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Osteria Contemporanea

Giovani ristoratori crescono…

Il nome del Osteria Contemporanea, per quanto semplice, è esplicativo di questo interessante locale ubicato a Gattinara, dove una giovanissima coppia di ristoratori ha creato nell’ex macelleria del paese un luogo elegante e al contempo stimolante in cui trascorrere qualche ora all’insegna della buona cucina. Agnese Loss è la giovane Chef che con mano sicura si destreggia tra i fornelli, senza paura di interpretare i piatti della tradizione piemontese con ingredienti non facilissimi come il quinto quarto; tutto questo mantenendo uno stile pulito, leggero e non disdegnando dei richiami ai sapori del Trentino, sua terra di origine.

Una cucina territoriale con lo sguardo aperto al mondo

La personalità della Loss si palesa già con gli appetizer. Dopo un didascalico omaggio alla terra natale con una fetta di speck e a quella d’adozione con un bignè di salsa tonnata arriva in tavola un Carpaccio di cavallo crudo, morbido in bocca e dal sapore identitario, lievemente smorzato e ammorbidito dalla maionese al fondo bruno. L’Animella è un perfetto esempio della linea di cucina sopra descritta: la ghiandola è proposta intera in una porzione generosa, cotta in maniera impeccabile e accompagnata da una terrina di anguilla dalla texture cremosa e dal gusto leggermente salmastro. Un abbinamento azzardato ma riuscito, dove per l’equilibrio del piatto è essenziale in gel di limone.

In linea con il territorio i Ravioli del plin ai 3 arrosti, golosi e appaganti, sebbene avremmo preferito un po’ più di mordente nei Ravioli ripieni di bagnet verde con il ragù di lingua. Tra i secondi a stupire è la semplicità, solo apparente, del Fegato a Venezia, presentato come un taglio di carne nobile, volutamente spesso e non stracotto e dal morso quasi croccante: un azzardo possibile solo con un eccellente materia prima. In abbinamento, un’Insalatina di cipolle appassite e uvetta che richiama il celeberrimo condimento veneto, il saor. Nel reparto dolci si spazia da una confortevole Sfera di musse al cioccolato e amarena sino al Filone di midollo in tempura con sorbetto al passion fruit tanto originale quanto buono.

La sala è gestita da Davide Saglietti, compagno e alter ego della Chef, professionale e preparato, che coccola la clientela e cura anche un’interessante carta dei vini con un bel focus sui produttori piemontesi. Questo ristorante è una meta in cui si sta bene, si assapora una cucina originale e in alcuni casi golosa, in cui abbiamo preferito sicuramente i piatti provocatori alle preparazioni classiche. A questo proposito, la votazione premia questa linea e il coraggio dei due giovani ristoratori, certi che troveremo conferme nelle prossime visite.

IL PIATTO MIGLIORE: Animelle e anguilla.

La Galleria Fotografica:

Nella terra del Barbaresco

Tra le colline di Treiso, terra di grandi vini e paesaggi mozzafiato, sorge l’azienda agricola La Ganghija, fondata nel 2004 dal giovane enotecnico Enzo Rapalino. Guidato dalla profonda passione per il vino e dopo aver concluso gli studi presso la Scuola Enologica di Alba, Enzo ha trasformato la storica attività di famiglia, portandola dalla semplice produzione e vendita di uva a una azienda vitivinicola a tutto tondo.

