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Cascina Vittoria

A pochi chilometri da Milano plin, brace e pizze gourmet

Rognano, di sicuro un posto sconosciuto ai più, nel crocevia tra Milano e Pavia, è un paese piccolo, con una sola realtà ristorativa, ma salda sulle forme “gastro-architettoniche” delle classiche cascine lombarde. Gli elementi ci sono tutti: orto, animali, aia, fienile e pure la famiglia numerosa, i Ricciardella, a lavorare nel ristorante di famiglia Cascina Vittoria. Marco, il più grande dei quattro fratelli, che cura la sala, non nasconde la sua passione per i vini naturali, dove gli amanti della triplice A e non, nella carta dei vini troveranno di che dilettarsi. A ciò si affiancano la passione e la tecnica del fratello Giovanni, chef di appena 26 anni, al cui attivo conta già esperienze di tutto prestigio sotto gli insegnamenti di professionisti del calibro di Oldani e Cannavacciuolo.

Un giovane chef spregiudicato, ma che ama gli ingredienti più genuini

Giovanni Ricciardella, non pago della sola sfida ai fornelli, si cimenta anche nel mondo del lievitato, pane e focaccia, ma soprattutto la pizza. Ecco allora le pizze gourmet, con tanto di menu degustazione dedicato. Pizze da gustare magari precedendo o seguendo un piatto di Plin ai 40 tuorli (rigorosi di cascina), ripieno di midollo, con burro e zafferano, fondendo così tra Piemonte e Lombardia, l’eco dell’esperienza vissuta sul Lago d’Orta.
Nel Risotto zucca, gorgonzola e liquirizia la dolcezza della prima, viene mitigata dalla carica irruenta dell’erborinato scelto volutamente più stagionato, chiudendosi in un allungo piacevolmente sinuoso e non invadente, con la liquirizia: bestia nera (ops!), per alcuni, asso nella manica per altri. Unica pecca, forse, nel piatto la cottura del riso leggermente avanti rispetto “al dente meneghino” o veneto.
Altro argomento: il forno a legna non si riduce al solo lievitato, ecco infatti, arrivare anche tagli di carne, di invidiabile marezzatura, come le lombate di manzo cotte intere grazie al calore delle braci, rivelando lati golosamente ancestrali più che mai attuali.
Nel percorso di degustazione, trova spazio anche un predessert caco, ricotta e crumble al fondente, dove la carica zuccherina del caco in questo caso, troppo bassa per una stagionalità non centrata, insieme all’amaro del cacao, non traghettano in maniera convincente. Di natura, invece, completamente diversa il dessert dove la “Finta” panna cotta, al sifone, interagisce tra l’acido e l’asprezza dei frutti lamponi, con l’amaro del mou, regalando interessanti note, quasi di rabarbaro in questa interpretazione di un classico italiano.

Quello di Cascina Vittoria è un indirizzo ghiotto, tanto quanto la molteplicità dell’offerta proposta, che, tuttavia, rischia di essere compromessa dai tempi di attesa piuttosto lunghi. Di sicuro, la valutazione non ancora espressa in valore numerico, ma simbolica a pieno punteggio, vuole essere da stimolo a questa insegna per il salto di qualità nella dimensione ristorativa a tutto tondo: completa e coerente. Quel salto, di sicuro, non tarderà ad arrivare.

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La trattoria “nazional-popolare” in grado di accontentare molti. Eppure proiettata nel futuro

Milano è la città più internazionale d’Italia. I ritmi, anche nel cibo, sono sempre più legati a quelli presenti nelle grandi capitali del mondo. Un Posto a Milano è stato tra i primi, se non il primo, a capire che la metropoli lombarda avrebbe cambiato passo.

