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Angelo Sabatelli

Da Angelo Sabatelli a Putignano va in tavola la verità, solo la verità, nient’altro che la verità

In tempi incerti per la ristorazione quali quelli che stiamo vivendo, a latitare spesso dalle tavole è paradossalmente proprio la coerenza, il fil rouge tra idee e fatti, tra intenzioni e pratica, tra proclami e quel che arriva nel piatto. Una latitanza evidente nei menu degustazione che, se una volta rappresentavano la sinossi della filosofia dello chef, ultimamente si configurano come compilation di piatti certamente riusciti ma poco consequenziali. Tra i fedeli all’uso della consecutio temporum anche in cucina c’è sicuramente Angelo Sabatelli. Quello che non le manda a dire, quello che la verità te la racconta in ogni piatto, in ogni sua sfumatura, in ogni sua segreta trama. Una verità che durante una degustazione ti induce spesso a fermarti e riflettere. A farti domande. A chiederti cosa sta scatenando sinapsi e perché, con quale alchemico criterio sono state composte, scomposte e poi di nuovo ricucite acidità e sapidità, dolcezze accomodanti e amarezze disturbanti, note accattivanti e asperità disorientanti. Non ama troppo i piatti signature Sabatelli, quelli iconici, quelli che molti suoi colleghi addirittura datano e non mutano mai, quelli su cui costruiscono fortune. Non ne ama la staticità, proprio quella che spinge spesso i clienti a diventare assidui, a tornare per ritrovare certezze. Preferisce piuttosto provocare, spingerti a sondare il nuovo e l’ignoto, farti arrivare maieuticamente al piacere.

Radici e contaminazioni: l’extraterritorialità della Puglia

Puntuali, reiterati e sempre ben governati sono i riferimenti dello Chef alla sua terra, ai suoi prodotti migliori e spesso poco conosciuti, alle loro intime e infinite interazioni, alla loro mai esaurita potenzialità. Riferimenti tenuti insieme e impreziositi – come nella pratica giapponese del kintsugi – da sottili e luminose venature di contaminazioni frutto delle sue esperienze professionali in Estremo Oriente (cifra da sempre distintiva della sua cucina), da una solida tecnica e da una instancabile curiosità onnivora.

Ne vengono fuori sia capolavori di cesello estetico e picco sensoriale come il crudo di astice, mandorla, mandorla verde e ponzu, il risotto alle verdure acide, estratto di lievito e limone caviale marrone o i gyoza di sponzali e foie gras, sia potenti madeleines come l’irresistibile (un vero e proprio piatto a sé) pane all’olio, vincotto, semi di cumino e sale di Maldon,  il pancotto al tartufo nero e parmigiano 30 mesi o il bianchetto di agnello in pignata in cui si fondono tecnica francese e memoria di affumicature casalinghe.

Certezze anche nel dessert, solitamente campo di sconfitta anche nelle migliori e insospettabili famiglie. L’aspic di litchi, lamponi e rosa damascena, crema soffiata al Moscato di Trani e polvere di ibisco denuncia con chiarezza che tutto ha avuto inizio da un grande maestro pasticcere mai dimenticato.

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Trattoria e “botteghe” antiche, ma contemporanee

Lo stop forzato subito dalla ristorazione durante l’ultimo anno e mezzo ha segnato nel profondo questo settore, per alcuni purtroppo in maniera definitiva. In altri casi, invece, ha portato interessanti e inaspettati risvolti positivi. È questo il caso di Botteghe Antiche di Putignano, dove eravamo stati a inizio 2020, poco prima dello scoppio della pandemia, ravvisando tra le tante cose una certa staticità nel menù. La pausa, invece, ha permesso all’oste e patron Stefano D’Onghia di ripensare alcune proposte tradizionali e inserirne altre, completamente nuove. Se a ciò aggiungiamo un importantissimo investimento nella cantina, con una carta dei vini da fare invidia a molti colleghi stellati, non possiamo che applaudire e premiare questa piccola realtà pugliese

Una tavola legata al territorio

Una cena ai tavoli di Botteghe Antiche è un privilegio per gli avventori che riescono ad accaparrarsi uno dei tavoli in piazza Plebiscito, all’ombra dell’orologio. La cucina propone pietanze all’insegna della tradizione pugliese e dei prodotti di stagione, soprattutto verdure e ortaggi. Immancabili gli assaggi di antipasti che si aprono con un gazpacho di pomodoro, fresco e leggermente acidulo, piacevolissimo a inizio pasto. Si prosegue con capocollo di Martina Franca e fichi, da accompagnare ai lampascioni fritti con cotto di fichi e farinella. Simpatica l’idea di proporre i taralli impiattati con mousse di ricotta e acciughe. Perfetto sia per accostamento di sapori che per gioco di consistenze il tuorlo d’uovo fritto con cicorie, patate e tartufo nero delle Murge.

