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Taverna del Capitano

Un tempio dell’accoglienza italiana: Taverna del Capitano, il ristorante della famiglia Caputo a Marina del Cantone

Marina del Cantone è un sogno ad occhi aperti: non ci si stanca mai di tanta bellezza, un luogo da cartolina ma che si lascia vivere con disarmante semplicità. E Marina del Cantone non sarebbe stata (e non sarebbe oggi) la stessa senza la famiglia Caputo.
Quando pensiamo ai grandi luoghi dell’ospitalità italiana, la Taverna del Capitano occupa uno delle posizioni più alte. Un vero tempio del buon vivere italiano: questo non è solo un ristorante/albergo, questa è una casa del Sud che ha deciso di aprire le sue porte al mondo. E’ questo il nostro modo di dare ospitalità e, permetteteci un filo di campanilismo, quando giochiamo al meglio con i nostri punti di forza, non ce n’è per nessuno, Francia inclusa. Una ospitalità fatta di calore e non di lusso, di accoglienza, di attenzioni sincere e mai costruite, di passione.
Questo luogo è lo spot ideale per capire come dovrebbe essere gestito il nostro Paese, in lungo e in largo, per diventare il riferimento turistico mondiale: giusti numeri, qualità, amore per il proprio lavoro.
Per una volta non vogliamo parlare solo di cucina, sarebbe riduttivo. E non perché la cucina di Alfonso Caputo non meriti attenzioni profuse, tutt’altro: in particolare in quei piatti in cui si gioca la carta della semplicità, senza sovrastrutture o eccessi di ingredienti, la mano di Alfonso è felicissima. Ricorderemo a lungo la sua zuppa di pesce: semplicemente un riferimento assoluto per un piatto troppo spesso bistrattato.
No, sarebbe riduttivo perché qui bisogna parlare di “esperienza Taverna del Capitano”: un percorso tutto da vivere, che va dall’addormentarsi facendosi “cullare” dal rumore delle onde del mare, al godere di una delle colazioni migliori mai provate in tutti i nostri giri culinari, fino appunto alla felicità di leggere con avidità il menù, facendosi rapire dal buio che piano piano arriva ad avvolgere la baia.
Vedere il pesce che arriva la mattina e farsi spiegare tutti i dettagli da Alfonso, lasciarsi sedurre dalle mille proposte turistiche di Claudio (per inciso, un gigante della sala italiana) o conversare amabilmente con Mariella.
Non venite solo a mangiare qui. Questo è un luogo che richiede tempo.
Il ristorante avrebbe bisogno di innovazione? No, tutto il contrario. Noi crediamo che Alfonso Caputo, che è un grande cuoco, dovrebbe guardare sempre di più alle sue origini, giocando a togliere anziché a mettere. La qualità di questo pescato ha pochi uguali, allora si ha il dovere di lasciargli la scena, come avviene in moltissime preparazioni qui alla Taverna. Ci hanno raccontato che qui, più di 20 anni fa, si girava tra i tavoli con il carrello del pescato del giorno, il cliente sceglieva il pesce e poi si faceva consigliare la preparazione più adatta. Un modo di fare ristorazione che, all’epoca, non piacque alla critica. Forse i tempi non erano maturi… ma che gran provocazione sarebbe riproporlo oggi.

Dimenticate l’auto, il telefono, lo stress, tutto. Cercate di fermarvi almeno una notte, se potete più di una.
Mangiate alla carta tutti i piatti storici della Taverna, una cucina decisamente più efficace alla carta che in un menù degustazione. E godetene.
Alla partenza, conterete i giorni che vi separeranno dal vostro ritorno qui.
Ne siamo assolutamente certi.

“Raviello è una terrazza affacciata sul mare,
vive racchiusa dentro a due occhi azzurri
nei quali è impossibile non precipitare.

Raviello è un’ape Regina elegante
posata sui suoi cento altari di fiori,
opera d’arte dal sorriso cangiante.

Raviello è sambuco e castagno,
anima gotica, polmone barocco,
bacchetta magica della Campania.

