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Reale

Una voce distintiva nel palcoscenico della cucina moderna

Nell’Olimpo dei grandi cuochi moderni, Niko Romito spicca come uno degli Chef pensatori con una personalità ben definita e uno stile incisivo talmente evidenti da rendere il ristorante Reale una voce distintiva nella scena culinaria contemporanea. La sua cucina è diventata un fenomeno didattico capace di esercitare un’influenza fortissima su ristoratori, cuochi o aspiranti tali, capace di plasmare un’intera generazione (fenomeno in atto già da qualche anno). Gli iconici piatti – cominciano ad essere tanti – ideati dal cuoco abruzzese e dal suo collettivo ubicato in quel meraviglioso luogo che è Casadonna sono espressione di uno stile unico e inconfondibile, orgoglio italiano ormai acclamato anche oltre i confini nazionali.

Niko Romito, l’assoluto e i vegetali: un’esegesi culinaria

Nel corso del tempo, l’approccio di Romito alla cucina si è trasformato in una vera e propria esegesi culinaria. Si tratta di un’analisi costante, approfondita e critica degli elementi gastronomici, degli ingredienti e delle relative tecniche di preparazione. Si parla di immergersi nei dettagli della composizione, delle caratteristiche organolettiche e sensoriali, nonché delle interazioni degli ingredienti, con l’obiettivo di migliorare la comprensione e la resa del piatto. 

Al Reale il processo creativo percorre una strada complessa, c’è un quid pluris che fa di ogni piatto un’invenzione e un’intuizione geniale che parte dalle radici della terra con un prodotto lavorato per essere potenziato (o riabilitato), tracciando un cerchio che si chiude, sempre, con compiutezza assoluta, in nome della purezza. È il concetto di “assoluto”, applicato fondamentalmente ai vegetali, inteso come un ingrediente che non incontra limitazioni, restrizioni o condizioni relativamente a se stesso, che diventa, con un minuzioso lavoro di scandagliamento somministrato nel corso del tempo, sempre più potente. C’è una meticolosa esplorazione di tutte le sfumature possibili al fine di rivelare il massimo potenziale della loro armoniosa combinazione. Il minimalismo delle presentazioni nasconde sapientemente la complessità dei gusti in gioco. Dietro creazioni come Scarola arrosto, Foglia di broccolo e anice, Zuppa di patate e così via si cela un microcosmo ricco di significati che va ben al di là di nomi di piatti sommessi e sequenziali. La cipolla viene sublimata toccando tutte le corde gustative e le consistenze dell’ortaggio diventano una filigrana; tanto affascinante quanto unica la scarola: un contenitore di umami impregnato del profumo inebriante di una teglia sfrigolante di patate; il cavolo un canovaccio di consistenze con un vorticoso gioco di acidità e sapidità. In realtà, la tecnica è strumentale all’esperienza gustativa che rimane, sempre, in primo piano.

Il menù, (quasi) completamente vegetale, per complessità e profondità di pensiero potrebbe risultare un paradigma assoluto di genere, nonché testimonianza del processo creativo del ristorante Reale che continua nel suo irrefrenabile viaggio di evoluzione perpetua mediante uno studio particolareggiato e un’identità personale resiliente che persiste nel suo sviluppo incessante. E chi critica il cuoco per la sua apparente mancanza di prolificità nel proporre un menù completamente nuovo tra una stagione e l’altra, a nostro avviso perde di vista un concetto importante, strettamente legato al processo iterativo che viene implementato in queste cucine, finalizzato a raggiungere una perfezione praticamente inarrivabile. I piatti del Reale subiscono una drastica trasformazione ogni anno, mantenendo sostanzialmente la stessa forma ma migliorando notevolmente in termini di gusto, consistenza e persistenza, con l’ingrediente che assume un ruolo di protagonista assoluto (un assaggio, oggi, dello strepitoso Lenticchie, nocciola e aglio non sarà la stessa cosa dello stesso piatto assaggiato qualche anno fa). Quello che conta è che qui troverete una cucina prodigiosa permeata anche attraverso l’eccezionale lavoro di ospitalità guidato da Cristiana Romito, Gianni Sinesi e dallo staff di sala, sempre pervaso da grande entusiasmo.

