da Arnolfo di Gaetano Trovato e da La Madia di Pino Cuttaia – da cui pure mutua un sostrato forte, classico, di cucina francese. Quel che ne sortisce è una riuscita combinazione di rusticità e cultura, eclettismo e purismo, così com’è, del resto, Villa della Pergola tutta.

Riuscitissimi, oltre che molto liberi e, pertanto, molto autoriali ci sono sembrati proprio quei piatti dove la verdura era, appunto, assoluta protagonista. Come nel caso dei Ripieni (zucchina fiore, cipolla Belendina, peperone e patate novelle), i pansotti (ripieni di noci Pecan, borragine e robiola del Beigua di Giacobbe) o il fungo del Sassello con Vermentino e prezzemolo i quali spiegano, implicitamente, anche la presenza di “Ossessione”, il menù interamente vegetale dove, crediamo, alberghi davvero la quintessenza di questa Riviera Ligure di Ponente.

Senza che manchino, s’intende, tributi ai grandi classici della cucina locale come il Cappon magro, il Brandacujun con la panissa e perfino la Focaccia e cappuccino che, tra i dolci, omaggia l’antica colazione ligure fatta di piccole cose e abbinamenti originali, e popolari, sin dal mattino.

E benché un intero menù rischi di diventare assai impegnativo – bisogna essere avvezzi ai fondi di cottura nonché alla presenza, pressoché capillare, della frutta secca – quello ordito da Giorgio Servetto è un menù manifesto e, come tale, va difeso perché sottende alcuni messaggi essenziali: primo perché raccoglie, nel suo piccolo, molte delle sfide della Liguria contemporanea, come la difesa della biodiversità e la messa in sicurezza dei suoi abitanti; secondo perché, soprattutto, ha il potere di ricordare all’uomo che il primo paradiso pensato per lui fu, manco a dirlo, proprio un giardino.

La Galleria Fotografica:

Nel 1979 Roland Gauthier a Madeleine-Sous-Montreuil, minuscola frazione di Montreuil nel Pas de Calais, apre il suo ristorante dopo costruttiva e laboriosa gavetta, acquisendo in breve tempo fama e apprezzamenti con piatti che è possibile attualmente assaggiare all’Anecdote, il bistrot dei Gauthier aperto da poco nel cuore della cittadina.
Ma lo stesso anno è il millesimo di nascita di suo figlio Alexandre che, unitosi al padre nel 2003, anch’egli dopo il suo bravo apprendistato da chef come Regis Marcon, Michel Roth e Gregory Coutanceau, ha lanciato il ristorante in un’orbita che ha ormai nettamente travalicato le dimensioni nazionali.

Non si può parlare della Grenouillere senza far riferimento alla perfetta comunione, anzi, alla vera e propria mimesi con la natura che circonda per ogni dove il ristorante.
La strada che porta da Montreuil a La Madeleine si perde letteralmente in essa e quando si giunge a destinazione si fatica quasi a scorgere il locale, tanto esso è incastonato nell’ambiente che lo avvolge e tanto gli edifici che ne compongono il Relais sono in tutto simili a quelli che ospitano le case dei dintorni.
L’interno invece, progettato nel 2011 insieme all’architetto Patrick Bouchain, lo stesso del troisgrosiano “La colline du Colombier”, disattende in modo sorprendente la bucolicità del tutto.
Una sala ampia, spoglia, dove metallo e vetro, diffusamente distribuiti, donano quei toni algidi, quasi spiazzanti, il cui contrasto è rappresentato da una fucina perennemente accesa al centro della sala, dalla grande cucina a vista situata, senza soluzione di continuità, in un angolo del perimetro e dalla placida vista del curatissimo giardino dal quale fanno capolino, ben nascosti, i bungalow che rappresentano le esclusive camere della risorsa.

