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La Barca di Mario

Il felice ritorno di Alessandra Moschettini a Lecce: un nuovo indirizzo per la cucina di mare fra i vicoli del centro cittadino

Avevamo lasciato Alessandra Moschettini in uscita da Alex Bar, al termine di un percorso in crescendo dopo alcune nostre visite deludenti. Dopo alcune stagioni passate fra consulenze ed incarichi in strutture alberghiere, ritroviamo la chef salentina in ottima forma alla guida di un interessante locale a tema marinaro nel centro storico di Lecce.

La barca di Mario è il progetto che vede la Moschettini impegnata gomito a gomito con Mario Marzo, avvocato pentito datosi all’ittica e responsabile degli arrivi giornalieri dalle coste adriatiche verso le cucine del locale. La proposta è semplice: i pesci proposti in cottura sono quelli di giornata, con l’inevitabile variabilità, mentre leggermente più costante è la proposta dei crudi, più gestibile grazie all’abbattimento di temperatura. Alessandra Moschettini si conferma eccellente interprete di alcuni capisaldi come la pasta (in questo caso linguine) ai ricci di mare e sensibile alla materia ittica, con preparazioni di crudo equilibrate ma intriganti, geolocalizzate, come nel caso di un ceviche di gamberi ben calato nello spirito mediterraneo. Il ricordo di alcuni accostamenti poco centrati e di qualche barocchismo in fase di impiattamento è assai lontano e la cosa non può farci che piacere.

Grazie alla filiera corta anche i grandi crostacei vengono proposti a prezzi decisamente abbordabili e il conto finale, salvo pesci interi e, appunto, grandi crostacei, si attesta facilmente al di sotto dei cinquanta euro e tiene fede, insieme ad una carta dei vini semplice e alla curata rusticità del luogo, a un’insegna che recita “Osteria del mare”. Da segnalare il servizio da asporto e la possibilità di giornate didattiche pesca-degustazione.

Una cucina di mare sapientemente elaborata: la Romagna nel piatto

Questa è la classica storia di una famiglia romagnola. Parte tutto dall’albergo/pensione di proprietà, con il padre pescatore, la madre in cucina. E Stefano, il figlio che, dopo la laurea in Economia, ci mette più di qualche anno a capire che il lavoro d’ufficio non fa per lui.

E torna quindi alle sue radici, sul lungo-darsena di Cesenatico, ed apre nel 1985 la Buca. Da qui l’inizio, un impero che oggi è esteso e consistente (con l’Osteria di mare a Bologna e la catena Osteria del gran fritto) che dona piaceri ittici a molti clienti che in Romagna cercano una buona qualità a buoni prezzi.

La Buca, dicevamo, è comunque l’origine di tutto: stella Michelin, locale di punta del gruppo, ha saputo creare un’oasi di intrigante modernità nella storia della cucina di pesce romagnola. In questo indirizzo la materia prima la fa da padrone, e la carta dei vini è attenta e molto ben articolata. Di locali di questa natura ce ne sono molti, frequentati sia da clienti stranieri e forestieri sia dalla borghesia romagnola.

Ma noi, che ultimamente li abbiamo frequentati tutti (o quasi), ci sentiamo di dire che La Buca è sicuramente tra i migliori, se non il migliore nel suo genere. Anche perché i piccoli tocchi di elaborazione ad un prodotto ittico di eccezione spesso sono azzeccati, intriganti ed interessanti.

La gallinella è il paradigma di questo luogo. Un prodotto straordinario lievemente ed elegantemente elaborato, con erbe e spezie che gli donano una marcia, o due, in più. Ma non è così per tutto: i gamberi bianchi un po’ mortificati da un sedano alla liquirizia assolutamente pleonastico e la pasta fresca di cottura e temperatura di servizio non perfetta, ci fanno comprendere che ci sono ancora ampi margini di miglioramento.

Comunque la Buca rimane un punto di riferimento assoluto per la cucina di mare di qualità nel cesenate, senza dubbio alcuno.