Ogni anno, una visita a questa destinazione incantevole è imprescindibile per comprendere lo stato (di grazia!) della cucina d’avanguardia, non solo nazionale.

IL PIATTO MIGLIORE: Scarola arrosto.

La Galleria Fotografica:

Se pernottate a Casadonna, dulcis in fundo, godrete di una delle ormai arcinote ed acclamate colazioni che si possano fare in Italia.

Chiudiamo l’anno con una carrellata di piatti memorabili. Non stupitevi se alcuni di questi piatti saranno solo frugali, altri regali, alcuni cerebrali, altri solo rassicuranti. Come ogni scelta, anche questa parla più di chi l’ha compiuta che dell’oggetto scelto. Al lettore lasciamo pertanto il compito di sbizzarrirsi con le più disparate supposizioni circa lo stato in cui versa non solo la cucina ma anche la critica contemporanea che noi, di Passione Gourmet, pretendiamo, e piuttosto orgogliosamente, lo ammettiamo, di rappresentare.

Leonardo Casaleno e la Pasta al tonno di Mauro Uliassi

In perfetto e affascinante equilibrio tra tradizione e tradimento, Uliassi rievoca uno dei piatti di pasta più banali e amati, reinterpretato con espedienti tecnici che rendono ogni forchettata un lampo di golosità ed eleganza. La mantecatura degli spaghetti viene fatta in un brodo di katsuobushi di tonno, poi un “dado” ghiacciato di sugo tradizionale di tonno, aglio, olio, peperoncino, capperi e prezzemolo viene grattugiato sulla pasta come una bottarga, insieme ad un trittico di ingredienti essiccati: uvetta sultanina, olive verdi, cucunci e capperi essiccati.

Alberto Cauzzi e il Broccolo e anice di Niko Romito

L’approccio al mondo vegetale, e conseguentemente sostenibile, è la nuova moda del decennio. Sembra che ormai non si possa parlare d’altro, della sostenibilità, della sconvenienza della proteina animale o ittica che sia, tanto che molti cuochi affrontano questo tema proprio perché attuale; perché la gente e tutto il movimento della comunicazione enogastronomica spinge in tal senso. E sebbene ci sia chi utilizza questo veicolo come semplice pretesto, c’è anche chi ne fa un punto di partenza: una leva per esplorare in maniera ancora più pervasiva e intensa il proprio talento e la propria ideologia di cucina, come Niko Romito. Non è un mistero, a questo proposito, che lo Chef del Reale affronti l’ingrediente da un punto di vista risolutamente inedito e personale. Da tempo immemore la sua concentrazione, la sua capacità di sviscerare tutte le peculiarità e le spigolature della materia, è il paradigma del suo stile culinario. Pensiamo all’Assoluto di cipolla, al Carciofo, alla Melanzana. Pensiamo alle laccature, alle concentrazioni di fondi vegetali, a lavorazioni che sono in pista, per il cuoco abruzzese, da molto più di un decennio. Questo piatto, in particolare, è l’elevazione di tutti gli studi compiuti sino ad ora, un binomio intenso e persistente quanto povero ed elementare. Cosa si può ottenere con una foglia di broccolo e anice? Una meraviglia!

Antonio Sgobba e le Lumache, peperone friggitello, origano, erbe soffiate di Mauro Uliassi

Lumache e friggitello un abbinamento azzeccatissimo di quel genio di Mauro Uliassi, un piatto giocato sui toni aciduli del vegetale che tiene a bada la terrosità della lumaca e al tempo stesso ne valorizza il sapore, senza ricorrere a un eccessivo aiuto dei grassi. Il sentore di origano e la consistenza delle verdure soffiate completano la sensazione di piacevolezza. Un piatto da applausi a scena aperta.

Orazio Vagnozzi e il Risotto al gorgonzola, ostriche e liquirizia di mare di Riccardo Monco alll’Enoteca Pinchiorri

Sobrio nella presentazione, concentrato ed equilibrato nel gusto. Squisito!

