La nebbia, la cultura, Ariosto, le biciclette, le zanzare, la Spal, la corsa “sulla Mura”, il freddo che ti entra nelle ossa d’inverno e il caldo che ti soffoca d’estate, il Castello, l’Ospedale troppo distante dalla città, il cappellaccio e la salamina.
Ferrara è questa: prendere o lasciare. Una contraddizione vivente. L’apoteosi della città di Provincia, quella che a volte sembra starti addosso come una maglietta sudata. Nella vita così come nell’idea del ristorante ideale nella testa delle persone, che qui (come altrove) continua ad imperare: tradizione, abbondanza, sapidità.
Eppure, come puoi non volerle bene? Come puoi non sentire tuo quell’amore per la sostanza, per la concretezza, quella fierezza innata, quell’attaccamento all’essere, così lontano da un mondo che vive di apparenza come mai si era visto prima? Come puoi non sentirti orgoglioso di farne parte?
La crisi qui ha morso con una ferocia senza pari, stravolgendo tanti punti fermi, in un modo così violento da abbattere anche un elefante.
Eppur si muove… e non ci riferiamo alla Terra di galileiana memoria, ma alla frizzantezza che si respira in città nell’ultimo anno. Accanto agli storici nomi della ristorazione ferrarese (su tutti, Il Don Giovanni e la Capanna), assistiamo a nuove aperture, nuovi stimoli, tutto grazie a imprenditori capaci, spesso giovani, che non hanno paura di rischiare e lanciarsi in nuove sfide.
La ristorazione è in prima linea in questa rinascita, lenta, accorta, ma pur sempre tale.
Abbiamo recentemente parlato di Apelle, ora parliamo di un altro locale del centro cittadino che ha da poco aperto: Cucina Bacilieri.
In realtà una riapertura, dato che il proprietario e chef, Michele Bacilieri, era già conosciuto artefice del successo del precedente locale (la Mezzaluna) in cui agiva da dipendente.
Per usare le sue stesse parole, “è cambiato tutto quello che non si vede”. Quindi l’essenziale.
E non solo riferendosi alla struttura, con l’inserimento di una vetrata aperta sulla cucina a rappresentare l’assunzione di responsabilità del cuoco, così come il nome del locale lascia intendere, ma anche all’idea ristorativa, più definita rispetto al passato, più matura.
A partire da una cantina fatta di poche etichette ma pensate. Per arrivare alla cucina: una proposta in cui l’ingrediente ha sempre e comunque il ruolo primario, una cucina rotonda senza rinunciare ad improvvise accelerazioni. Senza forzare, senza esagerare: equilibrio e misura sono sempre al centro. Pesce locale e pesce dei noti fornitori di alta gamma utilizzati con pari dignità, accenni di cucina locale mischiati a buon gusto e tanto buon senso. Un solo consiglio: approfondire di più e meglio i rapporti con i piccoli agricoltori e fornitori locali, in Provincia e zone limitrofe non mancano grandi realtà.
E’ un ristorante in cui si sta bene, che è poi la cosa che più conta alla fine.
E’ un ristorante in cui si ritorna volentieri per la passione che tutti lasciano trasparire, il dipendente così come il proprietario: e quando non ti accorgi chi sia uno e chi sia l’altro, vuol dire che in quel luogo si sta lavorando nel modo migliore.
Ci sono luoghi che timidamente si posano sul cuore e vi rimangono senza far rumore, per sempre. Luoghi così timidi e discreti che rischiano di passare inosservati, restando all’ombra di loro stessi, a causa di una virtù divenuta nel tempo un difetto, l’umiltà. Come fossero persone, ci si accorge di loro solo al termine di una serata chiassosa, quando seduti su un divano ci si trova a chiacchierare con un amico rimasto tutta la sera in disparte, da cui si ruba e si conserva il ricordo più bello della nottata.
Pascucci al Porticciolo è un locale che, probabilmente per sua volontà, sicuramente per indole, fa parte di questa categoria. Un ristorante che si fa notare in maniera contraddittoria per il suo carattere mite, anno dopo anno riproposto nella stessa maniera, schivando di proposito manierismi modaioli o eccentricità che poco gli si addirebbero.
