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Piccolo Lago

Grande cucina con vista lago

Una storia antica quella che lega la famiglia Sacco al Lago di Mergozzo. Una storia nata a Verbania nel 1974, quando Gastone Sacco e la moglie Bruna approdarono al Piccolo Lago, e poi proseguita nel 1991 sotto la guida del giovane Marco, rientrato da un periodo di viaggi ed esperienze importanti in giro per l’Europa. Marco Sacco ha subito dimostrato di essere un cuoco molto bravo portando in pochi anni il ristorante di famiglia a ottenere grandi riconoscimenti di pubblico e critica. Ma non solo. Perché Marco Sacco è un cuoco molto bravo che fa e sa fare sistema. Che ha da sempre ben presente l’importanza di promuovere il territorio, di raccontare storie, di far emergere eccellenze. Perché, come ama ripetere. “Da soli non si va da nessuna parte”.

Lo ricordiamo già nel lontano 2005 come uno dei principali artefici delle Stelle del Piemonte, una squadra di cuochi chiamata a rappresentare la Regione nel mondo. Da qualche anno è, invece, l’animatore di quella splendida iniziativa che si chiama Gente di lago e di fiume, una due giorni dedicata all’enogastronomia, alla cultura, agli spettacoli, all’intrattenimento e alla divulgazione scientifica sul tema delle acque dolci. Insomma, non solo un bravo cuoco. Ma sicuramente un cuoco molto bravo, e un bellissimo ristorante. Una sorta di palafitta adagiata sulle acque del lago e circondata da enormi vetrate da cui si assiste a un paesaggio molto suggestivo. La bella cucina a vista è in posizione centrale, lo Chef lavora circondato dagli ospiti e a vista sono anche gli spettacolari procedimenti di affumicatura e di cottura a fiamma viva. Per chi volesse vivere un’esperienza ancora più particolare c’è anche lo Chef table per massimo quattro persone, per interagire con la brigata e guardare come ogni piatto prende forma. Sacco è un cuoco che vive profondamente il suo territorio – da cui provengono, oltre ai pesci di lago e di fiume, la gran parte dei formaggi, delle carni e delle verdure utilizzate per le sue preparazioni – ma che ha la capacità di non restarne schiavo; i suoi piatti nascono da vicino ma al contempo sono ricchi di suggestioni esotiche che rimandano a luoghi lontani. 

Uno chef sensibile e curioso, capace di raccontare un territorio con note esotiche

Nascono così piatti interessantissimi come Terra Madre, omaggio alle verdure dell’orto e ai porcini e ai tartufi neri del luogo arricchito da maionese di soia e germogli di pak choi, a ricordare il gusto della senape, o il Bura Tè llo, piatto complesso ma geniale in cui l’anguilla giovane viene cotta in un tè verde prodotto in zona a Primosello e servita con una salsa fatta con le sue ossa, polvere del suo fegato, un sorbetto di rosa bruna di Ventimiglia, borragine e foglia d’ostrica: il risultato è straordinariamente godibile e leggero, pur trattandosi di una carne notoriamente grassa. Da segnalare anche Storione e caviale in cui il pesce viene prima marinato, quindi affumicato e servito con, alla base, un brodo di taccole e umeboshi, quindi una sferificazione di wasabi e un marshmellow di soia: piatto molto intenso contraddistinto da grande freschezza e acidità. Il risultato non cambia se ci si sposta a mare con uno Spaghetto al riccio intensissimo nelle note iodate ben contrastate dalla nota di liquirizia regalata dall’aglio nero utilizzato in mantecatura. Un piatto da mangiare e da vedere per una cucina che conferma di avere anche grande senso cromatico e, quindi, estetico, elemento che non guasta mai.

La carta dei vini è di notevole ampiezza e perfettamente adeguata al contesto, il servizio è perfetto: la cura del dettaglio è massima e la gentilezza in sala impera. Il Piccolo Lago è, insomma, un ristorante che ha molto da dire e del quale si parla forse troppo poco.

IL PIATTO MIGLIORE: Spaghetto al riccio.