Fiorello Bianchi e la Verza, verza, verza di Michele Valotti a La Madia

Verza cotta nel grasso di pollo, emulsione, shiro koji e shiro miso sempre di verza con whisky torbato e burro affumicato, cavolo cappuccio fermentato per un piatto davvero emozionante per la complessità, originalità e intensità di gusto.

Giovanni Gagliardi e l’Indivia belga di Gaia Giordano da Spazio Milano

Indivia belga, mandarino tardivo e arachidi:  piatto di cottura impeccabile, in cui a rubare la scena è una crema di arachidi di eccellente equilibrio, accompagnata dal contrappunto agrumato del mandarino. Piatto superlativo che conferma la mano eccelsa della Chef nel trattare gli ingredienti di origine vegetale.   

Gianni Revello e lo Spaghetto al caffè, limoni di mare di Stefano Baiocco a Villa Feltrinelli

Perfetta crasi d’italianità: la pasta, il caffè, i frutti di mare.

Roberto Bentivegna e la Volaille de Bresse cotta intera in crosta di sale di Georges Blanc

È per piatti come questo che possiamo macinare centinaia di km, che spendiamo fortune alla ricerca dell’emozione più profonda. Cultura, storia, racconto: in questa preparazione c’è tutto. Da prenotare in anticipo e da provare almeno una volta nella vita. 

Leila Salimbeni e il Coniglio al mascarpone con spinacino e mele di Carlo Cracco e Luca Sacchi

Coniglio disossato, pressato e cotto a bassissima temperatura, impreziosito di cristalli di sale dolce, mascarpone, pinoli e spinacino e servito, da Carlo Cracco e Luca Sacchi, in Galleria, a una temperatura perfetta, fisiologica, a enfatizzare tutto il repertorio delle morbidezze. Un piatto che è manifesto dell’italianità più colta e più elegante a tavola, anche quando si serve degli ingredienti più agresti e frugali, serviti in una maniera quasi monastica.

Gianluca Montinaro e le Lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici di Gian Piero Vivalda all’Antica Corona Reale

La cucina, oltre a parlare al palato, ha la capacità di parlare allo spirito. E quando in un piatto si intrecciano storie di luoghi e di persone, di affetti e di famiglia, di tradizione e di prospettiva, allora l’animo – almeno il mio – muove a trasporto. Il piacere di quella pietanza non si ferma alle quattro sensazioni, ma diventa poesia e trascende a quella «calma grandezza» di cui scriveva Johann J. Winckelmann. Ebbene, in questo 2022, il piatto che più mi ha commosso sono state le Lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici, opera di Gian Piero Vivalda (ristorante Antica Corona Reale, Cervere). Una piccola ‘opera d’arte’ che un figlio ha dedicato a un padre che non c’è più. Che un uomo di cuore ha immaginato per raccontare la storia della propria famiglia. Che un grande cuoco ha ‘costruito’ con i prodotti della propria terra. Vera emozione!

Davide Bertellini e la Cassœula Oggi del Trussardi by Giancarlo Perbellini di Milano

Perché lo Chef ha saputo rivisitare in chiave contemporanea un piatto della tradizione milanese mantenendo intatto il gusto e la  concentrazione dei sapori ed elevando l’estetica.

Claudio Marin e gli Gnocchi di patate in brodo di buccia di patata e bergamotto, schie essiccate e fritte, timo e limone di Antonia Klugmann a L’Argine a Vencò

Un piatto di rara precisione ed eleganza, in cui colpiscono l’utilizzo inconsueto dello gnocco, la concentrazione e complessità del brodo – un esempio di come il no waste (spesso ridotto ad etichetta) possa tradursi in concretezza a servizio della preparazione – e la valorizzazione magistrale delle note sapide che compaiono a fine assaggio, a coronarne la perfezione. 