Raviello è ripida quanto un’emozione,
Festival del vento, torrente Dragone,
Villa Rufolo, Villa Cimbrone.”

Lasciamo alle parole del poeta Luca Gamberini la narrazione di questo luogo magico e straordinario. Villa Cimbrone è una perla che basterebbe di per sè. Ma la proprietà, la famiglia Vuilleumier, giustamente non si accontenta e non si siede sugli allori. E quest’anno avvia un progetto di rilancio del settore ristorazione, e non solo, che vuole portare questa struttura al livello che le compete.
Assume un giovane ma già affermato cuoco, Crescenzo Scotti, di origini campane ma a lungo emigrato in Trinacria, e porta un Restaurant Manager di nome Pino Savoia ed una sommelier di nome Giusy Romano, due veri e riconosciuti fuoriclasse, per questo ambizioso progetto di crescita.

Alla prima stagione i risultati sono decisamente più che incoraggianti. Tanto lavoro ancor da fare, ma già qui l’eccellenza si intravede. Con un servizio che una volta tanto, e sappiamo quanto sia raro questo, è a livello della cucina. Riesce ad incalzarla, stimolarla, in un gioco di rincorsa virtuoso che può portare certamente ad alti livelli.

Abbiamo riflettuto parecchio su che votazione dare a questo ristorante. E questa cucina, nelle giuste mani, siamo convinti saprà presto mantenere quanto promesso e anzi, superare agevolmente questo valore. Oggi ancora non pieno, ma non ci sentivamo di penalizzarlo per una serie molto lunga di motivi: una materia prima impiegata di estrema qualità, un senso del gusto davvero interessante, una raffinatezza d’insieme già di livello. Con qualche ruvidezza e scompostezza ancora da limare, certo. Che però non potrà che migliorare, con l’apporto ed il dialogo continuo con una accoglienza di sala, ci ripetiamo, di prim’ordine.

Facciamo ora parlare i piatti, la cucina, e vi invitiamo ad organizzare al più presto un una visita in questo luogo baciato da Dio, che vi saprà regalare piacevoli emozioni.

