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Pascucci al Porticciolo

Una delle migliori cucine di mare d’Italia, a Fiumicino

Nel nostro perpetuo e continuo girovagare per ristoranti poche volte ormai riusciamo a rimanere impressionati. E non necessariamente solo dalla cucina. Impressionati dalle tecniche, dalla volontà, dalla qualità espressa certamente, ma anche impressionati dall’aria che si respira, intensa e vibrante. Quest’aria, che abbiamo respirato qui, è ricca e pregna di sentimento, di voglia di emergere, di determinazione e di tanta, tantissima passione. Un cocktail micidiale, perché con la straordinaria materia prima di cui Gianfranco Pascucci dispone possiamo tranquillamente affermare che ci troviamo, assieme a Lionello Cera, di fronte a uno dei migliori ristoranti di pesce d’Italia. Merito di Gianfranco certo, che ha studiato a lungo e continua a farlo, ma merito anche di una squadra, capitanata da sua moglie Vanessa, che sa gestire una sala veramente di alto livello. E non dimentichiamoci i ragazzi in cucina, sottoposti a lunghe fatiche da parte dello chef, che ha una linea tanto complicata quanto originale e goduriosa, appagante al palato.

Un luogo insomma in cui si respira quell’aria, quel pathos, quel sentimento di trance agonistica che ci fa amare il luogo e ci fa assaporare un profumo intenso di piacevolezza. La cucina di Pascucci, cuoco autodidatta, è cresciuta notevolmente negli anni. Si è affinata, ha guardato ai dettagli, ha lavorato in una direzione molto personale. E l’appunto nostro della volta precedente, accolto, ha portato ancora più in alto l’asticella, migliorando notevolmente il comparto dolce, oggi irriconoscibile rispetto al passato, in positivo s’intende.

La tecnica, l’evoluzione e la qualità delle materie prime

Ma ciò che più ci ha stupito, impressionato, è il fine ed elegante, nonché originale, lavoro sulle ossidazioni e frollature del pesce. Avete letto bene. Ci scampi dal popolo superficiale ogni possibile ironia a riguardo. La tecnica delle fermentazioni, ossidazioni e frollature pronunciate è presente da millenni in moltissime culture, quale metodo di conservazione – ma non solo -, che non deve affatto far inorridire. Pensiamo alla cultura giapponese, ricca di storia e tradizione in tal senso, ma ci basti, accontentandoci, pensare al nostro garum romano, o alla colatura di alici, sua derivata. Gianfranco si è spinto oltre, lavorando su marinature e ossidazioni controllate che trovano l’apice gustativo nella Misticanza di tonno rosso o nel Lardo di centrofolo a impreziosire i Filideu sardi.

Interessantissima la ricerca di consistenza sul Calamaro arrosto alle erbe mediterranee, con il brodo in accompagnamento che riprendeva una sorta di dashi mediterraneo appunto, da far invidia a un piatto del grande Ryugin. Primi piatti ottimi, un asticello davvero memorabile, in cui viene magistralmente esaltata la testa del crostaceo, non a discapito di una stupenda cottura della coda. Il salto quantico sui dolci è evidente a tutti, basti vedere le foto dei dessert dell’anno scorso.

Completano il quadro una sala davvero importante, gestita magistralmente. Ora non rimane che andare a Fiumicino, a respirare quell’aria, che ci riporterà a momenti intensi decisamente appaganti.

La galleria Fotografica:

Mangiar bene in Scozia. Un minuscolo ristorante, ricco di sorprese, nella remota Isola di Skye

Meravigliosa Scozia. Un distillato cromatico di bellezza bucolica, selvaggia, cangiante, Mentre in inverno neve e nebbia si confondono e durante la notte il paesaggio mozza il fiato.

Ogni luogo di questa bellissima terra è una scoperta. Non fa eccezione l’Isola di Skye, a ovest delle Highlands. Terra di pescatori e grandi whisky.

Dal centro urbano più grande dell’isola, Portree, si percorrono ponti e stradine anguste che regalano paesaggi suggestivi, fino a Stein, nella remota penisola di Waternish. Alla fine di una stradina a doppio senso, in un minuscolo lungomare con cottage bianchi a schiera fronte oceano, si nasconde un piccolo ristorante di una ventina di coperti: il Loch Bay. Qui la tradizione scozzese – specie quella ittica – incontra le solide basi della gastronomia francese grazie all’esperienza dello chef  Michael Smith.

L’atmosfera è calda, raccolta e si cena a lume di candela. La moglie dello chef e un gentilissimo maitre si premurano che tutto vada per il meglio.  Ci si sente coccolati.