Ecco allora che i toni del bianco che si confondono con le sfumature del blu, dell’azzurro, del celeste e dell’indaco, compensano la mancanza di una vista che si affaccia sul mare di Fiumicino. È un gioco di immaginazione che viene indotto dalle trasparenze dei centrotavola, dai bicchieri colorati, dalle eleganti tovaglie di cotone grezzo che simulano con il loro ondeggiare la brezza marina che rincorre i giochi di colore del sole e del suo infrangersi sull’acqua.
Il servizio di sala, diretto da Vanessa Melis, è il trait d’union perfetto tra l’atmosfera che si respira nel ristorante e le pietanze lavorate con mirabile finezza che dalla cucina accompagnano quella che assomiglia ad una sognante passeggiata sul bagnasciuga.
Gianfranco Pascucci conferma la sua attitudine straordinaria alla delicatezza con cui lavora la materia ittica. Una missione più che un compito la sua, quella di rendere onore al prodotto del suo mare, con una eleganza così discreta ed istintiva, impossibile da imparare. Qualche contrappunto acido qua e là, la consapevolezza di essere italiano e di lavorare in Italia, una carriera creata da sé, in maniera del tutto autodidatta, danno vita ad una cucina riconoscibilissima e assai comprensibile, ma che porta ben impressa la firma del suo esecutore. Pascucci è uno chef che non si limita a cucinare, ma dà l’impressione di essere in grado di entrare in confidenza con il pesce, parlandogli e ascoltandolo, in modo da rendere straordinarie preparazioni che per mano di altri risulterebbero comuni.
Nella nostra ultima visita abbiamo riscontrato una maturità e una decisione nell’esecuzione ancor maggiore che in passato, ma in un ristorante di questo livello però, poiché di eccellenza stiamo parlando, ci aspettiamo di più dal settore pasticceria, decisamente troppo semplice e poco profondo rispetto alle proposte salate.
Conoscendo Gianfranco, uomo capace di ascoltare, siamo certi che prossimamente qualche miglioria arriverà anche per quanto riguarda i dessert. Come del resto fatto con il nuovo ingresso al ristorante, oggi completo anche di sei camere da letto, più discreto del precedente e decisamente di miglior impatto.
In questo momento storico di grande spolvero per la ristorazione italiana, Pascucci al Porticciolo rimane seduto nell’angolo in attesa che la festa finisca e che le luci della ribalta si spengano, pronto a regalare il ricordo più bello di una serata memorabile a chiunque abbia la sensibilità di saperlo aspettare.
La sala.
I grissini.
Ostrica, emulsione di cavolo, cipollotto e olio di olive. Ottima entreè.
Tartare di palamita, il suo brodo, lattughino, cannoncini di sfoglia di patate con crema all’uovo, mostarda e sesamo. Bel passaggio con una punta appena accennata di lemon grass che fornisce un contrappunto molto piacevole.
Il pane.
Carpaccio di muggine, pinoli, alga wakame, bottoni di zafferano.
Carpaccio di gamberi rossi, bianchi e gobbetti, patata con rapa rossa, prugna fermentata e rosmarino trattato con azoto liquido.
Calamaro scottato su brace di rosmarino e mirto con emulsione di erbe radici e daikon.
Tiramisù di alice: crema di patate, caffè, spuma di pane e crumble di alici essiccate.
Tagliolino con tartufo bianco, fitoplancton, mandorla pizzuta e mazzancolla.
Risotto allo zafferano, cozze in tempura al nero di seppia, riccio e gorgonzola.
Spigola in crosta di bottarga, cavolo viola, rapa bianca, cipollotto e miso.
Sorbetto di duna (mix di erbe marine: finocchio marino, acachile, ginepro) e visciole.
Panettone alla griglia con savarin di zabaione e lamponi. Decisamente non all’altezza.
Babà con cioccolato bianco laccato alla ciliegia e panna, con sorbetto alla mela Fuji.
La piccola pasticceria.
Le bottiglie bevute durante la serata.