Amuse bouche, migliorabili.
amuse bouche, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
Ottimi pane e burro.
pane burro, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloCappuccino di patate e astice… omaggio ad Alajmo. Una splendida spuma di patate sifonata su brunoise di astice e polvere liofilizzata di nero di seppia. Un inizio davvero concentrato, lucido, vivido e intenso. Spuma lievemente acidulata.
astice, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloPizza fritta con crudo di scampi, gelatina di lime, burrata e pomodoro in due consistenze.
Interessante utilizzo del disco di montanara fritta ad accompagnare un piatto crudo con degli scampi di qualità eccelsa, un buon caviale, pomodorini appassiti e in salsa davvero intensi, e burrata a terminare il giro della grassezza. Piccoli cubetti di gelatina di lime (perchè non di Sfusato?) a chiudere il cerchio gustativo.
pizza fritta, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloCalamaro all’amatriciana con cremoso di pecorino di grotta dei monti lattari e mollica di tarallo napoletano. Evidente errore di proporzioni in merito alle briciole del tarallo. Troppe. Ma troppe anche per il piatto alla carta, che avrebbe avuto sei anelli invece di 2. E poi nota croccante fin anche pleonastica. Qui la salsa di pecorino e l’intingolo di amatriciana con un calamaro che faceva ancora il latte (cotto magistralmente e fresco come una rosa) erano già più che sufficienti.
calamaro,Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloLinguine di gragnano con ragu di seppia, maionese al pistacchio di bronte e “pane conza” allo sfusato amalfitano. Piatto ottimo, non fosse per quel pane cunzato che, nuovamente, con l’aggiunta della nota croccante e acida “sporca” un po’ la sua finezza. Richiamo certo alle paste siciliane, dove lo chef si è formato, ma lavorare sulla finezza e sull’elementarità non guasta affatto.
linguine, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloLa pasta alla sorrentina secondo lo chef. Paccheri di gragnano farciti con ricotta di bufala, mou di pomodoro di Furore, fusilloni con cremoso di reggiano e spuma di provola affumicata. Grande piatto, goloso ma al contempo fine e contrastato.
pasta alla sorrentina, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloCappelletti alla genovese di bufalo farciti con burro e salvia, spuma di verdure e cremoso di pecorino di Tramonti. A parte la seconda sifonata del giorno, e non l’ultima, una concentrazione nella salsa alla genovese davvero pazzesca! Il titolo del piatto trae in inganno perché la salsa alla genovese è nel piatto e i cappelletti sono ripieni solo di burro e salvia. Piatto spaventosamente preciso, goloso, ma anche aromatico. E il giro del pomodoro che si vede in foto tutt’altro che pleonastico.
cappelletti, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloRisotto acquerello come una bruschetta con crudo di pomodoro corbarino, frisella e origano. In questo piatto è stata sbagliata sia la stoviglia (piatto da impattare in un piano disteso) sia la cottura, lievemente oltre. La frisella sbriciolata sotto il riso, poca ma necessaria, aromatizzata all’origano e quella fantastica e concentrata spuma di sugo di pomodoro, fanno comunque svettare questa preparazione.
risotto, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
Ottimo pane in accompagnamento.
pane, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloAstice blu del mediterraneo in due servizi: zuppetta tiepida di tenerumi di zucchine e chele di astice. Astice alla griglia con stinco di vitello croccante su patate schiacciate al lime, midollo di bue caramellato e il suo jus. Asticello davvero notevole, iodato e sapido come non ne sentivamo da tempo. La zuppa e il secondo servizio sono lì a parlare nelle foto. Bello, goloso, tecnico e finemente bilanciato.
astice, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
astice, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
Cambio nuovamente del pane di servizio.
pane, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, RavelloCarrè di agnello di laticauda, appareil alla bacca di vaniglia e pistacchi di bronte. Unico piatto davvero difficile. Materia prima ineccepibile, cotture perfette, ma troppo virante sul dolce con vaniglia e pistacchi. Manca un elemento contrastante, o per lo meno una chiusura più neutra.
carrè di agnello, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
Un intermezzo divertente…
Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
I dessert… buoni ma su cui lavorare, in finezza e modernizzazione.
dessert, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
dessert, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello
dessert, Flauto di Pan, Chef Crescenzo Scotti, Ravello

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Il San Pietro è un’istituzione, un simbolo della Costiera Amalfitana, la cui fama si estende ben oltre i confini nazionali.
Basti pensare che, nonostante il costo non propriamente popolare delle camere (in alta stagione dai 620 euro/notte a salire vertiginosamente), c’è il tutto esaurito da maggio ad ottobre.
Un luogo amato da chi vi soggiorna, un angolo di paradiso, eremo di lusso e tranquillità alle porte di Positano.
Tutto iniziò con Carlino Cinque, maestro del bien vivre, il cui culto per l’ospitalità è rimasto immutato nei decenni ed egregiamente ereditato dai suoi discendenti Carlo e Vito.
Ovviamente cotanto albergo, da cui si godono panorami di bellezza struggente, non poteva non puntare sulla ristorazione di qualità per offrire ai facoltosi clienti un giusto premio dopo le “fatiche” della giornata trascorsa a bordo piscina o in riva al mare.
La cucina è affidata da un decennio al belga Alois Vanlangenaeker che le ha saputo dare una chiara impronta mediterranea a dispetto delle sue origini.
Ogni ingrediente parla di questa terra baciata dal sole (salvo, ovviamente, qualche piccola eccezione), ed i profumi sono quelli dell’orto del San Pietro, un autentico gioiello incastonato nella scogliera, che regala prodotti splendidi, dai pomodori alla menta, dal basilico alla verbena.
La proposta ristorativa si divide tra lo Zass, aperto al pubblico esterno, ed il Carlino, giù, vicino al mare e buen retiro per i soli ospiti dell’albergo.
Lo chef fiammingo, approdato in Costa d’Amalfi dopo importanti esperienze professionali alla corte di Ducasse a Monaco e Parigi, al Jean Georges’s di New York, al Don Alfonso 1890 e al Mikuni di Tokyo, ha le doti necessarie per soddisfare i palati più esigenti.
Le basi per far bene ci sono, quindi, e la proposta non delude, sebbene in alcune preparazioni si abbia la netta sensazione che non si affondi sull’acceleratore. Chiaro segnale ai naviganti gourmet: è pur sempre il ristorante di un albergo di lusso, accontentare tutti i palati è d’obbligo.
Nello specifico, i secondi di pesce segnano il passo, preparazioni non convincenti, con abbinamenti a volte poco riusciti e salse non perfette.
Più interessanti gli antipasti con un buon astice al vapore perfettamente accompagnato da una notevole maionese d’uovo, ed il polpo arrosto con melanzane, capperi e piacevole sentore di verbena.
Molto buone le paste, home made. Particolare menzione per i ravioli di polpo e i maccheroncelli all’uovo con noci, acciughe ed astice marinato.
Dolci sottotono, con l’unica eccezione per il morbido tortino alla crema di limoni.
Servizio accorto e gentile, carta dei vini interessante, specie in regione, con ricarichi a 5 stelle.
Nota decisamente negativa, infine, per l’odioso balzello del 15% di servizio, applicato unicamente al conto degli ospiti che non soggiornano in albergo. Trattamento non condivisibile, che divide in due nette categorie chi si siede ai tavoli del ristorante, tanto più se, al momento della prenotazione, nulla viene riferito in proposito.