Adriana Blanc e il Colombaccio, salsa di artemisia, fave alla brace, liquirizia di Alex e Vittorio Manzoni all’Osteria degli Assonica

I fratelli Manzoni propongono una cucina che interpreta magistralmente il territorio. Una valorizzazione della materia prima a tutto tondo che, attraverso l’uso di lavorazioni rispettose del prodotto e di accostamenti audaci, porta in tavola piatti dai sapori sorprendentemente intensi e ben bilanciati. La carne del colombaccio è appena scottata, intrisa dei suoi succhi, ferrosa e potente. A fare da contrappunto vi è una balsamica salsa di artemisia, che unita alla dolcezza delle fave smussa ogni spigolatura e rivela un connubio di grande equilibrio e piacevolezza. 

Valerio De Cristofaro e la Trota fario, scaglie di ravanelli e mandorla fermentata di Giulio Gigli da UNE

Molto interessante l’accostamento fra la trota ed il fondo di ravanelli. Le mandorle fermentate incuriosiscono; la vera chicca è, però, la chips di pelle con lattume, tartufo nero e soprattutto acetosella. Quest’erba, perfettamente dosata trasforma il piatto. La sua nota rinfrescante la ricordiamo ancora con piacere… catartica. 

Erika Mantovan e il Risotto nascosto di Luigi Taglienti

Il Risotto nascosto di Luigi Taglienti copre il capriolo alla forchetta, e si completa con una salsa bianca e una polvere di caffè. La delicatezza non nasconde un’accelerazione dei gusti che appaiono come l’espressione di una manualità e di una tecnica al servizio degli ingredienti. Si raccontano i gusti primitivi e si rendono essenziali. Non importa il dove ma il come. La salsa resta lo strumento, la migliore connessione nei piatti, di questo Chef oggi all’IORistorante di Piacenza

Giacomo Bullo e i Tubetti al cavolo nero, stracciatella di canocchie e olive affumicate di Gianluca Gorini

In principio fu l’estrazione loprioriana, sintesi ed essenza estrapolabile dal singolo ingrediente. Poi, da San Piero in Bagno ad oggi, Gianluca Gorini con un singolo piatto a coniugare insieme il più bel mari e monti di questo 2022. Il profondo brodo di cavolo nero, nella sua austerità vegetale incontra il dolce stil gusto della canocchia, in polpa e nella sua proteica coagulazione dell’albumina in essa contenuta. Una stracciatella che non ha tradito la sua anima popolare: rifocillare nella sua (neo) golosa interpretazione. Stupire con una minestra? Con Gorini è possibile!  

Gianpietro Miolato e il Salmone e caffè di Alberto Basso

Ai Tre Quarti va in scena un piatto complesso, non certo accomodante ma assai intelligente. Acido, sapido, persistente, armonioso, un connubio capace di unire istanze non semplici in una forma accessibile e riconoscibile anche al commensale meno esperto. Chapeau.

Gherardo Averoldi e la Chimera di agnello e piccione, salsa alle olive nere di Kalamata di Alain Passard a l’Arpege

Alain Passard ha costruito la sua fama leggendaria soprattutto per la rivoluzione vegetale che ha coinvolto il suo ristorante, l’Arpege, dal 2001. Tuttavia non va dimenticata la sua maestria come rôetisseur, che trova uno dei suoi apici assoluti nelle così dette “chimere”, l’unione in un unico piatto e in un’unica cottura della carne di due differenti animali, i quali non sono solo giustapposti ma fisicamente uniti per creare una nuova e mitica creatura. La cottura è magistrale, la sensazione è quella di mangiare realmente un animale che non è più né piccione né agnello ma qualcosa di completamente nuovo, trasfigurato, il tutto accompagnato da un’eterea salsa alle olive nere di Kalamata e dalle splendide verdure dell’orto di Alain. Un piatto da pelle d’oca.

Marco Bovio e i Fagioli e Melone di Michele Vallotti a La Madia

Se la consapevolezza è rappresentata dai sapori acido e amaro, sono stato assolutamente consapevole di aver assaggiato il piatto più buono di quest’anno alla Trattoria la Madia dello Chef Michele Valotti. Il suo Fagioli e melone ti stende con un uppercut, il piacevole “fastidio” di un piatto della memoria, come una pasta e fagioli che si evolve in bocca grazie all’acidità del melone fermentato e la grassezza dell’olio al prezzemolo.