Tale essenzialità sembra essere stata studiata apposta per concedere tutta l’attenzione possibile alla cucina dove, a sua volta, la celebrazione del territorio e dei prodotti che la florida natura offre attraverso i più disparati modi di interpretarli è chiaramente il proposito che Alexandre Gaulthier si è prefissato.
La conoscenza certosina degli ingredienti adoperati, unita a sensibilità e padronanza tecnica di prim’ordine, sono gli strumenti che rendono la sua cucina vigorosa, solo apparentemente poco sofisticata e capace di un’assoluta esaltazione del gusto.
La grande classicità francese rappresenta evidentemente l’abbecedario dello chef, quel leitmotiv profondamente e saldamente radicato nel suo bagaglio culturale; come potrebbe essere diversamente, del resto, vista l’educazione acquisita e l’esempio paterno?
L’indubbia abilità non si manifesta però, semplicemente, attraverso la disciplinata applicazione di conoscenze maturate nel corso degli anni.
L’homard genièvre fornisce esempio assai significativo in tal senso: la splendida cottura del crostaceo non risolve in sé il piatto attraverso la propria eventuale riproposizione, magari insieme a pochi e semplici elementi di contorno; ne fornisce piuttosto lo slancio iniziale grazie a un’affumicatura scenografica ma essenziale del cespuglio di mirto, portato al tavolo ancora fumante, le cui note balsamiche rappresentano a tutti gli effetti il vero e proprio ingrediente che completa il formidabile piatto.
Ancora la dolcezza della zucca che in forma cremosa accompagna l’eglefino, vero e proprio sparring partner, si alterna felicemente ad agrumate nuances il cui filo conduttore è il grasso di un essenziale filo di burro.
Ecco: le salse, vera cartina di tornasole di un grande chef.
Vedere per credere quella che accompagna la grenouille, versione meunière, altro esempio di minuziosa abilità artigianale applicata. Acido e grasso equilibrati in una persistenza lunghissima o, ancora, quella che accompagna la carcassa, quasi gore, del piccione. Gioia gastronomica pura.

Ma anche con quelle vegetali non si scherza: la barbabietola che nappa la spigola è in perfetta acrobazia con l’aspro dell’aceto balsamico e la parte più rotonda rappresentata dai broccoli; anche in questo caso la spigola fornisce un mero substrato per una pietanza che è un esercizio di virtuoso bilanciamento.
Non fosse per un inizio e una fine, pur nella loro coerenza con tutto il pasto, non al livello eccellente della parte centrale si potrebbe tranquillamente parlare di una delle primissime tavole europee.
Cionondimeno la Grenouillere si qualifica con autorevolezza come uno di quegli indirizzi assolutamente da non perdere.