Sono trascorsi ormai più di quarant’anni da quando Pino Possoni avviava, sotto un’insegna a dispetto delle apparenze ispirata dalle iniziali delle sorelle, quello che ancora oggi rimane un baluardo della cucina ittica della provincia di Varese. Allora l’alta cucina era soprattutto sostanza, materia, e poco concedeva a quanto oggi viene invece invece considerato acquisito e imprescindibile.
Oggi come allora il Ma.Ri.Na di Olgiate Olona, stabile come una roccia, con lo stesso riscontro di pubblico e la stessa filosofia, viene portato avanti con entusiasmo immutato sempre da Pino, ma anche dal resto della famiglia, non da ultima la nuova generazione.
Stabile come una roccia, in tutto e per tutto. Una volta parcheggiato sulla piazza antistante l’accesso, lo scorcio non è certo di quelli esaltanti: un’anonima palazzina, con un altrettanto anonimo accesso. Insomma non proprio ciò che ti aspetteresti entrando in un ristorante di una certa levatura, stellato da tempo ormai immemore.
In sala le cose un po’ migliorano: un ambiente caldo e piacevole in cui ci si sente subito a casa, senza elementi che possano indurre timori reverenziali, con il solo difetto dei tavoli eccessivamente ravvicinati. Un ambiente d’altri tempi, che ha senz’altro il suo fascino ma cui gioverebbe, a nostro parere, una piccola rinfrescata.
Non è d’altronde, questo, un luogo di funambolismi estetici o gustativi, né di continue propulsioni di rinnovamento, anche sul fronte della cucina. Al lettore più attento sicuramente non sfuggiranno alcune reiterazioni di quanto già assaggiato in occasione della nostra ultima recensione, risalente a ormai più di sei anni fa. Molti non apprezzeranno una certa gestione degli impiattamenti, o alcune proposte dagli stilemi già percorsi in lungo e in largo, e appartenenti a un passato ormai remoto. Quanto tutto ciò possa essere considerato positivo o negativo dipende naturalmente dalla sensibilità di ognuno: la clientela non sembra certo mancare, a dimostrazione del fatto che per molti la certezza sia un fattore importante al momento della scelta di un ristorante.
Gli estimatori del crudo troveranno qui il loro parco divertimenti: materie prime di freschezza eccelsa, ben valorizzate da semplici quanto fini orchestrazioni culinarie sempre condotte nel segno della discrezione e scevre da ambizioni prevaricatrici. Pregevoli ma di livello inferiore i cotti, tendenzialmente orientati verso una linea accomodante e nel segno di una sostanziale rotondità gustativa, in verità a volte perfino eccessiva nel suo utilizzo di materie grasse. Decisamente meno convincente invece, quanto meno in occasione della nostra visita, la proposta di carne, nello specifico selvaggina di piuma.
Servizio che sin dall’inizio stabilisce una linea empatica diretta con il cliente, con modalità oggigiorno invero un po’ inusuali, con il patron che spesso e volentieri prende posto a tavola per suggerire un percorso costruito ad-hoc, con fulminei tempi di adattamento alle singole sensibilità senz’altro frutto della pluriennale esperienza, e con il figlio a gestire una buona cantina, economicamente moderatamente accessibile e con una buona possibilità di servizio al calice, con proposte anche interessanti ed esborsi non eccessivi.
L’esterno.
Mise en place.
Le bollicine di benvenuto.
I primi stuzzichini.
Gamberetti siciliani crudi marinati al limone, pepe di Sichuan su crema di pomodori e fragole, olio di oliva.
Una rivisitazione dell’iconico cocktail nel segno dell’equilibrio tra acidità e dolcezza. È la materia prima a farla da padrone, mentre la cucina accompagna con garbo: al cospetto di cotanta freschezza è giusto così.
Le tipologie di pane.
Capesante crude su crema di robiola e caprino, sale della Camargue, pepe tibetano e olio siciliano.
Nuovamente un buon equilibrio tra materia ittica e il discreto sottofondo. Riuscito l’abbinamento con le suggestioni del formaggio fresco caprino.
Un’ulteriore bollicina.