Da più di un lustro, a Cascina Cuccagna è aperto un luogo polifunzionale, da colazione a cena, con un mix di proposte, dai lievitati, all’incredibile pizza, dai panini alle sfiziosità, dai piatti per un pranzo veloce a quelli più impegnati. Per molti tutto questo è una summa di slogan, spesso disattesi. Qui a un Posto a Milano ultimamente si fa pure il pane, oltre che tutte le paste e le preparazioni di base per la vasta offerta all day long. Può sembrare strano far notare tutto ciò? Se unite a tutto questo che i coperti, mediamente, in una settimana sfiorano quasi i 200 al giorno, senza contare tutti gli avventori, moltissimi, che si fermano per un aperitivo, per uno sfizio, per un cicchetto, per una colazione, fate i vostri conti.

Un Posto a Milano è un vero locale multifunzionale a misura di metropoli

La trattoria funziona come un orologio di manifattura svizzera e tutto questo è in gran parte merito del suo Executive Chef, Nicola Cavallaro. Ha pensato di fare la pasta frasca trafilata a bronzo in casa, perché ha bisogno di cuocere la pasta in 3 minuti e non in 10 o anche più. E se il tuo fornaio di fiducia non ti soddisfa? Sfoderi tutta la tua la passione per i lievitati e il gioco è fatto. Nicola, se non dovesse bastare, propone una pizza alla pala, tra le più buone mai assaggiate, anche considerando l’utilizzo di un forno elettrico:  idratazione, morbidezza, alveolatura da manuale.

E poi c’è la cucina apparentemente semplice, ma con tocchi di classe. Il brodo stile Tom Yum delle cozze, di una finezza incredibile, il tocco della curcuma nell’impasto delle tagliatelle (colore e aroma), l’oca un pò padovana – la cottura in tocio – un po’ pechinese, con la sfoglia di riso. Insomma, questo posto a Milano è proprio un gran bel posto, sempre affollato. Questo è il prezzo da pagare per un locale che funziona, funziona davvero, e rende felici gli avventori.

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L’irresistibile fascino della pizza fritta, nelle infinite declinazioni del suo miglior interprete

Per comprendere appieno il fenomeno della pizza fritta che vede adesso misurarsi i pizzaioli di ogni latitudine, sarà obbligatorio abbandonare i percorsi turistici piu’ ovvi della città di Napoli ed avventurarsi nelle geometrie dei vicoli che disegnano i dintorni della stazione centrale. L’insegna tonda con il corsivo a comporre il nome Masardona e il recente ampliamento con la sala corredata di tavoli e sedute agevoleranno la ricerca, e presto ci si ritroverà con la piccola carta tra le mani a scorrere il racconto delle diciotto (!) idee di pizze fritte, equamente divise tra classiche e contemporanee. Una bella selezione di birre e qualche etichetta di vino potranno accompagnare il percorso in maniera adeguata.

Nel frattempo sarà istruttivo affacciarsi qualche minuto al banco, dove molti preferiscono l’asporto o semplicemente il consumo veloce, primitivo e verace, quello con la carta da frittura marroncina da tipico cibo di strada, per ammirare i gesti velocissimi e precisi di Enzo e dei suoi figli Cristiano e Salvatore intenti alla preparazione delle pizze. Arte vera e per niente facile che trasforma, sfidando le leggi della fisica nel lampo del gesto, due dischetti di pasta infarinata in un perfetto contenitore di ricotta, provola e quant’altro, pronto ad essere tuffato nell’olio che lo gonfia e lo indora nel tempo dello sfrigolìo.