La Ganghija si trova nell’area tipica di produzione del Barbaresco D.O.C.G., e la conduzione dell’azienda è strettamente familiare. Enzo, infatti, collabora attivamente con sua moglie Milena, i genitori Giovanni e Rita, il fratello Flavio e lo zio Franco in una unione di forze ed esperienza che oggi contribuisce a creare vini di notevole qualità. La filosofia di Enzo si basa sulla produzione di vini autoctoni, equilibrati tra struttura, freschezza ed eleganza, che tuttavia mantengono una certa rusticità e schiettezza. Enzo, consapevole del suo ruolo di custode del territorio, si impegna a garantire la massima trasparenza nei confronti dei consumatori.  La conduzione dei vigneti, infatti, avviene nel rispetto della biodiversità, seguendo il disciplinare di lotta integrata, senza l’uso di erbicidi o concimi chimici. La vinificazione è uno degli aspetti cruciali del processo, che Enzo segue scrupolosamente in ogni fase, interpretando al meglio ogni annata e le declinazioni di ogni singolo vitigno.

Il nome “La Ganghija” ha un significato profondo e personale. Deriva da un termine piemontese che significa “cirro” o “viticcio“, il ricciolino che la pianta della vite usa per aggrapparsi ai fili di ferro. Questo termine riflette la filosofia produttiva di Enzo, che vede il viticcio come un filo sottile ma tenace, simbolo ideale del forte legame con il territorio. La produzione inizia con una piccola quantità di bottiglie, ma cresce di vendemmia in vendemmia, fino a raggiungere l’odierno quantitativo di circa 40.000 bottiglie ricavate dai ventidue ettari di vigneti sparsi tra i comuni di Treiso, Magliano Alfieri e Alba. La gamma comprende il prestigioso Barbaresco, Barbera d’Alba Superiore, Dolcetto d’Alba, Moscato, Chardonnay e Nebbiolo delle Langhe.

La Degustazione

Dolcetto D’Alba D.O.C. 2021

Dal colore impenetrabile, con qualche nota vinosa a precedere il trionfo di mora, marasca e piccoli frutti rossi. Il tannino è ben presente, l’acidità sostenuta. Un vino ruspante, che fa della genuinità e dell’immediatezza le sue doti.

Langhe D.O.C. Nebbiolo 2021

Rosso rubino scarico, con un bel naso di prugna, mora, liquirizia, pepe nero e viola. Tannico, con una bella freschezza e un’ottima bevibilità.

Barbaresco D.O.C.G. 2020

Un Barbaresco da manuale, che al naso rivela l’amarena sotto spirito, la vaniglia e delicati sentori di liquirizia. Un vino morbido e rotondo, dal tannino delicato e con una buona sapidità.

Barbaresco D.O.C.G. Giacosa 2020

Più austero del precedente, con un naso floreale che richiama la rosa appassita, la liquirizia e sentori speziati. Tutto si fa più intenso: non solo l’aroma sprigionato, ma anche il tannino, la struttura, il volume e la persistenza. Ottime anche la sapidità e la freschezza.

*I vini dell’azienda agricola La Ganghija sono distribuiti da Partesa

Una delle migliori tavole italiane

La ristrutturazione della Rei Natura del Boscareto Resort è stata lunga e laboriosa ma ha prodotto, come risultato finale, una bellissima struttura che, sfruttando pienamente la collinetta prospiciente al comune di Serralunga su cui è adagiato il relais, si staglia netta offrendo come valore aggiunto una meravigliosa vista che dalle valli circostanti arriva, in una giornata tersa, fino al Monviso, al San Bernardo e persino al Gran Paradiso. La sala principale del ristorante è ricavata dal vecchio dehors del relais e sfrutta magnificamente posizione e luce predisponendo al meglio l’animo a godere appieno di una delle migliori tavole italiane (e non solo). Sin dagli amuse bouche, serviti nella sala attigua a quella principale, va in scena una cucina raffinata, elegante e al contempo sontuosa senza mai apparire sfarzosa o, peggio, opulenta. Una cucina animata da cuore e idee chiare che si manifesta in pietanze dove gli elementi vengono lavorati per estrarne le caratteristiche essenziali e presentati in architetture composite e complesse che con rispetto e profonda conoscenza costruiscono piatti sorprendenti e originali che manifestano lo scibile gastronomico di Michelangelo Mammoliti in tutta la sua caleidoscopica versatilità.

