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I Masanielli

El pibe de oro della pizza abita a Caserta

Sulla personalità e sul talento di Francesco Martucci, alias el pibe de oro, abbiamo veramente poco da aggiungere. La sua crescita è inarrestabile: dopo aver attrezzato più di 300 metri quadri di cucina con ogni diavoleria conosciuta sull’orbe terracqueo (abbattitori, roner, essicatori, liofilizzatori, estrattori, affumicatori) lui continua a sperimentare; il fine? Costruire un nuovo codice della pizza contemporanea. E lo fa a suo modo, con un suo percorso personale, e con doti davvero rare: perseveranza da un lato, talento istintivo dall’altro e un grande, grandissimo palato che gli fa scoprire equilibri e dosaggi a molti ancora sconosciuti.

La sua versione di marinara, il futuro di marinara, oltre che nella mirabile tripla cottura (al vapore a 100°, fritta a 180° e al forno 400-420°) che conferisce una croccantezza unita a una leggerezza davvero formidabili, è un punto di riferimento per quella salsa di pomodoro concentrata quanto leggera e per gli ingredienti sapientemente dosati: crema di pomodoro arrosto, per la precisione, che ricorda il ragù cotto ore e ore sulla stufa economica; pesto di aglio orsino, capperi di Salina, olive di Caiazzo, alici di Trapani e origano di montagna.

L’innovazione e il gusto nella pizza migliore del mondo

Un tripudio e un’esplosione di sapori e un grande, grandissimo assemblaggio di prodotti. Francesco Martucci cerca il meglio, non solo in Italia, e lo lavora fino a fare della pizza una materia nobile in barba alla sua estrazione popolare. Ma il capolavoro compiuto è proprio questo.

Anche nelle pizze più tradizionali, tipo la Parmiggiana, riesce a imprimere una forza e un sapore che solo i grandi palati riescono a codificare. Quale? In questo caso il ricordo della parmigiana della nonna, quella un filo ossidata ma meravigliosamente golosa. Passando attraverso la 4 pomodori in 4 consistenze, con un lavoro tra asciugature/essicature, concentrazioni e lavorazioni che rende davvero onore al re pomodoro. Finiamo con il capolavoro contemporaneo della Popeye,  spinaci al burro di Normandia, coppa di testa di Simone Fracassi, crema acida di bufala, zest di limone. Un unicum davvero micidiale.

Un talento unico, che non si arresta, e che continua la sua crescita e la sua evoluzione con costanza e tenacità.

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Un tristellato allo stadio, solo a Copenaghen

Rasmus Kofoed ha avuto una carriera folgorante. Primo tristellato danese della storia, riconoscimento ottenuto nel 2016, è stato ancor prima vincitore del Bocuse d’Or e, in precedenza, due volte secondo e terzo (rispettivamente medaglia d’argento e di bronzo). Eppure Rasmus, che il giorno della nostra visita non era presente, deve avere un carattere e un atteggiamento davvero esemplare. Lo si intuisce nel clima che si respira qui, all’ultimo piano dello stadio comunale di Copenaghen, luogo inusuale per un ristorante di fine dining e che è al contempo professionale, impegnato e dedizioso. Ma l’aria che si respira è anche di totale complicità tra i collaboratori, che ridono, scherzano durante il servizio, alcuni ballano sulle note delle molte canzoni che fanno da sottofondo alla vostra piacevole esperienza.

Sostenibilità ed ecologia, non solo nel piatto

Una gentilezza, un pathos, una empatia tutt’altro che di facciata. Perché il pensiero e la filosofia del capo è che di ecologico e sostenibile, oltre che organico, non ci devono essere solo i prodotti, ovvero la materia prima cucinata. Sostenibile ed ecologico deve essere anche l’ambiente lavorativo, il modo di viverlo e di sentirlo. Ecco quindi che i servizi sono 8 alla settimana, da mercoledì a cena a sabato a cena. 3 giorni di riposo (domenica, lunedì e martedì). E non è raro vedere Rasmus che alle 16.00 abbandona il locale per andare a prendere i figli a scuola. E tutto ciò per noi è un valore, un grande valore. Che necessariamente si trasferisce nell’anima dei piatti e delle preparazioni servite.