Nelle Marche, a pochi passi dal mare, un locale informale dove la cucina marinara è una questione piuttosto seria

Il pubblico di locali e turisti si è abituato, un po’ in tutta Italia ma in particolare nelle località dove il mare accarezza la sabbia, al fatto che non esista più un confine preciso fra gli stabilimenti balneari e i ristoranti marinari. Per venire incontro alle esigenze della clientela ed incrementare gli introiti, infatti, molti “chalet”, in cui un tempo si poteva gustare al più un panino, si sono di fatto convertiti a pieno titolo alla ristorazione. Nelle Marche, in particolare, regione in cui ciascuno può vantare qualche zia particolarmente versata per la cucina marinara, il fenomeno ha assunto proporzioni importanti. I risultati, naturalmente, non si possono ritenere in media entusiasmanti ma, non foss’altro che per la legge dei grandi numeri, ciascuna località della riviera adriatica ha finito per dare ospitalità a un buon numero di indirizzi sicuri cui rivolgersi per togliersi lo sfizio di un’ottima frittura di paranza o di un primo di pesce fatto con tutti i crismi.

Nel panorama ristorativo della turistica Porto San Giorgio si è imposto, nell’ultimo anno e mezzo, il nome nuovo di Stella Adriatica. Qui, malgrado il contesto sia quello di uno stabilmento balneare, l’impressione è che il lato ristorativo abbia un peso ancor più ragguardevole rispetto all’apparente core business della struttura. C’è ricerca della materia prima, con arrivi dalla Puglia dei frutti di mare, ostriche di varie tipologie proposte a rotazione, crostacei di generose pezzature e una generale qualità del pescato che si vede già avvicinandosi all’immancabile vetrina all’ingresso. Una cucina puntuale completa l’opera, recapitando in tavola piatti robusti in un equilibrio che, lungi dall’essere assoluto, è però un ottimo compromesso fra le consuetudini del luogo (anche in termini di porzioni) e il rispetto per una materia prima che ne merita parecchio.

Molto interessante sul versante sala/cantina, la giovane titolare Elena Ioan a condurre le danze con una piacevolissima combinazione di piglio e garbo e con una particolare attenzione all’aspetto enologico, evidenziato anche da una carta dei vini né scarna né banale. La sera viene proposto anche un menu degustazione mentre a mezzogiorno si pranza alla carta. Stella Adriatica è una bella realtà che contiamo possa ulteriormente crescere, dando al progetto la continuità nel medio-lungo termine che è spesso il tallone d’Achille di questo tipo di locali.

Un riferimento assoluto per la cucina di pesce nel nord Italia: Al Passo

Nell’angolino più nascosto e recondito di ogni gourmet, in uno di quei nascondigli dell’anima che mai e poi mai rivelerebbe nemmeno sotto tortura, si cela l’amore viscerale per il grande ingrediente nudo e puro, quello privo di qualsivoglia sovrastruttura.
Il gourmet amerà allo spasimo la cucina d’avanguardia dei grandi creativi contemporanei, sperimenterà tachicardie parossistiche per gli immensi piatti della tradizione… ma il godimento vero, quasi lussurioso, regalato dalle morbide e dolci carni di uno scampo crudo, dall’esplosione di sapore di un canestrello freschissimo o di un gambero rosso non trattato… beh, francamente, riempie ogni angolo di tristezza di un qualsivoglia stressato corpo umano.

Ebbene sì, lo ammettiamo anche noi, siamo colpevoli.
Ma sono così in antitesi le due visioni della cucina? Ovviamente no, come sempre il gaudente vero saprà godere dell’una e dell’altra faccia della luna: la qualità e il gusto non hanno bandiere. Da Al Passo a Campalto troveranno la pace dei sensi tutti gli amanti del pesce senza sovrastrutture: semplicemente uno dei migliori pescati del Nord Italia, trattato il meno possibile. Ed infatti, i picchi al Passo si toccano proprio sui crudi, dove il cuoco deve fare il minimo o, girando il concetto, il massimo per non rovinare la qualità di cotanto pesce.