Una cucina solida di stampo francese basata su frutti di mare scozzesi e cacciagione locale

Una carta molto ridotta offre piatti di carne e cacciagione, a volte da pelo, altre da piuma, ma soprattutto preparazioni incentrate sul pescato locale e sui frutti di mare cui è dedicato un intero percorso di degustazione.

L’esperienza nel trattare la materia prima ittica si ritrova subito con gli stuzzichini di accompagnamento, con una intensa brandade di sgombro da spalmare sullo “scone” caldo. Poi una zuppa di mare con spinaci, di stampo transalpino, per finire con l’abbondante trittico di molluschi, pesci e crostacei con la capasanta locale, scampo e merluzzo in una elegante salsa al granchio.

Bella mano anche sui secondi, con il cerbiatto (viene servita la sella al sangue e la coscia brasata) con verdure, porcini e cacao. In accompagnamento, se lo volete – e lo consigliamo! – delle patatine in tripla frittura, eccezionali nella loro semplicità.

Dessert buono, ma anch’esso in porzione molto abbondante come il resto.
Ci si alza da tavola satolli e un po’ appesantiti, ma è tutto molto goloso.
La selezione enoica può lasciare un po’ perplessi considerate e le pochissime referenze e qualche ricarico di troppo. Ma ricordiamoci che siamo in un posto davvero lontano da tutto.

Per un whisky a fine pasto, invece, la scelta è più che esaustiva. E ci mancherebbe.

La galleria fotografica:

A Cesenatico brilla una stella meritata, una cucina di mare elegante e piacevole

La storia della Famiglia Bartolini l’abbiamo già raccontata qui.  Stefano, il patriarca, e oggi Andrea, il figlio architetto che ha progettato e realizzato tutti i locali, hanno costruito una galassia ittico-romagnola con la Terrazza Bartolini a Milano Marittima, con l’Osteria del gran fritto a Cesenatico e Milano Marittima, con l’Osteria Bartolini a Bologna.

In tutti locali il refrain è qualità: scelta delle materie prime, tutte eccelse, ottima cantina con selezioni interessanti e servizio, curato, attento, preciso e puntuale. Una famiglia che ha da sempre investito nella sua impresa ammodernandola, facendola evolvere, non stando mai fermi. E mentre le osterie e la terrazza macinavano successi e fully booked costanti, a La Buca non abbiamo mai avuto difficoltà a trovare un tavolo. Anche se ultimamente, e ciò ci fa molto piacere, per via forse della doppia stellata investitura del Magnolia qui a Cesenatico, il vento è cambiato.

Tutto immancabilmente perfetto, tutto tecnicamente ineccepibile

Siamo molto felici, dicevamo, di questo accaduto, perché La Buca, sinceramente, merita molto più di quanto si creda. La cucina è schietta e sincera. Cucina che trae spunti, e si vedono nitidi in molti piatti, da altre cucine ben più blasonate, altrettanto vero. È vero anche che la continuità in cucina e la qualità della materia prima vadano premiate. In questo caso aggiungendo e arrotondando per eccesso una valutazione non piena, che però fornisce dignità. Dignità che merita un luogo così piacevole e davvero interessante.

Questa volta ci siamo affidati all’estro di Gregorio Grippo, capo chef dei Bartolini e con loro sin dall’apertura, ed abbiamo scelto il menù degustazione. Fritto, crudo, cucinato, pasta, riso, tutto immancabilmente perfetto, tutto tecnicamente ineccepibile. Già il benvenuto, il mare in un panino, è un ottimo biglietto da visita – questa volta con un eccellente sgombro e verdure all’agro. Si prosegue elegantemente con la sogliola dei divergenti lievemente fritta e ben contrastata dalla salsa-emulsione ai ricci di mare e lime, si atterra su ottimi spaghetti al sugo di granseola, l’ottimo risotto ai frutti di mare, l’intrigante rombo e puntarelle. Si termina con una coccola magica, la tarte tatin per due, magistralmente eseguita.

Come abbiamo detto più volte, il servizio, in un sabato affollato, ci è parso puntuale, preciso e molto gentile. La carta dei vini riserva sorprese intriganti, come la nostra Coulée de Serrant 1999, a prezzi da encomio. Per questo e per tanti altri motivi accorrete alla Buca, non ve ne pentirete affatto…

La gallery fotografica

Pesce di alta qualità nel cuore della Riviera Romagnola

Il vasetto collocato sulla scrivania all’ingresso del locale, ricolmo fino all’orlo di lecca-lecca, dice tutto sulla capacità dei romagnoli di accogliere i clienti: un semplice gesto, dal costo limitato, ma che permette di conquistare qualunque bambino (e, con lui, mamma e papà). Sono i dettagli a fare la differenza, come sempre: la gentilezza, i sorrisi, la voglia di far star bene la gente.