Ma parlando più precisamente e dettagliatamente della cucina di Rasmus Kofoed  e del suo Geranium è facile travisare l’estremo manierismo, la perfezione delle forme e delle cesellature dei piatti e delle guarniture con una fredda e distaccata anaffettività gustativa. I piatti sono sottili, finissimi, con sapori mai troppo marcati, mai eccessivi, mai debordanti. In puro stile Bocuse d’or tutto quanto è appena sussurrato, e finissimo. Ma non si confonda con l’evanescenza. Piuttosto con profilo gustativo molto elegante e mai in eccesso ma che in molti casi arriva ad avere una profondità di gusto e una variabilità davvero sorprendente. Basta poi guardare alcuni piatti (i cannolicchi ricostruiti, il nasello, le foglie stilizzate di aperitivo) per ritrovare in molti illustri colleghi, anche italiani, alcuni spunti di ispirazione evidente.

Ciò significa che questa cucina è tutt’altro che manierista, sarebbe questa, anzi, una visione alquanto superficiale. E ci è molto piaciuto il rito, l’accoglienza, la discreta confidenza di una sala che trova in Mattia Spedicato, nostro conterraneo che si è fatto onore in Danimarca, un grandissimo interprete e protagonista. I piatti che ci hanno più impressionato ? Sedano rapa e tartufo nero, i semi di zucca con il caviale e l’uovo con le cipolle.

Andateci! Ne rimarrete estasiati.

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Il peso della storia

Non possiamo negare di provare sempre una certa emozione stando seduti a tavoli come questo: quella nostalgia che si mescola al piacere del ricordo, con la mente che ritorna ai quei primi anni di scorribande gastronomiche tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei Duemila. Qui si è fatto un pezzo di storia della cucina italiana e tutto, di questa sala, lo ricorda. La storia può, però, essere anche un fardello da portare, una grossa coperta calda che, invece che scaldare, soffoca: in questo caso, l’intraprendenza delle giovane menti.

E questo è quello che, secondo noi, è successo nei primi anni di riapertura del Perbellini di Isola Rizza, in mano oggi a Paola Secchi e al giovane chef Francesco Baldissarutti: ti sedevi per mangiare la cucina di Giancarlo Perbellini (oggi nel centro di Verona nel suo Casa Perbellini) ma, al confronto, l’opera di Baldissarutti ne usciva obnubilata, penalizzata. Andava trovata la formula magica per scrivere in maniera convincente una nuova storia senza buttare via quanto di buono era stato costruito, in prima istanza la tradizione di una pasticceria che, da decenni, continua a deliziare gli appassionati. Ebbene, la notizia per noi è che Perbellini a Isola Rizza è ancora un locale in evoluzione.

Una nuova pagina da scrivere

In questa nostra ultima visita abbiamo visto qualcosa che nelle precedenti era mancata: la personalità di un nuovo chef. Alle soglie degli “anta” Francesco Baldissarutti sta, infatti, mostrando il suo valore. Non tutti i piatti ci hanno convinto a pieno, ma certamente abbiamo colto l’espressione delle idee di Francesco e non più l’esecuzione delle idee di un altro: passo fondamentale per un ristorante come questo, ben rappresentato dal Kebab di sedano rapa cotto allo spiedo, spennellato di burro e poi tagliato appunto come un kebab con la sua crosticina deliziosa: piatto di testa e di pancia. Così come la Mozzarella in carrozza, che sconta solo un filo di sapidità eccessiva ma convince per gusto e consistenze o Come un sushi di gamberi e seppie, piatto di grande gusto e complessità per arrivare, infine, a una favolosa trippa, davvero un piatto da grandissimo ristorante.

Altri piatti, dicevamo, ci sono piaciuti meno come i Bigoli, dalla consistenza dura, con tendenza a spezzarsi e squilibrati al gusto, o il Risotto alla salvia, perfetto di cottura ma non sufficientemente concentrato nei sapori dichiarati. Ma la personalità non è mai mancata, si è sempre intravista una firma e questo, a volte, può essere più importante del risultato finale. Perché pensiamo che questa cucina fresca, giovane, tecnicamente di altissimo livello (l’uso dello spiedo è magistrale oltre che un segno distintivo importante) saprà dare nuova linfa a queste mura.

Senza dimenticare il fatto che il tutto è condito da un servizio di grande scuola e da una cantina meravigliosa, con una profondità di annate su bottiglie importanti davvero unica, a prezzi incredibilmente contenuti e tali da rendere una cena da Perbellini una delle migliori, in termini di rapporto felicità/prezzo.

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“Siamo una squadra fortissimi”, a San Cassiano

Il titolo può far sorridere, ma sottende una verità neanche molto nascosta di grande profondità. Lo chef Norbert Niederkofler è un grandissimo scopritore di talenti e un allenatore fantastico, paragonabile a Josè Mourinho per intenderci. Dopo la massima investitura, invece di rinchiudersi in autocompiacimento egotico ha intelligentemente esaltato e amplificato le sue doti di capitano e uomo squadra. Con tanta intelligenza e umiltà. E, al St.Hubertus, ha creato attorno a sé una squadra di tutto rispetto sia in sala che in cucina. Tutti giovanissimi, tutti agguerriti, tutti molto preparati. E, sotto la sua ala protettrice, li sta facendo crescere a dismisura dando loro libertà d’azione, consigli, metodo, esperienza, e pure un filo di controllo.