Aragostina cruda già tolta dal guscio, tagliata e ricomposta, emulsione con capperi frullati, pomodorini frullati e aceto balsamico.
Scampi crudi accompagnati da miele di Melatta (non dolce) con aceto balsamico.
Gamberi rossi con testa staccata e tostata, coda cruda, pancetta tostata, crema finocchi.
Assaggi vari da proposte alla carta, nuovamente nel segno della valorizzazione di crostacei crudi di una qualità al di sopra di ogni possibile elogio, mediante eleganti giochi di contrasti dolci-acidi-sapidi. Degna di menzione la differenziazione texturale dei gamberi rossi, con le teste cotte ad apportare una benvenuta croccantezza e una iodicità più accentuata.
Un Sauvignon bianco, di buon corpo e leggera nota amarognola, a ideale contrasto alla grassezza della materia.
Crostacei crudi su pietra lavica bollente.
Siamo nel segno di un piacevole gioco di contrasti tra il crudo e il leggermente cotto, nuovamente ad esaltazione della qualità della materia prima, ulteriormente arricchito dalla freschezza aromatica apportata dalle erbe poste alla base.
Un nuovo bianco, più adatto ai prossimi piatti.
Tagliatelle di seppia con porcini.
La seppia costituisce di fatto la finta pasta del piatto, per un incontro tra terra e mare che nel risultato gustativo vira decisamente sulla terra.
Crema di foie gras e scampi.
Un’accoppiata che più classica non si può, ben realizzata.
Trippa, frullata con fagioli e bocconcini, polpo cucinato allo stesso modo con cipolla e semi di papavero, pomodoro, acciughina e cipollotto. All’esterno ricotta fresca.
Piatto di suadente morbidezza gustativa, da gustare “cucchiaiando” dall’esterno (ricotta) verso l’interno. Nel gioco melodico delle varie componenti è la trippa a chiudere, con una fine sfumatura.
Per la portate a base di carne si passa ai rossi.
Pappardelle alla pernice, foie gras e tartufo.
Piatto gourmand a tutto tondo, di bell’equilibrio ma un po’ deficitario in quanto a sapidità.
Pernice e fagiano, salsa al Merlot, Shiraz e pepe verde.
Non sempre estetica e gusto corrono di pari passo, tuttavia in questo caso ciò che appare già evidente all’occhio trova conferma al palato: il livello è decisamente inferiore rispetto alla proposta ittica. Piatto goloso ma poco entusiasmante, sia a vedersi che… a mangiarsi.
Fichi caramellati e gorgonzola.
Un piccolo assaggio di un pregevole Gorgonzola proveniente da un piccolo produttore del novarese.
Per la parte dolce, un’originale proposta aromatizzata ottenuta da vino rosso e visciole, ovvero una varietà di amarena selvatica.
Gelato al fiordilatte, zabaione al moscato, panettone liquido.
Chiusura nel segno della massima golosità. Originale e di bella definizione gustativa il panettone.
Le ultime golose coccole.
In un’ipotetica classifica di ristoranti in cui mangiare (bene) a due passi due dal mare, A Valata non può non avere il suo posto.
Il mare lo potrete vedere, sentire e anche toccare: due scalini e vi ritroverete tra lettini e bagnanti in cerca di sole e refrigerio.
Già la location potrebbe essere da sola un valido motivo per una sosta a pranzo o a cena, magari all’ora del tramonto.
Ma a noi interessa principalmente quello che esce dalle cucine, e potete star tranquilli che non rimarrete delusi nemmeno da questo.
Un menù semplice: 5 antipasti, 5 primi, 5 secondi, pesce assoluto e unico protagonista.
Ingredienti freschissimi, lavorati il meno possibile proprio per lasciare spazio alla freschezza della materia ittica.
Da non perdere il piatto di crudità: al livello dei migliori indirizzi di questo genere. Gamberi, in particolare, da urlo.
Non da meno il fritto: croccante, asciutto, dal pieno sapore di pesce, in quantità davvero smisurata (una porzione può essere sufficiente per due persone).