Delicate le orecchiette di grano arso con pancetta, fiori di zucca e cacioricotta, in cui il sapore del fiore sorprendentemente non viene sovrastato dagli altri ingredienti. Il diaframma di vitello, di pregevole fattura, è cotto alla brace e accompagnato da due salse, pomodoro con origano e capperi con acciughe, così da modulare a piacimento il condimento per creare la propria carne alla pizzaiola

Tutto questo per dire che Botteghe Antiche resta una tra le trattorie pugliesi che merita certamente una visita, non solo durante la stagione turistica ma anche in periodi più tranquilli, per godere a pieno della buona cucina e della vasta carta dei vini.

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Una moderna trattoria pugliese nel cuore di Putignano

La cucina tradizionale in Italia è stata per lungo tempo sottovalutata ma, fortunatamente, negli ultimi anni si sta assistendo ad una riscoperta della vecchie ricette contadine e le trattorie stanno vivendo una nuova rinascita. Stefano D’Onghia è stato uno dei primi osti pugliesi a cavalcare questa tendenza e il suo Botteghe Antiche costituisce ormai una tappa obbligatoria per chiunque voglia scoprire la cucina tradizionale del versante sud di Bari.

Nella piazza principale di Putignano, dove d’estate si può anche cenare all’aperto, Stefano e i suoi collaboratori propongono una cucina della tradizione, rivisitata in chiave moderna. I prodotti sono di primissima qualità e ricercati tra i produttori della regione, anche le erbe di campo (e i funghi, quando è periodo) provengono dai boschi e le campagne della zona. Invece le cotture e le tecniche di preparazione, in alcuni casi, strizzano l’occhio alla modernità per esaltare alcuni sapori e ottenere risultati più digeribili.

Ottime materie prime assemblate con originalità

Come da tradizione non si può rinunciare alla carrellata di antipasti iniziali, adatti alla condivisione. Tra tutti spicca la cartellata, un dolce tipico delle feste Natalizie, proposta nella versione salata e accompagnata da burrata, cime di rapa e acciughe. Ottimi anche il carciofo fritto su crema di patate oppure la rivisitazione delle cicorie di campo con l’uovo, in cui la verdura amarognola ripassata in padella è sormontata da un tuorlo d’uovo impanato e fritto. Nel solco della tradizione, invece, il capocollo con lampascione fritto e vincotto, e le celeberrime polpette di pane al sugo.

Si prosegue con delle classicissime orecchiette di farina di grano arso condite con guanciale, cardoncelli e pomodoro appeso, dove il retrogusto affumicato dato del cereale si sposa perfettamente col saporito pomodorino e le note terrose dei fughi. Sebbene essenziale nella presentazione, si rivela gustosissimo il filetto di asino cotto alla brace. Leggermente stoppose, invece, le braciole di cavallo al ragù con una spolverata di farinella di ceci. Ben fatti i dolci, buone le zeppole fritte e farcite al momento, da abbinare a qualche digestivo della casa

Da buon oste, Stefano ha messo a punto anche una bella carta dei vini dove, accanto a etichette più blasonate (non solo pugliesi) occhieggiano referenze biologiche dai ricarichi corretti.

Alle tavole di questa osteria, insomma, si sta molto bene: sarebbe solo bello vedere anche una maggiore rotazione delle proposte, salvaguardando ovviamente i cavalli di battaglia della tradizione.

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Lo stato dell’arte dell’alta cucina pugliese

Un pranzo al ristorante di Angelo Sabatelli, nel centro storico di Putignano, è sempre un’utile cartina di tornasole sullo stato dell’arte dell’alta cucina pugliese attraverso le nuove proposte di uno dei suoi massimi interpreti.

In questa fase difficile e, purtroppo, in una sala tristemente poco affollata, abbiamo potuto quest’anno godere del suo menu “emozioni extraterritoriali” che esprime un concetto speriamo condiviso: il territorio come entità mentale e individuale, viatico di ingredienti, tecniche e preparazioni capaci di spaziare, purché si sia capaci di restituire loro il senso.

Per Sabatelli questo vuol dire pescare dalla sua regione come dall’Asia o dalla Francia (come in un opulento piccione miéral con noci e nocino che conclude la sequenza salata), sempre esprimendo una cucina fatta di tecnica, di leggerezza, di combinazioni mai casuali tra ingredienti, tutti presenti al palato.

La sequenza di amuse-bouche, impeccabile, ha solo il difetto, per il cliente abituale, di proporre diverse preparazioni già note; da lì, un susseguirsi di piatti prima di tutto belli o bellissimi (una nota particolare per la nuova versione della tagliatella di seppia con allievo mandorla e limone che fa un uso da manuale del contrasto di texture) e senza una sbavatura in esecuzione.