La Galleria Fotografica:

Undici anni, due stelle. E una vita dedicata al lago e al territorio

Il Mergozzo, un lago immerso nel silenzio, un piccolo mare dalle rive selvagge, parte integrante e antica del più noto Maggiore. Qui la luce del sole tesse la sua trama sul lago e le arruffate nuvole si specchiano sull’acqua limpida e sulle vetrate del ristorante e della cucina  di Marco Sacco, lo chef del Piccolo Lago, due stelle Michelin.

Come catapultati su una macchina del tempo cominciamo la nostra avventura gastronomica, tra preparazioni storiche e piatti in rotta verso il nuovo. Scendiamo nelle fredde, ma accoglienti stanze della cantina, scrigno di tesori enoici conservati e vagliati con attenzione dal Sommelier Alessandro Mantovani, premuroso e insieme capace di una rara e gustosa ironia.

Quindi ci sediamo a tavola. Gli atipici amuse bouche giocano sul concetto del “sembra ma non è”: i Bignè con granella di lampone sono farciti con crema ai tre latti, i Cioccolatini sono ripieni di fegatini ruspanti, mentre il Pesce siluro, un alloctono infestante, dal nome caricaturale, si trasforma in un marshmallow con cocco e gelatina di Calamansi, sprigionando un carattere a tratti melmoso.

Gustosi inganni

Durante il pranzo vi basterà girare lo sguardo per vedere lo chef Sacco, il sous chef Marco Rispo, il pastry chef Andrea Valle e tutta la brigata all’opera, mentre insieme scrupolosi, lavorano dietro le trasparenti pareti che inframezzano la sala. Marco Sacco ora ha il piglio e la tempra del Maestro, le sue idee, un tempo, a dire il vero non realizzate con l’efficacia che la presentazione iniziale poteva far immaginare, hanno oggi non solo dei traduttori con una tecnica e una impronta di prim’ordine, ma sono anche, e sopratutto, una fonte ispirativa per nuovi traguardi e nuove apparizioni. Il connubio tra il sous chef e la squadra di giovani e motivati talenti, in cui si intersecano tecnica, idee e profonda conoscenza del lago e dei suoi prodotti, è la chiave vincente di un risultato che abbiamo per ora arrotondato per difetto, in attesa che le prossime visite esprimano tutta la continuità che il luogo e le persone lasciano presagire.

Ma veniamo al nostro pranzo, soltanto per un attimo il lago incastonato nelle terre dell’alto Piemonte sembra congiungersi all’Oceano Pacifico neozelandese con un assaggio del frutto di mare per intenditori, l’Abalone. Qui servito nella veste di una delicata tartare, una lavorazione che quasi lo priva di quella sua tipica callosità, accompagnata dalla sapida cremosità di una maionese di corallo, frullata con olio e acqua di mare.

Ci inganna poi una Lumaca, che nel suo aspetto e nella sua forma somiglia più ad un after eight, una lumaca che diventa una sorta di paté, glassato con burro di cacao aromatizzato con aglio e prezzemolo, a parte gocce di castelmagno, un piatto dal nerbo terragno e dal DNA piemontese. Interessante è la texture del Cavolfiore, cotto al forno e ricoperto di salsa al mou,  bruciato poi con un cannello, e spennellato con l’estratto di papacella, dolce peperone di origine campana.

Per conoscere a fondo la cucina dello chef, le tappe irrinunciabili del viaggio sono però i grandi classici del Piccolo Lago: il Lingotto del Mergozzo, trota affumicata con bacche di ginepro e legno di faggio, oppure l’Anguilla dalla complessa lavorazione, ma tra i grandi vi è sicuramente la Carbonara au Koque. Per un attimo dimenticatevi della versione tradizionale, qui il guanciale è sostituito dal prosciutto affumicato vigezzino, i tajarin all’uovo sono subentrati al posto dei bucatini e una salsa al gin è posta all’interno del guscio dell’uovo e versata sui tagliolini.

La cucina di Marco Sacco parla di lago, fiumi, valli, mari lontani. Parla di viaggi in Oriente, spiazza e a volte confonde; è l’esito, straordinariamente moderno, di quel suo amore irrefrenabile per il territorio, e per la moglie Lella senza la quale il Piccolo Lago non sarebbe mai stato lo stesso.