Se poi anche il dessert non delude, il servizio è gentile e preparato, capite bene dove dovrete prenotare se passate in questo pezzo di Sicilia.
Piacere assicurato, per occhi e palato.
Il magnifico piatto di crudi.
Razza “a stimpirata”: una rivisitazione di una tipica preparazione della tradizione contadina iblea.
Agrodolce perfettamente dosato.
Paccheri al sugo di pesce.
Fritto misto.
Cannolo di ricotta.
Lasciamo parlare le immagini.
Ibiza è tristemente nota per essere un’isola dove è tutt’altro che facile trovare ristoranti dove mangiare bene ad un prezzo onesto. Il turismo che fa riferimento a questo tempio del divertimento, solitamente non si formalizza troppo su come impostare la propria serata prima e durante la cena, ma piuttosto concentra tutte le energie per trovare appagamento lungo il corso della notte.
Di certo però, per noi inguaribili gourmet sempre alla ricerca della peculiarità culinaria (che si può nascondere dietro l’angolo) è fondamentale andare oltre il luogo comune, rimboccandosi le maniche ed esplorando le terre che di volta in volta ci ospitano, con occhio critico e acuto in chiave gastronomica. Ed è in questo caso che, a dire il vero non senza fatica e dedizione, si possono scovare posti davvero interessanti.
A una ventina di minuti da Ibiza città, in località Es Cubells, si trova il Ses Boques, un locale spartano, semplice, posto direttamente sulla meravigliosa spiaggia. Un luogo di “perdizione alternativa”, che pare creato in antitesi alla movida appartenente al resto dell’isola: lo sguardo si perde nell’orizzonte celeste del mare, confondendosi con le sfumature di azzurro e blu che accarezzano delicatamente i ricordi e i pensieri, facendoli dissolvere in un sol momento, mentre i piedi si immergono nel candore della sabbia.
Un luogo da godere durante l’arco dell’intera giornata. Ideale per trascorrervi la mattinata appisolandosi su una delle sdraio messi a disposizione dei clienti del ristorante, facendosi piano piano irretire dai profumi che dalla cucina richiamano la voglia di alternare un bagno rinfrescante con un pranzo frugale. Unica controindicazione è l’impossibilità di mantenere fede alle promesse fatte alla propria coscienza; frugalità non pare essere infatti un lemma conosciuto al Ses Boques, dove in rapida successione i piatti proposti dalla cucina accrescono la golosità in un rapporto inversamente proporzionale con il buon senso.
Una cucina semplice fatta di passione e valori, veicolata da una materia prima notevolissima, cucinata con squisita semplicità. Così un pezzo di storia isolana, che trascende dall’anima trasgressiva etichettata ad Ibiza, viene raccontata attraverso l’utilizzo sapiente di ingredienti e cotture che si ergono ad ambasciatori di vecchie tradizioni e ricette dimenticate.
Piatti ormai introvabili, come le “espardenias”, un tempo cibo prediletto dai pescatori, rappresentano un ritorno alla normalità dopo una pausa al di fuori della vita reale contornata da luci stroboscopiche ed amplificatori tremanti. L’ottimo riso cotto nel brodo del bollito di mare è una coccola che accompagna metaforicamente al riposino post prandiale, mentre il servizio giovane, celere e accondiscendente si appresta a mostrare un conto con prezzi da encomio.
La brezza marina serale accompagna un ricordo che, in un rapido divenire, si trasforma in desiderio… quello di trascorrere un’altra giornata al Ses Bouques, una delle migliori cucine delle Baleari.
Le tovagliette didascaliche.
L’ottimo pane fatto in casa.
Accompagnato da olive e salsa aioli.
Patatine fatte in casa.
Sarde alla brace
Cozze.
Espardenias (Stichopus regalis), prelibatezza rara ormai, un tempo piatto povero dei pescatori. Qui in un intingolo d’aglio e olio pesante ma gustosissimo.
Scorfani in umido con patate…
Il buon fritto, forse solo un filo gommoso.
E il fantastico riso cotto con il brodo del bollito di mare in umido.
Ottimi i dolci.
Si finisce con il tradizionale ciupito di hierbas Ibicencas.