Mise en place.
La Grenouillere: Mise en Place
Mimoulette.
La Grenouillere: Mimoulette
Spiedino di fegato di merluzzo.
La Grenouillere: Spiedino di fegato di merluzzo
Tuile con cavolfiore e dragoncello.
La Grenouillere: Tuile con cavolfiore e dragoncello
Tapioca con uova di aringa affumicate.
La Grenouillere: Tapioca con uova di aringa affumicate
Gamberetti… acrobatici.
La Grenouillere: Gamberetti acrobatici
Uova di quaglia in polvere di barbabietola.
La Grenouillere: Uovo di quaglia in polvere di barbabietola
Servizio del pane: di segale e bianco. Squisito.
La Grenouillere: Servizio del pane
Scampi con mela marinata.
La Grenouillere: Scampi con mela marinata
Cannolicchio con albume affumicato.
La Grenouillere: Cannolicchio con albume affumicato
Spigola con barbabietola, caviale di aceto balsamico, sabbia di broccoli.
La Grenouillere: Spigola con barbabietola, caviale di aceto balsamico, sabbia di broccoli
Eglefino, zucca e agrumi.
La Grenouillere: Eglefino, zucca e agrumi
Merluzzo saltato nel burro, bietola, mirepoix di pere, pane bruciato.
La Grenouillere:
Pollo… arrosto ( un concentrato di pollo).
La Grenouillere: Pollo Arrosto
“Homard genievre”: un’aragosta magnificamente affumicata al ginepro portata al tavolo ancora fumante.
La Grenouillere: Homard genievre
Grenouille meunière…
La Grenouillere: Grenouille meunière 1
…e il suo tegame.
La Grenouillere: Grenouille meunière 2
Fungo ostrica e trombetta dei morti, noci e sedano rapa.
La Grenouillere: Fungo ostrica e trombetta dei morti, noci e sedano rapa
Supreme di piccione…
La Grenouillere: Supreme di piccione 1
…le sue cosce…
La Grenouillere: Supreme di piccione 2
…e la carcassa, col formidabile intingolo.
La Grenouillere: Supreme di piccione 3
Le coerenti brioches per godere appieno di tutto.
La Grenouillere: Brioches
Direttamente dal favo, ecco il miele…
La Grenouillere: Favo con miele 1
…servito con qualche goccia di limone.
La Grenouillere: Favo con miele 2
Acini d’uva, il loro gel e foglie di Oxalys.
La Grenouillere: Acini d’uva, il loro gel e foglie di Oxalys
Sorbetto di more e variazione di melassa.
La Grenouillere: Sorbetto di more e variazione di melassa
Cacao grand cru, mandorle, crema alla vaniglia e…
La Grenouillere: Cacao grand cru, mandorle, crema alla vaniglia 1
…goccia d’aceto.
La Grenouillere: Cacao grand cru, mandorle, crema alla vaniglia 2
Cioccolato bianco e mela.
La Grenouillere: Cioccolato bianco e mela
Macaron alla menta.
La Grenouillere: Macaron alla menta
Per esordire.
La Grenouillere: Champagne
Un gran bel Chenin a tutto pasto.
La Grenouillere: Chenin
La cucina.
La Grenouillere: Cucina
Particolare della sala.
La Grenouillere: Sala
La mise en place.
La Grenouillere: Mise en place
La sala vista dall’esterno.
La Grenouillere: Sala dall'esterno
Parte del giardino.
La Grenouillere: Giardino 1
La Grenouillere: Giardino 2
Immediati dintorni del ristorante.
La Grenouillere: Dintorni 1
La Grenouillere…
La Grenouillere: Dintorni 2

I motivi per raggiungere il lago d’Orta sono molti e tutti rispettabilissimi: il bellissimo e rilassante paesaggio con i suoi scorci deliziosi e malinconici, la quiete quasi irreale, la voglia di allontanarsi per qualche ora o, meglio ancora, per qualche giorno, dal caos della vita cittadina, ma il motivo principale, quello che da anni spinge orde di gastro strippati verso il lago d’Orta, e Orta San Giulio in particolare, è principalmente un altro.
E questo motivo è la gola, il vero motore che spinge il cervello e, naturalmente, il corpo tutto a raggiungere questo ameno paesino e sedersi di nuovo, oppure per la prima volta, alla tavola del ristorante Villa Crespi, capitanato dal Bud Spencer della cucina italiana, quel Tonino Cannavacciuolo, gigante buono che, grazie alle ormai numerose apparizioni televisive è diventato un personaggio familiare nelle case degli italiani, amato trasversalmente da grandi e piccini per quel suo aspetto burbero, ma nello stesso bonario e pacioccone.
Ma Antonino Cannavacciuolo è soprattutto un grande chef che è riuscito a creare in pochi anni un’oasi di benessere e di buon gusto, in grado di non sfigurare al confronto con le grandi maison mondiali.