Appetizer: spigola in pasta fillo spadellata, con salsa tartara.
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Carpaccio di gamberi alle erbe aromatiche e verdure croccanti. Delicato.
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Insalata di mare con verdure, spuma di patate e vongole, piuttosto scolastica.
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Astice al vapore con maionese al bianco d’uovo, senape in grani ed avocado. Buona la qualità dell’astice, interessante la maionese, leggera ma dal sapore intenso.
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Polpo arrosto con caviale di melanzana, capperi e verbena. Molto interessante la freschezza conferita dalla verbena che abbonda sui terrazzamenti dell’albergo.
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Gnocchi di patate ai fiori di zucchina con burrata e tartufo estivo. Piatto naturalmente goloso, ma ben bilanciato nelle sue componenti grasse.
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Ravioli al polpo con olive di Gaeta e limone candito. Davvero ben fatti, sfoglia callosa ma sottile, limone essenziale per la riuscita del piatto.
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Maccheroncelli all’uovo, noci, acciughe e astice marinato allo yogurth e lime. Anche in questo caso notiamo l’intelligente utilizzo del sentore agrumato per dare una spinta di freschezza al piatto.
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Tortelli farciti di ricotta di bufala e maggiorana, pappa al pomodoro. Sfoglia ben tirata, al palato leggermente monocorde.
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San Pietro spadellato, cetrioli profumati all’anice stellato, salsa al rhum agricole. Preparazione che ci ha fatto storcere il naso. I cetrioli declinati in duplice versione sottraggono carica gustativa senza aggiungere finezza. Salsa sottotono, non percettibile il sentore di rhum.
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Filetto di spigola alle olive nere, insalata di fagioli bianchi e scampi. Il flebile sapore di questa spigola è stato fortunatamente compensato dalle olive. Scampo ad impreziosire il piatto, ma interagisce poco con gli altri ingredienti.
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Triglie spadellate, riduzione di zuppa di pesce, finocchi e burrata.
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Tortino di fichi con lamponi e gelato allo yogurt. Se non avessimo visto il fico fresco a far bella mostra di sé in cima al tortino difficilmente ne avremmo inteso il gusto…
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Babà al rum, gelato alla vaniglia, riso al latte. Buona versione del celebre classico napoletano.
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Crema bruciata con mirtilli, sfoglia croccante e gelato al pistacchio. Pistacchio non pervenuto, creme brulée ordinaria.
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Tortino alla crema di limoni del San Pietro. Il migliore del lotto, davvero ben fatto.
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Petit fours
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Tavolo con vista
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Il terrazzo
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Vista sulla piattaforma a mare
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L’orto
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Il mare ed il prato
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