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Kolibrì

Kolibrì: un mondo da raccontare

Ci sono belle storie da scrivere in giro per lo Stivale. Storie di passioni, di fatica, di “testa bassa e pedalare”, di tagli e sorrisi. Storie di uomini alla ricerca di un proprio posto. E il mondo delle cucine non fa differenza, anzi: questo è un mondo dove il sacrificio è pane quotidiano. Ovvio, non si salvano vite dietro a un fornello, ma di sicuro si rinuncia a un grosso pezzo della propria vita personale e questo non può che generare profondo rispetto da parte di chi, come noi, ne gode spesso e volentieri.

Allora, girando per questo mondo del cibo dalle mille sfaccettature, può capitare di imbattersi nella storia di Irvin Zannoni, cuocone nel pieno della maturità con le mani del lavoratore vero, uno di quelli che non ha vissuto da giovanissimo la ribalta mediatica eppure sa dare del “tu” agli ingredienti. Dopo una lunga esperienza alla Capannina di Casal Borsetti si riparte da un altro luogo, apparentemente improbabile, eppure con del potenziale. Basta avere visione.

La sua si è formata sul campo tra le cucine della Riviera Romagnola, dove si impara a stare in trincea e fare numeri, e ferie invernali passate a studiare alla “scuola” di Giancarlo Perbellini. E certamente la lezione dello chef veronese gli è rimasta appiccicata addosso: in alcuni passaggi, al Kolibrì, sembra proprio di tornare ai primi anni 2000, seduti in un tavolo di Isola Rizza. E lo si prenda questo come un grande complimento…

Gusto e sapore

Nello scampo, foie gras, crumble al pepe e salsa alla camomilla c’è tutto quel mondo e quel sapore, quella dolcezza che non stanca ma anzi coccola e avvolge perché supportata da una corretta freschezza. Lo stesso si può dire per il crostino con sgombro e foie gras, boccone lussurioso in cui lo chef riesce a domare il grasso con grande maestria.

Una cucina certamente con un buon carico lipidico, ma non per questo pesante. Magari senza colpi di genio assoluto, ma con una dote impagabile: la pienezza dei sapori. Irvin Zannoni ha palato, ha senso del gusto, e queste sono doti che o ce le hai o non te le inventi. È il senso del gusto a sostenere un fantastico spaghettone dove il guanciale è sostituito dall’anguilla (davvero un grande piatto) o il gambero rosso crudo abbinato alla pesca e alla vaniglia, in cammino spericolato sul crinale tra giusta dolcezza e saturazione del palato.

Di strada da fare ce n’è tanta, in verità più nel contesto del locale, che deve riuscire a trovare una propria identità, smarcando in qualche modo la proposta del menù fine dining da quella dei numeri, di cui il Kolibri ha vissuto e continuerà bene a vivere.

Del resto, si parla già adesso di un ingresso dedicato, di migliorie varie, di revisione della carta dei vini. Insomma, lavori in corso. Nel frattempo, sia che siate seduti nella piccola saletta dedicata al menù gourmet che in quella grande dello storico locale, potrete ordinare indifferentemente le due proposte, quella più tradizionale fatta di grigliate e cappelletti e quella più creativa dello chef Irvin.

Noi teniamo gli occhi ben puntati su questo cuoco dalle indubbie capacità, perché di cucine di impronta classica, ben fatta come questa, non è che ne sia pieno il Bel Paese….

La galleria fotografica:

Una grande cucina di pesce, nei dintorni di Ravenna, che promette molto bene …

La storia della Capannina a Casal Borsetti ri-nasce nel 2012 dall’incontro dello chef Irvin Zannoni con i proprietari, la famiglia Bertagna. Obiettivo comune era quello di creare, in questo piccolo borgo del litorale nord di Ravenna, un luogo che esprimesse una cucina ittica di grande qualità. Obiettivo centrato in pieno grazie al talento di Irvin, alla fiducia e dedizione dei proprietari, alle indiscusse doti di un fido compagno di avventura per Irvin, il sommelier Pietro Raggi.