Versioni dunque a calzone con il gusto della sorpresa al primo morso, o aperte dove viceversa gli ingredienti si svelano al primo sguardo ma che beneficiano entrambe di una pasta leggera, tenace solo nel primo, millimetrico, strato superficiale ma subito cedevole ed alveolata. La piu’ richiesta prevede la ricotta, i ciccioli di maiale, la provola (preferita per il carattere e la sua migliore consistenza della pasta filata) con pepe e basilico a profumare, ma eccelle tra le altre la veganina con le scarole saltate nella padella con uvetta, pinoli e olive nere. Stagionale la primaverile con pomodorini, rucola e piccoli bocconcini di mozzarella utilizzati sapientemente per trattenere in parte il latte in eccesso, ed altrettanto piacevole la versione con il polpo in insalata e olive verdi, fresca, profumata e corroborata con il limone a sgrassare il fritto. Si può spaziare anche con fritti altri come arancini di riso, crocchè di patate, frittatine o con le polpettine schiacciate di baccalà ancora in fase sperimentale ma già degne di essere inserite stabilmente in carta. Sperimentazioni che non terminano mai e che infatti da pochissimo hanno finalmente consentito -al momento solo nelle giornate di mercoledì e giovedì- di offrire ai celiaci la gioia della pizza fritta, con un prodotto assolutamente assimilabile a quello tradizionale per gusto e fragranza.

Non poteva mancare la conclusiva deriva dolce con la proposizione del ripieno gelato. Idea nata per caso collaborando ad eventi con il maestro gelatiere Mennella e che si traducono ora nelle due versioni con i gusti cioccolato o pistacchio, entrambe molto gradevoli.

Infine di martedì, da non perdere, come recita testualmente l’ultimo rigo della carta, il pagnottiello ovvero un piccolo tortano al forno con un potente ripieno di cicoli, uova, pepe e formaggio. Magari da portarsi a casa.

L’inconfondibile stile del Maestro Coccia per una pizza napoletana declinata ai massimi livelli

Via Michelangelo da Caravaggio è la strada che scende dolcemente dalla collina di Posillipo verso Fuorigrotta. Questo è il regno del Maestro pizzaiolo Enzo Coccia, che sulla stessa via ha aperto ben tre locali.
Il primo, al civico 53, è un po’ il luogo della memoria, dell’anima, la sede in cui Coccia è anche fisicamente presente e dove è ancora possibile vederlo lavorare i panetti ed infornare come un giovane pizzaiolo qualunque.
Di fianco, la più giovane delle sue creature: O’Sfizio d’à Notizia dedicata alla pizza fritta e alle bollicine. Poco più giù la Notizia 94, dove partendo sempre da tecniche antiche e tradizioni, la pizzeria diventa officina di idee e sperimentazioni. Solo 30 coperti, tavoli più distanziati, una bella selezione di birre artigianali. Delle tre è la sede che più spiccatamente strizza l’occhio a una clientela gourmet.

 Tre locali in poche centinaia di metri, perché chi lo conosce bene sa che Enzo Coccia non aprirebbe nulla che non possa controllare direttamente, mettendoci, tutti i giorni, non solo il nome ma anche la faccia.
Ne ha fatta di strada questo giovane cinquantenne che, nel lontano 1973, iniziò a lavorare nella pizzeria del padre, e che nel tempo è diventato la figura di riferimento per tutto il composito mondo che gravita intorno alla pizza napoletana. Che lui per primo ha nobilitato, facendola diventare oggetto di ricerca, lavorando sugli impasti, sulle tecniche di lavorazione, sulle materie prime, sulle lievitazioni. Concetti che forse oggi potrebbero sembrare scontati ma che nella patria della pizza, prima di Coccia, erano alquanto sconosciuti.
Farina doppio zero, acqua, sale, lievito di birra -il lievito madre viene utilizzato solo nei periodi di caldo più intenso- ed una lievitazione di 10/12 ore a temperatura ambiente. Cottura nel forno con legna, rigorosamente, di quercia e faggio.

E i sapori, i profumi, i colori racchiusi nel meglio dei prodotti alimentari della “Campania Felix”, dai pomodori del piennolo del Parco Naturale del Vesuvio, all’olio extra vergine di Sant’Agata sui due golfi al Fior di latte di Agerola. Ma potremmo continuare a lungo.
Poche regole (a cui deve aggiungersi la maestria del pizzaiolo) ma severe, per ottenere una delle pizze più buone che oggi sia possibile mangiare.
E la nostra ultima visita a La Notizia 94 lo ha confermato ancora una volta.