Giancarlo Saran e gli Gnocchi di patate con trippette di baccalà e ricotta affumicata di Mattia Barni da Alajmo Cortina

Mattia Barni è l’ennesimo talento valorizzato dalla premiata ditta Alajmo. Comasco di nascita ha fatto tutto un percorso all’interno della Maison. Calandre, Quadri, Marrakech. Ora hanno affidato a lui Alajmo Cortina. Intriganti gli gnocchi di patate al grano arso con trippette e gola di baccalà, salsa di ricotta affumicata. Ma il tocco malandrino è di un ingrediente non indicato nel menù, le lamelle fritte di porro che ti accompagnano nel girone dei golosi, ma ne vale la pena.

Vania Valentini e la Storia d’Amore di Fabio Vandelli all’Erbavoglio 

Trattasi di tortellini di pasta chiusa all’uovo dalle sfogline, con ripieno di orzo fermentato italiano biologico, anacardi, crema di Parmigiano Reggiano 24 mesi con certificazione di qualità. Semplicemente meravigliosi, saporiti, gustosissimi, forse più buoni degli originali. Parola di emiliana.

Niko Romito e lo studio sul vegetale

L’approccio al mondo vegetale, e conseguentemente sostenibile, è la nuova moda del decennio. Sembra che ormai non si possa parlare d’altro, della sostenibilità, della sconvenienza della proteina animale o ittica che sia, tanto che molti cuochi affrontano questo tema proprio perché attuale, perché la gente e tutto il movimento della comunicazione enogastronomica spinge in tal senso. E sebbene ci sia chi utilizza questo veicolo come semplice pretesto, c’è anche chi ne fa un punto di partenza: una leva per esplorare in maniera ancora più pervasiva e intensa il proprio talento e la propria ideologia di cucina, come Niko Romito.

Non è un mistero, a questo proposito, che lo Chef del Reale affronti l’ingrediente da un punto di vista risolutamente inedito e personale. Da tempo immemore la sua concentrazione, la sua capacità di sviscerare tutte le peculiarità e le spigolature della materia, è il paradigma del suo stile culinario. Pensiamo all’Assoluto di cipolla, al Carciofo, alla Melanzana. Pensiamo alle laccature, alle concentrazioni di fondi vegetali, a lavorazioni che sono in pista, per il cuoco abruzzese, da molto più di un decennio.

Il Carciofo, paradigmatico, è il risultato di un lavoro di concentrazione e di spinta amaro-dolce-sapida che non ha veramente eguali al tempo in cui è stato pensato. E ha aperto strade, terreni inesplorati a flotte di cuochi che hanno preso questo piatto come simbolo di una nuova cucina fondata sulla concentrazione e sullo studio sull’elemento. Sempre il Carciofo ha iniziato ad esplorare la strada della textura, altro aspetto che Romito ha esaltato e decisamente ridefinito. Non che la textura, dalla grande rivoluzione della nouvelle cuisine sino ad Adrià, non sia stata presa in considerazione, si badi bene. È anche qui l’uso che ne fa Romito, la profondità con cui l’analizza, che fa la differenza, tanto che la utilizza come un ulteriore sapore, il sesto o settimo, come vogliamo contarli, che produce una energia e una sensazione gustativa differente tanto quanto l’uso, più o meno accentuato, del sale, del limone, dell’aceto, di una essenza di genziana. Deforma il gusto, lo stravolge, lo plasma e, soprattutto, lo produce.

Sempre il Carciofo è forse uno dei primi e timidi esperimenti di esplorazione degli amari per il cuoco abruzzese. Amaro è maturità, amaro è gusto difficile, scorbutico da maneggiare, rischioso per la platea di clienti. Amaro è, però, una sfida, importante e unica, di essere veicolo di profondità gustativa e di riverbero degli altri gusti. È conduttore formidabile, l’amaro, se ben armonizzato, integrato, dosato.