Mad100% Natura

Lo Chef li costruisce attraverso diverse sollecitazioni che sono il risultato della sovrapposizione delle tante e fruttuose esperienze che, cominciate dal nativo Piemonte, sono passate dalla Francia per arrivare a suggestioni senz’altro più esotiche e orientaleggianti. I suoi piatti hanno una base certamente territoriale ma di una territorialità che funge da spunto e punto di partenza per piccoli viaggi che recano con sé le influenze accumulate da Mammoliti unite a fantasia e sensibilità da fondo scala. Un ingrediente così diventa un semplice canovaccio intorno al quale sviluppare storie che coinvolgono appagando chiunque abbia la fortuna di sedersi a questa tavola. Il Risotto riserva San Massimo viene cotto in estrazione di yuzu corredandosi di uno spettro aromatico che va dal finger lime al burro al pino, alle bacche di sambuco alle gemme di abete rosso, in un alternarsi di note talvolta più acide, talvolta quasi balsamiche, talvolta amarostiche che rendono ogni assaggio quasi un piatto a sé. L’Animella glassata al pepe di Keralá è un altro piccolo scrigno di stimoli gustatitivi che sulla falsariga dell’evocazione di un filetto al pepe verde rende la grassezza della meravigliosa ghiandola ideale substrato per una composizione di sapori davvero convincente. Squisita anche la Fricassea di chiocciole di Cherasco la cui carnosa succulenza viene sapientemente modulata da una opportuna e felicissima infusione di salvia icterina donandole fine levitá e acidula completezza. Ma è tutto il menù “Mad100% Natura”, amuse bouche compresi, che riesce a comunicare la sensazione di un cerchio compiuto volto a soddisfare integralmente, con gli occhi, con lo spirito e l’estasiato gusto il fortunato avventore. Note di merito per il dolce finale connotato da freschezza e variegata acidità che chiude assai adeguatamente il pasto e il servizio coordinato dall’ottimo Alessandro Marcialis, maître di grande garbo ed efficienza.

IL PIATTO MIGLIORE: Alpino: risotto riserva San Massimo, cotto in estrazione di yuzu, finger lime, pickles di bacche di sambuco e gemme di abete rosso.

La Galleria Fotografica:

L’Alta Langa Docg Metodo Classico Riserva Pas Dosé Millesimato Riserva 2010 Plutone