Dal grande carattere della Santa Lucia con alici di Cetara e olive di Gaeta, aglio e pomodorini del piennolo alla sorprendente 4 pomodori, in cui è davvero incredibile sentire in bocca in maniera così nitida il passaggio dai datterini al corbarino, al san Marzano, ai pomodori semisecchi: sembra di mangiare 4 pizze in una. E che dire della Giulia? Il contrasto tra la grassa dolcezza della stracciata di bufala e l’amaro della rucola (e che rucola!) per un risultato che non ammette repliche.
Ma non finisce qui. Non si può non menzionare il dessert. Il Saltimbocca con il cioccolato fondente artigianale. Lo ammettiamo, appena arrivato in tavola, l’aspetto ci aveva lasciato un po’ interdetti. Ma poi lo assaggi e vivi il miracolo: il cioccolato è racchiuso in una nuvola. Ne mangeresti 100. E poi ricominceresti con un altro giro di pizze.

Pizza gourmet? No, pizza… semplicemente buona!

Giovanni “Nanni” Arbellini, 30 anni non ancora compiuti, dopo aver appreso il mestiere da ragazzino a Napoli, a soli 18 anni si trasferì a Milano entrando a far parte del team di Rossopomodoro, per cui seguì le aperture di Milano e Tokyo.
Quindi nel 2014 l’esperienza “Briscola – Pizza Society” che gli ha permesso di affermarsi sulla scena milanese come uno dei più bravi giovani pizzaioli della città.

Qualche mese fa, il grande salto con l’apertura della sua prima pizzeria: Pizzium, in collaborazione con Stefano Saturnino, ben noto a Milano per essere il patron di un concept di grandissimo successo come Panini Durini.
La pizza, di matrice napoletana -nella versione dal cornicione non molto pronunciato- è molto buona, leggera, cotta perfettamente. Una pizza di una bontà sussurrata non strillata. Senza alcuna concessione a trend o mode di sorta. Senza richiamare lievitazioni miracolose, farine rare o ingredienti particolarmente di nicchia. Arbellini sembra quasi voler sottolineare come in realtà la pizza sia e debba restare un piatto semplice, alla portata di tutti, popolare per eccellenza.
Certo, la lievitazione è lunga almeno 10/12 ore (il lievito usato è quello di birra, come prescrive la migliore tradizione napoletana), l’impasto è idratato ai limiti della lavorabilità, gli ingredienti utilizzati sono molto buoni e si sente. Ma tutto ciò, unitamente alla mano esperta del bravo pizzaiolo, è “semplicemente” quello che occorre per fare una buona pizza.

La Carta è concepita come un viaggio attraverso le regioni e i prodotti tipici italiani, alla scoperta dei sapori della tradizione. Oltre alle classiche Margherita e Marinara, si può scegliere tra altre 14 pizze, ognuna dedicata ad una diversa regione italiana. Tutte molto buone per la verità, anche se ci chiediamo perché non farne 20 e rappresentare tutte le regioni…
In particolare meritano una menzione la Puglia con pomodorini gialli (dolcissimi), stracciatella e olive nere e quella dedicata al Lazio (una sorta di Carbonara) con fior di latte, guanciale, pecorino romano, uovo e pepe nero, assolutamente equilibrata e goduriosa. L’ambiente è semplice, minimalista, si mangia su simpatiche tovagliette e tutto vuole richiamare un’impostazione popolare.

Oltre alle pizze, segnaliamo la mozzarella di bufala molto buona del caseificio Prati del Volturno e gustosissime bruschette. Da bere una decina di etichette di vini naturali, la Birra Moretti alla spina ed un’unica birra artigianale (buona) prodotta dal birrificio pavese Opera.

Ci piace pensare a Pizzium come una sorta di benchmark della pizza, buona, semplice, digeribile, con ingredienti di qualità, come tutte le pizze dovrebbero essere ma come, purtroppo, spesso non sono.