Il patron, Massimo, vi scruterà con aria quasi indagatoria, quasi a valutare se siate degni delle sue meraviglie: affidatevi con fiducia, chiedete consiglio e non ve ne pentirete. Qui i convenevoli stanno a zero, tanta sostanza e rispetto assoluto dell’ingrediente.
Indirizzatevi verso le preparazioni (apparentemente) meno complesse: crudi, griglia e, magari, un bel fritto.
Godimento allo stato puro, semplice, primitivo, intenso.
La veranda completamente a vetri è un posto molto piacevole dove pranzare, in prenotazione preferitela all’interno, un po’ cupo.
Carta dei vini “verace” e poco amante della forma (come tutto il locale) ma con qualche bella chicca prezzata in modo correttissimo.
Un riferimento assoluto per la cucina di pesce: segnate ed andate di corsa.

Una cucina creativa di mare… sul lago

Era il 2004 quando un giovanissimo Fabrizio Ferrari iniziò a prendere in mano le redini del ristorante di famiglia. Al porticciolo 84 (il 1984 è l’anno di nascita del ristorante) era il punto di riferimento in zona per gustare del buon pesce. Ottima materia prima, cucina di impronta tradizionale, una clientela ormai consolidata, tra i piatti simbolo una ricchissima grigliata di pesce.
Il giovane Fabrizio però manifestò da subito la sua intenzione di determinare un cambio di rotta verso una cucina diversa, in cui poter esprimere tutta la sua creatività e le tecniche apprese nelle sue esperienze in importanti cucine in Italia e all’estero (tra cui Uliassi e il Noma di Redzepi).
La rivoluzione non poteva che essere graduale.

Per un non breve periodo i piatti di impostazione moderna e creativa si sono affiancati a quelli che erano i cavalli di battaglia del locale. La necessità di non spiazzare la clientela abituale -in una zona, peraltro, storicamente poco incline ad ogni forma di sperimentazione in cucina- determinò la necessità di far forzatamente convivere due anime nella stessa cucina.
La transazione è ormai ampiamente compiuta ed oggi il Porticciolo 84 è a tutti gli effetti il ristorante di Fabrizio Ferrari e della sua compagna di vita Anna Valsecchi che si occupa in maniera impeccabile del servizio in sala.
La famosa grigliata mista (che era peraltro molto buona) è scomparsa dalla carta e la linea di cucina è oggi quella di Fabrizio, senza più compromessi. Una cucina in cui al centro resta comunque l’Ingrediente: quel pesce marino di cui lo chef è un grande conoscitore.

In carta, a parte i notevoli crudi, dieci piatti. Al centro dei quali dieci diversi ingredienti marini a cui si uniscono una serie di elementi di contorno.
C’è spesso un tocco di oriente, rilevanti le speziature, notevoli le componenti acide, esasperati i contrasti. Una cucina senza dubbio originale, di buona personalità con piatti che riescono quasi sempre a raggiungere un ottimo equilibrio gustativo. Diciamo “quasi” perché a volte il bravo Fabrizio sembra perdersi in qualche ingrediente di troppo, smarrire la strada diretta verso il gusto a vantaggio di una ricerca, che può apparire talvolta forzata, dell’elemento “diverso”, della chiave aromatica spiazzante.
Ma ci può stare, stante il coefficiente di difficoltà e la abbondanza di elementi e di contrasti che caratterizza la gran parte delle preparazioni.
Il piatto della serata, quello con la P maiuscola, si e rivelato senz’altro la Razza servita con salsa olandese, caviale di lampone, olive taggiasche croccanti e finocchio, molto elegante e intenso con la (moderata) acidità del lampone che ben si sposa con la grassezza di una salsa olandese perfettamente eseguita. Una menzione la meritano anche gli assaggi iniziali, anch’essi alquanto compositi come da cifra stilistica dello chef ma molto centrati e ben eseguiti, in particolare la Spugna di arachidi, maionese di cozze, polvere di barbabietola e cetrioli, una vera e propria carezza per il palato e la Crema di melanzane, uova di salmone, olio al peperone grigliato e gelsomino, con le uova che si rompono in bocca rilasciando tutta la loro intensa carica gustativa.

Una cucina coraggiosa, non banale, molto personale, a volte imperfetta, ma in fondo va bene anche così.