Ebbene, tutte queste aree e tratti distintivi della cucina di Niko Romito sono letteralmente esplosi, portati all’apice, concentrati e deflagrati, in questo menù vegetale. Un menù che è un pretesto, lo ripetiamo, per spostare ancora più in alto l’asticella del gusto, la profondità dell’analisi, la spinta avanguardistica. Una valutazione che, continuando così, potrà crescere facilmente – e a breve – ancora di più rispetto all’attuale.

Amaro, concentrato, elegante, masticabile intenso in trasformazione, traslazione del gusto. Non serve aggiungere altro, se non chiedere a tutti voi di leggere i semplici titoli dei piatti, guardare le foto, e immaginarsi, crediamo con discreta facilità, cosa sta dietro a questo percorso e, allora, prenotare immediatamente un tavolo a Castel di Sangro.

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L’ascesa Reale di Romito

La vita continua a sorprendermi. E anche questa volta sono uscito sconvolto da una cena che scorderò difficilmente. Non basta un breve messaggio per descrivere tutte le emozioni che mi hanno attraversato. Un percorso in cui Niko Romito approccia terreni per lui inediti con un vigore, una comprensione e una profondità davvero unici. Il tema dell’amaro declinato e studiato sino alle viscere, l’approccio alle fermentazioni, i liquidi che in questo menu sono a dir poco sensazionali. E quella “pasta patate e calamaro” che demolisce tutti i preconcetti conosciuti. Ma l’ostrica e l’animella, quest’ultima uno dei feticci dello chef abruzzese, assieme alla trota fanno comprendere sino in fondo come questo cuoco e questa cucina siano fondati sulla progressione continua, sullo studio attento, sulla forza di identità personale che continua ad evolversi, a mutare, a sorprendere nella sua continua crescita. Dove arriveremo? Solo il tempo saprà dircelo, ma sono certo che non passare di qui, in questo luogo magico, non può che far mancare a tutti gli appassionati un gran bel pezzo di storia, di presente e di futuro della cucina d’avanguardia italiana. Identitaria come non mai. Un grandissimo applauso anche a Cristiana Romito, Gianni_Sinesi, Dino Como degni partner in crime di questo grande talento italiano, di cui non si parla mai abbastanza. Perché la forza di questo luogo passa anche attraverso il duro lavoro della squadra di Ristorante Reale.”

Il profumo del primo amore

Questo è stato il nostro scritto, d’istinto, pubblicato sul profilo Instagram personale. Uno scritto che contiene in sé già tutte le riflessioni possibili su questo nuovo ed entusiasmante percorso vissuto da Niko Romito al Reale. Lo chef abruzzese ha infatti deciso di intraprendere la via più difficile, di questi tempi, e di rischiare, di osare, di andare oltre i propri limiti e cliché. Ecco quindi svilupparsi una nuova idea di cucina, in cui gli spigoli e le asperità si modulano e rivestono dell’eleganza monastica tipica della cifra stilistica di Niko Romito. Forse sarebbe meglio dire si travestono, perché a fronte di una apparente eleganza e tenue equilibrio, questi piatti sprigionano una energia fenomenale.

L’ostrica, con i suoi sentori amaricanti-iodati e finanche lievemente grassi, allungano ogni boccone quasi fossero un grandissimo e impareggiabile grand cru di Borgogna. Le varie tonalità entrano in bocca con passo lieve ma si fanno largo in maniera dirompente e folgorante. La pasta e patate sovverte, come abbiamo detto, tutti i paradigmi conosciuti. Una pasta e patate fredda, a bassa temperatura davvero, che non si aggruma ma rende scioglievole e lungo ogni boccone, scorrevole come non mai. Qui la tecnica è indirizzata alla estrema sublimazione del gusto e delle consistenze.