Questa zona dell’alto ravennate è così pericolosamente vicina ad un’altra ‘capanna’, quella di Eraclio, o alla Zanzara. Due istituzioni che mostrano alcune affinità, ma anche tante differenze. Cominciamo col dire che qui alla Capannina si sta un gran bene. In tutti i sensi e a 360 gradi. La cucina di Irvin si divide tra l’estro moderato, la sua scuola personale (il metodo Perbellini si vede tutto sino al midollo), e la corretta presentazione di cotture/abbinamenti, applicate al fantastico pescato che questo angolo di alta Romagna offre. E da questo punto di vista iniziamo col dire che la materia prima qui proposta è semplicemente fantastica. Poi, come qualche volta accade – non troppo frequentemente purtroppo – viene servita e portata in tavola con ottimo senso del gusto e senza errori tecnici che ne pregiudicherebbero la qualità intrinseca.

Se a questo aggiungiamo un servizio celere, preciso, molto giovane l’esperienza si fa ancor più divertente. La cantina inoltre, pur propendendo verso le bollicine, ha contenuti e chicche enologiche davvero ammirevoli. Ben gestito anche il ‘dualismo’ della carta, saggiamente divisa tra piatti alla carta tradizionali, ma sempre rivisti con classe e finezza – fritto, vapore, crudo, ecc. – e due menù degustazione a mano libera dello chef: uno più avanguardista e con portate calde, uno di soli crudi, ben 10, entrambi ad un prezzo incredibile – 65 euro.

Nel nostro percorso abbiamo optato per il menù tutto-crudo di 10 portate + dessert a 65 euro alternandolo con il menù 5 portate + dessert in cui l’estro di Irvin ha il sopravvento. Dobbiamo invero rilevare come anche nei crudi si scorge una finezza ed una centratura di abbinamenti non affatto comune, forse anche più che nella parte più elaborata e cotta. Ma ciò detto il nostro percorso è stato un tripudio di goduria e persistenza, dalle ottime ali di razza panate con colatura di alici e cavolfiore in salsa e crudo, gli scampi al pompelmo, i gamberetti rosa in salsa rosa, le seppie, pancotto e boccoli, i cappelletti al verde e lumachine di mare, lo strepitoso duetto sgombro-mela-estrazione di aneto e la triglia al rabarbaro. Qualche sbavatura? I tagliolini ai ricci di mare e aglio olio e peperoncino con tartufo, troppo asciutti e troppo piccanti. Una lieve pennellata negativa che però ci schiaffeggia con la grande maestria nella componente glicemica, con dolci davvero tanto sopra la media dei ristoranti di questa caratura. Ed ecco quindi un bell’incoraggiamento, assegnando una votazione che ancora per poco non è piena, ma secondo noi meritata e sicuramente raggiungibile in futuro con qualche colpo di finezza aggiunta, nelle corde dello chef.

la galleria fotografica:

Volere è potere: a Ravenna una cucina un po’ acerba, ma dal grande potenziale

Non l’eroe che meritavamo, ma quello di cui avevamo bisogno“. Con queste parole il commissario Gordon, nel film “The Dark Knight”, descrive Batman in relazione alla città di Gotham. Le stesse parole potrebbero essere usate per descrivere il ruolo dell’Alexander per Ravenna, ovvero uno dei pochi ristoranti del panorama cittadino a offrire una cucina moderna e giovane (sia per lo chef classe ’90, sia per il tipo di clientela che lo frequenta abitualmente) a un ragionevole rapporto qualità/prezzo. Un locale elegante in stile liberty (il locale era un cinema negli anni Venti), ma con un occhio di riguardo alla contemporaneità, specie nella mise en place.

Sebbene una piazza come Ravenna, va detto, meriterebbe ben altre vette e locali di alta qualità -a supporto del grande patrimonio storico culturale presente in città, e per soddisfare le pretese di un target turistico di livello internazionale- l’Alexander è il tassello di cui al momento la città dei mosaici necessita per crescere sul versante dell’alta gastronomia.