La cucina di Cannavacciuolo è da sempre caratterizzata da una forte commistione fra il Nord ed il Sud Italia, una cucina semplice all’apparenza, basata su elementi di assoluta qualità, lavorati il giusto per esaltarli senza nasconderli.
I sapori sono sempre netti, le cotture ineccepibili, lo stile di cucina è facilmente riconoscibile, quasi una firma.
I piatti sono spesso caratterizzati dalla morbidezza, dall’equilibrio, dalla presenza di elementi lattici, pochi spigoli ed acidità poco accentuate.
Uno stile classico ma mediterraneo fino al midollo, un viaggio tra le tradizioni del Nord e del Sud, un viaggio che parte dai ricordi e dalla memoria dello chef fin ad approdare ai giorni nostri e ad altre latitudini, portando con sé i profumi ed i colori dell’infanzia. Piatti colorati, vivaci, profumati dal basilico e dalle erbe aromatiche.
Pochi azzardi e tanta concretezza, sono il pregio di una cucina che rassicura, coccola e si adatta ai gusti dei più per un’altra sua caratteristica peculiare: la comprensibilità.
Un doveroso plauso va riservato anche a tutta la macchina organizzativa di Villa Crespi, a partire dall’accoglienza fino ad arrivare alla sala, una delle migliori della penisola, passando per la cantina dal respiro internazionale, fino ad arrivare al bar e, naturalmente, alle camere, eleganti ed accoglienti che completano un offerta di altissima qualità, da consigliare senza incertezza alcuna.

Il buon viaggio di Antonino Cannavacciuolo: una lunga serie di stuzzichini, quasi una dichiarazione di intenti. Gnocco fritto al grano arso, burrata e prosciutto San Daniele.
Friselle con pomodorini marinati, rocher di yogurt e nocciole, macaron al fegato grasso.
Stuzzichini, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio , Masterchef
Stuzzichini, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio , Masterchef
stuzzichini, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio , Masterchef
Stuzzichini, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio , Masterchef
Il cestino del pane vario, ma stranamente un po’ gommoso e poco fragrante.
Pane, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
I grissini, sottilissimi e croccanti.
Grissini, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Un ottimo polpo alla plancha come benvenuto della cucina.
polpo, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Scampi di Sicilia alla pizzaiola, acqua di polpo: la summa della cucina di Canavacciuolo, grande materia prima, freschezza, semplicità, immediatezza.
Scampi alla pizzaiola, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Linguine di Gragnano con calamaretti spillo, salsa al pane di segale: un altro grande classico, sempre molto goloso, tecnicamente impeccabile, ottima la salsa che spinge alla scarpetta.
Linguine, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Triglia, melanzana e guazzetto di provola: la triglia è cotta alla perfezione e di grande qualità, la salsa dona morbidezza e rotondità al tutto.
Triglia, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Suprema di piccione, fegato grasso al grue di cacao, salsa al Banyuls: una delle migliori variazioni sul tema che si possano trovare lungo lo Stivale.
piccione, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Guancia di manzo, maionese di nocciola, terrina di patate e broccoli: un piatto poco incisivo e quasi interlocutorio, nessuno degli elementi riesce a rendere stuzzicante un piatto ben realizzato, ma niente di più.
Guancia, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Il ricco carrello dei formaggi.
formaggi,Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Bicchierino di cioccolato bianco ananas e cocco.
Predessert, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Mango, carote, mela verde e sedano: un dessert fresco e piacevole dopo una degustazione piuttosto impegnativa.
predessert, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Il duo sfogliatella e babà, naturalmente di altissimo valore.
sfogliatella, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
Babà, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef
La pralineria finale.
piccola pasticceria, Villa Crespi, Chef Antonino Cannavacciuolo, Orta San Giulio, Masterchef