Langhe, rilievi bucolici perenne fonte di ispirazione per la letteratura, da Cesare Pavese, a Beppe Fenoglio, da Davide Lajolo, a Giovanni Arpino, nessuno scrittore di questa parte del Piemonte ha potuto resistere da dedicare acute riflessioni, a questa gente e a questi luoghi, dove si snodano itinerari mai scontati, intrisi di cultura e di vino, come la Casa natale di Pavese a Santo Stefano Belbo, il Museo delle Langhe di Grinzane Cavour, quello del vino e dei cavatappi a Barolo, ma anche i percorsi Fenogliani, da scoprire camminando, per capire davvero questo pezzo di Piemonte, così denso di storia e cultura. Atmosfere che ritroviamo nel volume di Pavese La luna e i falò, pubblicato nell’aprile del 1950, in un ritorno alle Langhe, che lo scrittore chiamava “il mio Middle West”, insieme alla dura vita rurale, alle sagre contadine, ai falò, alla luna, alle ragazze del paese, ai riti della vendemmia. Langhe da sempre vocate al vino, grazie a una rete di produttori appassionati che hanno saputo lavorare tutti insieme, pur mantenendo le proprie individualità, facendone un’icona. Come la Enrico Serafino, un brand consolidato, forte di una storia che inizia nel 1878, a Canale (Cuneo), grazie alla caparbietà del ventitreenne Enrico Serafino, giunto dal Canavese per realizzare il suo sogno, produrre vino. La cantina viene costruita nei pressi della ferrovia Torino-Genova, pensando in grande, già intuendo che le produzioni artigianali di Barolo, Barbaresco, Metodo Classico, dovranno arrivare lontano, mentre i sotterranei dell’azienda, assolvono oggi come ieri al compito di completare con l’invecchiamento, il naturale ciclo produttivo, affidandosi all’alleato di sempre, il tempo. Il Metodo Classico piemontese, creato nel 1865, si affina, migliora, evolve, per arrivare sulle tavole più blasonate d’Europa, consolidando una reputazione di alto lignaggio, ma è nel 1990 grazie al Consorzio delle Case Storiche Piemontesi, che vengono individuate nelle colline più elevate dell’Alta Langa, le zone più vocate alla coltivazione di Pinot Nero e Chardonnay. Il disciplinare parla chiaro, i vigneti devono essere dislocati ad altezze non inferiori ai 250 metri s.l.m., riportare in etichetta il millesimo e dichiarare il periodo minimo di affinamento sui lieviti, che non può essere inferiore ai 30 mesi. Un selettivo disciplinare in cui si riconoscono i produttori della Docg Alta Langa, ferreo ordinamento, non assimilabile a nessun’altra denominazione di un Metodo Classico. Norme chiare e un progetto ben definito che ha portato la Enrico Serafino a dedicarsi alla sperimentazione per migliorare ancora, selezionando i migliori cloni e terreni, puntando sui vignaioli più virtuosi, guardando al futuro. Profonde radici di un brand, che ha confermato anche in questi ultimi decenni, di saper ispirarsi al pensiero innovatore del fondatore, tenendo fede ai propri principi e alla consolidata esperienza nella spumantizzazione, puntando sul controllo dei vigneti lieu-dit suddivisi in 56 parcelle dislocate in 16 comuni differenti, contando su una quantità importante di riserve di differenti annate, ponendo attenzione a ridurre il più possibile i dosaggi, evitando l’impiego delle Liqueur d’expédition costituite da distillati. Sfiora quasi il secolo e mezzo, l’esperienza nella spumantizzazione della Enrico Serafino, brand che ha saputo conservare un carattere familiare e un’anima artigianale, consolidando una reputazione internazionale e un notevole palmares di riconoscimenti e primati. Dalle cantine dello storico brand, è uscita infatti la prima cuvèe in assoluto di Alta Langa Pas Dosé Zero Riserva e in seguito agli studi sugli affinamenti estremi, è nato Zero140 Riserva Pas Dosé, affinato oltre 140 mesi sui lieviti.

La degustazione

L’assaggio di una cuvèe così innovativa, capace di sfidare il tempo, nata per brindare alle 140 vendemmie, tradisce nel degustatore una certa emozione. Non ci si può non accorgere che ogni azione profusa nel portare a termine il ciclo produttivo, è stata eseguita con una accuratezza fuori dall’ordinario, che ritroviamo in un sorso di straordinaria eleganza. L’attenzione del maitre de cave verso la corretta esecuzione delle metodologie produttive, è sinonimo di lavoro accurato, a partire dalla viticoltura sostenibile applicata in campagna, alle viti che hanno un’età di circa 28 anni, alla raccolta delle uve interamente manuale, al processo di fermentazione, avvenuto dopo che i grappoli d’uva sono stati selezionati a mano e pressati delicatamente in ambiente inerte con azoto. Fino al mosto, lasciato a fermentare sulle fecce in vasche di acciaio inox per 6 mesi con bâtonnage, a cui seguirà la presa di spuma con il metodo tradizionale in bottiglia, l’affinamento sui lieviti per almeno 140 mesi e la sboccatura tardiva, senza alcuna liqueur d’expédition. Quella che ci troviamo a vivere è un’esperienza assoluta, che già dal naso si rivela completa e appagante, rivelando ampiezza, complessità, profondità, con sentori di cedro, mango, chinotto, miele di acacia, noci pekam e crosta di pane, insieme a nuances speziate e floreali, lievi ed eteree. Al palato nessuna battuta d’arresto, anzi, continuità e armonia, con una bolla finissima, un sorso complesso, evoluto, pieno, burroso, ma anche elegante e intenso, con una mineralità inattesa e un finale entusiasmante che si protrae a lungo. Uno dei migliori esempi di Alta langa che ho assaggiato fino ad oggi, una super bottiglia, da gustare con chi ne capisce davvero (meglio non freddissima).