Eh, già, le consistenze. Le strutture della materia. Un’impalcatura che ritroviamo nella spigola, cruda ma dalla texture mai vista prima. E l’animella, che fa intravedere l’approccio alle fermentazioni, nuovo da queste parti, ma incredibilmente centrato. Sì, le fermentazioni. Che trovano il loro azimut nei liquidi, serviti durante il pasto, che assurgono a veri e propri piatti autoriali. Quello di carote, incredibile, e quello di pomodoro, fantastico. Lavoro intenso sulle fermentazioni e sul mix di aromi che creano le derivate del gusto più incredibili e inaspettate, spiazzanti. L’agretto di pomodoro ci ha riportato alla mente la fragola Hatsukoi no Kaori Ichigo giapponese, la famosa fragola bianca che ha sentori dolci lievemente acidi, eleganti, sopraffini.

Sapete qual è il significato del suo nome ? Profumo del primo amore, e qualcosa vorrà pur dire!

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Niko Romito: patrimonio nazionale dell’umanità

Reale è prima di tutto un magnifico ristorante, che la lungimiranza e la sensibilità di Niko Romito ha ricavato nel contesto di un vecchio convento, di cui serba tutta la solennità e il senso di raccoglimento che gli occorre per esprimersi in tutta la sua monumentale statura. 

E se alcune classifiche internazionali han pensato ingenuamente di declassarlo, noi lo rivendichiamo innalzandolo, elevando la sua cucina, e il suo pensiero, a patrimonio nazionale.

Già la collina che domina il piccolo paese di Castel di Sangro è, del resto, delineata  nel suo profilo dall’edificio stesso e dal complesso tutt’intorno, con la scuola di cucina e l’esclusivo hotel, che si stagliano con perentoria eleganza sul panorama abruzzese.
Gli interni, austeri perché abitati da una ricercatezza essenziale fatta di materia, sono funzionali a quello che sembra essere il mandato principale di Niko Romito: ovvero l’esaltazione di uno stile elaborato, ricercato e risolutamente perseguito, che a uno sguardo poco attento potrebbe apparire oltremodo semplice e lineare, ma che cela invece un’intima, profonda complessità, frutto di un’estenuante ricerca sulla materia e di una costante applicazione intellettuale.

Lungi dal tornare ancora sulle sue formidabili doti di imprenditore, delle quali i vari Spazio di Roma e Milano, Bulgari, Bomba e Alt stazione del gusto rappresentano un’eloquente nonché sintetica testimonianza: del Reale ci preme sottolineare piuttosto il metodo quasi scientifico di questa serialità che si nutre di sé stessa, penetrando e scandagliando sempre più il nucleo costitutivo degli ingredienti. 

Nuove tecniche: una nuova storia della cucina italiana

Il frutto di questo indomito lavoro e di queste conoscenze acquisite è da anni costantemente sotto gli occhi di tutti celato, come detto, sotto un manto di rassicurante semplicità presto pronto, però, a svelare la sua essenza più sofisticata e affascinante per chi voglia coglierne i suoi aspetti più reconditi. 

Un esempio è l’anatra, inizialmente cotta in forno poi ghiacciata, in modo da bloccarne la cottura e favorendo così la dispersione dei liquidi che, preservandone l’aspetto apparentemente crudo, garantiscono una sorprendente pienezza gustativa aumentata esponenzialmente dalla sua acqua affumicata: non un brodo, quindi, ma una nuova tecnica, una contaminazione a freddo, creata utilizzando la sua carcassa tostata, affumicata e lasciata in infusione per dodici ore, a freddo appunto, in modo da rilasciare per osmosi tutti i profumi nell’acqua stessa. 

Persino su un piatto primordiale, almeno a enunciarlo, come Riso e patate c’è tutto un processo che eliminando l’amido rivela l’insospettabile freschezza e l’acidità del leggendario tubero, esaltato sapientemente da un’assai efficace spruzzata di pepe nero di Sarawak. Si potrebbe continuare per ore analizzando così ogni suo piatto per osservarne le fasi creative che lo ha portato attraverso successivi e talvolta impercettibili aggiustamenti ad essere così com’è: puro, esaustivo, conclusivo.

Noi ci fermiamo qui, raccomandando caldamente una visita o anche un soggiorno al Reale: tempio definitivo della ristorazione italiana in cui, da anni, l’estetica gastronomica viene celebrata in ogni suo aspetto. 

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