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Cromatica e sontuosa. Come la villa moresca che si erge tra le colline e il lago. Una struttura impressionante che l’imprenditore lombardo Cristoforo Benigno Crespi fece costruire nel 1879 per riprodurre sulle sponde delle placide acque del lago d’Orta il suo ricordo da mille e una notte di Baghdad. Non ci sarebbe luogo migliore per una cucina così vivace e concettualmente avulsa dalle tradizioni di questo territorio, capace di regalare grandi materie prime saggiamente integrate in uno stile personalissimo tra Nord e Sud, con prevalenti contaminazioni mediterranee. Si respira l’aria del Vesuvio. Un’esperienza singolare che Antonino Cannavacciuolo ti permette di fare stando seduto ad una tavola distante 860 km dal vulcano.
La sua cucina è sempre stata brillante, bella e soprattuto buona. Nei suoi “viaggi gastronomici” non ci sono mai stati passaggi a vuoto o passi falsi; nessun sapore evanescente, ne’ gustativamente complesso. Un perfetto e lineare esempio di grande cucina fatta da straordinari prodotti, mirabile tecnica, grandi idee e, merce davvero rara, grandissima personalità.
Una cucina che abbiamo trovato nel pieno della maturità espressiva, probabilmente ancora più interessante del passato e nella quale il cuocone partenopeo non stenta a cimentarsi con sperimentazioni che sovvertono i luoghi più comuni delle usanze alimentari italiane. È il caso dello sfrenato connubio tra latticini e pesce: ultimamente le nuove creazioni del Villa Crespi sono prevalentemente incentrate su questa singolare unione, che alla lunga rischia di perdere qualcosa in termini di leggerezza finale dell’esperienza. Non è una cucina grassa per carità, ma a tratti molto, molto gourmand. L’elemento lipidico è probabilmente l’unico inconveniente che potrebbe ostacolare il percorso netto della vostra esperienza culinaria a Villa Crespi. Ma sinceramente ci sembra un peccato veniale e nulla più.
Sicuramente poca roba a confronto della goduriosa piacevolezza complessiva che si prova seduti a questa tavola, in cui, come detto, primeggia, su tutto, la costante presenza di una mano leggiadra nel trattare e lavorare una straordinaria materia prima e nel servirla al massimo del suo valore gustativo ed espressivo. Un pregio che in pochi hanno e che da sempre contraddistingue la cucina di Cannavacciuolo.
Dunque nessun appunto sulla qualità dei piatti, né sulla vena creativa dello chef per cui temevamo il peggio a seguito della sua parentesi televisiva – è pronto a bissare il successo della prima serie della versione italiana del noto format “Cucine da Incubo” – considerato che il tutto, fortunatamente, viene registrato nel periodo di chiusura del ristorante.
Insomma, il Villa Crespi è in uno stato di forma smagliante, ed è una delle tavole italiane che oggi, per il mix di raffinatezza e opulenza che offre, si avvicina di più ai “trois etoiles” di Francia. Qui si vive un’esperienza unica, con un gran mangiare ma anche un gran bere, grazie ad una carta dei vini costruita negli anni fino a raggiungere un considerevole livello in termini di profondità e di varietà, prezzata in maniera certamente consona al blasone del locale, ma senza registrare cifre folli.
Una piacevolezza complessiva che passa anche attraverso un servizio di sala di livello assoluto, uno tra i migliori di casa nostra, supportato dalle figure chiave del maître Paolo Ciaramitaro e del sommelier Matteo Pastrello.
Due uomini d’esperienza, due fuoriclasse della sala, che in un cadre di rara eleganza coordinano un servizio che riesce a sostenere con compostezza numeri impressionanti.