Vitigni: 85% Pinot Nero – 15% Chardonnay

Suoli: in prevalenza calcareo – argilloso

Allevamento: Guyot

Zona: Mango, Loazzolo, Bubbio

Abbinamento: la zucca di Hokkaido, con trota, tè affumicato e cipolla marinata; il luccio mantecato, con foglie di cappero e intingolo all’aglio dolce; la sbrisolona, come una lemon tarte, con gelato al limoncello e capperi canditi, a cura dell’Executive Chef Alfio Ghezzi e del Resident Chef Akio Fujita, del ristorante Senso – Eala Lake Garda (Limone).

Prezzo: 149€  

E se vi è piaciuto, ecco tre etichette affini, che ho trovato curiose e interessanti:

Franciacorta Cabochon Brut RoséMonterossa

Quinto Passo Brut Cleto Chiarli & Co.

ComitissaLorenz Martini

Il Barolo di generazione in generazione

Quella dell’azienda Elvio Cogno è una bella storia da raccontare, una storia di intraprendenza e valori d’altri tempi, giunta fino a noi attraverso il susseguirsi delle generazioni. Il tutto ha inizio nella pittoresca cittadina di La Morra, nelle Langhe Piemontesi, dove Elvio Cogno, classe 1936, è il titolare del Ristorante dell’Angelo. Quello che viene servito in tavola ai clienti è l’ottimo vino che la famiglia Cogno produce da sempre per passione, un buon mezzo per impiegare il tempo libero e per smussare i costi che la gestione di un locale comporta.

Negli anni ’50 tuttavia, grazie al sostegno di un socio e al crescente plauso che circonda le bottiglie, Elvio Cogno ha la sua personale epifania e decide di lasciare l’industria della ristorazione per occuparsi della produzione di vino, iniziando una collaborazione con la tenuta Marcarini. Il principio che guida ogni suo intento è chiaro fin da subito: valorizzare l’immenso potenziale dei vini delle Langhe. Potenziale che a quel tempo ancora in pochi riescono a vedere. Un primo atto in questo senso si ha nel 1964, quando è tra i primissimi a decidere di etichettare i suoi vini con il nome del vigneto, Vigna Brunate nel caso specifico, così da esaltare il carattere unico del vino e del terroir da cui proviene.

Innamoratosi di Cascina Nuova in località Ravera, un fatiscente casolare posto alle pendici del paese di Novello, Elvio Cogno prende il coraggio a due mani e si mette in proprio, ricominciando di nuovo dall’inizio nonostante i venerandi sessant’anni di età che gli pesano sulle spalle. Al suo fianco la figlia Nadia e il marito di lei, Valter Fissore. Vede così la luce nel 1995 la prima bottiglia di Barolo Ravera, il primo a portare in etichetta una menzione geografica, un’innovazione che sarebbe stata regolamentata ufficialmente soltanto anni più tardi.

La filosofia produttiva di Cogno rimane profondamente radicata nella tradizione, prevedendo lunghe fermentazioni e invecchiamento in grandi botti. L’approccio alla terra, tuttavia, è profondamente innovativo per il tempo. Si indagano le dinamiche che sottendono il rapporto tra la vite, il viticoltore e l’ambiente; si cerca di comprendere a fondo quello che ai giorni nostri, più semplicemente, chiamiamo terroir.