St.Hubertus: cook the mountain

Il risultato? Semplicemente eccezionale. Al fianco della sua esperienza, del suo talento e della sua conoscenza uno stormo di idee fresche, di stimoli innovativi, di energia positiva. Che traspare nei piatti così come nel servizio. La filosofia “Cook the mountain” è stata estesa e potenziata e, di fatto, ogni anno subisce un’accelerazione improvvisa e intensa. Piante, fiori, erbe e radici spontanee la fanno da padrone in piatti in cui regna sovrano l’ingrediente autoctono. Le preparazioni si fanno sempre più intense e pervasive e, pur trattandosi di un ristorante che deve accontentare i palati più disparati, non ci scorderemo tanto facilmente della nota amaricante dei Ravioli e buon enrico, ovvero con lo spinacio selvatico: un colpo da maestro che fa lievemente impallidire, ma non soccombere, il Cuore di vitello con una salsa magistralmente acida, vegetale ed intensa e una Alzavola selvatica da tripla capriola carpiata.

L’immensa Tartare di coregone, ancora migliorata ed evoluta, e l’Insalata di montagna, cangiante e profonda come non mai, sono il contraltare degno di una pasticceria e una panetteria che, dopo il congedo del grande talento di Andrea Tortora, non ci saremmo aspettati essere così rilevanti e interessanti. Un ristorante che, oggi, conferma la sua valutazione in pieno, pronto prossimamente, se continua così, a traguardi ben più importanti. Anche perchè questa filosofia e questo intenso profumo pervadono tante preparazioni in momenti differenti della stagione. Tanti piatti cambiano in continuazione.

I due dessert Latte di capra, fragole e rabarbaro e fior di castagno e ricotta di capra, ci hanno colpiti ed affondati totalmente. Quest’ultimo, soprattutto, moderno, fresco ma con una profondità gustativa e una nota tannica davvero formidabili.

Quanto al pane, la nuova varietà è morbida e croccante, intensa ma rotondamente golosa. Non resta dunque che fare un plauso al capitano in testa, Michele Lazzarini e al nuovo pastry chef Diego Poli, nonché al grande sommelier Lukas Gerges e al suo fido braccio destro Giovanni Mingolla.

Ecco quindi perché il St.Hubertus è una “squadra fortissimi”!

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Dalla colazione alla cena, pied dans l’eau

Un bar adatto a colazioni? Uno stabilimento balneare? Un ristorante da rapida pausa pranzo o da lunga cena serale? O un luogo ideale per un aperitivo di qualità vista mare?
La risposta al Marè è: di tutto un po’.

Passare qualche ora in questo bello stabilimento balneare, in cui torniamo sempre volentieri, ci ricorda quanto sia importante la vision in una impresa di successo: saper immaginare il proprio scenario futuro, anticipando anche le richieste del mercato… Quando, nella primavera 2010, vedeva la luce Marè, Luca Zaccheroni, il proprietario, sapeva esattamente dove voleva andare: fare del suo locale un punto di riferimento, dalla mattina alla sera, prima di tutto per la clientela del posto e poi, perché no, per gli appassionati disposti a fare km per passare qualche piacevole ora a tavola. Un locale dal respiro internazionale, dove abbinare l’unicità dell’accoglienza romagnola con le idee e le scelte di un viaggiatore curioso.

Il piacere di una cucina gourmand

Il duraturo legame con Omar Casali, lo chef del Marè, è stato quanto mai azzeccato: un cuoco con solide basi tecniche ed evidenti capacità organizzative, in grado di gestire un grande numero di coperti senza rinunciare a qualità e attenzioni. La scelta è caduta su una cucina gourmand, morbida e gustosa, finanche eccessivamente rotonda in alcuni frangenti ma mai stucchevole. Una cucina che è il giusto compromesso tra qualità e costi, che magari non farà gridare al miracolo ma che certamente appagherà in tutto e per tutto, donando una rappresentazione moderna della classica cucina da “bagno” romagnolo aperto, in stagione, tutti i giorni, da mattina a sera.

Il risultato è, come nelle nostre precedenti visite, una sosta di grande piacevolezza in un ambiente che, anche a cena, sa essere estremamente accogliente e confortevole, anche con bambini al seguito. L’ennesima conferma che, in fatto di ristorazione, la Romagna ha sempre qualcosa da insegnare!

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