Qui all’Onda Blu hanno capito tutto questo.

Un locale bello, un ex bagno fronte mare ristrutturato in maniera elegante ma prestando sempre attenzione a non intimorire il cliente, tutto giocato sui toni del bianco per lasciare la scena alla luce che entra dalle ampie vetrate che circondano la sala. Una carta dei vini ben costruita, sia per le proposte sia per la correttezza assoluta dei prezzi.

E poi pesce, pesce e ancora pesce. Selvaggio, tutto. E dall’Adriatico, prevalentemente.

Una cucina semplice e piena di gusto

Ricette semplici, che lascino parlare gli ingredienti di alta qualità: niente fondi, ma cotture rapide ed espresse. Proposte rassicuranti, con quel pizzico di estro che permette di scacciare la noia ma al contempo piene di solidità e, vivaddio, di gusto.

Quel soaso al forno non lo dimenticheremo facilmente: un concentrato di mare, carni sode e succose che lasciano apparire anche una buona mano in cucina oltre alla grande abilità nell’approvvigionamento del pesce.

Un locale che ci sentiamo di consigliarvi a occhi chiusi: il prezzo può essere importante (e parlando di pesce pescato, non c’è da meravigliarsi) ma la soddisfazione sarà garantita al 100%.

Un concept accattivante e una squadra giovanissima per portare il mare nel centro di Avellino

Avellino. Circondata dall’Appenino Campano con vette oltre i mille metri, costruita nella conca, giù a trecentoquarantotto sul livello del mare, con l’anno che inizia puntualmente con una temperatura media di sei gradi e la spiaggia più vicina a poco meno di trenta chilometri. Queste vetrine sarebbero potute essere facilmente ingresso dell’ennesima panineria, magari una di quelle con prodotti raffinati, di griglie esclusive per carni selezionate, di quei contorni etnici e mille pagine di birre ad accompagnare. Invece, per una volta, si è deciso di sfidare le convenzioni, di non assecondare la tendenza, di avere coraggio. Così, sotto i porticati di una delle vie del centro di Avellino ha aperto Triglia, nessuna ambiguità già dal nome. Qui si mangia pesce fresco, tutti i giorni a pranzo e cena.

Mirko Balzano, dopo tante cucine, qui si è vestito da consulente, e ha ragionato soprattutto da avellinese, come uno dei tanti avellinesi che avrebbero voluto sfogliare volentieri un menù di mare, sotto casa, per un pranzo diverso o per una cena piacevole e di gusto. E allora subito l’idea di mediterraneo, con il bianco di pareti, sedie e tavoli interrotto solo da un parato con le sagome di pesci nel verde marino, una scintillante cucina a vista, una robusta carta dei vini, elegante e pretenziosa, e uno stuolo di ragazzi dietro i fornelli e davanti i tavoli per dare forma compiuta al desiderio.

La carta, articolata classicamente in antipasti, primi e secondi, al contempo facile e ambiziosa, si apre con una batteria di proposte, da scegliere singolarmente o da infilare in sequenza in formato minimal, con ritmi serrati per un bella gita al mare.

Un tentacolo di polpo con le patate e gli spinaci ed una maionese ottenuta con la riduzione della sua acqua ad allungarne la memoria, un piccolo panino con il lungo stecchino a trattenere il tonno crudo e la sua bottarga, un gambero rosso con l’oriente della soia ancora nella vaporiera in bambù.

E ancora due ricci da ripulire con il cucchiaino, ai quali nulla si aggiunge e poi, più di sostanza che di maneggio, le alici in parmigiana, sapide da attraversare le melanzane e il pomodoro, un fiore di zucca gonfio di ricotta con la folgore del limone e dell’acciuga a movimentare.

Infine i due barattoli, da avvicinarci il naso: in vetro il primo, dove lenta si è consumata la cipolla sugli sfilacci di tonno profumato al cardamomo. La buatta poi, la latta da aprire per svelare un morso di baccalà rinforzato con l’arrosto del peperone, l’aglio e il perfetto inserimento della nocciola a donare rotondità.

Sulla stessa partitura i primi, con una fettuccella dove i frutti di mare si mischiano giustamente al vegetale amaro dei friggitelli, e a seguire una trofia dove anche la cacio e pepe vestita per l’estate con menta e limone, cerca la via del mare con i filetti di alici. Abbinato, il Fiano della Stella 2014 Joaquim. O si ama o si odia.
A chiudere freddo, frutta e gioco con le fragole tiepide spadellate sul bel gelato di basilico, in perfetto stile mediterraneo. Servizio attento e conto onesto che può crescere solo cedendo alla mille tentazioni della carta delle bollicine.