Un approccio che ai giorni nostri viene perpetrato da Nadia, Valter e la figlia Elena, che con due generazioni di sperimentazione ed esperienza alle spalle, continuano a produrre vini profondamente legati al loro territorio, con un crescente impegno per la sostenibilità in ogni fase della produzione.

Con quattro distinte etichette di Barolo prodotte nella denominazione Ravera —Vigna Elena, Bricco Pernice, Cascina Nuova e Barolo “Ravera”—, l’azienda Elvio Cogno oggi detiene con orgoglio la maggiore superficie vitata della sottozona. Una gamma completata dagli altri vini tradizionali del territorio (Barbera, Barbaresco, Dolcetto e Nebbiolo), con una particolare attenzione riservata alla Nas-cëtta, vitigno autoctono di Novello pressoché andato perduto e vero e proprio feticcio di Valter, che ha combattuto una lunga battaglia per legittimarne la coltivazione (battaglia vinta e poi sfociata nella nascita di un consorzio di produttori che oggi ne promuove e tutela l’identità).

Barolo Ravera

Il Barolo Ravera nasce nello storico “cru” di Novello, su quel “Bricco Ravera” che ospita altresì il cascinale di famiglia e gli undici ettari di vigneti di proprietà. L’assaggio di quattro differenti annate si è rivelato il metodo di indagine ideale per coglierne tutte le sfumature gusto-olfattive, che da un lato dimostrano la coerenza gustativa di un vino di fatto proveniente dallo stesso vigneto, e dall’altro l’influenza della particolare annata sul suo carattere complessivo.

Barolo Ravera 2019

Nonostante la giovane età, l’annata 2019 mostra già i primi tratti dell’eleganza e della profondità che contraddistinguono i vini di questa azienda. Se allo stato attuale è tutto un barcamenarsi tra timide note scure di mora e mirtillo, con qualche fugace incursione balsamica e speziata, già si intravede il longevo futuro di questo vino. Aspettate qualche anno e vedrete.

Barolo Ravera 2016

Particolarmente pronta ed espressiva l’annata 2016, una bottiglia che affascina per la sua immediatezza e il suo perfetto equilibrio. Le note olfattive sono nette, con prugna e rosa canina che prevalgono su uno sfondo già molto più complesso della bottiglia precedente. La rotondità aumenta, così come il tannino, la cui trama si infittisce. Una bottiglia di grande eleganza e bevibilità.

Barolo Ravera 2013

La 2013 è la più austera delle annate in degustazione. Col trascorrere dei minuti si apre lentamente, mettendo in mostra fugaci accenni della sua personalità. Anche in questo caso è evidente come questa bottiglia offrirà piacevoli sorprese negli anni a seguire; già adesso, tuttavia, colpisce per i tratti sottili e di estrema finezza. Mora, prugna, tabacco, cuoio e ancora note mentolate e liquirizia. Il tutto delicatamente accennato, con un gusto che si fa via via più rotondo e profondo.

Barolo Ravera 2010

Gli anni che iniziano ad accumularsi sull’annata 2010 la rendono una bevuta di livello superiore. Sia chiaro, l’invecchiamento di cui può godere questo vino è lontano dall’essere concluso. Al palato dimostra una vivacità tale da sembrare ancora imberbe, ad ennesima dimostrazione della sua estrema longevità. Ogni componente è in un equilibrio di grande precisione: il tannino è fittissimo, ma setoso; la rotondità e la dolcezza aumentano, ma sono perfettamente stemperate dalla bella freschezza e da una spiccata sapidità. Il colore è il più concentrato, così come l’intensità degli aromi, che aumentano anche di complessità. Mora, prugna, mirtillo, rosa canina, caffè, tartufo, cacao, mentuccia… un tripudio olfattivo che trattiene il naso nel calice.

* I vini di Elvio Cogno sono distribuiti da Sarzi-Amadè.