I primi stuzzichini (di una lunga serie) serviti con l’aperitivo…
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Quelli ufficiali: rocher di yogurt, basilico e noci e sandwich di pane di segale e mousse di Parmigiano.
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Mini friselle con pomodoro confit e cracker al rosmarino.
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Cialde di kamut con San Daniele e burrata; zeppole alle alghe; focacce all’olio e tarallini.
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Macarons con foie gras.
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Il cestino del pane e il fantastico burro.
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Si parte con l’immancabile ostrica, crema di rapanello e caviale. La variante di un classico di apertura del Villa Crespi.
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Polpo arrostito, pomodoro alla vaniglia, anguria e arachidi. Fresco e ricco di contrasti e temperature.
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Testina di vitello, tartare di gamberi, maionese di foglie di sedano (di grandissima persistenza). Abbinamento che abbiamo compreso solo a metà (due protagonisti dai gusti diametralmente opposti) preferendo mangiare separatamente la crocchetta e il crostaceo.
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Tonno … “vitellato”: il piatto della serata. Un cubo di tonno crudo di qualità pazzesca, appena bagnato da un fondo leggero di vitello, pollo e manzo aromatizzato da note agrumate. Eleganza e finezza estetica e gustativa. Nessun sapore evanescente, tutto degnamente concentrato e persistente a cominciare da quelli che sono considerati i dettagli di un piatto: una salsa tartara da manuale, un brodo di vitello con una tenue sapidità da sembrare un infuso.
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Linguine di Gragnano con calamaretti spillo, salsa al pane di segale. È il vero signature dish di Cannavacciuolo, in carta dal 2005. Pasta che viene cotta appena tre minuti e poi viene “risottata” per il tempo rimanente. Risultato: cottura e amalgama perfette.
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“Pasta e fiori”, crema fresca di capra, crudo di seppie, colatura di insalata di pomodoro, con i fiori che sono nell’impasto e si intravedono tra la sottilissima sfoglia del raviolo. Un piatto di una delicatezza disarmante, da bis.
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Triglia, melanzana, guazzetto di provola affumicata. Un altro colpo d’ala della serata. Quando la tradizione incontra l’innovazione (anche in questo caso, gustativa). Un terra-mare con un tocco mediterraneo marchiato a fuoco.
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Ricciola, grano arso, stracciatella e conchigliacei. Il piatto che ci ha convinto di meno. Non tanto sul versante gustativo quanto su quello della leggerezza finale. La burrata ha un suo peso. Ancora qualità eccelsa del pescato. Piatto dal gusto assolutamente francese, ma con ingredienti italianissimi.
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Filetto di vitella giovane alla piemontese, ostriche e alghe. Piatto coraggioso. La tecnica prevale, perfetta la consistenza della panatura e carne di qualità  eccelsa. La salsa d’ostriche è l’elemento acido contrastante. Le alghe fritte sembrano all’apparenza ridondanti, ma sostituiscono in qualche modo, in un’interpretazione marina, il classico contorno fritto.
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Suprema di piccione, fegato grasso al grué di cacao, salsa al Banyuls. Niente da dire. Tra i migliori esempi di variazione sul tema delle tavole italiane.
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L’assortito carrello dei formaggi…
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…e la nostra selezione.
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Semplice ma d’impatto il sorbetto al mango, concentratissimo.
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Che precede la Zuppetta fredda di nocciole, sorbetto al limone, cioccolato soffiato, cremoso al mascarpone. Un dessert che sembra sbagliato in partenza. Troppa stucchevolezza penserete. Ma aspettate ad assaggiare il sorbetto a limone e vedrete che succede. Altro plauso, l’ennesimo.
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Mondo di passione. Di concezione più scontata, ma comunque di impatto notevole. Ci sono diverse consistenze, ma mancano le temperature a differenza del precedente dessert.
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Una delle sale interne.
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Esterno
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Ps: noterete la mancanza di foto e cenni alla piccola pasticceria. Non avendo potuto immortalare il momento, per cui ce ne scusiamo, in primis, con lo chef, vi diciamo soltanto che oltre alla grande varietà e fragranza dei vari manicaretti serviti, le sfogliatelle valgono da sole il viaggio.

Rispetto e ammirazione: sono queste le prime sensazioni che si avvertono entrando in contatto con il “mondo Santini”.
Dal Pescatore è una vera icona italiana dell’ospitalità, una bandiera del made in Italy nel mondo.
O almeno rappresenta a meraviglia la storia di un pezzo di Italia: quello della campagna mantovana, della pianura padana, del nord.
Dopo tanti anni di onorato servizio e innumerevoli successi, si potrebbe pensare che questo indirizzo sia diventato un monumento, che questa cucina non abbia più niente da dire: assolutamente no.
Dal Pescatore è un luogo vivo, fiero del suo passato ma fortemente proiettato nel futuro.
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