Paradossalmente, uno dei piatti meno impressionanti esteticamente, la melanzana con avocado grgliato, caviale e curry, risulta tra i più incisivi e memorabili al gusto, con le spezie ad avvolgere la combinazione delle altre componenti e ad amplificarne ed estenderne il sapore.

Bellissima e molto riuscita la combinazione di barbabietole arrosto in crosta di sale con ricotta forte e cassis ed eleganti i dim sum; impeccabili ma più mainstream i bottoni di purea di fave, salsa di ostrica e cicoria, in cui si poteva osare di più sulla componente amara.

Un solo passaggio poco comprensibile, la rilettura del prosciutto e melone, perfetta tecnicamente ma tutt’altro che indispensabile e originale.

Ai dolci, il limone, acciughe e capperi, caramello acido piccante, caviale di pompelmo rosa è una sferzata molto spinta sul fronte acido (unico consiglio: forse ne basterebbe una versione di dimensioni inferiori) mentre il cioccolato, nocciola e latte di capra, magari meno originale, è davvero straordinario nella sua golosità.

Servizio in sala professionale e ancora più accogliente in questo momento così duro per la ristorazione e bella carta dei vini (su tablet), con qualche ottima occasione come il nostro adorato Mont Benoît di Brochet, capace di accompagnare buona parte di piatti così diversi.

Merita decisamente la visita il ristorante di Angelo Sabatelli, un riferimento assoluto per la regione e per tutto il sud del nostro paese.

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Una grande e originale espressione di cucina pugliese

Il ristorante di Angelo Sabatelli è a pieno diritto una delle tavole must be della Puglia; una regione che deve anche a lui il merito del fermento gastronomico degli ultimi anni. Sono ormai lontani i tempi in cui lo chef, dopo molti anni passati in Estremo Oriente, cercava di proporre una cucina innovativa e di rottura, in una terra che non era ancora abituata alla sua virtuosità. Il tempo gli ha dato ragione riconoscendogli il meritato successo.

Nei locali in pietra calcarea al primo piano di un palazzo nobiliare nel cuore del centro storico di Putignano Sabatelli mette in campo, anzi nel piatto, una grandissima tecnica nel maneggiare prodotti pugliesi, in alcuni casi sconosciuti ai più. Le influenze orientali permangono e sono presenti soprattutto nel più lungo dei menù degustazione.

Di fianco a questa grande tavola sarebbe bello vedere anche un servizio di sala all’altezza che, invece, purtroppo ancora manca. Nonostante la genuina gentilezza e le attenzioni della sala, spesso il servizio è parso impacciato e non sempre al passo con i tempi della cucina. Si avverte anche la mancanza di una figura capace di guidare il commensale attraverso una carta dei vini vasta, con una bella proposta di bollicine italiane e francesi e un’attenta selezione di vere e proprie chicche enologiche pugliesi.

Tanta tecnica abbinata ai profumi d’Oriente

Nel corso dell’ultima visita la cucina si è rivelata matura ed equilibrata con alcuni dei piatti storici riproposti in versioni migliorate e più complete, come nel caso del cubo di melanzana o dello scampo in tempura agli agrumi, che rasentava la perfezione. Il picco emozionale della serata si è toccato con il risotto al Primitivo, cicoria e latte di baccalà (l’aspetto non gli rende giustizia) perfetto nella cottura, con un interessante gioco di consistenze e una sensazione dolce-amara in bocca piacevolissima, dove una forchettata invoglia l’altra. Altri passaggi tuttavia non hanno impressionato, nonostante l’utilizzo di materie prime molto pregiate, il chawanmushi e gli gnocchi di patate peccavano di incisività e mordente. Nel carpaccio di scorfano invece la salsa allo yuzu sovrastava completamente il pescato, facendo perdere la piacevolezza del pesce tagliato quasi alla maniera di un sashimi. Discorso a parte per i dolci, originali e ben fatti, su tutti il limone con acciughe, capperi e caramello piccante, perfetto per temperatura di servizio, nonché capace di ripulire il palato in maniera assai piacevole.

Angelo Sabatelli propone una cucina originale e nel complesso molto interessante e virtuosa, dove si ravvisa ultimamente un leggero calo creativo, come se si fosse fermato per tirare il fiato dopo una lunga corsa. C’è una mancanza di quella maniacale cura nei dettagli a cui si era abituati, e lo si nota anche negli appetizer, buoni ma fermi al passato e in un percorso degustazione che nonostante le eteree fritture si faceva difficoltà a terminare.

Una valutazione, la nostra, che rimane pertanto ferma, ma con riserva.  L’esortazione è quella di ritrovare l’entusiasmo dei primi tempi e riprendere la corsa, non solo in cucina ma anche in sala!

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