La cucina dello chef Borroni, con esperienze nel milanese (tra cui il Four Seasons Hotel), punta all’alta gastronomia, all’ingrediente di tendenza, alle tecniche più in voga, alle soluzioni estetiche elaborate dai grandi, ma in tutto questo rincorrere a emulare perde a volte la propria cifra. Nonostante un’indubbia base tecnica e un genuino gusto estetico, manca una precisa identità, una ricerca creativa personale che parta dalla materia prima piuttosto che dall’idea di qualche grande étoilè. Una cucina al momento confusa, perché cerca di stupire invece che meravigliare.

Tre i piatti più emblematici della serata, per comprendere al meglio luci e ombre che hanno caratterizzato la nostra esperienza: il risotto, il merluzzo, il dessert.
Il risotto, benché dall’aspetto impeccabile, presenta sapori che mal si conciliano in bocca e una quantità di assaggio esigua. In particolare la polvere iodata in superficie tende a celare il sapore del riccio; mentre alla lunga l’eccesso di aglio appesantisce il palato. Un piatto che passa e in fretta si dimentica.
La portata principale, il merluzzo, ripropone una porzione molto ridotta e discreta latitanza di sapore. Gli unici picchi infatti sono dati dalla gradevole acidità della mela e dalla punta amara del radicchio tardivo, che muovono un piatto altrimenti statico.

Il dessert si rivela il passaggio più riuscito e originale della degustazione. Un uso assai dinamico dell’ingrediente, l’arachide, che viene valorizzato in modo sapiente nel gelato, nel pralinato e nella terra. Il gioco molteplice di consistenze e temperature è ben calibrato ed estremamente piacevole, nonostante il dessert risulti esagerato nelle proporzioni e poco legato insieme (la pralina di burro di cacao e crema inglese, seppur deliziosa, finisce per diventare un’opera di mero assemblaggio).

Nel complesso lo iato tra l’idea di cucina dello chef e la sua effettiva attuazione, tra forma e contenuto dei piatti, è ancora troppo grande per non sentirsi parte di un’esperienza incompleta e a tratti insoddisfacente. Si ha l’impressione di uno chef che guarda lontano ma con radici troppo esili al momento; un fiore non ancora pronto a sbocciare, ma che in un prossimo futuro potrebbe regalare sincere emozioni.

Non resta che attendere la primavera.

Recensione Ristorante

Un agriturismo – si coltivano direttamente molte delle materie prime utilizzate in cucina – nel bel mezzo della campagna ravennate. Da qui parte la nuova avventura del bravo Vincenzo Cammerucci, nome nobile della ristorazione della Riviera, reduce dai successi di critica e non solo ottenuti con il Lido Lido sul mare di Cesenatico.
Agriturismo ma che non rinuncia ad una certa eleganza negli arredi, questo CaMì è un luogo che trasmette immediatamente una sensazione di piacevolezza e buon gusto. Arredi moderni tutti giocati su tonalità chiare, tavoli ben distanziati, mise en place di ottimo livello ed un piacevole spazio esterno. Insomma il passaggio dal mare di Cesenatico alla campagna non è avvenuto a discapito dell’eleganza. E neanche, ciò che più conta, della bontà della cucina. Certo, la cifra stilistica è un po’ diversa. Se la precedente esperienza dello chef era mirata su piatti prevalentemente di pesce con raffinati abbinamenti pesce-verdure, qui è la “terra” a giocare un ruolo di primo piano in carta, anche se non mancano, come vedremo, interessanti proposte di mare.
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Recensione Ristorante

Quest’anno la Frasca compirebbe quarant’anni.
Il condizionale è d’obbligo, visti i numerosi cambiamenti ed avvicendamenti : non c’è più il fondatore – nonché storico patron – Gianfranco Bolognesi, non siamo più a Castrocaro e soprattutto non c’è più la seconda stella Michelin.
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